Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6321 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 04 Settembre 1999, n. 9392. Est. Losavio.


Società - Di persone fisiche - Società semplice - Scioglimento - Liquidazione della quota - Società di fatto di due persone - Socio uscente - Considerazione esclusivamente come socio d'opera - Di socio apportatore di capitali in misura eguale all'altro all'atto della costituzione della società - Liquidazione equitativa della quota - Eguale partecipazione agli utili del socio uscente - Mancata considerazione - Inadeguatezza della motivazione della sentenza di merito - Sussistenza sotto entrambi i profili - Cassazione con rinvio della sentenza.



In sede di liquidazione della quota di partecipazione al socio uscente di una società di fatto (nella specie composta da due soci), deve ritenersi viziata da inadeguata motivazione la sentenza di merito, la quale consideri esclusivamente come socio d'opera il socio uscente, ancorché egli avesse conferito capitali in misura paritaria rispetto all'altro socio all'atto della costituzione della società, nonché trascuri, nel procedere alla liquidazione equitativa della quota, la circostanza che, fino al momento dello scioglimento della società, gli utili sociali erano stati divisi in misura eguale fra i due soci (con riferimento a questo secondo profilo la Suprema Corte, nel cassare con rinvio la sentenza di merito, ha precisato che, in ogni caso, se alla liquidazione equitativa della quota del socio d'opera uscente può procedersi equitativamente, in applicazione del criterio indicato dall'art. 2263 cod. civ., per la ripartizione delle perdite dei guadagni, nella relativa valutazione non può mancare la motivata considerazione della misura della sua partecipazione in via di fatto agli utili). (massima ufficiale) 


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Alfredo ROCCHI - Presidente -
Dott. Giovanni LOSAVIO - rel. Consigliere -
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI - Consigliere -
Dott. Francesco FELICETTI - Consigliere -
Dott. Simonetta SOTGIU - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
D'UBALDI SERGIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA RONCIGLIONE 3, presso l'avvocato FABIO GULLOTTA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
D'UBALDI FRANCO;
- intimato -
e sul 2^ ricorso n^ 09274/97 proposto da:
D'UBALDI FRANCO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA POMPEO TROGO 21, presso l'avvocato S. CASANOVA, rappresentato e difeso dall'avvocato MASSIMO BONI,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d'appello di Roma, con la sentenza 16 maggio 1996 - qui impugnata -, accogliendo in parte l'appello principale proposto da Sergio D'Ubaldi e quello incidentale proposto da Franco D'Ubaldi contro la sentenza 3 agosto 1991 del Tribunale di Viterbo, confermava che la società di fatto costituita tra gli stessi fratelli D'Ubaldi si era sciolta con effetto dal 1^ gennaio 1982, e statuiva che, in ragione della progressiva "riduzione dell'apporto societario" di Franco d'Ubaldi, la quota di partecipazione a lui riconoscibile all'atto dello scioglimento doveva essere apprezzata nella misura pari al 25 per cento del patrimonio sociale, concordemente valutato dalle parti in complessive lire 299.333.000; che quindi Sergio D'Ubaldi. che aveva proseguito come imprenditore individuale la medesima attività utilizzando tutti i beni già sociali, era tenuto a corrispondere a Franco D'Ubaldi le somme di Lire 74.833.325 "a titolo di quota sociale liquidata" a suo favore; di lire 45.000.000 "a titolo di indennità per avviamento commerciale"; di lire 12.000.000 a titolo di corrispettivo del godimento esclusivo dei "capannoni" di proprietà comune, come tra le parti pattuito per l'anno 1983. La Corte d'appello di Roma condannava quindi Sergio D'Ubaldi a pagare a Franco D'Ubaldi le somme così determinate, rivalutate e con interessi nel tasso legale dal 1^ gennaio 1982. Contro questa decisione Sergio D'Ubaldi ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di impugnazione. Resiste con controricorso Franco D'Ubaldi, che propone ricorso incidentale fondato su due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso principale Sergio D'Ubaldi deduce omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia e lamenta che la Corte di merito non abbia provveduto sulla eccezione di prescrizione ex art. 2949 C.C. da lui espressamente formulata in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di appello, ma neppur presa in considerazione dalla stessa Corte.
Il motivo è infondato.
Se è vero infatti che la Corte di merito non ha formalmente pronunciato sulla eccezione di prescrizione, essa tuttavia, decidendo nel merito della domanda di liquidazione della quota del socio uscente, con ciò stesso ha implicitamente provveduto nel senso della inammissibilità della eccezione sollevata alla conclusione del giudizio di appello e implicante un nuovo motivo di impugnazione. Con piena ragione dunque la Corte d'appello non ha esaminato nel merito la eccezione di prescrizione prospettata da Sergio D'Ubaldi sul presupposto che il rapporto sociale si fosse risolto, non già il 31 dicembre 1981, come aveva esplicitamente accertato il Tribunale con pronuncia formulata anche nel dispositivo della sentenza, ma dieci anni prima (a seguito dell'infortunio sul lavoro occorso a Franco D'Ubaldi). Afferma il ricorrente che nessuna preclusione è posta dall'art. 345, secondo comma, c.p.c. (nel dettato precedente la riforma del 1990), sicché gli era dato di proporre la nuova difesa anche a conclusione del giudizio di appello e al rifiuto del contraddittorio apposto sul punto dall'avversario non poteva riconoscersi l'effetto di escludere dalla materia di contendere la eccezione di prescrizione sulla quale la Corte avrebbe dovuto nel merito pronunciarsi. Ma basterà considerare che Sergio D'Ubaldi aveva appellato la sentenza in via principale, limitando la propria censura alla determinazione quantitativa della quota spettante al socio uscente, dal Tribunale operata sul dichiarato presupposto che lo scioglimento del rapporto sociale fosse intervenuto alla fine dell'anno 1981, come per altro aveva prospettato lo stesso convenuto nelle conclusioni finali (". . . .dare atto dell'intervenuto scioglimento al 1981 del rapporto sociale intercorso tra le parti"). Non può quindi dubitarsi che la eccezione di prescrizione necessariamente presupponesse uno specifico motivo di censura della decisione quanto all'accertamento del tempo dell'avvenuto scioglimento del rapporto sociale e che perciò la eccezione proposta non già con l'atto di appello, ma nelle conclusioni finali del giudizio, implicasse un motivo di appello nuovo, inammissibile per l'implicito divieto posto al riguardo dall'art. 323 c.p.c.. 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia generica "violazione o falsa applicazione di norma di diritto", nonché contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di merito da un lato liquidato la quota spettante a Franco D'Ubaldi nella misura del 25 per cento del patrimonio sociale e dall'altro assegnato allo stesso socio uscente la somma corrispondente al 50 per cento del valore di avviamento della impresa sociale, come apprezzato dal consulente tecnico.
La censura è fondata. La decisione impugnata è viziata da palese contraddizione, avendo infatti la Corte di merito provveduto sul punto, con determinazione distinta dalla liquidazione della quota, senza considerare che l'impresa già collettiva proseguiva nella gestione individuale di Sergio D'Ubaldi e che l'avviamento perciò costituiva una componente attiva del patrimonio sociale, onde il valore relativo, accertato attraverso l'indagine tecnica, doveva essere attribuito al socio uscente nella medesima misura proporzionale della quota di liquidazione a lui spettante. 3. Con il terzo motivo d'impugnazione Sergio D'ubaldi denuncia generica "violazione o falsa applicazione di norme di diritto", nonché "contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia" che avrebbero condotto il giudice di appello alla "ingiustificata corresponsione della rivalutazione monetaria sui crediti".
Il motivo è inammissibile, poiché il ricorrente prospetta una censura nuova, che non aveva cioè formato oggetto dell'appello proposto avverso la sentenza di primo grado, con riguardo al punto di quella decisione, là dove il Tribunale aveva riconosciuto sulla somma di liquidazione della quota (oggetto di un debito di valuta) la "rivalutazione monetaria" con operazione automatica che prescinde dalla prova in concreto del "maggior danno" da ritardo. E su tale - pur erronea- pronuncia, non impugnata con l'appello, si è formato il giudicato interno al processo e la censura sul medesimo punto è preclusa in questa sede di legittimità. 4. Con il primo motivo del ricorso incidentale Franco D'Ubaldi deduce "violazione e falsa applicazione di norme di diritto", nonché omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte d'appello ingiustamente ridotto la quota di liquidazione spettante al socio uscente, prendendo in considerazione il solo suo apporto di lavoro alla conclusione del rapporto e totalmente prescindendo dalle risultanze istruttorie secondo cui paritari erano stati i conferimenti di capitale dei due soci all'atto della costituzione dell'impresa collettiva e tra i soci stessi gli utili sociali conseguiti erano stati sempre divisi in parti uguali fino allo scioglimento della società: contro tali non controverse circostanze, che deponevano per la parità delle quote, la Corte di merito avrebbe operato arbitrariamente la drastica riduzione al 25 per cento della quota spettante al socio Franco D'Ubaldi in ragione di un "presunto minor apporto di lavoro personalmente espletato".
La censura, con la precisazione e nei limiti di cui ora si dirà, è fondata.
A ragione il ricorrente rileva che i giudici di appello hanno omesso del tutto di considerare che Franco D'Ubaldi non poteva essere riguardato esclusivamente come socio d'opera, poiché all'impresa collettiva (come non è controverso tra le parti) egli aveva anche conferito capitali in misura paritaria rispetto al fratello all'atto in cui essi avevano costituito di fatto la società tra loro, avendo in tale forma proseguito la impresa individuale gestita dal padre, alla cui morte gli erano in parti uguali succeduti. Sul punto dell'originario conferimento di capitale (la quota paritaria della azienda paterna in cui Franco D'Ubaldi era succeduto), rilevante al fine della determinazione della quota di partecipazione del socio uscente, la Corte d'appello ha omesso di motivare, così come non ha valutato un'altra circostanza di fatto non controversa al giudizio e cioè che fino al momento della risoluzione del rapporto gli utili della comune impresa erano stati costantemente suddivisi in parti uguali tra i due soci: e se il medesimo criterio equitativo dettato nell'art. 2263 C.C. (per la determinazione, nel silenzio del contratto, della parte dei guadagni e delle perdite "spettante al socio che ha conferito la propria opera") deve valere - come non è controverso in dottrina e giurisprudenza - anche in funzione della liquidazione della quota del socio d'opera uscente, nella valutazione a questo fine non può mancare la motivata considerazione della misura di partecipazione di quel socio agli utili conseguiti dall'impresa sociale.
A ragione dunque il ricorrente lamenta che la determinazione equitativa della quota di liquidazione a lui spettante non sia stata adeguatamente motivata dalla Corte di merito, la cui decisione sul punto deve conseguentemente essere cassata.
5. Con il secondo motivo Franco D'Ubaldi deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto e vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia per avere i giudici di appello ritenuto che il corrispettivo dovuto per il godimento (esclusivo da parte di Sergio D'Ubaldi) dei capannoni di proprietà comune dovesse essere limitato a quello pattuito tra le parti per gli anni 1982 e 1983, quando, essendo lo stesso Sergio D'Ubaldi rimasto nel possesso esclusivo degli stessi capannoni anche negli anni successivi, egli era tenuto a corrispondere al fratello la "indennità di occupazione" nella misura determinata dal consulente tecnico d'ufficio (pari alla metà di lire 6.394.000 apprezzate come valore locativo annuo). La censura, come denuncia di omessa o comunque inadeguata motivazione (sul punto decisivo relativo al titolo della autonoma domanda del corrispettivo dovuto per l'uso esclusivo dei capannoni di proprietà comune che Sergio D'Ubaldi mantenne anche oltre il biennio successivo allo scioglimento del rapporto sociale) è fondata. La corte di merito ha infatti motivato il rigetto della domanda con il mero rinvio al patto intervenuto tra le parti (e solo in parte adempiuto) secondo cui il corrispettivo dovuto per l'uso dei capannoni aziendali era determinato in due uguali annualità per il 1982 e per il 1983, ma non ha indicato la ragione per cui, non controverso essendo nel giudizio che Sergio D'Ubaldi aveva mantenuto il godimento esclusivo degli immobili anche negli anni successivi, il corrispettivo di un tale ulteriore godimento dovesse ritenersi compreso nell'originario importo convenuto tra le parti, quando sul punto era stato per altro posto uno specifico quesito al consulente tecnico perché determinasse il valore locativo annuale degli stessi immobili (e l'attore aveva contenuto la sua domanda rapportandola alla metà del valore così stimato dal consulente). Anche sul punto, quindi, per difetto di motivazione, la decisione deve essere cassata. 6. Accolti dunque il ricorso incidentale e il secondo motivo del ricorso principale e conseguentemente cassata la decisione impugnata in relazione alle censure accolte, il giudice di rinvio, designato in altra sezione della Corte d'appello di Roma, procederà alla liquidazione della quota spettante a Franco D'Ubaldi, valutando i punti della controversia non considerati dai giudici di appello e segnalati sub 4 di questa sentenza e darà adeguata motivazione del convincimento che si sarà formato anche con riguardo all'apprezzamento del valore di avviamento dell'impresa sociale e, infine, al fondamento della domanda relativa al corrispettivo del godimento degli immobili comuni mantenuto in via esclusiva da Sergio D'Ubaldi negli anni successivi al 1983. Il giudice di rinvio provvederà pure in ordine alle spese di questa fase del giudizio. P.Q.M.
La Corte - riuniti i ricorsi - rigetta il primo motivo di ricorso principale, accoglie il secondo e dichiara inammissibile il terzo; accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma, diversa sezione.
Così deciso in Roma, il 3 marzo 1999.
Depositato in Cancelleria il 4 settembre 1999