Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26175 - pubb. 17/11/2021

Risoluzione del concordato preventivo: decorrenza del termine per la risoluzione e partecipazione obbligatoria del PM

Cassazione civile, sez. VI, 21 Ottobre 2021, n. 29289. Pres. Bisogni. Est. Fidanzia.


Concordato preventivo – Risoluzione – Termine – Decorrenza

Concordato preventivo – Risoluzione – Intervento obbligatorio del pubblico ministero – Esclusione



Nel giudizio di impugnazione avverso la declaratoria di risoluzione del concordato preventivo e di fallimento non è obbligatorio l'intervento del pubblico ministero a norma dell'articolo 70 n. 5 c.p.c., poiché tale partecipazione era prevista dalla disciplina previgente solo per il giudizio di omologazione di cui all'articolo 132 l.fall. (norma poi abrogata dal d.lgs. n. 5 del 2006). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


Fatto

- che viene proposto da S.R., in proprio e quale legale rappresentante della "(*) s.n.c.", affidandolo a sei motivi, ricorso avverso la sentenza n. 2236/2018, depositata il 19.12.2018, con cui la Corte d'Appello di Catanzaro ha rigettato l'appello avverso la sentenza n. 716/2006 con cui il Tribunale di Rossano Calabro ha rigettato l'opposizione avverso la sentenza n. 5/2004 del 13.04.2004 dello stesso Tribunale, che aveva dichiarato la risoluzione della procedura di concordato preventivo ed il fallimento della predetta società;

che il curatore della procedura si è costituito in giudizio con controricorso;

- che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380 bis c.p.c.;

- che il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis c.p.c..

 

Motivi

1. che con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 99 c.p.c., e dell'art. 111 Cost., per essere il fallimento stato dichiarato d'ufficio, in conseguenza della risoluzione del concordato preventivo ed in assenza di domanda; in subordine, è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale della L. Fall., artt. 137 e 186, per contrasto con l'art. 111 Cost.;

2. che il motivo è inammissibile per novità della questione o comunque per difetto di autosufficienza;

- che, infatti, la sentenza impugnata ha puntualmente indicato e riassunto i cinque motivi dell'atto di appello, tra cui non rientra la censura sopra illustrata; che, dato atto che la sentenza impugnata non fa alcun cenno alla dedotta violazione dell'art. 99 c.p.c., e dell'art. 111 Cost., è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041);

- che ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare "ex artis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430);

che, nel caso di specie, i ricorrenti non hanno adempiuto a tale onere di allegazione, non avendo dedotto nemmeno di aver dedotto tale tema d'indagine innanzi al giudice d'appello;

- che, in ogni caso, la sollevata questione di legittimità costituzionale della L. Fall., art. 186 (nella formulazione previgente) per dedotta violazione dei principi del giusto processo è già stata condivisibilmente ritenuta infondata da questa Corte con sentenza n. 13357/2007;

3. che con il secondo motivo è stata dedotta la violazione della L. Fall., art. 137, comma 2, e art. 186, e, segnatamente, la violazione della L. Fall., art. 137, comma 2, nella formulazione previgente;

- che, in particolare, si deduce che, non essendo stati previsti nel piano concordatario tempi per i pagamenti, il termine di un anno previsto dal combinato disposto dell'art. 186, e dell'art. 137, comma 2, previgenti per la risoluzione del concordato preventivo (la formula attuale della L. Fall., art. 186, fissa sempre il termine di un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento) avrebbe dovuto essere calcolato con riferimento al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione dello stesso concordato;

4. che il motivo è infondato;

che questa Corte ha già enunciato il principio di diritto - cui questo Collegio intende dare continuità - secondo cui il termine di un anno previsto dalla L. Fall., previgenti artt. 137 e 186 (lo stesso principio è comunque applicabile anche all'art. 186 nell'attuale formulazione) entro il quale può essere chiesta la risoluzione del concordato preventivo decorre dall'esaurimento delle operazioni di liquidazione, nel caso in cui non sia stata fissata la data di scadenza dell'ultimo pagamento (vedi Cass. n. 27666/2011);

che, nel caso di specie, tale termine è stato ampiamente rispettato, essendo stato considerato dai giudici di merito, quale dies a quo per la decorrenza dello stesso, la data di presentazione dell'ultima offerta utile di acquisto dei beni del concordato, in una fase quindi in cui non erano, pertanto, in alcun modo esaurite le operazioni di liquidazione;

5. che con il terzo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza per omesso radicamento del contraddittorio nei confronti dell'ufficio del Pubblico Ministero;

6. che il motivo è manifestamente infondato;

- che, infatti, il procedimento di risoluzione del concordato non rientra tra i casi in cui è obbligatorio l'intervento del P.M., a norma dell'art. 70 c.p.c., n. 5 (vedi Cass. n. 13357/2007; Cass. n. 157/1996), essendo tale partecipazione stata prevista dalla normativa previgente solo nel giudizio di omologazione di cui alla L. Fall., art. 132 (norma poi abrogata dal D.Lgs. n. 5 del 2006);

7. che con il quarto motivo è stata dedotta la violazione della L. Fall., art. 137, previgente, essendo stata pronunciata la risoluzione del concordato nonostante non fosse stato dedotto un inadempimento degli obblighi del concordato e/o il venir meno delle garanzie, né un grave pregiudizio;

8. che con il quinto motivo è stata dedotta la violazione della previgente L. Fall., art. 186, sul rilievo che non vi era stato inadempimento degli obblighi derivanti dall'approvazione del concordato, e comunque tale eventuale inadempimento era di scarsa importanza;

9. che il quarto ed il quinto motivo, da esaminare unitariamente, avendo ad oggetto questioni strettamente correlate, sono inammissibili;

- che va preliminarmente osservato che la Corte d'Appello ha condiviso l'impostazione del giudice di merito nel ravvisare la violazione degli obblighi derivanti dal concordato nella mancata consegna da parte della società debitrice dei beni immobili agli organi della procedura e nella stipulazione in relazione agli stessi di appositi contratti di locazione;

- che non vi è dubbio che i giudici abbiano rinvenuto in tale condotta - che aveva determinato l'indisponibilità in capo agli organi della procedura di beni che, avuto riguardo alla loro natura (immobili), rappresentano usualmente la parte più consistente dell'attivo concordatario - un inadempimento di non scarsa importanza, valutazione che in quanto di pertinenza del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione costituzionalmente rilevante, a norma dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato dalla sentenza delle S.U. di questa Corte n. 8053/2014 (profilo neppure censurato dai ricorrenti);

- che ne consegue che i ricorrenti, con l'apparente doglianza della violazione di legge, non hanno fatto altro che svolgere censure di merito;

10. che con il sesto motivo è stata dedotta la violazione della L. Fall., artt. 10,137 e 186, nella formulazione previgente, nonché l'omesso esame di fatti decisivi ai fini del decidere in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5;

- che, in particolare, il giudice d'appello non aveva tenuto conto dell'ordinanza del Giudice Delegato del 15.12.2000, da cui emergeva che sia tale giudice che il Commissario Liquidatore erano pienamente consapevoli che la società ammessa al concordato era rimasta solo formalmente intestataria dei beni immobili, essendo di fatto avvenuta la traslazione di tali cespiti agli organi della procedura;

11. che il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza;

che, in primo luogo, i ricorrenti non hanno neppure dedotto in che termini e con quali modalità la questione illustrata nel motivo avrebbe formato oggetto di discussione tra le parti e sarebbe stata decisiva ai fini del decidere;

- che, in ogni caso, il concordato preventivo con cessione dei beni, una volta omologato, non determina affatto il trasferimento della proprietà dei beni agli organi della procedura, ma solo la legittimazione degli stessi organi a disporre dei predetti beni;

- che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese delle spese di lite che liquida in Euro 4.100,00 di cui Euro 100,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2021.