Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2606 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 18 Febbraio 2009, n. 3905. Rel., est. Fioretti.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Effetti - Sugli atti pregiudizievoli ai creditori - Azione revocatoria fallimentare - Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie - In genere - Estinzione di debito pecuniario scaduto ed esigibile, mediante trasferimento di "res pro pecunia" - "Datio in solutum" - Configurabilità - Conseguenze - Assoggettamento ad azione revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67, primo comma, n. 2, legge fall. - Sussistenza - Trasferimento realizzato attraverso un valido contratto di compravendita - Rilevanza - Esclusione.



Qualora un debito pecuniario, scaduto ed esigibile, venga estinto dall'obbligato mediante una prestazione diversa, consistente nel trasferimento di una "res pro pecunia", va riconosciuta la ricorrenza di una "datio in solutum", con il conseguente assoggettamento ad azione revocatoria fallimentare, a norma dell'art. 67, primo comma, numero 2), legge fall., indipendentemente dallo strumento negoziale adottato dalle parti per attuare il suddetto trasferimento e, quindi, anche quando il trasferimento medesimo sia effetto di un valido contratto di compravendita, che evidenzi l'indicato intento dei contraenti, per la mancata corresponsione del prezzo di vendita. (massima ufficiale)


Massimario, art. 67 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PLENTEDA Donato - Presidente -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - rel. Consigliere -
Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 15441/2004 proposto da:
TRE S COSTRUZIONI S.R.L., in persona dell'amministratore unico pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 60, presso gli Avvocati PREVITI Stefano, CARLA PREVITI, che la rappresentano e difendono unitamente, giusta procura speciale per Notaio FRANCESCO COLISTRA di ROMA - Rep. n. 105.371 del 28.10.08;
- ricorrente -
contro
G 4 S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona dei Commissari liquidatori pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 132, presso l'avvocato VALSECCHI FRANCESCO, rappresentata e difesa dall'avvocato ZOPPINI Andrea, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 259/2004 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 19/01/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 03/12/2008 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;
udito, per la ricorrente, l'Avvocato CARLA PREVITI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato il 10 marzo 1995, la G4 s.r.l. in amministrazione straordinaria conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Velletri la 3S Costruzioni s.r.l., esponendo: che, nel periodo ottobre-novembre 1992, la 3S le aveva chiesto il pagamento dei lavori di edificazione di un fabbricato che stava eseguendo in Roma, per suo conto, per un importo corrispondente agli ultimi stati di avanzamento; che essa aveva pagato con assegno soltanto una parte della somma, non disponendo di altra liquidità; che, tuttavia, la 3S aveva insistito per il pagamento integrale; che, alla fine, nel gennaio-febbraio 1993, le aveva offerto a tacitazione del saldo la vendita di alcune attrezzature e materiali di cantiere; che, avendo questa accettato, le aveva venduto beni per L. 139.437.417, emettendo le relative fatture; che, però, come d'accordo, il prezzo non era stato pagato, essendo stato trattenuto a copertura del residuo credito; che la vendita faceva parte di una complessa operazione costituente lo strumento per pervenire ad un pagamento con mezzo diverso dal denaro, al pari di una datio in solutum; che, quindi, l'atto era revocabile, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2; che la scientia decoctionis da parte della 3S si presumeva, salvo prova contraria; che, comunque, all'epoca il dissesto della G4 era notorio.
Chiedeva, pertanto, la revoca dell'operazione e, dovendosi escludere la possibilità di restituzione delle cose per la loro natura, il pagamento di una somma pari al prezzo, con la rivalutazione. La 3S, nel costituirsi, contestava la domanda e ne chiedeva il rigetto. In particolare deduceva: che l'avere accettato in pagamento in luogo del danaro attrezzature di cantiere non concretava una operazione anomala; che essa non aveva alcuna ragione di ritenere in base alle apparenze che la G4 versasse in stato di insolvenza. Con sentenza in data 13 marzo 2001 il Tribunale revocava l'operazione e condannava la 3S a pagare alla G4 la somma di L. 130.637.417, con gli interessi e la rifusione delle spese.
Detta sentenza veniva impugnata dalla 3S dinanzi alla Corte d'Appello di Roma, deducendo: che la revocatoria era inammissibile in quanto la esistenza di crediti contrapposti, come risultanti dalle fatture della 3S e della G4, aveva determinato la loro estinzione automatica per compensazione legale; che la domanda di revocatoria era nulla in quanto la G4 aveva chiesto in dipendenza della revoca il pagamento della somma corrispondente al prezzo ed alla relativa rivalutazione, senza chiedere prima la restituzione delle cose vendute; che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto raggiunta la prova della scientia decoctionis da parte di essa 3S.
Chiedeva, pertanto, che in riforma della gravata sentenza, fosse rigettata la domanda della G4.
Questa, nel costituirsi, contestava il gravame e ne chiedeva il rigetto.
Con sentenza 21.10.2003-19.1.2004 la Corte adita rigettava l'appello. Avverso detta sentenza Tre "S" Costruzioni ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi illustrati con memoria. G4 s.r.l. in liquidazione ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 67. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La Corte d'Appello avrebbe omesso di valutare correttamente la eccezione preliminare di compensazione legale.
Questa, non dando luogo ne' ad un pagamento anormale ne' ad altro atto estintivo del debito, se accolta, avrebbe portato la Corte ad escludere la assoggettabilità della stessa all'azione revocatoria. Infatti, a seguito della cessione da parte della G4 in favore della 3S di una serie di attrezzature e del conseguente sorgere del credito documentato per iscritto dalle fatture esistenti agli atti di causa, si sarebbe verificata la coesistenza di crediti certi, liquidi ed esigibili, che avrebbero parzialmente eliso le ragioni creditorie di una parte nei confronti dell'altra.
La Corte d'Appello, nonostante tali risultanze, avrebbe immotivatamente respinto l'eccezione della ricorrente sul rilievo di un non provato consenso della medesima alla realizzazione di una complessa operazione, che configurerebbe una datio in solutum. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 67. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La qualificazione di datio in solutum avrebbe dovuto indurre il giudice d'appello a ritenere erroneamente formulata, inammissibile ed inaccoglibile la domanda della G4 in quanto volta in via esclusiva ad ottenere la condanna pecuniaria della convenuta; ciò perché, essendo rivolta a ripristinare il patrimonio del fallito, il petitum principale della domanda revocatoria non avrebbe dovuto essere la richiesta di condanna alla restituzione di una somma, bensì di condanna alla restituzione della merce, domanda questa che non era stata mai formulata.
Nè potrebbe ritenersi meritevole di pregio l'osservazione svolta dalla Corte d'Appello secondo cui la condanna all'equivalente in danaro troverebbe la sua giustificazione nella circostanza che i beni mobili "avrebbero esaurito rapidamente, fino alla perdita totale, il loro valore economico e che, comunque, difficilmente sarebbero individuabili, se si considera che si trattava di ben 32261 pezzi". Così argomentando la Corte d'Appello non avrebbe preso in considerazione l'elementare valutazione che, ove l'operazione non fosse stata posta in essere, nel patrimonio della G4 di certo non vi sarebbe stata la somma successivamente ottenuta, ma vi sarebbero stati soltanto quei beni mobili che la stessa Corte d'Appello, in difetto di ogni elemento, ha ritenuto di scarso valore. Conseguentemente con l'accoglimento della revocatoria non si sarebbe realizzato il fine della stessa di reintegrazione del patrimonio del fallito, bensì si sarebbe prodotto un ingiustificato arricchimento del fallimento.
Nè si potrebbe imputare alla Tre "S", come invece fa la Corte d'Appello di avere omesso di offrire in restituzione i beni mobili in questione, atteso che ne' la L. Fall., art. 67, ne' qualsivoglia altra norma del sistema imporrebbero al soggetto convenuto in revocatoria, dinnanzi ad una domanda erroneamente formulata, e perciò inammissibile, di tenere un comportamento attivo volto a sanare la domanda di controparte.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 67. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La motivazione della Corte d'Appello circa la prova della conoscenza da parte della ricorrente dello stato di insolvenza della G4 sarebbe vaga, lacunosa e contraddittoria.
Gli elementi di prova, acquisiti peraltro irritualmente, perché prodotti tardivamente, non consentirebbero di ritenere, contrariamente all'assunto del giudice a quo, che la ricorrente, al momento della cessione dei materiali di cantiere, avesse la effettiva consapevolezza dello stato di insolvenza della G4.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Con riferimento a tale motivo la controricorrente deduce che l'eccezione di compensazione, quale eccezione non rilevabile d'ufficio, non poteva essere proposta per la prima volta in secondo grado (circostanza questa ammessa dalla stessa ricorrente) per il divieto posto dall'art. 345 c.p.c., comma 2, all'ingresso di eccezioni nuove. Tale tesi non è condivisibile.
Il divieto di eccezioni nuove in grado di appello è stato introdotto dalla L. n. 353 del 1990, art. 52, che ha modificato in tal senso la originaria formulazione dell'art. 345 c.p.c., con decorrenza dal 30 aprile 1995.
La citata L. n. 353 del 1990, art. 90 (di riforma del processo civile) dispone che ai procedimenti pendenti alla data del 30 aprile 1995 si applicano le disposizioni vigenti anteriormente a tale data. Il presente procedimento è stato introdotto con citazione notificata il 10 marzo 1995, per cui era già pendente nel momento in cui l'art. 345 c.p.c., è stato modificato. Ne deriva che nel caso di specie trova applicazione l'art. 345 c.p.c., nella precedente formulazione, il quale ammetteva, invece, la possibilità di proporre nel giudizio di secondo grado nuove eccezioni.
Il motivo in esame è comunque infondato nel merito.
La società ricorrente sostiene che la cessione alla 3S Costruzioni di materiali ed attrezzature di cantiere da parte della G 4 s.r.l. in pagamento di una parte dei lavori effettuati dalla prima a favore di quest'ultima, avendo determinato la coesistenza di crediti liquidi ed esigibili, che avrebbero parzialmente eliso le ragioni creditorie di una parte nei confronti dell'altra, configuri una ipotesi di compensazione legale, il che escluderebbe la amissibilità nel caso di specie dell'azione revocatoria fallimentare.
La Corte d'Appello osserva al riguardo che è certo che la 3S emise due fatture a carico della G4 per il pagamento dei corrispettivi dovutile per alcuni stati di avanzamento dei lavori di edificazione che stava eseguendo in Roma per suo conto e che nello stesso tempo la G4 emise tre fatture con riferimento alla vendita di attrezzature e materiali vari di cantiere in favore della 3S, ma che non si trattava di due normali e distinte operazioni commerciali. Infatti, mentre la prima era diretta a far conseguire alla 3S il corrispettivo dei lavori eseguiti, l'altra, invece, aveva una funzione satisfattoria del credito della predetta, portato dalle due fatture, attraverso una operazione complessa, che, utilizzando lo strumento negoziale della compravendita, mirava in realtà ad una finalità solutoria con un mezzo anomalo di pagamento. Ciò era avvenuto perché la G4 non aveva la liquidità necessaria per pagare l'intero importo delle due fatture, per cui, dopo avere versato con assegno una parte dell'importo, sotto la spinta della sollecitazione dell'altra società e con il suo consenso, le aveva ceduto una certa quantità di materiali minuti di cantiere, emettendo le relative fatture, con l'intesa che il prezzo relativo di detto materiale non sarebbe stato pagato, recuperando così quella parte del credito che rimaneva insoddisfatto. Pertanto, nel caso di specie, non potevasi ritenere che fosse intervenuta la estinzione legale di crediti contrapposti per la ragione che essi solo in apparenza si ricollegavano a distinti rapporti causali, dovendosi ricondurre in realtà ad un'unica complessa operazione avente funzione solutoria, che, integrando una ipotesi di pagamento con mezzo anormale, era assoggettabile a revocatoria fallimentare.
La ricorrente contesta detta ricostruzione dei fatti e la relativa qualificazione giuridica, assumendo che la sussistenza delle due fatture emesse dalla 3S escluderebbero la configurabilità di una datio in solutum in mancanza di prova delle sollecitazioni della 3S ad effettuare il pagamento del saldo con la cessione di materiali di cantiere ed il suo consenso alla effettuazione di tale operazione. Il collegio osserva che è incontestato che la G4 era debitrice della 3S per lavori da questa eseguiti, che solo una parte del debito fu pagato con un assegno e che alla predetta 3S furono ceduti materiali di cantiere. Tali circostanze rendono plausibile la ricostruzione fattuale operata dalla Corte d'Appello, che ha logicamente e correttamente ritenuto che la cessione dei materiali di cantiere, in mancanza di un loro effettivo pagamento, avesse nell'intenzione delle parti - non risultando peraltro dalla sentenza impugnata che tale cessione fosse motivata da una specifica esigenza della 3S di disporre di detti materiali per imprescindibili esigenze di cantiere - la esclusiva funzione economico giuridica di estinguere in parte il credito pecuniario della 3S e che, pertanto, la vicenda in questione integrasse gli estremi di una datio in solutum. Tale soluzione è peraltro conforme a precedenti giurisprudenziali di questa Corte, la quale ha affermato il principio che il collegio condivide, secondo cui, qualora un debito pecuniario, scaduto ed esigibile, venga estinto dall'obbligato mediante una prestazione diversa, consistente nel trasferimento di una "res pro pecunia", la ricorrenza di una "datio in solutum", ed il suo conseguente assoggettamento, in considerazione della non normalità del mezzo di pagamento, ad azione revocatoria fallimentare a norma della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, va riconosciuta indipendentemente dallo strumento negoziale adottato dalle parti per attuare il suddetto trasferimento, e, quindi, anche quando il trasferimento medesimo sia effetto di un valido contratto di compravendita, che evidenzi l'indicato intento dei contraenti per la mancata corresponsione del prezzo di compravendita (cfr. Cass. n. 3710 del 1984; 5093 del 1977; tra le più recenti cfr. Cass. n. 23714 del 2004).
Anche il secondo motivo è infondato.
La G4 s.r.l. in amministrazione straordinaria, premesso che i materiali e le attrezzature di cantiere erano stati ceduti alla 3S Costruzioni in pagamento del suo residuo credito, ha chiesto la revoca di tale operazione, costituente atto estintivo di un debito scaduto ed esigibile con mezzo anomalo, e affermando che dovevasi escludere la possibilità di restituzione delle cose data la loro natura, ha chiesto il pagamento di una somma pari al prezzo, oltre rivalutazione.
Assumendo la impossibilità da parte della convenuta di restituire in natura le cose cedute, certamente per il fatto che, trattandosi di materiali minuti di cantiere (come si afferma nella sentenza impugnata), era facile presumere che dette cose fossero state utilizzate e consumate nel cantiere della convenuta stessa, la attrice non aveva altra scelta che quella di chiedere il pagamento di una somma di danaro. Di fronte alla allegazione di un fatto, che rileva quale fatto costitutivo della richiesta del pagamento del controvalore dei beni ceduti (da ritenersi ammissibile ogniqualvolta un ben uscito dal patrimonio del fallito non possa esservi fatto rientrare in natura), la società convenuta avrebbe dovuto, nel proporre nella comparsa di risposta le proprie difese, dedurre che invece i beni in questione esistevano ancora e che era disposta a restituirli al fallimento per essere sottoposti alla esecuzione concorsuale; cosa che invece non ha fatto.
Correttamente la Corte d'Appello ha, pertanto, ritenuto che "avendo chiesto la revoca della complessa operazione utilizzata ai fini della datio in solutum, (la attrice) aveva ragione di chiedere, anziché la restituzione delle cose vendute, la rimozione del risultato finale dell'operazione mediante il pagamento di una somma pari al prezzo non pagato, con la rivalutazione.
Difatti, le cose vendute, sia per la loro natura che per la volontà delle parti, erano destinate a restare nella definitiva disponibilità della 3S, non avendo senso restituire cose che con l'uso avrebbero esaurito rapidamente, fino alla perdita totale, il loro valore economico e che, comunque, difficilmente sarebbero state individuabili, se si considera che si trattava di ben 36.261 pezzi". Giustamente la Corte ha anche dato rilievo al fatto che di fronte alla domanda di revoca la 3S non ha mai offerto la restituzione della cose vendute, comportamento questo che denunciava certamente che la predetta non aveva alcuna possibilità di restituirle. La ricorrente deduce che con la condanna al pagamento della somma di cui in premessa non si sarebbe realizzato il fine della revocatoria di reintegrazione del patrimonio del fallito, ma che si sarebbe prodotto un ingiustificato arricchimento del fallimento, dato che attualmente i materiali di cantiere ceduti avrebbero avuto un minore valore.
A parte la considerazione che la cosa è tutta da dimostrare, non essendo stata effettuata alcuna valutazione di detti materiali, rileva il fatto che la questione è nuova, non risultando che sia stata proposta in sede di merito, e, come tale, è inammissibile la sua proposizione per la prima volta in sede di legittimità. Infine anche il terzo motivo è infondato.
La ricorrente lamenta che la conoscenza dello stato di insolvenza sia stata ritenuta sulla base di prove acquisite tardivamente, che dette prove non consentirebbero di ritenere la sussistenza di tale requisito e che peraltro la motivazione della Corte d'Appello sul punto sarebbe vaga, lacunosa e contraddittoria.
La Corte d'Appello,oltre alle inutili considerazioni sul valore delle prove acquisite, ha posto in rilievo che, versandosi in ipotesi di revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2, la conoscenza dello stato di insolvenza era presunta, salvo prova contraria da fornirsi da parte della 3S, prova che è del tutto mancata.
Tale motivazione è del tutto congrua ed immune da vizi logico- giuridici, il che la pone al riparo da ogni censura.
Per quanto precede il ricorso deve essere respinto, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che, tenuto conto del valore della controversia, appare giusto liquidare in complessivi Euro 2.700,00 (duemilasettecento), di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento a favore della resistente delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.700,00 (duemilasettecento), di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2009