Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26883 - pubb. 11/01/2021

Prevalenza sui creditori ammessi in prededuzione dei titolari di garanzia ipotecaria

Cassazione civile, sez. I, 20 Giugno 1994, n. 5913. Pres. Montanari Visco. Est. Vitrone.


Fallimento - Effetti - Per i creditori - Ripartizione dell'attivo tra creditori privilegiati, ipotecari e pignoratizi - Somme ricavate dalla vendita di beni ipotecati - Creditori titolari della relativa garanzia - Prevalenza sui creditori ammessi in prededuzione per obbligazioni inerenti all'esercizio provvisorio dell'impresa - Limiti



In sede di ripartizione dell'attivo fallimentare, nel caso in cui vi siano creditori ipotecari, il prezzo ricavato dalla vendita degli immobili deve essere distribuito tra tali creditori separatamente dalle altre attività e da esso possono essere detratti solo le spese sostenute ed il compenso liquidato al curatore per l'amministrazione e la vendita di detti beni, con la conseguenza che il creditore, che voglia far valere le proprie ragioni derivanti da obbligazioni contratte per la continuazione dell'esercizio dell'impresa (nella specie, nella fase dell'amministrazione controllata), deve rispettare le ipoteche anteriormente costituite, non essendo ipotizzabile alcun concorso tra crediti fallimentari assistiti da ipoteca e crediti prededucibili, se non quando questi ultimi traggano origine dalle indicate attività di amministrazione e di liquidazione dei beni, tali da procurare una specifica utilità ai creditori ipotecari. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCARLO MONTANARI VISCO - Presidente -

" VINCENZO CARBONE - Consigliere -

" M. ROSARIO VIGNALE "

" UGO VITRONE Rel. "

" MARIO CICALA "

ha pronunciato laseguente

 

S E N T E N Z A

Sul ricorso proposto da:

CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA MANIFATTURA FILATI CASTELLO S.r.L., in persona del Curatore Giampiero Russotto, elettivamente domiciliato in Roma via Tacito 7 presso l'Avvocato Rodolfo Coronati che lo rappresenta e difende unicamente allo Avvocato Cesare Novi giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA S.r.L. SANDRA MELL, in persone del curatore BERTOLINI LUIGI;

I.M.I. ISTITUTO MOBILIARE ITALIANO;

BANCA AGRICOLA MANTOVANA in persona del delegato rappresentante DIOBELLI Presidente del Comitato dei creditori del fallimento della Srl SANDRA MELL;

- intimati -

Avverso il provvedimento del Tribunale di Mantova depositato il 24.9.1991; Il Consigliere Dr. Vitrone svolge la relazione;

Il P.M. dott. AMIRANTE conclude per il rigetto.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Fallimento della Manifattura Filati Castello s.r.l., creditore della Sandra Mell s.r.l. in amministrazione controllata per un importo complessivo di l. 787.623.314 essendo sopraggiunto il fallimento della società debitrice, chiedeva al giudice delegato la liquidazione del proprio credito, ammesso in prededuzione nello stato passivo.

Il giudice delegato respingeva l'istanza in base alla considerazione che i beni inventariati nella procedura fallimentare erano immobili assistiti da garanzia ipotecaria. Il provvedimento veniva confermato, in sede di reclamo, dal tribunale con decreto dell'8 febbraio 1990, contro il quale veniva proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art.111 Cost. Successivamente il Fallimento della Manifattura Filati Castello s.r.l. proponeva reclamo avverso il decreto di esecutorietà dello stato passivo della società debitrice, ma il tribunale, con decreto del 2 maggio - 29 settembre 1991, respingeva l'impugnazione affermando che i crediti prededucibili sorti in costanza di amministrazione controllata potevano essere anteposti ai crediti garantiti da ipoteca ammessi al passivo della consecutiva procedura fallimentare solo se relativi a spese conservativi o incrementativi dei beni gravati da ipoteca, e ciò, sia per il limite intrinseco del diritto alla prededuzione, che era ipotizzabile solo nei confronti dei crediti derivanti da atti compiuti dall'imprenditore in amministrazione controllata che comportassero un'utilità concreta per i creditori, sia per le ulteriori considerazioni che potevano dedursi dalla disciplina dettata dagli artt. 108 e 109 legge fallimentare per la vendita degli immobili e la distribuzione della somma ricavata. Contro il suddetto decreto ricorre per cassazione il Fallimento della Manifattura Filati Castello s.r.l. con quattro motivi. Non si sono costituiti ne' il debitore.

Fallimento della Sandra Mell s.r.l., ne' i creditori concorrenti, II.M.M. - Istituto Mobiliare Italiano e Banca Agricola Mantovana.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente Curatela del Fallimento denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt.54, 107, 108, 109 e 111 legge fallimentare in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e sostiene che il decreto impugnato, nel confermare il provvedimento negativo del giudice delegato, avrebbe operato un inammissibile concorso tra il credito prededucibile sorto in costanza di amministrazione controllata e quelli sorti anteriormente nei confronti della società, in seguito fallita. I crediti di massa, secondo la prospettazione del ricorrente, dovrebbero essere soddisfatti prescindendo da ogni concorso con la generalità dei crediti fallimentari, in considerazione dell'incontestato regime di prededucibilità assicurato dalla legge. La loro sostanziale estraneità alle vicende dell'accertamento e della liquidazione attraverso i meccanismi della procedura fallimentare comporterebbe, come ulteriore conseguenza, la sottrazione delle controversie relative all'accertamento della sussistenza, dell'ammontare dei crediti predetti e delle modalità del loro pagamento all'osservanza del regime dei reclami contro i provvedimenti del giudice delegato e della conseguente procedura camerale, e la loro sottoposizione alla disciplina generale del normale giudizio contenzioso a cognizione piena. In mancanza di espresse previsioni al riguardo, il ricorrente solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art.26 legge fallimentare in relazione all'art.24, 2° comma, Cost., nella parte in cui consente unicamente il reclamo, da decidersi in camera di consiglio, contro i provvedimenti del giudice delegato aventi a oggetto controversie su diritti soggettivi fra i titolari di crediti prededucibili e il fallimento. L'esame di detta questione ha natura preliminare, investendo la legittimità costituzionale della norma che prescrive le forme di tutela ammissibili contro il provvedimento in contestazione.

Essa però non può trovare accoglimento per difetto assoluto di rilevanza. È noto al riguardo che la questione di incostituzionalità può essere sollevata, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, e, quindi, l'eccezione relativa può essere proposta anche per la prima volta in cassazione senza che essa costituisca propriamente autonomo motivo di ricorso. Essa tuttavia è subordinata ad una preventiva valutazione da parte del giudice, il quale è tenuto ad accertare, innanzi tutto, che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale. Nel giudizio di cassazione ciò comporta l'accertamento che una determinata questione sostanziale o processuale, la cui soluzione è stata censurata dal ricorrente, non possa essere definita indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità, costituzionale, la quale, perciò, dev'essere tale da assumere portata strumentale rispetto alla soluzione della questione investita dalle censure del ricorrente (Cass.ord.21 febbraio 1992, n. 142, sentenze 25 giugno 1985, n. 3802 e 10 luglio 1989, n. 3260). Nella specie il ricorrente nessuna specifica censura ha formulato contro le norme che disciplinano il sistema delle impugnazioni contro i provvedimenti del giudice delegato, ne' ha addotto l'esistenza di un qualsivoglia pregiudizio da lui subito per effetto della applicazione di tale normativa, che fosse suscettibile di rimozione solo attraverso la celebrazione di un ordinario giudizio di cognizione.

Deve perciò escludersi la rilevanza della questione, imposta dall'art.23, 21 comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, non senza rilevare la sua manifesta infondatezza in base alla considerazione che il giudice delle leggi ha reiteratamente ribadito la legittimità del reclamo contro i provvedimenti del giudice delegato, in materia, quando sia salva la garanzia del diritto di difesa e sia assicurato il rispetto del principio del contraddittorio, non investiti da specifiche censure della società ricorrente. Le censure formulate col primo motivo di ricorso sono destituite di fondamento, e appaiono fondate su un sostanziale fraintendimento della motivazione del provvedimento impugnato.

Il Tribunale, infatti, non ha operato alcuna inammissibile valutazione concorrente dei crediti della società ricorrente con i crediti fallimentari assistiti da garanzia ipotecaria, ma si è limitato a uniformarsi alla costante interpretazione di questa Corte, la quale, sin dalla lontana pronuncia del 29 ottobre 1968, n. 3609, ha ribadito che, in presenza di creditori ipotecari, il prezzo ricavato dalla vendita dei beni immobili deve essere distribuito fra tali creditori separatamente dalle altre attività e che da esso possono essere detratte solo le spese sostenute e il compenso eventualmente spettante al curatore per l'amministrazione e la vendita dei beni. Tale disciplina viene desunta, innanzi tutto dalla forza di resistenza assicurata, rispetto al fallimento, alle posizioni di diritto sostanziale garantite da ipoteca dall'art. 54 legge fallimentare, che assicura ai creditori ipotecari il diritto di prelazione sul prezzo dei beni vincolati per il capitale, gli interessi e le spese e consente loro, se non risultino soddisfatti integralmente, di concorrere con i creditori chirografari, per quanto ancora loro dovuto, sulle ripartizioni del resto dell'attivo. L'indifferenza dei creditori chirografari (se non per il residuo non coperto dalla vendita degli immobili ipotecati) resta poi ulteriormente confermata dalla disposizione dell'art. 107 legge fallimentare, che impone al curatore la tenuta di un conto speciale della vendita dei singoli immobili, cosicché le disposizioni richiamate dal successivo art.109 legge fallimentare debbono intendersi preordinate solo alla disciplina del procedimento di distribuzione, ferme restando le norme generali sull'operatività della prelazione e sul modo e la misura in cui essa dev'essere esercitata.

Da ciò consegue che nessun concorso è, ipotizzabile tra crediti prededucibili e crediti fallimentari assistiti da ipoteca, i quali vanno separatamente e autonomamente soddisfatti sul ricavato della vendita dei singoli immobili ipotecati, detratte solo le spese di procedura e di amministrazione e il compenso che eventualmente venga riconosciuto al curatore per l'opera prestata nella vendita. Va considerato, infatti, che il vantaggio derivante dalla esecuzione concorsuale assiste solo i creditori chirografari, i quali, se avessero proceduto all'esecuzione forzata individuale, avrebbero potuto vedere definitivamente pregiudicate le proprie ragioni dalla definitiva insolvenza del debitore, i cui effetti sono mitigati invece dalla esecuzione concorsuale che segue alla dichiarazione di fallimento mentre i creditori ipotecari non possono ottenere dalla liquidazione concorsuale del patrimonio del debitore un vantaggio maggiore di quello derivante dalla realizzazione del loro credito prima del dissesto del debitore.

Ne consegue che il creditore, che voglia far valere le proprie ragioni derivanti da obbligazioni contratte dall'imprenditore durante la amministrazione controllata, deve pur sempre rispettare le ipoteche anteriormente costituite, con la sola eccezione di quei crediti prededucibili che traggano origine da attività direttamente e specificamente incrementativi dei beni ipotecati, tali cioè che abbiano procurato una specifica utilità ai creditori ipotecari (Cass.19 ottobre 1977, n. 4474, 3 novembre 1981, n. 5784, 3 febbraio 1987, n. 952). Nessuna violazione della disciplina della prededucibilità può pertanto ravvisarsi nel provvedimento impugnato, non essendo mai stata dedotta nella specie la particolare situazione che consente al creditore dell'imprenditore in amministrazione controllata di far valere il proprio credito anche nei confronti del prezzo ricavato dalla vendita separata degli immobili ipotecati, come ha osservato il tribunale.

Col secondo motivo viene denunciata la violazione e la falsa applicazione dell'art. 111 legge fallimentare in relazione all'art.360, n. 3, cod. proc. civ. in base alla considerazione che tutte le spese di amministrazione controllata sono in qualche modo incrementativi del valore dei beni ipotecati a causa del vincolo che unifica il complesso dei organizzati dell'imprenditore nel concetto di azienda.

La censura non ha fondamento poiché, come già, osservato da questa Corte nella motivazione della sentenza n. 4474 del 1977, da ultimo citata, per ravvisare un rapporto tra le obbligazioni contratte dall'imprenditore in amministrazione controllata e il vantaggio derivante alla garanzia dei creditori ipotecari non è sufficiente il mero collegamento dell'attività imprenditoriale proseguita in regime di amministrazione controllata con le generiche esigenze di risanamento dell'impresa, in quanto la posizione del creditore ipotecario trae autonomamente forza dalla garanzia che vincola specificamente un immobile determinato al soddisfacimento preferenziale delle sue ragioni.

Col terzo motivo viene denunciata la violazione e la falsa applicazione dell'art.109, 2 comma, legge fallimentare in base alla considerazione che il provvedimento impugnato avrebbe erroneamente argomentato dall'inciso "se del caso", contenuto nella norma suddetta, che i crediti prededucibili sono anteposti a quelli ipotecari solo in via eventuale. mentre avrebbe dovuto più, correttamente desumerne l'unita, di disciplina tra i crediti derivanti dall'amministrazione controllata e il compenso spettante al curatore, che diritto ad un eventuale acconto sul compenso finale, da prelevarsi dal ricavato della vendita degli immobili ipotecari. La censura non ha fondamento poiché il richiamo all'art.109 legge fallimentare contenuto nella motivazione del provvedimento impugnato dev'essere interpretato, nella sua sinteticità, con riferimento all'orientamento giurisprudenziale richiamato quale giurisprudenza consolidata, secondo cui l'inciso in questione dev'essere inteso nel senso che dalla somma ricavata dalla vendita degli immobili ipotecati debbono essere detratte obbligatoriamente le spese di procedura e di amministrazione, e può essere detratta, a discrezione del giudice delegato, una somma ulteriore da attribuire al curatore in acconto, a titolo di compenso per l'opera particolare da lui svolta in favore dei creditori ipotecari per l'amministrazione dei beni ipotecati e la successiva vendita degli stessi, senza che ciò implichi necessariamente alcune ulteriore detrazione a favore dei crediti di cui all'art.111, n. 1, cod.proc.civ. con riferimento alla continuazione dell'esercizio dell'impresa, salvo che essa non sia ridondata in un vantaggio immediato e diretto per gli immobili ipotecati e nei limiti delle maggiori utilità derivate ai creditori ipotecari.

Con il quarto motivo viene denunciata la violazione e la falsa applicazione dell'art. 108, 1 comma, legge fallimentare in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. per aver il provvedimento impugnato attribuito una speciale rilevanza ai crediti garantiti da ipoteca rispetto a quelli ammessi in prededuzione facendola derivare dall'assenso richiesto ai creditori assistiti da garanzia reale per la vendita senza incanto degli immobili ipotecati.

La censura è priva di rilievo in quanto si appunta contro una delle argomentazioni concorrenti, addotte dal tribunale per giustificare la posizione di speciale tutela accordata dal legislatore ai creditori ipotecari rispetto ai titoli di crediti prededucibili, e priva in quanto tale di autonoma rilevanza, sicché le doglianze del ricorrente restano travolte dalle ragioni esposte nell'esame del primo motivo e il loro esame deve ritenersi assorbito. In conclusione, perciò, il ricorso non merita accoglimento e deve essere respinto.

La mancata costituzione degliintimi preclude qualsiasi statuizione in ordine alla disciplina delle spese giudiziali.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Cosi deciso in Roma, il 13 gennaio 1994.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 20 GIUGNO 1994.