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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6372 - pubb. 01/08/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 01 Aprile 2004. Est. Rordorf.

Società - Di persone fisiche - Società semplice - Scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio - In genere - Domanda di liquidazione della quota promossa dall'ex socio - Legittimazione passiva della società - Sussistenza.


Il principio secondo il quale le azioni per la liquidazione della quota del socio uscente vanno proposte nei confronti della società, anche se di persone (attesane la indiscutibile qualità di soggetto di diritto, quantunque sfornito di personalità giuridica) si applica anche al caso (come quello di specie) di azione promossa dall'ex socio per conseguire la quota di partecipazione ad utili inerenti ad operazioni in corso alla data di cessazione del singolo rapporto sociale, o che siano stati accertati dopo quella data, ma siano riferibili ad operazioni precedenti. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. OLLA Giovanni - Presidente -
Dott. ADAMO Mario - Consigliere -
Dott. FELICETTI Francesco - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - rel. Consigliere -
Dott. GILARDI Gianfranco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CASALARO MASSIMO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FILIPPO CORRIDONI 23, presso l'avvocato LUDOVICO GRASSI, rappresentato e difeso dall'avvocato LUIGI LIMPIDO, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
LIMONTA ALBERTO;
- intimato -
avverso la sentenza n. 293/00 del Tribunale di COMO, depositata il 01/03/00;
2003 udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/11/2003 dal Consigliere Dott. Renato RORDORF;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il 12 aprile 1988 il sig. Alberto Limonta ed il sig. Massimo Casalaro concordarono, in atto pubblico, la cessazione del rapporto di partecipazione che legava il secondo alla società Studio Immobiliare Limonta s.n.c. di Limonta. Alberto e Casalaro Massimo. Nel medesimo atto fu stabilito anche che al sig. Casalaro, dietro versamento di L. 5.000.000, sarebbe subentrata la sig.ra Giovanna Rigamonti, e la società fu contestualmente trasformata in accomandita semplice, assumendo la denominazione di Studio Immobiliare Limonta s.a.s. di Limonta Alberto e C..
Successivamente, il 12 dicembre 1988, detta società fatturò ed incassò da terzi la somma di L. 5.000.000 a titolo di compenso per l'opera prestata in occasione di una vendita immobiliare realizzatasi nel precedente mese di febbraio.
Ciò posto, il sig. Casalaro, con citazione notificata il 23 gennaio 1991, evocò in giudizio il sig. Limonta dinanzi al Pretore di Como e, dopo aver sottolineato come l'anzidetto compenso si riferisse ad attività svolta quando egli era ancora socio dello Studio Immobiliare Limonta, chiese che il convenuto fosse condannato a corrispondergli la quota di sua spettanza sul medesimo compenso, quantificata, al netto delle spese, in L. 2.367.880, oltre agli accessori.
Il sig. Limonta si difese eccependo che non di recesso dalla società, bensì di cessione della quota sociale si era nella specie trattato: di modo che l'attore, avendo a suo tempo ricevuto il corrispettivo della quota sociale ceduta alla sig.ra Rigamonti, nulla avrebbe potuto ulteriormente pretendere da esso convenuto. Il pretore, inquadrata la fattispecie in termini di recesso e ritenuto perciò applicabile il disposto dell'art. 2289 c.c., accolse la domanda. Ha il Tribunale di Como, investito dell'appello proposto dal sig. Limonta, con sentenza depositata il 1^ marzo 2000, riformò integralmente la decisione di primo grado.
Il tribunale, infatti, ritenne che l'atto trilaterale stipulato il 12 aprile 1988 dai sigg. Casalaro, Limonta e Rigamonti avesse un contenuto composito e che, essendo stato in esso espressamente stabilito che il sig. Casalaro avrebbe ceduto la propria quota alla sig.ra Rigamonti, ricevendo quale prezzo la somma di L. 5.0000.000, senza alcuna previsione di eventuali ulteriori crediti dal medesimo sig. Casalaro verso la società o verso i relativi soci, dovesse escludersi ogni possibile fondamento della pretesa da lui azionata in causa.
Avverso tale sentenza il sig. Casalaro ricorre per cassazione prospettando un unico, articolato motivo di doglianza. Il sig. Limonta non ha esplicato difese in questa sede. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112, 277, 339 e segg. c.p.c, 2285, 2289, 1362 e segg. c.c., nonché vizi di motivazione della sentenza impugnata.
Egli sostiene che la motivazione addotta dal tribunale a sostegno della propria decisione sarebbe contraddittoria, rispetto all'affermata premessa di voler condividere l'inquadramento giuridico della fattispecie operata dal primo giudice, ed esorbiterebbe dai limiti di quanto dedotto nell'atto d'appello, perché finirebbe col dare alla convenzione di cui si discute una qualifica diversa da quella che lo stesso appellante le aveva attribuito. Quella decisione, comunque, sarebbe mal motivata, difettando ogni indicazione circa i criteri ermeneutici seguiti e non potendosi in alcun modo desumere dalla mancata previsione espressa di crediti del socio uscente verso la società la conclusione che nulla al socio medesimo dovesse spettare in conseguenza delle verificatesi sopravvenienze attive.
2, La corte non può esimersi dal vagliare d'ufficio la sussistenza dei necessari requisiti di legittimazione passiva del sig. Limonta, rispetto alla domanda come prospettata in citazione e tuttora ribadita dal ricorrente nell'enunciazione delle proprie difese. È noto, infatti, che il difetto di legittimazione (da intendersi non come effettiva titolarità della situazione giuridica dedotta in lite, bensì come astratta riconducibilità alla parte dei diritti o degli obblighi derivanti dalla prospettazione insita nella domanda con riguardo al rapporto sostanziale di cui si controverte) può e deve essere rilevato, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, con il solo limite della formazione del giudicato interno su tale specifica questione (ex multis, Cass., 30 gennaio 2003, n. 1396; Cass., 30 luglio 2001, n. 10370; Cass., 9 luglio 2001, n. 9289). Ma è altresì noto che il formarsi del giudicato interno non è ipotizzatile se la questione non sia stata sollevata dalle parti e il giudice, con implicita statuizione positiva sulla stessa, si sia limitato a decidere nel merito, restando in tal caso la formazione del giudicato preclusa dall'impugnativa del capo della sentenza relativo al merito, giacché tale impugnazione impedisce la formazione del giudicato esplicito che di quello implicito costituisce il presupposto (cfr., tra le altre, Cass., 11 aprile 2002, n. 5141; Cass. 6 novembre 2001, n. 13695; e Cass., 12 giugno 2001, n. 7879).
3. Orbene, il presente giudizio - come già riferito in narrativa - è stato introdotto da un ex socio di una società in nome collettivo, nei confronti (non già della società, bensì) di altro socio in proprio, al fine di conseguire una parte di utili maturati a seguito di operazioni sociali svolte prima, che l'attore dismettesse la propria qualità di socio.
La pretesa appare, quindi, astrattamente riconducibile alla previsione dell'art. 2289 c.c. (applicabile alla società in nome collettivo per il richiamo operato dal successivo art. 2293), in forza della quale, in caso di liquidazione della quota del socio uscente, questi ha diritto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della sua quota, da calcolarsi in base al valore del patrimonio sociale al tempo dello scioglimento, nonché di partecipare agli utili inerenti alle operazioni in corso. Essa affonda perciò la sua radice causale nel rapporto di società ed ha ad oggetto la partecipazione ad un valore economico maturato a seguito di atti compiuti dalla società e, di conseguenza, pervenuto nel patrimonio sociale.
Ma una tal pretesa - fondata o meno che sia nel merito -, proprio per le sue sopra richiamate connotazioni causali ed oggettiva, può essere fatta valere unicamente nei confronti della società da cui il socio è fuoriuscito; ne' ovviamente rileva, a tal fine, che detta società abbia eventualmente mutato tipo o che altri soci siano entrati a farne parte. La prevalente e più recente giurisprudenza di questa corte - alla quale qui pienamente si aderisce - ha infatti chiaramente indicato che, essendo la società, anche ove abbia natura personale, pur sempre un soggetto di diritto, titolare di un patrimonio autonomo, è nei suoi confronti che devono essere promosse le azioni per la liquidazione della quota del socio uscente. Tali azioni, pertanto, non sono proponibili direttamente nei confronti dei singoli altri soci della medesima società, la cui responsabilità è solo sussidiaria, come per ogni debito sociale (cfr., in tal senso, Cass., sez. un., 26 aprile 2000, n. 291, Cass., 21 gennaio 2000, n. 642; Cass., 13 dicembre 1999, n. 13954; Cass., 11 febbraio 1998, n. 1403; e Cass., 10 giugno 1998, n. 5757). La medesima conclusione, naturalmente, vale anche nel caso di azione promossa dall'ex socio per conseguire la quota di partecipazione ad utili inerenti ad operazioni in corso alla data della cessazione dal singolo rapporto sociale, o che siano stati accertati dopo quella data ma siano riferibili ad operazioni precedenti.
Deriva da quanto sopra che il sig. Limonta, convenuto in giudizio a titolo personale e non in veste di legale rappresentante della società Studio Immobiliare Limonta s.n.c. (poi divenuta s.a.s.), è privo di legittimazione passiva in relazione al rapporto dedotto in lite.
4. L'impugnata sentenza del Tribunale di Como deve perciò essere cassata ad, in riforma della decisione emessa in primo grado dal locale pretore, deve esser dichiarata l'inammissibilità della domanda dall'attore per difetto di legittimazione passiva del soggetto nei cui confronti essa è stata proposta.
L'attore ed odierno ricorrente, di conseguenza, dovrà rimborsare alla controparte le spese dell'intero giudizio.
Le si liquida, quanto al primo grado, in Euro 508,00 (di cui 35,89 per esborsi e 173,52 per diritti), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, quanto al secondo grado, in Euro 1.153,00 (di cui 218,89 per esborsi e 496,83 per diritti), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e, quanto al giudizio di legittimità, in Euro 600,00 (di cui 500,00 per onorari e 100,00 per esborsi), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
La corte, pronunciando sul ricorso, così provvede:
1) cassa l'impugnata sentenza del Tribunale di Como;
2) in riforma della sentenza emessa in primo grado dal Pretore di Como, dichiara il convenuto sig. Alberto Limonta carente di legittimazione passiva rispetto alla domanda proposta dal sig. Massimo Casalaro;
3) condanna il sig. Casalaro a rimborsare, in favore del sig. Limonta, le spese dell'intero giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.261,00 (di cui Euro 508,00 per il primo grado, Euro 1.153,00 per l'appello ed Euro 600,00 per il giudizio di cassazione), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2003.
Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2004