Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6386 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 07 Luglio 2008, n. 18600. Est. Ceccherini.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Società e consorzi - Società con soci a responsabilità illimitata - Fallimento della società e dei soci - Società in nome collettivo - Scioglimento per il venir meno della pluralità dei soci - Qualità di socio del superstite - Persistenza sino all'estinzione della società - Conseguenze - Assoggettabilità a fallimento.



In tema di estensione del fallimento sociale al socio illimitatamente responsabile, lo scioglimento non comporta anche l'estinzione della società (nella specie in nome collettivo), che è determinata, invece, soltanto dalla effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti e dalla definizione di tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi per ragioni di dare e avere; ne consegue che, verificatosi lo scioglimento della predetta società per il venir meno, a causa della morte di uno dei due soci, della pluralità (non ricostituita) degli stessi, il socio superstite conserva tale qualità ed è, pertanto, assoggettabile a fallimento unitamente alla società. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOSAVIO Giovanni - Presidente -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. CECCHERINI Aldo - rel. Consigliere -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. GENOVESE Francesco Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CAIAZZO VITTORIO, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA REGINA MARGHERITA 27, presso l'avvocato NAZZARENO miele, rappresentato e difeso dall'avvocato SENESE FRANCESCO, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO ARCANGELO CAIAZZO S.N.C., BANCA POPOLARE DI ANCONA S.P.A., PUNZO DOMENICO, MIRONE VINCENZO, M.S. S.P.A.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 2124/03 della Corte d'Appello di NAPOLI, depositata il 24/06/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/05/2008 dal Consigliere Dott. Aldo CECCHERINI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 12 giugno 1996, il Tribunale di Napoli dichiarò il fallimento della s.n.c. Arcangelo Caiazzo e dei soci illimitatamente responsabili Antonio e Vittorio Caiazzo. Quest'ultimo propose opposizione, deducendo che nel procedimento dichiarativo di fallimento era stato omesso l'ordine di comparizione per i soci illimitatamente responsabili, e che, in particolare, non gli era stato notificato alcun atto del procedimento nel suo domicilio in Afragola, via Quasimodo n. 2. L'opponente denunciò inoltre l'inammissibilità della dichiarazione di fallimento a norma dell'art. 2323 c.c. a seguito del decesso d'Antonio Chiazzo, deducendo che egli non aveva successivamente svolto alcuna attività imprenditoriale, e che la società s'era sciolta. Nel contraddittorio con i creditori Domenico Punzo e Banca Popolare di Napoli, il Tribunale, con sentenza in data 10 febbraio 2000, rigettò l'opposizione. L'opponente propose: appello, assumendo che dalla sentenza non si desumeva la ritualità della notifica del ricorso e del decreto di convocazione nei confronti d'Antonio Caiazzo, amministratore unico, deceduto il 22 febbraio 1995, e che la notifica del ricorso ad istanza di Domenico Punzo, avvenuta il 2 maggio 1995 alla via Rossigni, era nulla, perché egli non aveva la residenza in quel luogo. Anche le notifiche degli atti ad Caiazzo Antonio, eseguite per compiuta giacenza nei confronti dei figli, senza accertamento dell'accettazione dell'eredità da parte di questi, e senza osservanza delle formalità di cui alla L. n. 890 del 1992, art. 8 erano nulle. Nel merito, l'opposizione doveva essere accolta, stante lo scioglimento del rapporto sociale a seguito del decesso d'Antonio Caiazzo, in mancanza d'atti d'amministrazione da lui compiuti, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 319 del 2000.
Con sentenza 24 giugno 2003, la Corte d'appello di Napoli respinse il gravame. La corte ritenne inammissibile il primo motivo d'appello, nella parte in cui assumeva l'irritualità della notifica degli atti ad Antonio Caiazzo sulla base di circostanze (omesso accertamento dell'accettazione dell'eredità da parte dei notificatari, e omesso adempimento delle formalità di cui alla L. n. 890 del 1992) diverse da quelle fatte valere in primo grado. Valida era invece la notifica eseguita il 15 gennaio 1996 presso la residenza di Chiazzo Vittorio a mani di persona qualificatasi come nuora convivente, non avendo il notificatario provato una diversa residenza al momento della notifica ne' la presenza occasionale o momentanea del parente nel luogo d'effettuazione della consegna. Nel merito, la morte del socio non aveva determinato lo scioglimento della società, sebbene costituita da due soli soci, e neppure la formale liquidazione della stessa, dovendo a tal fine il socio superstite procedere egli stesso alla liquidazione della quota spettante agli eredi dell'altro socio, salve le eccezioni previste dall'art. 2284 c.c.. Conseguentemente, la L. Fall., art. 10, applicabile all'imprenditore individuale, non poteva applicarsi alla fattispecie, nella quale l'appellante non aveva assunto ne' provato d'aver provveduto agli incombenti relativi allo scioglimento della società per proseguire individualmente l'impresa, e non essendo pertinente il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 319 del 2000.
Per la cassazione della sentenza, non notificata, ricorre il signor Vittorio Caiazzo, con atto notificato il 16 aprile 2004, articolato in due mezzi d'impugnazione.
Gli intimati non hanno svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunziano la violazione degli artt. 101 e 112 c.p.c. e L. n. 890 del 1992, art. 8 e vizi di motivazione della sentenza impugnata; si deduce che la corte territoriale non poteva sottrarsi - con l'argomento della novità delle questioni - all'esame nel merito dei suoi motivi d'appello, vertenti sulla nullità della notifica del ricorso agli eredi del socio defunto, e doveva accertare la fondatezza della denunciata violazione del diritto di difesa nel procedimento in cui il tribunale aveva dichiarato il fallimento della società senza la prova dell'avvenuta convocazione del suo legale rappresentante, notificata a mezzo posta senza che il plico postale presentasse i requisiti descritti nella L. n. 890 del 1992, art. 7.
Il mezzo denuncia l'illegittimità del rifiuto della corte territoriale, di esaminare nel merito un vizio di legittimità della sentenza dichiarativa di fallimento, diverso dalle ragioni indicate nell'atto d'opposizione al fallimento. Esso è infondato. Occorre premettere che nel giudizio d'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, instaurato da un socio illimitatamente responsabile dichiarato fallito per estensione, la partecipazione del legale rappresentante della società in bonis non è richiesta per l'integrità del contraddittorio, essendo la società rappresentata dal curatore fallimentare. Quanto alla nullità della sentenza dichiarativa del fallimento, per la mancata audizione del debitore in camera di consiglio (secondo la L. Fall., art. 15, quale vigente a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 1970), essa può essere rilevata, anche d'ufficio, soltanto nella fase di primo grado del giudizio d'opposizione alla sentenza stessa, poiché nelle ulteriori fasi del giudizio trova applicazione il principio della conversione dei motivi di nullità in motivi d'impugnazione (Cass. 18 gennaio 2008 n. 970). L'officiosità del giudizio, infatti, non implica una deroga ai principi fissati per l'appello dall'art. 342 cod. proc. civ.. Pertanto, mentre in primo grado il giudizio non resta vincolato dagli eventuali motivi, in sede di gravame avverso la pronuncia del tribunale, esso non subisce deroghe il principio secondo cui l'ambito del giudizio, con la conseguente cristallizzazione del thema decidendum, su cui il giudice di secondo grado è chiamato a pronunziarsi, è determinato dalle questioni effettivamente devolute con gli specifici motivi d'impugnazione,, oltre a quelle, rilevabili d'ufficio, che delle stesse costituisca l'antecedente logico ed in ordine alle quali non sia intervenuta pronuncia in prime cure (Cass. 11 giugno 2004 n. 11079). Ne discende che in appello, ne' possono essere dedotti come motivi di gravame vizi della sentenza dichiarativa di fallimento diversi da quelli denunciati in primo grado, ne' possono tali vizi essere rilevati d'ufficio.
Con il secondo motivo di ricorso si denunziano la violazione della L. Fall., artt. 10, 11 e 147. Premesso che l'attività d'impresa era cessata il 22 febbraio 1995 con la morte del socio Caiazzo Antonio, e che da allora al ricorrente era preclusa ogni attività diversa da quelle previste nell'art. 2272 c.c., n. 4 e art. 2284 c.c., si deduce che la corte territoriale non poteva confermare la legittimità dell'estensione della dichiarazione di fallimento al socio illimitatamente responsabile perché, essendo passato più di un anno dal momento in cui la responsabilità illimitata era cessata, egli aveva perso la qualità di socio. S'invoca, a questo riguardo, la sentenza n. 319 del 2000 della corte costituzionale. Il mezzo è infondato. Come questa corte ha ripetutamente avuto occasione di affermare (di recente, anche con riferimento ad una fattispecie concreta che presenta analogia con la fattispecie di causa: Cass. 8 luglio 2004 n. 12553), lo scioglimento non comporta anche l'estinzione della società, che (nel regime anteriore alla Novella n. 6/2003) è determinata, invece, soltanto dall'effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti facenti capo alla società, e dalla definizione di tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi per ragioni di dare e avere. Ne consegue che, verificai-tosi lo scioglimento di una società in nome collettivo per il venir meno, a causa della morte di uno dei due soci, della pluralità (non ricostituita) degli stessi, il socio superstite conserva tale qualità, ed è, pertanto, assoggettabile a fallimento unitamente alla società, il ricorso, postulando uno scioglimento del rapporto sociale dell'odierno ricorrente, del quale non sono indicati validi presupposti, prospetta senza fondamento l'intervenuta estinzione della società, laddove v'è stato soltanto passaggio della disciolta società alla fase della liquidazione. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
In mancanza di difese svolte dalle parti intimate, non v'è luogo a pronuncia sulle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, della Corte suprema di cassazione, il 16 maggio 2008. Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2008