Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6234 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. II, 20 Aprile 2006, n. 9250. Est. De Julio.


Società - Di persone fisiche - Società irregolare e di fatto - In genere - Apparenza della società - Presupposti - Rilevanza ai fini della responsabilità - Affidamento dei terzi di buona fede - Conoscenza della insussistenza di società tra le parti - Onere della prova.



La società di fatto, sebbene inesistente nella realtà, può apparire esistente di fronte ai terzi quando due o più persone operino nel mondo esterno in modo da determinare l'insorgere dell'opinione ragionevole che essi agiscano come soci e del conseguente legittimo affidamento circa l'esistenza della societa stessa: in tale ipotesi, a tutela della buona fede dei terzi, è sufficiente che il soggetto che abbia trattato col socio apparente provi un comportamento che, secondo l'apprezzamento insindacabile del giudice di merito, sia idoneo a designare la società come titolare del rapporto. In tal caso incombe sulla società apparente la prova che controparte fosse consapevole dell'inesistenza del vincolo sociale e quindi non meritevole di tutela. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giandonato - Presidente -
Dott. DE JULIO Rosario - rel. Consigliere -
Dott. ODDO Massimo - Consigliere -
Dott. MALPICA Emilio - Consigliere -
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOT ANDREA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA VITTORIA COLONNA 32, presso lo studio dell'avvocato DI NAPOLI NICOLA ANTONIO, che lo difende unitamente all'avvocato CARMELO TONON, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
L'ARCHITRAVE DI PLANI IGOR DITTA, UMEK CERAMICHE DITTA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 911/00 del Tribunale di TRIESTE, depositata il 29/08/00;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 13/10/04 dal Consigliere Dott. Rosario DE JULIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 29.7.1998 Umek Marcello, quale titolare dell'omonima ditta, conveniva in giudizio Plani Igor, esponendo che lo stesso si era rivolto alla sua ditta per l'acquisto di materiali ed accessori per bagno e cucina da impiegare nella ristrutturazione dell'appartamento di Sema Licia; che la merce era poi stata ritirata come da buono di consegna del 18.4.97 presso il venditore, senza che il corrispettivo pari a L. 1.734.500 venisse mai pagato nonostante i solleciti.
Tutto ciò premesso l'attore chiedeva, oltre al pagamento del valore della merce fornita, il risarcimento dei danni da inadempimento e la rivalutazione monetaria, il tutto entro la competenza del Giudice adito.
Si costituiva Plani Igor eccependo la carenza di legittimazione passiva, negando di avere mai intrattenuto rapporti con la Sema e di avere sottoscritto ordine di acquisto avente ad oggetto la merce per la quale era causa; che lo stesso buono di consegna non era a lui rapportabile, quanto piuttosto a Not Andrea, nei cui confronti controparte aveva già intrapreso iniziative stragiudiziali volte ad ottenere il pagamento, come da missiva esibita; chiedeva il rigetto della domanda.
All'udienza di prima comparizione il Giudice di Pace di Trieste autorizzava la chiamata in causa di Not Andrea il quale, ritualmente costituitosi, a sua volta contestava ogni addebito in quanto si era limitato a svolgere attività amministrativa e di direzione dei lavori nell'appartamento della Sema, mentre l'appaltatore Plani Igor aveva trattato con la committente la scelta delle piastrelle da acquistare; dichiarava che la merce non era stata da lui ritirata, essendo invece stata consegnata dall'attore direttamente presso il cantiere e presa in consegna dalle maestranze al lavoro; che la dicitura "rit. Geom. Not" sul buono di consegna non aveva alcun valore se non quello di indicare che al momento della consegna il direttore dei lavori era presente sul posto; disconosceva quindi la sigla apposta al lato del buono di consegna come propria. Disposto il libero interrogatorio delle parti ed assunte le prove ammesse, la causa era decisa dal Giudice di Pace con accoglimento solo della domanda proposta nei confronti di Plani Igor, con condanna di costui al pagamento del corrispettivo della merce acquistata. Plani Igor appellava la sentenza del Giudice di Pace, Umek Marcello proponeva appello incidentale.
Il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, con sentenza in data 29.8.2000, accoglieva l'appello incidentale ed in parte quello principale, ed accertata la sussistenza di un accordo societario tra Not Andrea e Umek Marcello per l'esecuzione del contratto di appalto dell'11.3.1997, condannava Not Andrea in solido con Plani Igor al pagamento della somma di L. 1.734.500, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a favore di Umek Marcello. Avverso tale sentenza Andrea Not ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi di gravame.
La ditta individuale l'Architrave di Plani Igor non ha svolto difese in questo grado del giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 113 c.p.c., comma 2, e art. 339 c.p.c., comma 3, per non avere il Tribunale dichiarato l'inammissibilità dell'appello, vertendosi in ipotesi di giudizio di equità per una causa di valore inferiore a L. 2 milioni, con la conseguenza che la sentenza di primo grado doveva considerarsi passata in giudicato, non essendo stata impugnata con ricorso per Cassazione.
Il motivo è infondato e va respinto.
Come si evince dall'esame degli atti di cui è consentito l'esame trattandosi di error in procedendo, l'attore con l'atto introduttivo del giudizio chiedeva il pagamento del corrispettivo della merce per L. 1.734.500 ed inoltre il risarcimento dei danni da inadempimento e la rivalutazione monetaria, il tutto entro la competenza del Giudice adito.
La circostanza che l'attore nel corso del giudizio non abbia insistito nella domanda di risarcimento, sia pure senza formalmente rinunciarvi, non può giammai comportare le conseguenze volute dal ricorrente.
È infatti giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex multis, da ultimo Cass. S.U. sent. n. 362/1999 e Cass. n. 10.494/2004) che la domanda non quantificata di risarcimento di danni nell'ambito delle richieste formulate in un giudizio proposto davanti al Giudice di Pace comporta il superamento del valore di L. 2 milioni relativo al giudizio di equità e quindi l'appellabilità della sentenza, sempreché non sia precisata la volontà di contenere la domanda entro i limiti di valore suindicati - Nella fattispecie in esame di certo si è fatto riferimento ai limiti della competenza per valore del Giudice di Pace, senza che in senso contrario possono essere valutati elementi estranei al contenuto dell'atto di citazione, quali il mancato versamento, all'atto dell'iscrizione della causa a ruolo, di imposte di bollo o diritti di cancelleria.
La riduzione della domanda, in corso di causa, da parte dell'attore, come non può ricondurre nell'ambito della competenza del Giudice adito una domanda che originariamente eccedeva la sua competenza per valore, così non è idonea a far rientrare fra le cause che il Giudice di Pace decide secondo equità quella introdotta con una domanda che, in base al petitum originario, ne era esclusa (cfr., in senso conforme, Cass. n. 968/2003).
Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., per inammissibilità di domanda nuova in appello.
Deduce il ricorrente che Igor Plani nel primo grado del giudizio aveva sostenuto la propria estraneità alla obbligazione dedotta in causa, chiedendo al Giudice di dichiarare la sua carenza di legittimazione passiva, ed in subordine, in caso di accoglimento della domanda attorea, di essere manlevato da Not Andrea; che nell'atto di appello Igor Plani proponeva la tesi dell'esistenza di una società apparente tra lui ed il Not, chiedendo, sia pure in subordine, di accertarsi l'esistenza di tale società apparente e condannarsi in solido il Not a pagare quanto dovuto all'Umek; che il Giudice di Appello, invece di dichiarare inammissibile ex art. 345 c.p.c. la nuova domanda di accertamento dell'esistenza di società apparente, aveva accolto tale domanda, ritenendo sussistente detta società apparente.
Il motivo è infondato, perché la questione relativa al coinvolgimento del ricorrente nella obbligazione dedotta in causa aveva costituito oggetto di dibattito nel corso del giudizio di merito, anche sotto il profilo della società apparente, profilo esaminato nella sentenza di primo grado, sia pure al fine di escludere la sussistenza della società apparente (cfr. sent. impugnata a pagg. 5, 6, 7, alla fine, 11 - 13 e 14).
Col terzo motivo il ricorrente denuncia motivazione contraddittoria ed insufficiente circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine alla società apparente tra Plani e Not, rilevante ai fini della configurazione di responsabilità solidale nei confronti di Umek.
Deduce il ricorrente che il Giudice di Appello erroneamente ha ravvisato elementi per configurare l'esistenza di una società apparente tra Plani e Not; che l'appalto era stato concluso tra la committente Licia Sema e Plani Igor; che le circostanze emerse in sede istruttoria non giustificavano l'esistenza di detta società apparente; che il Tribunale aveva travisato i risultati dell'istruttoria esperita e delle prove assunte; che l'ordinamento tutela solo i terzi che su detta apparenza abbiano fatto affidamento;
che non sussiste una tutela in se dell'apparenza, ma solo in quanto strumentale alla tutela dell'affidamento dei terzi di buona fede, per cui risulta carente ed illogica la motivazione della sentenza impugnata "laddove pretende di ricostruire l'esistenza di un'obbligazione solidale tra Not e Plani nei confronti dell'Umek, sul presupposto che questi abbia fatto affidamento sull'esistenza di una società apparente tra i due" (cfr. a pag. 12 del ricorso). La censura è infondata e va disattesa.
È giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex multis, Cass. sentt. n. 2435/1979 e n. 6438/1993) che la società di fatto, sebbene inesistente nella realtà, può apparire esistente di fronte a terzi quando due o più persone operino nel mondo esterno in modo da determinare l'insorgere dell'opinione ragionevole che esse agiscano come soci e del conseguente legittimo affidamento circa l'esistenza della società stessa; che in tale ipotesi, a tutela della buona fede dei terzi, è sufficiente che il soggetto che abbia trattato con il socio apparente provi un comportamento che, secondo l'apprezzamento insindacabile del giudizio di merito sia idoneo a designare la società come titolare del rapporto, come è avvenuto nel caso in esame, in cui, tra l'altro, non è rimasto provato che l'Umek Marcello fosse pienamente consapevole dell'inesistenza del vincolo sociale, cioè che fosse perfettamente consapevole di una realtà difforme dalla sussistenza del rapporto societario - prova che incombeva all'attuale ricorrente (cfr. Cass. sent. n. 9030 del 12.9.1997, in Diritto fallimentare, 1998, 2^, 906, con nota Gioneri). Respinto il ricorso, nulla deve disporsi per le spese per non avere svolto difese Plani Igor nel presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2004.
Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2006