Diritto Bancario e Finanziario


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26351 - pubb. 04/01/2022

L’omissione del preavviso della segnalazione nella Centrale Rischi presso la Banca d’Italia non comporta necessariamente la cancellazione della segnalazione medesima

Tribunale Benevento, 18 Agosto 2021. Pres. Cuoco. Est. Galasso.


Centrale Rischi presso la Banca d’Italia – Segnalazione – Preavviso – Omissione – Conseguenze – Cancellazione – Necessità – Esclusione



L’art. 125, co. 3, T.U.B., prevede il preavviso della segnalazione unicamente in favore del consumatore, evidentemente ritenuto parte meno consapevole e tecnicamente preparata, rispetto a chi agisca nell’esercizio della propria attività professionale o d’impresa.
Il preavviso va inoltrato, altresì, al non consumatore, in forza della circolare della Banca d’Italia n. 139/1991 (così rubricata: «Centrale dei rischi Istruzioni per gli intermediari creditizi»).
Tale provvedimento, al Capitolo II, Sezione 2, § 1.5, stabilisce ciò, in proposito dei crediti in sofferenza, che possono essere segnalati solo dietro apposita «valutazione da parte dell'intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente»: e l’esistenza di una simile attività di natura valutativa giustifica la previsione generalizzata del dovere di preavviso.

La legge, tuttavia, così come la circolare della Banca d’Italia, non prevedono quale sia la conseguenza dell’omissione.

La ratio del preavviso non può che consistere nel consentire al debitore di sollevare questioni intorno all’esistenza ed all’ammontare del debito, od alla sua capacità di pagarlo, o, addirittura, nel permettergli un adempimento che prevenga la segnalazione.

Non necessariamente, allora, la violazione del dovere di preavviso comporta, ipso facto, la cancellazione (e, invero, una delle tesi formatesi sulla questione è, addirittura, che il rimedio consista, piuttosto, nel risarcimento del danno): può reputarsi, infatti, che, ove, sia pur ex post, consti la sussistenza dei presupposti della segnalazione, quest’ultima non possa essere cancellata: giacché essa svolge una funzione socio-economica di primaria rilevanza, quella di consentire agli operatori del credito di comprendere se il possibile beneficiario di un mutuo, o comunque di un finanziamento, possa rimborsarlo: sì da ridurre i rischi di perdite, e di squilibri nel settore, appunto, creditizio.
Ove, invece, risulti che la segnalazione non dovesse essere eseguita, spetteranno tanto la cancellazione, quanto l’eventuale risarcimento del danno. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)



TRIBVNALE DI BENEVENTO

SEZIONE FERIALE

 

 

IL TRIBUNALE DI BENEVENTO

riunito in camera di consiglio, in persona dei Signori Magistrati:

DOTT. MICHELE CUOCO - PRESIDENTE

DOTT. LUIGI GALASSO - GIUDICE REL. EST.

DOTT. GERARDO GIULIANO - GIUDICE

ha pronunziato la seguente

ORDINANZA

nella causa iscritta al numero 2022/2021 del R.G.A.C. (reclamo avverso l’ordinanza emessa nel giudizio iscritto al n. 850/2021 R.G.A.C.., datata al 15 Aprile 2021).

 

1.         La reclamante assume di non essere stata preavvisata della segnalazione: e, in effetti, manca una prova che, antecedentemente alla prima segnalazione (unica che debba essere preceduta, se del caso, dall’avviso), un preavviso fosse stato comunicato.

L’art. 125, co. 3, T.U.B., in realtà, prevede tale adempimento unicamente in favore del consumatore, evidentemente ritenuto parte meno consapevole e tecnicamente preparata, rispetto a chi agisca nell’esercizio della propria attività professionale o d’impresa.

La [reclamante] non si atteggia quale consumatore: ella, infatti, com’è incontroverso, è un imprenditrice agricola.

Nel replicare alla relativa eccezione, sollevata dalla [parte reclamata A], la [reclamata A] assume che il preavviso andrebbe inoltrato altresì al non consumatore, richiamando la circolare della Banca d’Italia n. 139/1991 (così rubricata: «Centrale dei rischi Istruzioni per gli intermediari creditizi»).

Tale provvedimento, in effetti, al Capitolo II, Sezione 2, § 1.5, stabilisce ciò, in proposito dei crediti in sofferenza, che possono essere segnalati solo dietro apposita «valutazione da parte dell'intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente»: e l’esistenza di una simile attività di natura valutativa giustifica la previsione generalizzata del dovere di preavviso, che lo stesso § 1.5 così impone:

 

Gli intermediari devono informare per iscritto il cliente e gli eventuali coobbligati (garanti, soci illimitatamente responsabili) la prima volta che lo segnalano a sofferenza.

L’informativa, resa per iscritto, è finalizzata a comunicare al cliente la decisione dell’intermediario di classificare “negativamente” la posizione debitoria e non può essere utilizzata quale strumento di pressione psicologica per indurre il cliente al pagamento, né come azione ritorsiva. L’invio della comunicazione sulla classificazione negativa non può essere strumentale alla più agevole riscossione del credito da parte dell’intermediario, né può essere utilizzata per sollecitare il cliente ad adempiere ai suoi obblighi.

 

La legge, tuttavia, così come la circolare della Banca d’Italia, non prevedono quale sia la conseguenza dell’omissione.

La ratio del preavviso non può che consistere nel consentire al debitore di sollevare questioni intorno all’esistenza ed all’ammontare del debito, od alla sua capacità di pagarlo, o, addirittura, nel permettergli un adempimento che prevenga la segnalazione.

Non necessariamente, allora, la violazione del dovere di preavviso comporta, ipso facto, la cancellazione (e, invero, una delle tesi formatesi sulla questione è, addirittura, che il rimedio consista, piuttosto, nel risarcimento del danno): può reputarsi, infatti, che, ove, sia pur ex post, consti la sussistenza dei presupposti della segnalazione, quest’ultima non possa essere cancellata: giacché essa svolge una funzione socio-economica di primaria rilevanza, quella di consentire agli operatori del credito di comprendere se il possibile beneficiario di un mutuo, o comunque di un finanziamento, possa rimborsarlo: sì da ridurre i rischi di perdite, e di squilibri nel settore, appunto, creditizio.

Ove, invece, risulti che la segnalazione non dovesse essere eseguita, spetteranno tanto la cancellazione, quanto l’eventuale risarcimento del danno.

Non sembra, si dica subito, e come verrà argomentato nei successivi paragrafi, che all’omissione del preavviso possa, nel caso di specie, attribuirsi la concreta, specifica ed attuale lesione di un interesse giuridicamente chiaro e tutelabile.

 

2.        Nell’ipotesi in esame, manca, innanzitutto, una contestazione dell’esistenza del debito, ed è stata formulata soltanto, e peraltro genericamente, una questione attinente al quantum, che sarebbe esorbitante: senza, però, una specifica puntualizzazione dei motivi di tale tesi, né un’indicazione della diversa e minor somma, che l’odierna reclamante riterrebbe, più correttamente, dovuta.

Già nella propria proposta di transazione (depositata in atti: all. n. 7 della produzione della reclamante), peraltro, la [reclamante], per il tramite di un proprio rappresentante, offriva di pagare il debito in misura del 50%: quota pari ad euro 10.500,00: sicché ella stessa calcolava l’intero in euro 21.000,00, cifra che, arrotondata, corrisponde agli euro 21.573,26, oggetto della pretesa della parte creditrice.

A questa stregua, e considerando gli interessi di mora poi maturati, non può condividersi la tesi della reclamante che desti perplessità la richiesta, da parte della [reclamata A], della somma, appunto, di euro 21.573,26, pur maggiore dell’importo erogato (pari ad euro 20.500,00): il finanziamento, infatti, risale al 2010, ossia ad ormai undici anni or sono, e di esso risultano pagate solamente le prime dodici rate mensili di quarantotto (sino a quella scaduta il 21 Aprile 2011; cfr., sulla situazione contabile, il doc. n. 8 della produzione della convenuta): la reclamante, in realtà, nel ricorso di prime cure, assumeva di aver versato le rate dei primi due anni (e, quindi, sarebbero state versate ventiquattro mensilità), però limitandosi ad una mera asserzione, e senza che alcuna specifica osservazione sia stata formulata circa quanto, invece, emerge, in contrario, dalla menzionata documentazione contabile della controparte.

La [reclamante] documenta, poi, di aver versato ulteriori euro 1.200,00, che costituiscono rate dovute in forza della conclusa transazione: ma ella tralascia di precisare che, sebbene il finanziamento costituisse la maggior parte del debito complessivo, ella risulta debitrice, altresì, per causa di un contratto di conto corrente, assistito da apertura di credito: e le rate testè menzionate andavano imputate a quest’ultimo debito, e non a quello da finanziamento (cfr. i docc. 1, 3, 4 e 7 della produzione della reclamata: anche questi, rimasti senza specifiche controdeduzioni difensive: ma, in ogni caso, anche ove si fosse trattato di somme da imputarsi al finanziamento, la situazione non sarebbe molto mutata, giacché si sarebbe espanso, questa volta, il saldo passivo del conto, con la relativa apertura di credito).

La debitrice, poi, non si è offerta in maniera seria di pagare il debito, dopo oltre dieci anni dal pagamento dell’ultima rata adempiuta del finanziamento, e dopo quasi sette (doc. n. 7 della reclamata) dall’ultimo versamento, compiuto in esecuzione della transazione, e senza che neppure le obbligazioni sorte da tale negozio siano state completamente adempiute.

La [reclamante], in realtà, si limita ad affermare, genericamente, senza alcuna documentazione e senza neppure dichiarare di aver maturato una sicura determinazione, di aver «valutato la possibilità di contrarre, presso altro istituto un diverso finanziamento finalizzato, appunto, ad estinguere il precedente.»: si è trattato, pertanto, della semplice valutazione di un’eventualità.

Non sembra, pertanto, che all’omissione del preavviso possa attribuirsi la concreta, specifica ed attuale lesione di un interesse giuridicamente chiaro e tutelabile.

 

3.        Quanto alla condizione di insolvenza (richiesta, come accennato dianzi, dalle istruzioni della Banca d’Italia), essa «non si identifica con quella propria fallimentare, ma si concretizza in una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come "deficitaria", ovvero come di "grave difficoltà economica", senza, quindi, alcun riferimento al concetto di incapienza o irrecuperabilità e senza che assuma rilievo la manifestazione di volontà di non adempiere, che sia giustificata da una seria contestazione sull'esistenza del credito» (Cass. civ., Sez. III, 16.12.2014, n. 26361; secondo Cass. civ., Sez. I, 15.12.2020, ord. n. 28635, «In tema di rapporti bancari, la segnalazione alla centrale rischi della Banca d'Italia della posizione di "sofferenza" del cliente ha quale presupposto una nozione "levior" di insolvenza rispetto a quella propria della materia fallimentare»).

L’accertamento dell’esistenza di tale condizione dev’essere condotto dal creditore, prima di segnalare la posizione alla Centrale Rischi.

È vero, in primo luogo, che, come appena osservato (la testè citata Cass. civ., Sez. III, 16.12.2014, n. 26361), non rileva la volontà del debitore di non adempiere, se giustificata da una seria contestazione dell’esistenza o dell’ammontare del debito: seria contestazione che, però, nella specie, manca.

È vero, poi, soprattutto, che, di per sé, anche «il prolungato inadempimento del correntista all'obbligo di rientrare dall'esposizione debitoria, legittima la banca alla segnalazione alla Centrale Rischi del suo credito come "in sofferenza", atteso che, ai fini di tale segnalazione, la nozione di insolvenza non si identifica con quella propria fallimentare, ma si concretizza in una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come "deficitaria" ovvero come di "grave difficoltà economica", senza alcun riferimento al concetto di incapienza o irrecuperabilità.» (Cass. civ., Sez. I, 6.12.2019, ord. n. 31921): e, nel caso di specie, si è dinanzi ad un inadempimento duplice, privo di giustificazione e protratto per un decennio, rispetto al contratto di finanziamento: inadempimento, del resto, che si è manifestato sinanche nell’inottemperanza ai doveri sorti da una transazione intesa ad agevolare la debitrice.

La [reclamante], insomma, è rimasta debitrice per due diversi titoli, e non è riuscita ad onorare neppure una transazione da lei medesima proposta, senza assumere alcun’utile iniziativa per sette, se non dieci anni: né può giustificarsi con la difficoltà di comunicare con l’attuale cessionaria del credito (la reclamata), se tale difficoltà, genericamente dedotta, può essersi manifestata solo dall’Aprile-Maggio del 2018, epoca della cessione (doc. n. 5 della reclamata).

La parte produce, a riprova dell’esistenza di un reddito sufficiente, il modello IVA 2019 (per il 2018), dal quale risulta un’imponibile di euro 39.422,00, ed acquisti ed importazioni per euro 43.323,00, nonché il modello IVA 2020 (per il 2019), dal quale risulta un’imponibile di euro 29.604,00, ed acquisti ed importazioni per euro 36.116,00.

Oltre ad evidenziarsi un calo del volume d’affari, tuttavia, e la prevalenza degli acquisti rispetto alle operazioni imponibili, è evidente che manca, al Tribunale, una dichiarazione dei redditi: che non possono desumersi, sic et simpliciter, dal volume d’affari (peraltro, si ribadisce, appare maggiore il valore degli acquisti rispetto a quello delle vendite).

La [reclamante], poi, documenta di essere esente da protesti, almeno sino al 12 Febbraio 2021, e, mediante visura catastale, di essere intestataria, in maniera esclusiva o pro quota di un terzo, di terreni, e di immobili censiti come fabbricati, alla Contrada Imperatore di Benevento.

La parte non produce, invece, visura dai registri immobiliari, con la notizia delle trascrizioni e delle eventuali iscrizioni.

Il Tribunale, tuttavia, osserva, più in generale (ammesso e non concesso che la documentazione prodotta possa permettere di accertare l’esistenza di un patrimonio effettivamente capiente), che la condizione di grave difficoltà di adempiere regolarmente, come afferma la S.C., non si identifica né con l’incapienza patrimoniale, né con l’irrecuperabilità del credito.

Una simile condizione, nel caso della [reclamante], è evidente dagli elementi già innanzi evidenziati, dai quali consta che non sia possibile ammettere che ella possa (ammesso che voglia) estinguere il debito in maniera completa e tempestiva: sicché la condizione dell’insolvenza, sia pure levior, dev’essere ammessa.

In particolare, si torna a sottolineare come la debitrice sia rimasta inadempiente per un tempo molto protratto, e persino rispetto al pagamento della somma transattivamente stabilita, e da pagare in rate: come, poi, ella non abbia contestato l’esistenza dell’obbligazione (anzi, delle obbligazioni), non abbia censurato analiticamente e motivatamente l’ammontare dei debiti, non abbia offerto in maniera seria di soddisfarli.

 

4.        Il reclamo, in conclusione, dev’essere rigettato, per difetto di fumus boni juris: senza neppure che debba essere vagliato il requisito del periculum in mora.

 

5.        Le spese di lite seguono, nel rapporto tra le parti costituite, la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo: non deve emettersi una pronunzia sulla spese medesime, invece, nel rapporto tra la reclamante e l’[reclamata non costituita B]: parte reclamata, pur vittoriosa, ma non costituita.

La liquidazione considererà la semplicità della fase di trattazione, l’assenza di memorie illustrative, la mancanza di un’istruttoria, se non documentale.

 

6.        Deve darsi atto, infine, che il reclamo viene rigettato, anche ai fini di cui all’art. 13, co. 1 bis, D.P.R. 115/2002, e del sorgere dell’obbligo, da parte della reclamante […], di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale.

La Cancelleria provvederà alle valutazioni ed agli adempimenti di competenza.

 

P.Q.M.

IL TRIBUNALE

ogni altra domanda, istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così decide:

1.         rigetta il reclamo;

2.        condanna [la reclamante] a rifondere alla [reclamata A] altresì le spese di lite del grado di reclamo cautelare, liquidate in euro 2.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese generali secondo i vigenti parametri, all’I.V.A. ed alla Cassa come per legge;

3.        dichiara non doversi provvedere sulle spese di lite, nel rapporto tra la reclamante e l’ [la reclamata B]

4.        dà atto che il reclamo viene rigettato, ai fini di cui all’art. 13, co. 1 bis, D.P.R. 115/2002, e del sorgere dell’obbligo, da parte di [la reclamante], di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, rimettendo alla Cancelleria le valutazioni e gli adempimenti di competenza.

 

Benevento, deciso nella camera di consiglio del 18 Agosto 2021.