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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6300 - pubb. 01/08/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 29 Novembre 2001. Est. Panebianco.

Società - Di persone fisiche - Società in accomandita semplice - In genere (nozione, caratteri, distinzioni) - Norme applicabili - Art. 2259 cod. civ. - Revoca dell'amministratore di società semplice per giusta causa - Richiesta del singolo socio al giudice - Applicabilità - Incidenza sullo stato di socio dell'amministratore - Configurabilità - Esclusione.


Alle società in accomandita semplice è applicabile la disposizione, dettata per le società semplici, dell'art. 2259, terzo comma, cod. civ., che consente al singolo socio di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa dell'amministratore, la quale non incide, peraltro, sulla qualità di socio dello stesso. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIOVANNI LOSAVIO - Presidente -
Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO - rel. Consigliere -
Dott. GIOVANNI VERUCCI - Consigliere -
Dott. MARIO ADAMO - Consigliere -
Dott. WALTER CELENTANO - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
ARDITI MARIANO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TEODOSIO MACROBIO 3, presso l'avvocato GIUSEPPE NICCOLINI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ANTONIO CIGNITTI, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
BOLONOTTO ALESSIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ELEONORA DUSE 37, presso l'avvocato MASSIMO MANNOCCHI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ROBERTO SCIALUGA, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
contro
GIUNCHIGLIA ROBERTO, CORVETTO CENTRO DODICESIMO di MARIANO ARDITI & C.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 58/00 della Corte d'Appello di MILANO, depositata il 18/01/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2001 dal consigliere Dott. Ugo Riccardo PANEBIANCO;
udito per il ricorrente, l'Avvocato Cignitti, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l'Avvocato Mannocchi, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Libertino Alberto RUSSO che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo con l'assorbimento del secondo motivo del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 29.10.1991 Alessio Bolonotto conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Milano la società Corvetto Centro Dodicesimo s.a.s. di Mariano Arditi & C. nonché i soci Mariano Arditi (accomandatario) e Roberto Giunchiglia (accomandante), chiedendo l'esclusione dalla società di Mariano Arditi, unico socio accomandatario e amministratore della società, per gravi inadempienze, costituite in particolare da assunzioni irregolari di dipendenti, omessa informazione ai soci sui bilanci e sulla contabilità sociale, mancata corresponsione degli utili risultanti dai bilanci, omissioni presso il competente Ministero in ordine all'espletamento delle pratiche riguardanti il rimborso delle spese sociali, delega della gestione a terzi in conflitto di interessi, proiezioni di pellicole e cassette prive del visto di censura e del contrassegno S.I.A.E..
Si costituivano i convenuti che eccepivano l'improponibilità della domanda in quanto, trattandosi di società composta da più soci, l'esclusione avrebbe dovuto essere deliberata a maggioranza degli stessi ai sensi dell'art. 2287 C.C
Con sentenza del 18.12.1997-25.5.1998 il Tribunale accoglieva la domanda, disponendo l'esclusione del socio accomandatario Mariano Arditi dalla società.
L'Arditi proponeva impugnazione ed all'esito del giudizio, nel quale si costituiva il Bolonotto mentre il socio Giunchiglia e la società rimanevano contumaci, la Corte d'Appello di Milano con sentenza del 23.11.1999-18.1.2000 rigettava il gravame, condannando l'Arditi al pagamento delle ulteriori spese del grado. Relativamente alla proponibilità della domanda, dopo aver ricordato che nelle società in accomandita semplice il rinvio alle disposizioni riguardanti la società in nome collettivo, ivi incluse quelle della società semplice, è subordinato alla loro compatibilità (art. 2315 C.C.) con la struttura particolare della prima, caratterizzata dalla presenza di due categorie di soci, vale a dire degli accomandatari - che quali illimitatamente responsabili possono assumerne l'amministrazione - e degli accomandanti - che invece tale amministrazione non possono assumere essendo la loro responsabilità limitata alla quota conferita rilevava la Corte d'Appello che nell'ipotesi, come quella in esame, in cui la società ha un unico socio accomandatario, che assume quindi di diritto la carica di amministratore, la sua esclusione ad opera degli accomandanti comporterebbe l'impossibilità di amministrare la società e realizzerebbe una delle cause di scioglimento senza il consenso del socio accomandatario e con l'attribuzione agli accomandanti di poteri incompatibili con il divieto generale di una loro ingerenza nell'amministrazione previsto dall'art. 2320 C.C.. Osservava poi che una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con l'art. 2319 C.C., il quale prescrive che per la revoca della nomina degli amministratori devono concorrere le volontà sia dei soci accomandanti che di quelli accomandatari, nonché con il sistema di accertamento delle cause di scioglimento della società, che prevede, in caso di controversia, la proposizione di un'azione in via ordinaria, con la conseguenza che la delibera di esclusione, costituendo un'ipotesi più grave rispetto alla revoca dell'amministratore per i suoi più radicali effetti, non potrebbe essere disposta a condizioni diverse rispetto a quella prevista dall'art. 2319 C.C., che richiede il consenso dei soci accomandatari., e con l'ulteriore conseguenza che il procedimento di esclusione, nel caso di un unico accomandatario, non potrebbe che avvenire in via giudiziaria.
Riteneva poi che erano emersi elementi idonei a determinare non solo la revoca della facoltà di amministrare ma anche l'esclusione della qualità di socio, vale a dire a configurare sia la giusta causa prevista per la revoca dall'art. 2259 C.C. che le gravi inadempienze cui fa riferimento l'art. 2286 C.C., non avendo l'Arditi, quale obbligato, fornito la prova del proprio adempimento. Osservava infatti che gli atti a lui contestati costituiscono, complessivamente valutati, la prova che la sua condotta, quale socio amministratore, ha determinato un grave ostacolo al raggiungimento dei fini sociali, incidendo negativamente sia sui diritti del socio che sull'economia dell'impresa.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Mariano Arditi, deducendo due motivi di censura.
Resiste con controricorso Alessio Bolonotto.
Le altre parti (Roberto Giunchiglia e la Corvetto Centro Dodicesimo s.a.s.) non hanno svolto alcuna attività. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso Mariano Arditi denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2287, 2315 e 2319 C.C. in relazione all'art. 360 n. 3 C.P.C.. Sostiene che erroneamente la Corte d'Appello ha negato per l'esclusione del socio accomandatario l'applicabilità dell'art. 2287 comma 3 C.C., non avendo considerato:
- quanto alla tesi secondo cui il riconoscimento ai soci accomandanti del potere di escludere l'unico socio accomandatario finirebbe per attribuire a costoro un'ingerenza nella amministrazione della società vietata dall'art. 2320 C.C., che l'esclusione del socio non costituisce un atto di amministrazione, così come non lo è la revoca della facoltà di amministrare, ma atto di
organizzazione, come del resto si desume dagli artt. 2319 e 2315 C.C. (quest'ultimo a seguito del rinvio all'art. 2287 C.C.) che richiedono rispettivamente l'approvazione degli accomandanti per la revoca degli amministratori e della maggioranza dei soci per l'esclusione del socio nelle società in nome collettivo e nelle società semplici;
- quanto al peculiare regime della revoca degli amministratori previsto per l'accomandita semplice in cui si richiede il consenso degli accomandatari, che esso costituisce una deroga alla disciplina generale di cui all'art. 2259 C.C., con la conseguenza che l'ipotesi dell'esclusione del socio è disciplinata interamente dagli artt. 2286 e 2287 C.C.;
- quanto infine all'asserita inconciliabilità con il sistema di accertamento delle cause di scioglimento delle società, comportante, in caso di controversia, la competenza del Tribunale in sede contenziosa, che ciò non giustificherebbe in ogni caso l'inapplicabilità dell'art. 2287 comma 1 C.C.. Sostiene infine che la tesi della necessità dell'intervento del giudice ai sensi dell'art. 2287 comma 3 C.C. non può essere condivisa se si consideri che detta disposizione, presupponendo l'impossibilità di raggiungere una maggioranza, non è configurabile nell'ipotesi di società composta da più di due soci nemmeno se il socio da escludere sia l'unico accomandatario, che inoltre tale norma ha carattere eccezionale, non suscettibile quindi di interpretazione analogica, e che quindi può essere applicata al solo caso di accomandita composta da due soli soci.
La censura è fondata.
La Corte d'Appello, al fine di dimostrare, con specifico riferimento all'art. 2315 C.C., l'incompatibilità con la particolare struttura della società in accomandita semplice dell'art. 2287 C.C. - riguardante il procedimento per l'esclusione del socio a seguito di gravi inadempienze espressamente previsto per le società semplici - ha prospettato una serie di considerazioni giuridiche che non possono essere condivise.
Essendo la società in esame composta da tre soci, di cui due accomandanti ed uno accomandatario, va in primo luogo sgombrato il campo dal problema relativo all'applicabilità del terzo comma del richiamato art. 2287 C.C. che, riferendosi all'ipotesi in cui la società sia composta da due soli soci, prevede, per l'impossibilità in tal caso di formare una maggioranza, la necessità di una domanda giudiziale, a differenza del primo comma il quale richiede invece, come regola generale, che l'esclusione venga deliberata dalla maggioranza.
Scendendo all'esame delle specifiche osservazioni poste a sostegno dell'impugnata decisione, ritiene il Collegio che non sussistono valide ragioni giuridiche per precludere ai soci accomandanti di partecipare alla deliberazione in ordine alla proposta di esclusione del socio accomandatario anche quando questi sia l'unico di tale categoria ed abbia assunto necessariamente in tale veste l'amministrazione della società.
I divieti posti dalla legge all'attività degli accomandanti (art. 2320 comma 1 C.C.) riguardano gli atti di amministrazione, siano essi interni che esterni, e per tale motivo è prevista una responsabilità limitata alla quota da loro conferita, ma non si estendono all'attività di controllo per la quale la stessa legge (art. 2320 comma 3 C.C.) offre gli strumenti, prevedendo il diritto alla comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite per verificarne l'esattezza nonché il diritto alla consultazione dei libri e degli altri documenti contabili. Sotto tale profilo la loro partecipazione, sia pure meno intensa rispetto a quella spettante ai soci nelle altre società di persona, è sufficientemente ampia e non può non comprendere il diritto di valutare la gravità di eventuali inadempienze del socio accomandatario e di far ricorso al procedimento per l'esclusione del socio, il quale costituisce in definitiva la logica conseguenza dell'esercizio di un tale diritto di controllo, al pari del socio nelle società semplici per il quale l'art. 2287 C.C. non prevede alcuna esclusione nei confronti di coloro che ai sensi dell'art. 2261 C.C., pur non partecipando all'amministrazione della società, sono ugualmente investiti di poteri di controllo.
Nè ad una tale conclusione si oppone il fatto che verrebbe a realizzarsi, nel caso di esclusione dell'unico socio accomandatario, una causa di scioglimento della società ai sensi dell'art. 2323 C.C. senza il consenso appunto del socio accomandatario, prevedendo tale norma come causa di scioglimento, oltre ai casi stabiliti dall'art. 2308 C.C., qualsiasi situazione, non necessariamente collegata alla partecipazione del socio accomandatario, in cui rimangono soltanto i soci accomandanti od i soci accomandatari.
Del resto lo scioglimento non consegue in tal caso
automaticamente, essendo previsto un periodo di sei mesi nel corso del quale, oltre alla possibilità di sostituire il socio venuto meno con altro socio accomandatario, deve essere disposta la nomina di un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione.
Mal posto per due ordini di ragioni è poi il richiamo all'art. 2319 C.C. che prevede per la revoca degli amministratori il concorso della volontà di entrambi le categorie di soci e cioè il consenso dei soci accomandatari e l'approvazione dei soci accomandanti che rappresentano la maggioranza del capitale da loro sottoscritto. In primo luogo va osservato infatti che tale norma non si applica all'ipotesi di revoca per giusta causa degli amministratori, disciplinata invece dall'art. 2259 commi 1 e 3 C.C., ma in quella ben diversa in cui si intenda revocare il mandato loro conferito con atto separato dal contratto sociale.
Inoltre non può sfuggire la diversità, sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, dell'ipotesi di revoca dell'amministratore rispetto a quella di esclusione del socio, sia pure accomandatario. Anche se l'esclusione del socio, che cumuli pure la qualifica di amministratore, può basarsi sulle stesse violazioni che integrano un comportamento contrario ai doveri propri dell'amministratore allorché tale comportamento mini altresì le finalità e gli interessi della società a seguito di violazioni previste dallo statuto (Cass. 2736/95), il relativo procedimento regolato espressamente dall'art. 2287 C.C. non può ritenersi per ciò solo assorbito dalla disciplina dettata per la revoca dell'amministratore, trattandosi di effetti che si producono su piani diversi. Del resto, se è vero che l'esclusione del socio accomandatario che sia anche amministratore comporta automaticamente la perdita della qualità di amministratore, non altrettanto può dirsi per l'ipotesi inversa, ben potendo la revoca per gravi inadempienze dell'amministratore non determinare anche la sua esclusione come socio qualora tali inadempienze non riguardino pure i doveri di cooperazione cui il socio è tenuto.
Conseguentemente la previsione dell'art. 2259 C.C., che consente al singolo socio di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa dell'amministratore, non può trovare applicazione allorché, come nel caso in esame, ne venga chiesta l'esclusione come socio, non potendosi prescindere dalla volontà della maggioranza nell'ambito del contratto sociale, salva ovviamente l'opposizione avanti al Tribunale del socio escluso ai sensi dell'art. 2287 comma 2 C.C. e non anche, si badi bene, del socio eventualmente dissenziente. Nè rileva ai fini in esame che nel caso di controversia fra i soci in ordine alla sussistenza di una causa di scioglimento della società si possa ricorrere al giudice in sede contenziosa, trattandosi anche qui di ipotesi diversa e comunque di un passaggio ulteriore ed eventuale, così come previsto per l'ipotesi di esclusione.
Deve concludersi pertanto che nessuna incompatibilità è ravvisabile fra la particolare struttura della società in accomandita semplice e la disciplina dell'esclusione del socio prevista dall'art. 2287 C.C., anche se si tratti dell'unico socio accomandatario, essendo conciliabile tale disciplina con i poteri di controllo di cui il socio accomandante dispone ed essendo altresì in linea con la natura eccezionale del potere del singolo socio di rivolgersi direttamente al giudice prima di qualsiasi delibera. Ovviamente a ben altre conclusioni, ai fini in esame della proponibilità della domanda, sarebbe stato possibile pervenire se fosse stata proposta domanda di revoca Per giusta causa dell'amministratore, trovando applicazione in tal caso, come già si è avuto modo di sottolineare. l'art. 2259 comma 3 C.C. che non incide, anche in caso di accoglimento, sullo stato di socio. L'accoglimento del presente motivo, con il conseguente assorbimento del secondo riguardante il merito della controversia, comporta la cassazione senza rinvio dell'impugnata sentenza ai sensi dell'art. 382 comma 3 u.p. C.P.C. in quanto la causa non poteva essere proposta, dovendo l'esclusione del socio essere deliberata a maggioranza dei soci in applicazione dell'art. 2287 comma 1 C.C.. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo in ordine all'intero giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Accoglie il primo motivo di ricorso. Dichiara assorbito il secondo. Cassa senza rinvio l'impugnata sentenza e condanna il Bolonotto al pagamento delle spese dell'intero giudizio che liquida, relativamente al giudizio avanti al Tribunale, in complessive L. 8.200.000 di cui L. 2.000.000 per diritti di procuratore, L. 5.000.0000 per onorario, L. 800.000 per spese effettive e L. 400.000 per spese generali di studio, relativamente al giudizio avanti alla Corte d'Appello in complessive L. 9.000.000 di cui L. 5.500.000 per onorario, L. 2.300.000 per diritti di procuratore, L. 800.000 per spese effettive e L. 400.000 per spese generali di studio, relativamente infine al giudizio di legittimità in L. 8.000.000 oltre alle spese liquidate in L. 692.500.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2001.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2001