Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6415 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. V, tributaria, 20 Marzo 2006, n. 6196. Est. Napoletano.


Tributi erariali diretti - Accertamento delle imposte sui redditi (tributi posteriori alla riforma del 1972) - Accertamenti e controlli - Rettifica delle dichiarazioni - Liquidazione della quota del socio di società di persone acquisita dagli eredi ai sensi degli artt. 2284 e 2289 cod. civ. - Tassabilità con reddito diverso, ex art. 80 del d.P.R. n. 597 del 1973 - Limiti - Condizioni - Fattispecie.



In tema di accertamento delle imposte dirette e nella ipotesi di liquidazione della quota del socio di società di persone acquisita dagli eredi ai sensi degli artt. 2284 e 2289 cod. civ., il valore del diritto alla liquidazione della quota del defunto può essere sottoposto ad imposta diretta solo se risulti maggiore del valore effettivo della quota sociale conferita dal "de cuius" e nella sola misura del relativo incremento, in quanto esclusivamente tale eccedenza costituisce reddito riconducibile nella categoria residuale di cui all'art. 80 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (applicabile "ratione temporis"), secondo cui "alla formazione del reddito complessivo per il periodo d'imposta e nella misura in cui è stato percepito, concorre ogni altro reddito diverso da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del presente decreto". (Nella specie, risultando accertato che il valore indicato nella denuncia di successione corrispondeva al valore capitale della partecipazione alla società già del "de cuius" ed era coincidente con il valore della liquidazione della quota del defunto acquisito dagli eredi ai sensi degli artt. 2284 e 2289 cod. civ., la S.C. ha ritenuto che non si fosse verificato alcun incremento tra il valore effettivo della quota di partecipazione del "de cuius" e quello risultante dalla liquidazione della relativa quota a seguito dello scioglimento del rapporto sociale e dichiarata in sede di successione ed ha quindi confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la riconducibilità di tale ultimo valore, sia pure nei limiti della differenza tra valore della quota conferita al socio e valore liquidato agli eredi, nella categoria dei redditi diversi di cui all'art. 80 del d.P.R. n. 597 del 1973). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLINI Giovanni - Presidente -
Dott. RUGGIERO Francesco - Consigliere -
Dott. BURSESE Gaetano Antonio - Consigliere -
Dott. ZANICHELLI Vittorio - Consigliere -
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLE FINANZE, in persona del Ministro p.t., e UFFICIO DELLE IMPOSTE DIRETTE DI BASSANO DEL GRAPPA, in persona del legale rapp.te p.t. rapp.ti e difesi, ope legis dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale elett.te domiciliano in Roma alla Via dei Portoghesi, 12;
- ricorrenti -
contro
FONTANA SILVANO;
- intimato -
avverso la sentenza della C.T.R. del Veneto (Venezia) n. 109/05/1999 pubblicata il 31/05/1999;
Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 15/02/2006 dal Consigliere Dott. Giuseppe Napoletano;
Udito l'Avvocato dello Stato Fiorentino;
Sentito il pubblico Ministero nella persona del sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Fontana Silvano impugnava, dinanzi alla C.T.P. di Venezia, l'avviso di accertamento con il quale venivano accertati, ai fini I.R.P.E.F. ed I.L.O.R., redditi diversi in relazione alla liquidazione pro quota della partecipazione societaria del suo dante causa Fontana Baldassarre in riferimento al valore eccedente il valore patrimoniale della quota orginariamente conferita dal de cuius.
L'adita C.T.P. accoglieva il ricorso sul rilievo che la quota liquidata al contribuente faceva parte del patrimonio ereditario e non poteva essere assoggettata a tassazione essendo stata assolta l'imposta di successione.
La C.T.R. del Veneto, con sentenza n. 109/05/1999 depositata il 31/05/1999, confermava la sentenza di primo grado evidenziando che correttamente parte contribuente aveva indicato nella denuncia di successione il valore capitale della partecipazione alla società del de cuius con la conseguenza che la liquidazione della quota non poteva in alcun modo costituire espressione di capacità reddituale dell'erede ma solo cessione di elementi patrimoniali. Con atto notificato in data 13/07/2000 il Ministero delle Finanze ha proposto ricorso per Cassazione sostenuto da un unico motivo. Nessuno si è costituito per la controparte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unica censura parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 80, artt. 2284 e 2289 c.c., del loro combinato nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi. Al riguardo, il Ministero delle Finanze, premesso che costituendo circostanza pacifica il non subentro, per norma statutaria, degli eredi nella società e trattandosi di società di persone costituita da soli due soggetti, la morte di un socio determina lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio ex art. 2284 c.c. e non anche lo scioglimento della società il quale conseguirà solo nei termini di cui all'art. 2272 c.c., n. 4, rileva che la morte del socio determina per la società la nascita di un debito cui corrisponde specularmene in capo agli eredi un diritto di credito costituito dalla liquidazione della quota societaria, nel senso che gli eredi non acquistano la titolarità della quota sociale che apparteneva al dante causa, ne' acquistano un diritto relativo alla quota, ma soltanto il diritto alla liquidazione della stessa che costituisce un diritto di credito calcolato con i criteri di cui all'art. 2289 c.c., ed è questo diritto che cade in successione ed è questo diritto che deve essere indicato nella denuncia in quanto trattasi di diritto di credito che gli eredi sono legittimamente tenuti a denunciare ai fini della successione. Non sono quindi condivisibili, assume il ricorrente, le argomentazioni contenute in sentenza ed in particolare l'affermazione secondo cui vi sarebbe "la mancanza del presupposto per l'imposizione fiscale, in quanto nella denuncia di successione è stato correttamente indicato il valore capitale della partecipazione alla società già del de cuius e venduto il cespite allo stesso prezzo denunciato". Infatti, osservalo il ricorrente, se per patrimonio s'intendono le attività già tassate o intassabili ai fini dell'imposizione sui redditi, è evidente che nel caso di specie si è di fronte ad un'attività che non riveste ancora carattere patrimoniale e che era in attesa d'imposizione diretta in capo al de cuius. Il carattere reddituale della somma, pertanto, deriva dalla sua origine a prescindere dalla successione e sottrarla all'imposizione diretta significherebbe un salto d'imposta incompatibile con la neutralità che presenta il fenomeno successorio rispetto all'imposizione fiscale diretta. L'alternatività tra tributo successorio e imposta sui redditi opera, difatti, esclusivamente quando cadono in successione attività già tassate od intassabili ai fini della imposizione sui redditi. La seconda affermazione dei Giudici di appello, sostiene, infine, il ricorrente è frutto di una elaborazione argomentativa priva di agganci con la fattispecie concreta esaminata in relazione al concetto di liquidazione di quota ritenuta vendita di un cespite e non costituente espressione di capacità reddituale dell'erede, ma solo cessione di elementi partrimoniali. È di tutta evidenza, sottolineano il ricorrenti, che nello specifico non risulta venduto alcun cespite e l'importo indicato in denuncia di successione, corrispondente all'importo conseguito dagli eredi e liquidato dalla società quale quota del de cuis, non costituisce reddito escluso da tassazione ai fini delle imposte dirette solo perché inserito nella dichiarazione di successione. La stessa RM 9/318 del 12/06/1978 Dir. Gen. Imposte, conclude il ricorrente ben specifica in relazione alla tassazione ai fini I.R.P.E.F. ed I.L.O.R. in capo agli eredi della parte di liquidazione eccedente il valore patrimoniale delle quote originariamente conferite dal socio eccedenza che costituisce reddito riconducibile nella categoria residuale prevista dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 80.
Il ricorso è infondato.
Invero, la morte del socio di una società semplice determina lo scioglimento del rapporto sociale tra tale socio e la società e fa sorgere, in capo ai soci superstiti, l'obbligo di liquidare la quota gli eredi (art. 2284 c.c.). Gli eredi - sempre che i soci superstiti non decidano lo scioglimento anticipato della società o di continuare con essi la società - hanno diritto ad una somma "di danaro" pari al valore della quota, che deve essere loro corrisposta entro il termine di sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento (art. 12289 c.c.). Quest'ultima disposizione precisa, nel secondo comma, che la liquidazione della quota "è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento" del rapporto e, quindi, attribuendo ai beni il loro valore effettivo e tenendo conto, altresì, dal valore di avviamento, oltre che degli utili e delle perdite sulle operazioni in corso.
Tale principio, come precisato anche da Cass. 993/2000, non ha peraltro natura cogente e può quindi essere derogato dalle parti, prevedendo, ad esempio, che la liquidazione sia effettuata in base all'ultimo bilancio di esercizio approvato e, quindi, sulla base di criteri prudenziali (art. 2423 bis c.c.) che non riflettono il valore reale del patrimonio sociale, e possono quindi portare ad una sottovalutazione della quota (Cass. 3 luglio 967, n. 1622; 6 maggio 1969, n. 1534).
Ciò che cade in successione è, quindi, il valore del diritto alla liquidazione della quota del defunto acquisito dagli eredi ai sensi degli artt. 2284 e 2289 c.c. (in tal senso Cfr. per tutte Cass. 5283/2003 e Cass. 993/2000 cit.) che secondo orientamento consolidato di questa Suprema Corte non deve essere necessariamente rapportato, ai fini anche dell'imposta di successione, al valore effettivo della quota sociale e, quindi, tenendo conto anche dell'eventuale valore di avviamento oggetto di successione. Nell'ipotesi considerata oggetto di successione infatti, non e1 la quota già spettante al defunto, ma il diritto di credito alla sua liquidazione che, in quanto tale, non può essere oggetto di accertamento di maggior valore (Cass. 3 luglio 1967, n. 1622; 6 maggio 1969, n. 1531 e con riferimento al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 e al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 V. Cass. 5283/2003 e 993/2000 citate).
Conseguentemente il valore del diritto alla liquidazione della quota del defunto intanto può essere sottoposto ad imposta diretta solo ed in quanto risulti maggiore del valore effettivo della quota sociale conferita dal de cuius e nella sola misura del relativo incremento in quanto esclusivamente tale eccedenza costituisce reddito riconducibile nella categoria residuale di cui al D.P.R. n. 597 del 1973, art. 80. Passando all'esame del caso di specie emerge che la C.T.R. ha accertato che il valore indicato nella denuncia di successione "corrisponde al valore capitale della partecipazione alla società già del de cuius" ed è coincidente con il valore della liquidazione della quota del defunto acquisito dagli eredi ex artt. 2284 e 2289 c.c..
Tanto comporta che non essendosi verificato alcun incremento tra il valore effettivo della quota di partecipazione del de cuius e quello risultante dalla liquidazione della relativa quota a seguito dello scioglimento del rapporto sociale e dichiarata in sede di successione, correttamente la C.T.R. ha escluso la riconducibilità di tale ultimo valore, sia pure nei limiti della differenza tra valore della quota conferita dal socio e valore liquidato agli eredi, nella categoria dei redditi diversi di cui al denunciato D.P.R. n. 597 del 1973, art. 80.
Il ricorso pertanto va rigettato.
Nulla deve disporsi in ordine alle spese della presente fase di legittimità non essendosi la controparte costituita. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 febbraio 2006. Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2006