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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6289 - pubb. 01/08/2010.

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Cassazione civile, sez. II, 02 Febbraio 1999, n. 850. Est. Spagna Musso.

Società - Di persone fisiche - Società irregolare e di fatto - In genere - Notifica ad uno dei soci, nel suo domicilio - Validità - Ragioni.


La notifica di un atto giudiziario ad uno dei soci, e nel suo domicilio, di una società di fatto è valida perché ciascuno di essi ne ha la rappresentanza ed è legittimato a stare in giudizio per la stessa, mentre d' altro canto manca un sistema che dia pubblicità alla sede sociale di essa. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo BALDASSARRE - Presidente -
Dott. Giovanni PAOLINI - Consigliere -
Dott. Antonino ELEFANTE - Consigliere -
Dott. Enrico SPAGNA MUSSO - Rel. Consigliere -
Dott. Giovanni SETTIMJ - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
F.LLI BERTIN Soc. di fatto. in persona dei Soci BERTIN LUCIANO e BERTIN OTTAVIO, elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, difeso dall'avvocato GIANFRANCO GOLLIN, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
SOCOV S.r.l. in persona dellAmm.re Unico Sig.ra TERESA FERRETTO, elettivamente domiciliata in ROMA VIA G.G.BELLI 36, presso lo studio dell'avvocato SAVINO MARIA TERESA, che lo difende unitamente all'avvocato BRUNO RUSSELLO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1181/95 della Corte d'Appello di VENEZIA, depositata il 12/10/95;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/07/98 dal Consigliere Dott. Enrico SPAGNA MUSSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Stefano SCHIRÒ che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 27 settembre 1986 la Socov s.r.l. - premesso che aveva commesso alla società di fatto Falegnameria F.lli Bertin di Ottavio e Luciano Bertin la realizzazione di quattordici portoncini di ingresso; questi erano stati confezionati con legno diverso, e pur di qualità "scadente", rispetto a quella convenuta così che si presentavano difettosi; la Falegnameria, pur essendosi impegnata alla sostituzione dei portoncini, non vi aveva provveduto - convenne in giudizio dinanzi al tribunale di Padova, la società di fatto Falegnameria F.lli Bertin perché fosse condannata alla sostituzione a proprie cure e spese dei portoncini nonché al risarcimento dei danni conseguenti all'inadempimento.
Contumace la società convenuta, con l'atto notificato (l'8 marzo 1988) alla medesima, quella istante estese le domande in relazione alla commissione di quarantasei "oscuri" per balconi che, pur realizzati con legno diverso da quello convenuto e di qualità scadente, presentavano notevoli difetti.
Espletata c.t.u., con sentenza del 23 novembre 1989 il tribunale accolse le domande.
Adita, poi, con il gravame della Falegnameria F.lli Bertin, la corte d'appello di Venezia, con decisione del 12 ottobre 1995, ha rigettato l'impugnazione.
In particolare, ha osservato la corte di merito: contrariamente a quanto dedotto con il primo motivo d'appello, la sentenza impugnata non poteva ritenersi nulla posto che la domanda introduttiva e quella "aggiuntiva" erano state regolarmente notificate. Queste pur non essendo state indirizzate ai due soci, ma l'una alla Falegnameria F.lli Bertin in persona del contitolare e legale rappresentante Luciano Bertin, e l'altra alla Falegnameria Bertin Luciano, non era stata ingenerata alcuna incertezza sulla natura e gli scopi degli atti essendo stati entrambi notificati a mezzo del servizio postale "a mani" del socio Luciano Bertin.
Inutilmente, poi, con il secondo motivo si era eccepita la prescrizione di un anno ex art.2226 c.c. del contratto d'opera, secondo la qualificazione giuridica del rapporto che si assumeva definitivamente fornita dal tribunale.
Questo al contrario aveva espressamente qualificato il contratto "inter partes" come d'appalto; così che occorreva aver riguardo al termine di prescrizione biennale dell'art.1667 c.c. Per la cassazione della sentenza, esponendo quattro motivi di doglianza, poi illustrati da memoria, ricorre per cassazione la Falegnameria F.lli Bertin s.d.f.; resiste con controricorso la Socov s.r.l.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di doglianza la società di fatto Fll.i Bertin, in relazione al n^4 dell'art. 360 c.p.c., deduce la nullità del procedimento di merito conseguente all'inosservanza dell'art.160 c.p.c.
Contrariamente a quanto affermato dalla corte di merito la Falegnameria F.lli Bertin, di Ottavio e Luciano Bertin società di fatto, avrebbe dovuto essere convenuta in giudizio nelle persone di entrambi i soci mentre l'atto introduttivo del giudizio e quello "aggiuntivo" erano stati notificati al solo Luciano nel suo domicilio e non nella sede sociale.
Con il secondo motivo del ricorso, in relazione al n^5 dell'art. 360 c.p.c., si deduce il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia.
La corte di merito - assume la ricorrente non avrebbe reso ragione alcuna del perché una notificazione effettuata in luogo diverso dalla sede della società non potesse ingenerare incertezze nè, conseguentemente, pregiudicare il diritto di difesa. I due motivi di censura esigono, per le loro evidente
connessione logica, un esame congiunto all'esito del quale vanno rigettati.
La rappresentanza di una società di fatto spetta, nella carenza di una specifica disciplina della gestione sociale, a ciascuno dei soci: così che ognuno di loro è legittimato a stare in giudizio per la società, come attore o convenuto, e la citazione in giudizio di questa, mancando un sistema di pubblicità che rende nota la sede sociale, è validamente effettuata con la notificazione dell'atto ad uno dei soci e nel domicilio di questo( in proposito vedansi anche le pronunzie di questa corte nn. 1740/80, 10689/ 94).
A questi principi si è all'evidenza adeguato il giudice del merito ove il medesimo, rendendo in proposito adeguata ragione, ha ritenuto che, essendo state la citazione, non seguita dalla costituzione della convenuta, e la comparsa, contenente la nuova domanda giudiziale nei confronti di questa( art.292 C.P.C.), notificate con la consegna della copia al socio Luciano Bertin, non potesse insorgere ragione di dubbio alcuna sulla qualità di parte convenuta nel giudizio della società di fatto Falegnameria F.lli Bertin.
Con il terzo motivo di ricorso in relazione al n^3 dell'art.360 c.p.c., si denunzia la violazione dell'ultimo capoverso dell'art.1667 c.c.
La corte di merito - sostiene la ricorrente - nel respingere l'eccezione di prescrizione non avrebbe considerato che la domanda relativa alla "commessa" dei quarantasei "oscuri" per balconcini era stata notificata l'8 marzo 1988, mentre era pacifico che il rapporto si era esaurito il 31 dicembre 1984, oltre due anni prima dell'esercizio del diritto di garanzia.
Il motivo di ricorso non può essere accolto.
Il carattere dispositivo dell'eccezione di prescrizione, desumibile dalla formula dell'art.2938 c.c., comporta che la parte che la propone ha l'onere di sollevarla in forma chiara ed univoca, allegando gli elementi di fatto su cui si fonda.
Ne discende che, ove la parte abbia eccepito un tipo di prescrizione presupponente il decorso di un determinato termine, il giudice non può applicare quella diversa in concreto utilizzabile, secondo la qualificazione giuridica da lui operata del rapporto litigioso, applicando il termine per questa stabilito, senza violare, con una indebita intromissione, il principio dispositivo dettato dall'art. 2938 c.c. e quello, più lato, della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato rinvenibile nell'art. 112 c.p.c. (in proposito "ex multis" vedansi le pronunzie di questa corte nn. 1570/86, 4674/88).
Nel caso in esame, avendo la corte di merito qualificato come appalto e non come prestazione d'opera il rapporto negoziale "inter partes" e, pertanto, escluso l'operatività della prescrizione di un anno del II capoverso dell'art.2226 c.c. eccepita dalla appellante società di fatto, non avrebbe potuto quel giudice, senza operare un'indebita intromissione del potere dispositivo della parte interessata, verificare la concreta estinzione del diritto di garanzia della non difformità o della assenza di vizi dell'opera commessa in appalto, non essendo stata eccepita la prescrizione biennale in proposito prevista dall'art. 1667 c.c.
Con il quarto motivo del ricorso, in relazione al n^3
dell'art.360 c.p.c., si denunzia la violazione del primo capoverso dell'art.1667 c.c.
Nel respingere l'eccezione di prescrizione relativa al diritto di garanzia concernente la commessa dei 14 portoncini, la corte di merito - sostiene la ricorrente - non avrebbe considerato che i vizi dell'opera non erano stati denunziati nel prescritto termine sessagesimale decorrente dalla loro scoperta.
Il motivo di censura non può essere accolto in quanto
inammissibile.
La decadenza dall'azione di garanzia per vizi per le difformità ed i vizi dell'opera ex art.1667 c.c., non può essere rilevata "ex officio iudicis" versandosi in materia non sottratta alla disponibilità della parti.
Ne consegue che detta decadenza, la quale necessariamente involge accertamenti di merito, pur potendo essere proposta in appello, secondo il tenore del capoverso nell'art.345 c.p.c. (nel testo previgente fino alla data del 18 dicembre 1994), non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di cassazione (in proposito vedansi le pronunzie di questa corte nn. 3879/81, 4531/86, 6077/88).
Il che si è verificato nel caso in esame, come è dato rilevare dalla "esposizione dei fatti di causa"( art. 366 n^4 c.p.c.) contenuta nel ricorso, il quale deve offrire una sufficiente conoscenza delle vicende processuali.
L'esame del ricorso porta ad escludere, invece, che la società di fatto abbia, con l'appello notificato il 27 novembre 1990, proposto la eccezione di decadenza dalla garanzia per vizi o difformità dell'opera.
Concludendo la disamina, il ricorso deve essere rigettato con la conseguente condanna della società ricorrente al pagamento, in favore di quella resistente, delle spese del giudizio di cassazione (art.385, I comma, c.p.c.).
Queste sono liquidate nel dispositivo.
p.q.m.
la Corte
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in L. 125.400, oltre L. 3.000.000 per onorari.
Così deciso in Roma, il 1 luglio 1998.
Depositato in Cancelleria il 2 Febbraio 1999