Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 3646 - pubb. 01/08/2010

.

Cassazione civile, sez. I, 05 Novembre 2010, n. 22546. Est. Didone.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Apertura (dichiarazione) di fallimento - Sentenza dichiarativa - Opposizione - In genere - Debitore non costituito avanti al tribunale - Dichiarazione di fallimento disciplinata dal d.lgs. n. 169 del 2007 - Impugnazione avanti alla corte d'appello - Effetti devolutivi del reclamo - Configurabiltà - Conseguenze - Nuove prove - Ammissibilità.



Nel giudizio di impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto ai procedimenti in cui trova applicazione la riforma di cui al d.lgs. n. 169 del 2007, che ha modificato l'art. 18 legge fall., ridenominando tale mezzo come "reclamo" in luogo del precedente "appello", l'istituto, adeguato alla natura camerale dell'intero procedimento, è caratterizzato, per la sua specialità, da un effetto devolutivo pieno, cui non si applicano i limiti previsti, in tema di appello, dagli artt. 342 e 345 cod. proc. civ., pur attenendo il reclamo ad un provvedimento decisorio, emesso all'esito di un procedimento contenzioso svoltosi in contraddittorio e suscettibile di acquistare autorità di cosa giudicata; ne consegue che il debitore, benchè non costituito avanti al tribunale, può indicare anche per la prima volta, in sede di reclamo, i mezzi di prova di cui intende avvalersi, ai fine di dimostrare la sussistenza dei limiti dimensionali di cui all'art.1, comma 2, legge fall., tenuto conto che, sul punto e come ribadito da Corte cost. 1 luglio 2009, n. 198 - in tema di dichiarazione di fallimento ed onere della prova nel procedimento dichiarativo -, permane un ampio potere di indagine officioso in capo allo stesso organo giudicante. (Affermando detto principio, la S.C. ha cassato la sentenza con la quale il giudice d'appello, confermando la sentenza di fallimento, aveva negato di poter valutare la prova documentale, sui requisiti di fallibilità, introdotta per la prima volta dal debitore con il reclamo). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



Massimario, art. 1 l. fall.

Massimario, art. 18 l. fall.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. ZANICHELLI Vittorio - Consigliere -
Dott. DIDONE Antonio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 23611/2009 proposto da:
CARIOTI GIUSEPPE (c.f. *CRTGPP64S23G273V*), in nome proprio e nella qualità di titolare della Impresa individuale EDIL RO.MA di Carioti Giuseppe, domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato ALLEGRA GIOVANNI, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
MEDIOCAPITAL S.P.A.;
- intimato -
avverso la sentenza n. 1352/2009 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 09/09/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/10/2010 dal Consigliere Dott. DIDONE Antonio;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato G.B. ALLEGRA che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1.- Con la sentenza impugnata (depositata il 9.9.2009) la Corte di appello di Palermo ha respinto il reclamo proposto da Carioti Giuseppe, titolare dell'impresa individuale Edil Roma, contro la sentenza del Tribunale di Palermo in data 26.1.2009 che ne aveva dichiarato il fallimento su istanza della s.p.a. Mediocapital. Secondo la Corte di merito il Carioti - il quale non era comparso dinanzi al tribunale fallimentare rifiutando la notificazione del decreto di convocazione - non poteva provare in sede di reclamo l'insussistenza dei requisiti dimensionali di cui alla L. Fall., art. 1.
In particolare, la Corte territoriale, dopo avere affermato che la L. Fall., nuovo art. 1, come modificato nel 2007, configura l'assoggettabilita al fallimento come tratto tipico e caratteristico dell'imprenditore commerciale, mentre i limiti dimensionali previsti dalla norma costituiscono elementi impeditivi del fallimento di cui l'imprenditore ha l'onere di provare la ricorrenza, ha così motivato: "È infatti chiaramente onere del debitore fornire la prova dei requisiti di non fallibilità, intesi, appunto, come fatti impeditivi alla dichiarazione di fallimento. E si tratta di un onere (come affermato nella Relazione di accompagnamento della novella) che evidenzia un intento non premiale per quegli imprenditori che scelgono di non difendersi in sede di istruttoria prefallimentare o che non depositano la documentazione contabile dalla quale sarebbe possibile ricavare i dati necessari per verificare la sussistenza dei parametri dimensionali. Concepire i requisiti di non fallibilità come fatti impeditivi della dichiarazione di fallimento (ponendo l'onere della prova a carico dell'imprenditore) deve indurre legittimamente a ritenere, in coerenza con l'eliminazione del carattere officioso della dichiarazione di fallimento, che detti requisiti di non fallibilità debbano essere fatti valere sotto forma di formale eccezione da parte del debitore. Va poi rilevato che se anche il legislatore della novella ha qualificato reclamo il rimedio previsto avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, non pare che tale qualificazione incida sulla natura del gravame; e che consenta, in altre parole, la introduzione dei nova, ovvero di dibattere questioni che non sono state sollevate ed affrontate avanti (al) Tribunale. Sarebbe incoerente, infine, pure con il principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) la possibilità che una intera fase (quella prefallimentare, dedicata proprio all'accertamento dei presupposti e delle condizioni per la dichiarazione di fallimento) venisse vanificata per la mera scelta processuale del debitore di rimettere ad altro grado la verifica delle ragioni ostative alla sua fallibilità".
2.- Contro la sentenza di appello il Carioti ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo con il quale denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 18 - come modificato dal D.Lgs. n. 169 del 2007 - nonché dell'art. 12 preleggi. Formula il seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c., sebbene non più richiesto a seguito della L. n. 69 del 2009: "se la contumacia dell'imprenditore nel giudizio pre-fallimentare costituisce preclusione al diritto di proporre eccezioni nuove, domande nuove, addurre a sostegno prove documentali e altri mezzi di prova, nel giudizio camerale di reclamo innanzi alla Corte di appello, ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1, così come novellato dall'art. 1 D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 in combinato disposto con l'articolo 18 della medesima legge e della medesima novella e dell'articolo 12 delle preleggi".
Deduce che la L. Fall., art. 18, è norma speciale che consente "prove vecchie e nuove, e soprattutto eccezioni anche non proposte" e prevede, al comma 10, che la costituzione in appello avvenga con memoria contenente "l'indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti".
3. - La curatela fallimentare e il creditore istante intimati non hanno svolto difese.
4.1.- Osserva la Corte che l'esame dell'unico motivo del ricorso non può prescindere dalla qualificazione del rimedio disciplinato dalla L. Fall., art. 18.
Va premesso, invero, che la Corte non ignora che secondo una parte della dottrina il nomen reclamo "può rivelarsi neutrale rispetto alle classificazioni impugnatorie e nulla più che una, perniciosa, espressione decettiva", aggiungendosi, poi, che "la scelta di sostituire l'appello col reclamo non ha altresì precedenti nel sistema, essendo la prima volta che si prevede l'impugnabilità di una sentenza col reclamo".
Tale ultima opinione non può essere condivisa, potendosi citare, per tutti, gli esempi costituiti dalle decisioni (reclamabili) dei Commissari per gli usi civici (L. 16 giugno 1927, n. 1766, art. 32), dal reclamo contro la sentenza con cui il Tribunale rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria (D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35) e, infine, il reclamo alla corte di appello contro la sentenza del tribunale che decide sulla domanda di legittimazione ex art. 288 c.c.. Va ricordato, inoltre, il testo della Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 169 del 2007, secondo la quale "la sostituzione dell'"appello" con il "reclamo" è coerente con il rito camerale, adottato non solo per la decisione di primo grado, ma anche per la fase di gravame: il reclamo è, infatti, il mezzo tipico di impugnazione dei provvedimenti pronunciati in camera di consiglio, quale che ne sia la forma. La modifica vale ad escludere l'applicabilità della disciplina dell'appello dettata dal codice di rito e ad assicurare l'effetto pienamente devolutivo dell'impugnazione, com'è necessario attesi il carattere indisponibile della materia controversa e gli effetti della sentenza di fallimento, che incide su tutto il patrimonio e sullo status del fallito".
Ciò premesso, va ricordato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale "il reclamo ex art. 739 c.p.c., benché caratterizzato dalla speditezza e dall'informalità del rito, non può risolversi nella mera riproposizione delle questioni già affrontate e risolte dal primo giudice, ma deve contenere specifiche critiche al provvedimento impugnato ed esporre le ragioni per le quali se ne chiede la riforma" (Sez. 3, Sentenza n. 4719 del 25/02/2008).
D'altra parte, secondo il risalente insegnamento delle Sezioni unite (Sez. Un., Sentenza n. 5521 del 08/09/1983), ribadito anche più di recente (Sez. 1, Sentenza n. 6011 del 16/04/2003; Sez. 1, Sentenza n. 7696 del 13/04/2005) nel procedimento camerale, che si concluda - come nella concreta fattispecie - con un provvedimento di natura decisoria su contrapposte posizioni di diritto soggettivo, e quindi suscettibile di acquistare autorità di giudicato, "trovano applicazione i principi del processo di cognizione circa l'onere dell'impugnazione e la conseguente delimitazione dell'ambito del riesame, da parte del giudice di secondo grado, alle questioni a lui devolute con i motivi di gravame".
Il vigente L. Fall., art. 18, prescrive, al n. 3, che il reclamo debba contenere "l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l'impugnazione, con le relative conclusioni". Va ricordato, infine, la soluzione accolta da questa Corte in relazione alla speculare posizione del reclamato in ordine al termine di decadenza per le eccezioni in senso stretto, allorquando ha ritenuto che "nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, quale disciplinato dalla L. Fall., art. 18, (nel testo novellato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169), il termine per la costituzione della parte (nella specie, la resistente curatela fallimentare) è perentorio, anche in mancanza di un'espressa dichiarazione normativa, senza che tuttavia il suo mancato rispetto implichi decadenza della parte che vi sia incorsa dal diritto di opporsi al predetto reclamo, potendo dunque essa intervenire nel relativo procedimento con le limitazioni che la tardività determina per la formulazione di determinate difese" (Sez. 1, Sentenza n. 12986 del 05/06/2009).
Quanto alle prove dedotte in sede di reclamo e ai documenti prodotti in tale fase, la L. Fall., art. 18, comma 2, n. 4, prevede che il reclamo contro la sentenza di fallimento si propone con ricorso che, tra l'altro, deve contenere "l'indicazione dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti". Il successivo comma 10 della disposizione citata dispone che "all'udienza, il collegio, sentite le parti, assume, anche d'ufficio, nel rispetto del contraddittorio, tutti i mezzi di prova che ritiene necessari, eventualmente delegando un suo componente". Con una recente pronuncia la Corte costituzionale (sent. 1.7.2009 n. 198) ha ribadito, in tema di dichiarazione di fallimento e di onere della prova nel procedimento dichiarativo, che, pur dopo la riforma del 2006 e dopo il D.Lgs. correttivo del 2007, "nella materia fallimentare vi è un ampio potere di indagine officioso in capo allo stesso organo giudicante. Di ciò è sicuro indice non solo la previsione contenuta nella fine della L. Fall., art. 15, comma 4, là dove si precisa che il tribunale, dopo aver ordinato al debitore fallendo il deposito dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi nonché atti da cui risulti una situazione economica aggiornata, può comunque chiedere informazioni urgenti, potendosi a tal fine avvalere, evidentemente, di ogni organo pubblico a ciò competente, ma anche quanto previsto alla L. Fall., art. 1, comma 2, lett. b), ove è chiarito che i dati relativi all'ammontare dei ricavi lordi realizzati dal debitore nel triennio antecedente alla data di deposito della istanza di fallimento sono utilizzabili in "qualunque modo risulti" e quindi non soltanto sulla base delle allegazioni probatorie del debitore".
Il Giudice delle leggi, poi, ha escluso che la vigente disciplina attribuisca "in via esclusiva al fallendo la prova della sua non assoggettabilità al fallimento, vietando al giudice la possibilità di acquisire aliunde, o tramite l'apporto probatorio delle altre parti del procedimento, gli elementi necessari per verificare la sussistenza dei requisiti richiesti".
Principi che vanno coordinati con il ricordato potere ufficioso della Corte di appello in tema di istruzione probatoria.
Pertanto, è alla disciplina speciale dettata dalla L. Fall., art. 18 - innanzi sintetizzata - che occorre fare riferimento piuttosto che agli artt. 342 e 345 c.p.c..
4.2.- Da quanto precede, discende che la prova documentale prodotta dal reclamante in sede di reclamo doveva essere valutata dalla Corte di appello al fine di accertare la sussistenza dei requisiti di fallibilità (cfr. anche Sez. 6, 30 luglio 2010, n. 17927). Talché il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa va rinviata per nuovo esame alla medesima Corte di merito, in diversa composizione, per nuovo esame e per il regolamento delle spese processuali del giudizio di legittimità. P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 ottobre 2010. Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2010