Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6390 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione Sez. Un. Civili, 26 Luglio 2002, n. 11104. Est. Criscuolo.


Impugnazioni civili - Cassazione (ricorso per) - Provvedimenti dei giudici ordinari (impugnabilità) - In genere - Società di persone - Liquidatori - Nomina - Decreto del presidente del tribunale - Atto di volontaria giurisdizione - Natura decisoria - Esclusione - Anche in caso di disaccordo tra i soci sulla sussistenza della causa di scioglimento - Conseguenze - Ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 Cost. - Ammissibilità - Esclusione.

Società - Di persone fisiche - Società semplice - Scioglimento - Liquidazione - Liquidatori - Nomina - Società di persone - Nomina del liquidatore - Decreto del presidente del tribunale - Atto di volontaria giurisdizione - Natura decisoria - Esclusione - Anche in caso di disaccordo tra i soci sulla sussistenza della causa di scioglimento - Conseguenze - Ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 Cost. - Ammissibilità - Esclusione.



Il decreto con il quale il presidente del tribunale abbia provveduto alla nomina dei liquidatori di una società di persone ai sensi dell'art. 2275 cod. civ., non è suscettibile di ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione che non assume carattere decisorio neanche quando sussista contrasto sulla causa di scioglimento ed il presidente si sia pronunciato sul punto, in quanto il detto presidente, dopo un'indagine sommaria e condotta "incidenter tantum", può nominare i liquidatori sul presupposto che la società si sia sciolta, ma non accerta in via definitiva ne' l'intervenuto scioglimento ne' le cause che lo avrebbero prodotto, tanto che ciascun interessato, purché legittimato all'azione, può promuovere un giudizio ordinario su dette questioni e, qualora resti provata l'insussistenza della causa di scioglimento, può ottenere la rimozione del decreto e dei suoi effetti. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIUSEPPE IANNIRUBERTO - Primo Presidente f.f. -
Dott. ALFIO FINOCCHIARO - Presidente di sezione -
Dott. GIOVANNI PAOLINI - Consigliere -
Dott. ALESSANDRO CRISCUOLO - rel. Consigliere -
Dott. VINCENZO PROTO - Consigliere -
Dott. GIANDONATO NAPOLETANO - Consigliere -
Dott. ENRICO ALTIERI - Consigliere -
Dott. MARIO ROSARIO MORELLI - Consigliere -
Dott. STEFANOMARIA EVANGELISTA - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
GALANTE DONATO, GALANTE CELSO, GALANTE CARLETTO, NELLA LORO QUALITÀ DI SOCI DELLA "GALANTE GIACOMO DI GALANTE CELSO, GALANTE MARIA TERESA & C. S.N.C, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEI QUIRITI 3, presso lo studio dell'avvocato FABRIZIO PROIETTI, rappresentati e difesi dall'avvocato PENSINI EUGENIO, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
GALANTE MARIA TERESA, elettivamente domiciliata in VIA LAZIO 20/C, presso lo studio dell'avvocato COGGIATTI CLAUDIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIAMMARCO ENRICO, giusta delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
nonché contro
PIZZINI PATRIZIA;
- intimata -
avverso l'ordinanza del Tribunale di TRENTO, n. R.G. 1102/1998, depositata il 18/06/98;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/04/02 dal Consigliere Dott. Alessandro CRISCUOLO;
udito l'Avvocato Claudio COGGIATTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio MARTONE che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. Svolgimento del processo
Maria Teresa Galante (socia, con una quota del 50%, della "Galante Giacomo di Galante Celso, Galafite Maria Teresa & C., s.n.c.") con un primo ricorso ex art. 2275 cod. civ. datato 8 gennaio 1998 chiese al presidente del Tribunale di Trento di nominare il liquidatore della indicata società, con sede in Condino di Trento alla via Sassolo n. 2, adducendo la pacifica esistenza di una causa di scioglimento e l'impossibilità di provvedere alla nomina del liquidatore stesso. All'istanza si opposero gli altri soci Donato, Celso e Carletto Galante (soci della medesima società, con quote del 16,6% ciascuno), contestando la sussistenza di una causa di scioglimento e ravvisando nel comportamento della ricorrente la ragione dello stato di difficoltà in cui l'organismo sociale versava.
Il presidente adito, con decreto del 26 febbraio 1998, ritenuto che gli altri soci negavano l'esistenza di una causa di scioglimento in un quadro non definibile prima facie come immotivato o pretestuoso, rigettò la detta istanza.
Con altro ricorso del 20 maggio 1998 Maria Teresa Galante chiese di nuovo la nomina del liquidatore, adducendo l'esistenza di ulteriori elementi idonei a documentare la causa di scioglimento della società.
Donato, Celso e Carletto Galante, costituendosi con memoria difensiva dell'8 giugno 1998, ribadirono l'opposizione all'istanza, affermando che non sussistevano i presupposti per l'intervento surrogatorio di cui all'art. 2275 cod. civile.
Il presidente del Tribunale di Trento, con decreto depositato il 18 giugno 1998 - "preso atto che le circostanze dedotte nel ricorso (e non contestate nella loro sussistenza dalle controparti, le cui argomentazioni si incentrano sulla responsabilità per tale situazione e sulla sua addebitabilità) individuano una realtà che 'fotografà la fattispecie di cui all'art. 2272 n. 2 cod. civ.(e il totale equilibrio degli interessi contrapposti è garanzia di sicura paralisi della società") - nominò liquidatore la dott. Antonella Andreatta e poi, non avendo quest'ultima accettato l'incarico, la dott. Patrizia Pizzini.
Contro il suddetto decreto Donato, Celso e Carletto Galante, nella loro qualità di soci della "Galante Giacomo di Galante Celso, Galante Maria Teresa & C., s.n.c.", hanno proposto ricorso per cassazione, adducendo che, essendo contestata la sussistenza di una causa di scioglimento della società, il provvedimento del presidente del Tribunale di Trento assumeva contenuto sostanziale di sentenza e dunque era suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 della Costituzione.
Hanno quindi addotto:
1) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2275 cod. civ. in combinato disposto con l'art. 2272. n. 2, cod. civile. Nel caso in esame il conseguimento dell'oggetto sociale non sarebbe affatto divenuto impossibile ne' si sarebbe verificata altra causa di scioglimento della società. come si evincerebbe dalla ricostruzione della vicenda (esposta in ricorso), secondo cui la Galante di fatto avrebbe assunto l'amministrazione della società, escludendo gli altri soci dalla vita sociale e poi decidendo arbitrariamente di "chiudere" l'attività. Pertanto il decreto impugnato sarebbe illegittimo, perché l'intervento surrogatorio del presidente del Tribunale sarebbe invocabile soltanto qualora vi sia contrasto tra i soci sulla scelta dei liquidatori e non quando vi siano contestazioni o dissensi in merito al verificarsi di una causa di scioglimento della società;
2) violazione di legge, ex art 360 n. 5 c.p.c., per omessa motivazione del provvedimento impugnato. Maria Teresa Galante ha resistito con controricorso, illustrato con memoria. L'altra intimata, dott. Patrizia Pizzini, non ha svolto attività difensiva. La causa è stata assegnata alla prima sezione civile di questa Corte. La sezione, con ordinanza depositata il 28 settembre 2000, ha rilevato che nella giurisprudenza di legittimità sussiste un contrasto sulla questione concernente l'ammissibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. avverso i provvedimenti pronunziati sulla richiesta di nomina di un liquidatore di società, quando sia controversa la ricorrenza dei presupposti della liquidazione. Pertanto, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite allo scopo di comporre il contrasto.
A tanto si è provveduto e la causa è stata quindi chiamata alla udienza di discussione.
Motivi della decisione
Con il ricorso per cassazione (ex art. 111 Cost.) è impugnato un decreto del presidente del Tribunale di Trento che, su istanza della socia di una società in nome collettivo (titolare di una partecipazione pari al 50% delle quote) ha nominato un liquidatore, ravvisando la causa di scioglimento della società di cui all'art. 2272 n. 2 cod. civile (paralisi della società e quindi impossibilità di conseguimento dell'oggetto sociale). Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Sulla questione concernente l'ammissibilità del ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., contro i provvedimenti pronunziati sull'istanza di nomina di un liquidatore di società, quando sia controversa la ricorrenza dei presupposti della liquidazione, realmente sussiste un contrasto di orientamenti, manifestandosi peraltro in linea di massima con riguardo alla normativa sulle società di capitali.
Secondo un primo indirizzo - che, allo stato attuale, è il più seguito - il decreto con il quale il presidente del Tribunale provvede alla nomina dei liquidatori di una società di capitali (art. 2450, comma terzo, in relazione all'art. 2448 cod. civ.) ha natura di provvedimento di volontaria giurisdizione, il cui corretto esercizio è configurabile soltanto in una situazione di già accertata, o non contestata, sussistenza di una causa di scioglimento della società. In difetto di tali presupposti esso assume automaticamente la funzione di risolvere la controversia insorta sulla sussistenza di una causa di scioglimento della società, acquistando natura sostanziale di sentenza, in quanto incide su diritti soggettivi dei soci e della stessa società, con carattere definitivo trattandosi di provvedimento non impugnabile con i mezzi ordinari (Cass., 19 settembre 2000, n. 12391; 13 giugno 2000, n. 8030; 25 giugno 1999, n. 6577; 14 gennaio 1999, n. 336; 26 giugno 1998, n. 6308; 12 giugno 1998, n. 5885; 19 maggio 1998, n. 4976; 1^ settembre 1997, n. 8303; 24 ottobre 1996, n. 9267; 10 aprile 1995, n. 4137; 10 novembre 1993, n. 11109; 21 luglio 1993, n. 8147; 19 gennaio 1987, n. 403).
Un secondo indirizzo, pur presente nella giurisprudenza di questa Corte, giunge invece a diverse conclusioni.
Invero, si è affermato che il decreto con il quale il presidente del tribunale provveda alla nomina dei liquidatori di una società, a norma dell'art. 2450, terzo comma, cod. civ., per impossibilità di funzionamento dell'assemblea non è suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione, che non assume carattere decisorio neanche allorché vi sia contrasto sulla sussistenza della causa di scioglimento della società, in quanto il presidente, dopo un'indagine sommaria, può nominare i liquidatori sul presupposto che la società si sia sciolta, ma non accerta ne' l'intervenuto scioglimento ne' le cause che lo avrebbero prodotto, tanto che ciascuno degli interessati potrà promuovere un giudizio ordinario su dette questioni e, ove sia provata l'insussistenza di una causa di scioglimento, ottenere la rimozione degli effetti del decreto (Cass., 21 novembre 1998, n. 11798; 2 dicembre 1996, n. 10718; s.u., 10 febbraio 1987, n. 1392, resa in tema di regolamento preventivo di giurisdizione).
Questa Corte, con tre sentenze emesse nella stessa data della presente pronunzia, confermando (a composizione del contrasto) il secondo degli orientamenti ora richiamati ha affermato il seguente principio:
Il decreto con il quale il presidente del tribunale abbia provveduto alla nomina dei liquidatori di una società non è suscettibile di ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 della Costituzione, trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione che non assume carattere decisorio neanche quando sussista contrasto sulla causa di scioglimento ed il presidente si sia pronunciato sul punto, in quanto il detto presidente, dopo un'indagine sommaria e condotta incidenter tantum, può nominare i liquidatori sul presupposto che la società si sia sciolta, ma non accerta in via definitiva ne' l'intervenuto scioglimento ne' le cause che lo avrebbero prodotto, tanto che ciascun interessato può promuovere un giudizio ordinario su dette questioni e, qualora resti provata l'insussistenza di una causa di scioglimento, può ottenere la rimozione del decreto e dei suoi effetti.
Il principio, come si è detto, è stato enunciato con riguardo alle società di capitali. Si deve tuttavia osservare che questa Corte, con sentenza 13 giugno 2000 n. 8024, pronunciando in una fattispecie relativa ad una società di fatto ha prestato adesione al primo degli orientamenti sopra menzionati, affermando che il decreto col quale il presidente del tribunale provvede alla nomina dei liquidatori di una società ha natura di provvedimento di volontaria giurisdizione, ed è privo di contenuto decisorio, soltanto qualora risulti pacifica la sussistenza della causa di scioglimento (onde non può formare oggetto di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.); quando, invece, tale estremo non sussista il provvedimento camerale de quo ha natura sostanziale di sentenza e quindi è impugnabile col detto ricorso per cassazione, perché incide su posizioni di diritto soggettivo ed ha carattere definitivo.
Si rende dunque necessario esaminare la questione anche con riferimento alle società di persone, alla luce della normativa per queste applicabile e, in particolare, dell'art. 2275 cod. civile. In base al disposto del primo comma di tale norma, una volta verificatasi una causa di scioglimento (artt. 2272, 2308, 2323 cod. civ.), se il contratto non prevede il modo di liquidare il patrimonio sociale e i soci non sono d'accordo nel determinarlo, la liquidazione è fatta da uno o più liquidatori, nominati con il consenso di tutti i soci o, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale. Come si evince dal dettato normativo il presupposto per l'esercizio dell'intervento (sostitutivo o surrogatorio) del presidente del tribunale è che non si raggiunga il consenso di tutti i soci per la nomina di uno o più liquidatori.
Peraltro i soci, pur dopo la pronuncia del decreto presidenziale, non perdono la disponibilità della liquidazione perché, ai sensi dell'art. 2275 (comma 2) cod. civ., possono revocare purché vi sia l'accordo di tutti - i liquidatori nominati dal giudice. Fermo il punto che, anche nelle società di persone, le cause di scioglimento operano di diritto, non può dubitarsi che il decreto di nomina del liquidatore, previsto dall'art. 2275 cod. civ., sia privo di efficacia costitutiva sullo stato di liquidazione e rientri nel novero dei provvedimenti di volontaria giurisdizione. In tale categoria, infatti, è ricondotto l'analogo provvedimento previsto in tema di società di capitali (art. 2450, comma 3^, cod. civ.) e non è ravvisabile alcuna ragione che possa giustificare una diversa qualificazione giuridica per i due atti.
La ratio del potere attribuito al presidente del tribunale è da ricercare (come nelle società di capitali) nell'esigenza di assicurare che, in una fase delicata della vita della società, ed in presenza di disaccordi tra i soci, l'ente sociale non rimanga privo per un periodo indeterminato degli organi deputati a gestire la fase successiva allo scioglimento (artt. 2274 e ss. cod. civ.). Tale potere, come altri previsti in materia di società commerciali (art. 2367, comma 2% art. 2417, comma 1^, cod. civ.), è dunque attribuito in presenza di una situazione che richiede, nell'interesse al normale funzionamento delle suddette società, una disciplina immediata dei rapporti che ne derivano, attraverso l'adozione di provvedimenti sostitutivi della volontà dei soci.
Ma, se la ragione della previsione normativa è quella ora individuata (e il quadro normativo non sembra consentire opzioni ermeneutiche diverse), il decreto presidenziale che nomina i liquidatori in sostituzione del (non raggiunto) consenso di tutti i soci non può conseguire una finalità del tutto estranea a quella in funzione della quale il potere (suppletivo) di emetterlo è attribuito dalla legge. In particolare, non può conseguire il fine di accertare con efficacia di giudicato l'esistenza di una causa di scioglimento. Il decreto in questione, infatti, resta comunque un atto di volontaria giurisdizione, in relazione al quale la norma non prevede neppure che si debba instaurare un contraddittorio. È vero che il decreto di nomina presuppone che il presidente del tribunale ravvisi, sulla base di quanto addotto nell'istanza, l'esistenza di una causa di scioglimento. Tuttavia si tratta pur sempre di un provvedimento di "gestione di interessi", a carattere sommario e semplificato, nel quale l'indagine del giudice sulla causa di scioglimento è condotta soltanto in via incidentale, avvalendosi (ove ritenga) delle informazioni assunte ai sensi dell'art. 738 terzo comma cod. proc. civ., al solo fine di pervenire alla nomina e non già per compiere un accertamento con carattere definitivo sull'esistenza della causa medesima o per definire una lite che sia insorta (o che insorga) al riguardo.
Quanto sopra, quindi, vale anche in presenza di contestazioni circa l'avvenuto scioglimento della società ed anche se il presidente del tribunale abbia emesso una pronunzia sul punto. Le prime e la seconda, invero, essendo finalizzate esclusivamente alla nomina del liquidatore non sono idonee a modificare la natura (sommaria ed incidentale) dell'accertamento e il carattere (non decisorio) del decreto, che rimane diretto a realizzare la detta finalità, altrimenti impedita dall'impossibilità di raggiungere un accordo tra i soci.
Nè si potrebbe pervenire a diverse conclusioni traendo argomento dal carattere non reclamabile del decreto. È vero, infatti, che nel senso della irreclamablità questa Corte si è già espressa, con riguardo alle società di capitali (Cass., n. 403 del 1987, in motivazione: la questione, peraltro, si pone in termini analoghi anche per le società di persone). Non è però da condividere la conseguenza da tale principio desunta, secondo cui "è precluso all'interprete, per coerenza con la ratio del sistema, sostenere, una volta escluso il reclamo, che all'interessato competa la facoltà di proporre la stessa questione, strepitu ac figura iudicii, mediante l'esperimento dell'azione civile ordinaria". Al contrario, proprio alla luce della ratio sopra identificata e della finalità del provvedimento di nomina prima illustrata, deve ritenersi intrinseco al sistema il diritto, spettante a ciascun interessato, di promuovere, nelle forme e con le garanzie proprie del processo di cognizione, un giudizio volto ad accertare l'insussistenza della causa di scioglimento e ad ottenere quindi la rimozione del decreto di nomina del liquidatore (con eventuale adozione in via di urgenza, nel corso del processo, delle misure cautelari che si rendessero necessarie).
Una preclusione al riguardo certamente non potrebbe nascere dal decreto presidenziale di nomina, le cui caratteristiche non decisorie sono state già rimarcate. E nemmeno potrebbe essere desunta da eventuali affermazioni circa la sussistenza di una causa di scioglimento, contenute nel medesimo decreto, attesa la natura meramente incidentale della relativa pronunzia.
D'altro canto, se in caso di contestazionì si attribuisse natura decisoria al decreto di nomina, la tutela dei controinteressati si esaurirebbe nell'esperibilità del ricorso per cassazione per violazione di legge (al cui mancato riscontro seguirebbe il rigetto del ricorso). E l'effetto preclusivo della cosa giudicata verrebbe a realizzarsi in esito ad un procedimento (sommario e semplificato) svolto davanti al presidente del tribunale, in assenza delle forme, delle garanzie e dei mezzi d'impugnazione propri del processo di cognizione ordinaria, sulla base di accertamenti sommari e senza un'indagine istruttoria vera e propria. Il che condurrebbe ad una interpretazione del sistema destinata a sollevare seri dubbi di legittimità con riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione. E tale rilievo contribuisce ad orientare l'opzione ermeneutica sul secondo degli indirizzi sopra richiamati. Conclusivamente, va affermato che il decreto con il quale il presidente del tribunale abbia provveduto alla nomina dei liquidatori di una società - ai sensi dell'art. 2275 cod. civ. - non è suscettibile di ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 della Costituzione, trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione che non assume carattere decisorio neanche quando sussista contrasto sulla causa di scioglimento ed il presidente si sia pronunciato sul punto, in quanto il detto presidente, dopo un'indagine sommaria e condotta incidenter tantum, può nominare i liquidatori sul presupposto che la società si sia sciolta, ma non accerta in via definitiva ne' l'intervenuto scioglimento ne' le cause che lo avrebbero prodotto, tanto che ciascun interessato (purché legittimato all'azione) può promuovere un giudizio ordinario su dette questioni, e, qualora resti provata l'insussistenza della causa di scioglimento, può ottenere la rimozione del decreto e dei suoi effetti. Sulla base del principio ora enunciato, il ricorso per cassazione come in narrativa proposto deve essere dichiarato inammissibile. Ricorrono giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte suprema di cassazione, pronunziando a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 5 aprile 2002. Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2002