Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6590 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 28 Giugno 2002, n. 9494. Est. Ragonesi.


Contratti bancari - Operazioni bancarie in conto corrente - Esecuzione d'incarichi (conto corrente di corrispondenza) - In genere - Causa del contratto di conto corrente di corrispondenza - Mandato generale conferito alla banca ad eseguire e ricevere pagamenti per conto del cliente - Configurabilità - Conseguenze.



La causa del contratto di conto corrente di corrispondenza implica un mandato generale conferito alla banca dal correntista ad eseguire e ricevere pagamenti per conto del cliente, con autorizzazione a far affluire nel conto le somme così acquisite in esecuzione del mandato. Sicché, proprio nell'autorizzazione conferita in via preventiva alla banca dal cliente deve ravvisarsi la ragione che converte l'acquisizione da parte della banca di somme da terzi dovute al correntista ed il successivo versamento in conto di una rimessa dello stesso cliente sul conto, con l'effetto proprio della rimessa diretta, idonea a costituire un deposito a suo favore, ovvero, se il conto abbia affidamento della banca e presenti un saldo passivo, a ricostituire la provvista o ad estinguere il debito (immediatamente esigibile) dello sconfinamento dal fido, con effetto propriamente solutorio. (massima ufficiale)


Massimario, art. 57 l. fall.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIOVANNI LOSAVIO - Presidente -
Dott. VINCENZO PROTA - Consigliere -
Dott. MARIO ROSARIO MORELLI - Consigliere -
Dott. MARIO ADAMO - Consigliere -
Dott. VITTORIO RAGONESI - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SpA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DI VAL GARDENA 3, presso l'avvocato LUCIO DE ANGELIS, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato ALBERTO CALTABIANO, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO ALIMENTA Srl, in persona del Curatore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA VESCOVIO 21, presso l'avvocato TOMMASO MANFEROCE, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1608/99 della Corte d'Appello di VENEZIA, depositata il 15/11/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/02/2002 dal Consigliere Dott. Vittorio RAGONESI;
udito per il ricorrente, l'Avvocato Caltabiano, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l'Avvocato Manferoce, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fulvio UCCELLA che ha concluso per il rigetto o l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
Con atto notificato in data 6.4.95, il fallimento Alimenta srl conveniva in giudizio avanti il tribunale di Rovigo la Banca nazionale del lavoro e premesso: che aveva intrattenuto con la convenuta un conto corrente indicato con il n. 4458; che era stata beneficiaria. dal gennaio 1992, di una apertura di credito, da utilizzarsi, fino a lire 150 milioni, per scoperto di conto corrente, e, fino a lire 60 milioni, mediante anticipazione su portafoglio commerciale salvo buon fine; che, in data 14.2.1992, aveva costituito un pegno titoli BNL SAGA TS 10% (obbligazioni emesse dalla Banca Nazionale del Lavoro Sezione Credito Alberghiero e Turistico, destinate ad essere rimborsate gradualmente per sorteggio) del valore nominale di lire 165 milioni a garanzia delle obbligazioni contratte con la Banca; che, nel mese di settembre, già essendo stati levati dei protesti nei confironti della società correntista, il conto risultava di fatto "bloccato" nel suo utilizzo, non venendo effettuate altre operazioni in "dare" che gli addebiti per interessi, spese e per effetti anticipati tornati insoluti, e al 30.9.1992, presentava un saldo passivo di L. 204.406.430; che, in data 5.11.1992, ottenuta la liberazione dei titoli dal vinco/o pignoratizio, aveva dato istruzioni per la vendita delle obbligazioni BNL del valore nominale di lire 155 milioni e, in data 11. 11. 1992, era stato accreditato sul conto corrente il ricavato della vendita, pari a L. 136.920.482; che in data 15.1.1993, era stato "girocontato" dal conto titoli al conto corrente n. 4458, con la causale "titoli scaduti o estratti", l'importo di lire 10 milioni, corrispondente al valore nominale delle obbligazioni residue; che, in data 5.2.1993, la Banca Nazionale del Lavoro aveva comunicato alla Alimenta srl. il proprio recesso, con effetto immediato, dagli affidamenti concessi, richiedendo la copertura della residua esposizione debitoria; tutto ciò premesso, chiedeva, in via principale, l'accertamento dell'invalidità dell'atto costitutivo del pegno, con la condanna della Banca convenuta alla restituzione della somma di L. 146.920.482, oltre interessi e rivalutazione, e, in subordine, la declaratoria di inefficacia delle suddette rimesse effettuate dalla società poi fallita sul conto corrente n. 4458, con conseguente condanna della Banca convenuta alla restituzione dei relativi importi, oltre interessi e rivalutazione.
La Banca Nazionale del Lavoro si costituiva in giudizio chiedendo la reiezione delle domande attrici.
Il Tribunale adito, con sentenza del 12.12.1996, rilevato: che, secondo quanto era evincibile dalla scrittura privata del 5.11.1992, prodotta dallo stesso attore, la Banca convenuta aveva fatto rientrare nel possesso della Alimenta s.r.l. l'oggetto del pegno, onde il pegno stesso non poteva più considerarsi sussistente; che la Banca convenuta non aveva minimamente contestato che, già prima della comunicazione formale di revoca degli affidamenti, il conto corrente di che trattasi era "bloccato" nel suo utilizzo, cosicché alle rimesse di cui era stata chiesta la declaratoria di inefficacia non poteva essere attribuita finalità ripristinatoria della provvista, bensì quella di definitiva riduzione del debito contratto dal "solvens" verso la Banca; che doveva essere negata, stante l'unicità del rapporto generatore dei rispettivi debiti e crediti, l'operatività di una compensazione in senso tecnico giuridico tra il credito della banca e il debito del correntista nell'ambito del contratto di conto corrente bancario, caratterizzato dall'esplicazione di un servizio di cassa relativo alle operazioni di pagamento e di riscossione che la banca effettua, a qualsiasi titolo, su in carico del correntista; che, in relazione alle rimesse "de quibus", doveva ritenersi provata la sussistenza della "seientia decoctionis" da parte della Banca convenuta; tutto ciò rilevato, respingeva la domanda principale e, in accoglimento della subordinata, dichiarava l'inefficacia delle anzidette rimesse su conto corrente, con condanna della Banca convenuta alla restituzione della somma complessiva di L. 146.920.482, oltre agli interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo, nonché alla rifusione delle spese di lite. Avverso l'anzidetta sentenza, notificata il 14.5.1997, la Banca Nazionale del Lavoro interponeva appello, deducendo a sostegno dei motivi proposti che, erroneamente, il Tribunale aveva disconosciuto che le rimesse "de quibus" costituivano la semplice rappresentazione contabile della compensazione che si era verificata tra il credito di essa appellante, sorto per effetto dell'utilizzo dell'apertura di credito, e il debito che essa stessa aveva verso l'Alimenta srl, siccome mandataria di quest'ultima e pertanto obbligata, ex art. 1713 e. e., a rimettere alla propria mandante tanto il prezzo ricavato dalla vendita della maggior parte dei titoli, quanto la somma riscossa a fronte dei residui titoli venuti a scadenza per estrazione.
La parte appellata si costituiva in giudizio resistendo al gravame. Con sentenza n. 1608/99 la Corte d'Appello di Venezia respingeva l'appello proposto dalla Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. Avverso la citata sentenza la Banca Nazionale del Lavoro ha proposto ricorso per Cassazione, articolato su due motivi. La Banca ricorrente ha altresì presentato memoria. Si è costituito con controricorso il fallimento della Alimenta srl. All'udienza pubblica del 18.02.02, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Va preliminarmente dichiarata l'inammissibilità del controricorso in quanto proposto oltre il termine di cui all'art. 370 cpc Il ricorso, infatti, risulta notificato in data 8.5.00 mentre il controricorso è stato notificato il 19.04.01 ben oltre quindi il termine di venti giorni dalla scadenza del termine previsto per il deposito del ricorso. Con il primo motivo di ricorso la banca ricorrente deduce la violazione dell'art. 1853 c.c. e la falsa applicazione dell'art. 67 l.f. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. Secondo la ricorrente la Corte veneziana ha escluso che nella specie fosse riconoscibile una compensazione tra il credito della banca nei confronti della Alimenta srl risultante dallo scoperto di conto corrente con il debito della banca stessa derivante dall'obbligo di restituire le somme incassate per effetto del mandato a vendere i titoli della Alimenta srl, senza però considerare che quest'ultimo debito non era inerente al conto corrente di corrispondenza e, quindi, senza far applicazione dell'art. 1853 c.c., a norma del quale, se fra la banca e il correntista esistono più rapporti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente.
Con il secondo motivo la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. denunzia la falsa applicazione dell'art. 67 l. fall. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.. A fondamento della censura deduce che non sempre le rimesse su conto "scoperto" hanno natura di pagamento e, come tali, revocabili, in quanto in alcuni casi - che la banca ricorrente passa in rassegna - "la rimessa descrive una vicenda (parzialmente) estintiva del credito della banca che non è riconducibile a un adempimento, ma costituisce invece un modo di estinzione diverso dall'adempimento non necessariamente revocabile (anzi, posto che si tratta di compensazione, assolutamente non revocabile)". In riferimento al caso di specie assume la banca ricorrente che ai due accreditamenti di conto corrente sottoposti a revocatoria non corrispondono delle "rimesse" aventi funzione solutoria in quanto sarebbero la rappresentazione contabile non di pagamenti o di atti della Alimenta srl equipollenti a pagamenti, bensì puri e semplici "fatti" quali sono le due compensazioni mediante le quali il credito della Banca si è decurtato di complessive L. 146.920.482. Riprende poi il ricorrente la tesi già esposta con il primo motivo secondo cui nel caso di specie opererebbe, comunque, la compensazione, avendo le rispettive posizioni debitorie e creditorie fonte in rapporti diversi. La fonte del credito della Alimenta srl nel caso di specie non deriverebbe dal generale mandato dato alla banca perché operi come "cassiere" del cliente, ma sarebbe costituita da un autonomo, particolare e occasionale mandato a vendere titoli obbligazionari e, quindi, a riscuoterne il prezzo. La Banca ricorrente critica ancora la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inoperante la compensazione sul rilievo che non risultava pattuita una convenzione in tal senso. Rileva l'istituto di Credito che, trattandosi di operazione "regolata in corno", il cosiddetto patto di compensazione doveva ritenersi a sua volta accertato. Deduce, infine, il ricorrente che anche se tutte le rimesse affluite nel conto corrente bancario avessero una "eadem causa", la compensazione non sarebbe affatto esclusa e ciò in forza del disposto normativo contenuto nell'art. 1246 c.c. il cui contenuto è quello di ammettere la compensazione, ancorché i titoli dei due crediti siano diversi, che non esclude, anzi implicitamente ammette, la compensazione fra crediti aventi una "eadem causa".
I due motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente stante la loro connessione.
Ciò premesso, entrambi i motivi si rivelano infandati. Va preliminarmente ricordato il noto e costantemente espresso orientamento di questa Corte secondo cui l'accredito, da parte di una banca, in un conto corrente assistito da apertura di credito, di somme rimesse dal correntista o da terzi o provenienti da distinta posizione debitoria dell'istituto di credito, costituisce un'operazione che, salvo patto contrario, s'inserisce nell'ambito dell'unitario complesso rapporto di conto corrente e non realizza un'obbligazione autonoma della banca di rimettere al cliente le somme riscosse, suscettibile di compensazione legale con il saldo passivo, in quanto determina una semplice variazione quantitativa del debito del correntista, la quale può configurare, secondo le circostanze, o un atto ripristinatorio della disponibilità del correntista medesimo, ovvero un atto direttamente solutorio del debito di questi, risultante dal saldo contabile (Cass 3919/87; Cass 9064/92; Cass 1727/95; Cass 7615/96; Cass 1672/99).
Il meccanismo di funzionamento del conto corrente bancario induce, infatti, ad escludere che possa darsi compensazione in senso proprio tra i risultati di operazioni di segno opposto registrate nello sviluppo attuativo del rapporto, rimanendo l'effetto di compensazione, secondo il disposto dell'art 1853 c.c., limitato alla diversa fattispecie dei saldi attivi e passivi di più rapporti o più conti esistenti tra la banca e lo stesso cliente.
Come in precedenza esposto il ricorrente con il primo motivo di ricorso, e con buona parte delle argomentazioni del secondo, sostiene che, nel caso di specie, ricorrerebbero gli estremi per l'applicazione dell'art. 1853 c.c. poiché il mandato conferito alla banca di vendere i titoli e di riversarli sul conto corrente avrebbe generato un rapporto contrattuale distinto rispetto a quello inerente a quest'ultimo con la conseguenza che ricorrerebbe una duplicità di rapporti tra banca e cliente tra i quali sarebbe consentito operare la compensazione.
Tale assunto si rivela errato. Come già osservato da questa Corte, infatti, la causa nel contratto di conto corrente di corrispondenza implica un mandato generale conferito alla banca dal correntista a (eseguire e) ricevere pagamenti per conto del cliente, con autorizzazione a far affluire nel conto le somme così acquisite in esecuzione del mandato. E proprio nell'autorizzazione conferita in via preventiva alla banca dal cliente deve ravvisarsi la ragione che converte l'acquisizione da parte della banca di somme da terzi dovute al correntista ed il successivo versamento in conto in una rimessa dello stesso cliente sul conto, con l'effetto proprio, appunto, della rimessa diretta, idonea a costituire un deposito a suo favore, ovvero, se il conto abbia affidamento della banca e presenti un saldo passivo, a ricostituire la provvista o ad estinguere il debito - immediatamente esigibile - dello sconfinamento dal fido, con effetto propriamente solutorio. (Cass 12489/00).
Nel caso di specie, una volta che il giudice di merito ha ritenuto, sulla base di una valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità - ed invero neppure oggetto di contestazione - che l'incarico dato dalla società fallita alla BNL di vendere i titoli era destinato ad essere regolato in conto, deve necessariamente concludersi alla stessa stregua della sentenza impugnata, che il mandato in questione non ha dato luogo ad un distinto rapporto contrattuale ad di fuori di quello di conto corrente bancario, ma ha costituito invece una attuazione concreta di quel mandato generale alla banca ad effettuare un servizio di cassa per conto del cliente, che rientra nella causa del conto corrente bancario. È di tutta evidenza infatti, che il mandato generale in questione non conferisce un potere alla banca di effettuare qualsiasi tipo di operazione essa reputi opportuno, ma solo quelle che di volta in volta le vengono indicate dal cliente. Ciò sta a significare che il mandato generale in esame deve essere attivato dal cliente tramite il conferimento di singoli mandati specifici. Basti pensare a tale proposito alle girate di assegni che vengono versati sul conto corrente, che conferiscono alla banca di volta in volta il mandato ad incassare i titoli. Analogamente deve dirsi per quanto concerne lo sconto dei titoli, che comporta un mandato alla banca di riscuotere il titolo con accredito del relativo importo, decurtati gli interessi e quant'altro, sul conto corrente del cliente, dal momento che tale operazione si risolve in un meccanismo interno di alimentazione del conto attraverso le rimesse provenienti dalle singole operazioni di smobilizzo crediti, che vengono così a rientrare anch'esse nell'ambito del rapporto di conto corrente e che sono, di conseguenza, sottoponibili a revocatoria alla stregua di qualsiasi altra rimessa di altra provenienza (Cass 5634/00; Cass 656/00). La banca ricorrente, al fine di sostenere la propria tesi, prende in esame nel proprio ricorso alcune ipotesi di rimesse in conto corrente non aventi - a suo dire - un carattere estintivo riconducibile ad un adempimento. Trattasi di fattispecie particolari inconferenti al caso di specie (pagamento del fideiussore, concessioni di crediti da parte della banca anticipazioni su crediti da incassare, accrediti da stornare), suscettibili di specifica valutazione caso per caso e, comunque, inidonee a costituire dei principi di generale applicazione, senza dire che per una delle ipotesi evidenziate (esecuzione di un ordine di bonifico proveniente da un terzo) questa Corte ha già ritenuto la revocabilità dell'operazione (Cass 12489/00). Tale esemplificazione pertanto, non adduce alcuna utile argomentazione a sostegno della tesi della banca ricorrente. Deve in conclusione escludersi che il mandato alla BNL per la vendita dei titoli da parte della società fallita abbia dato luogo ad un diverso rapporto rispetto a quello di conto corrente bancario atto a determinare effetti compensativi ai sensi dell'art. 1853 c.c. Nè a diversa conclusione può addivenirsi in base alle asserzioni della banca ricorrente secondo cui le annotazioni effettuate sul conto della Alimenta srl degli accrediti delle operazioni non sarebbero state le rappresentazioni contabili dei pagamenti bensì quelle delle compensazioni effettuate.
È certamente vero che in presenza dei presupposti di cui all'art. 1853 c.c., la compensazione tra i saldi attivi e quelli passivi viene attuata mediante annotazioni in conto (Cass 4735/98), ma ciò è vero solo in presenza dei presupposti in questione che dalla sentenza di appello sono stati invece correttamente esclusi Del tutto logicamente, pertanto, la sentenza predetta ha negato che la registrazione si riferisse ad una compensazione, tenuto anche conto del fatto che la predetta registrazione riveste carattere neutro e non univoco, nel senso che si limita a riportare poste attive o passive la cui natura di pagamento, compensazione o quant'altro deve essere comunque interpretata.
Tale esclusione è stata ulteriormente correttamente motivata in ragione del fatto che non risultava in atti che, al momento del conferimento del mandato per la vendita dei titoli, tra le parti fosse intervenuto un patto di compensazione idoneo a consentire alla banca di annotare ed elidere sul conto le partite di segno opposto (Cass 7194/97), ne' tale patto può ritenersi implicito con il conferimento del mandato alla vendita non essendovi alcun elemento nella fattispecie che possa far presumere ciò.
La Corte ritiene comunque di dover soggiungere che anche a voler ritenere, in via di mera ipotesi, che il mandato alla vendita dei titoli in questione abbia dato luogo ad un rapporto diverso e distinto rispetto a quello di conto corrente, il versamento effettuato sul conto della Alimenta srl sarebbe comunque revocabile. Questa Corte ha, infatti, già avuto occasione di affermare che non è sufficiente invocare una presunta autonomia formale dei singoli rapporti instaurati quando sussiste comunque un "collegamento negoziale" attuato dalle parti e finalizzato alla realizzazione del fine pratico unitario dell'estinzione dei debiti risultanti da un conto affidato e lasciato solo formalmente aperto. Tale collegamento, infatti, stante il suo carattere indiscutibilmente "funzionale", prevale sui fini immediati (apparentemente) perseguiti dai singoli rapporti che sono in realtà strumentali all'interesse finale a carattere solutorio dell'operazione (Cass 1672/99; Cass 6031/94). Nel caso di specie la sentenza impugnata ha dato atto che non ha costituito oggetto di impugnazione il carattere solutorio delle rimesse e che su tale punto si è già formato il giudicato. Ha rilevato, inoltre, che il conto corrente era bloccato dal settembre 1992 ed ha, altresì, ritenuto che la vendita dei titoli doveva essere effettuata con rimessa in conto corrente dell'incasso. In altri termini dalla motivazione della sentenza impugnata risulta in modo inequivocabile il collegamento in chiave solutoria tra il rapporto di conto corrente ed il mandato alla vendita dei titoli. Ricorrerebbero quindi nel caso di specie tutti i presupposti per l'accoglimento dell'azione revocatoria anche - si ripete - nel caso meramente ipotetico in cui si volesse ritenere che il mandato alla vendita dei titoli abbia costituito un rapporto contrattuale estraneo e distinto da quello di conto corrente.
Resta da esaminare l'ultima argomentazione contenuta nel secondo motivo di ricorso, secondo cui anche se le rimesse affluite sul conto corrente avessero la "eadem causa", la compensazione non sarebbe affatto esclusa. Per affermare l'infondatezza di tale assunto è sufficiente ricordare la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'istituto della compensazione presuppone l'autonomia dei rapporti generativi dei reciproci crediti e non opera quando essi nascano dal medesimo rapporto, il quale può comportare soltanto una compensazione in senso improprio, ossia un semplice accertamento contabile di dare e avere, come avviene, ad esempio quando debbano accertarsi le spettanze del lavoratore, autonomo o subordinato (Cass. 5 maggio 1995 n. 4873 e, in termini, Cass. 21 ottobre 1998 n. 10456;
Cass 4853100; Cass 2461/01; Cass 3930/01).
Nè tale orientamento può ritenersi modificato dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 775/99. Tale pronuncia prende in esame la questione se lo scioglimento del contratto preliminare di vendita, conseguente alla manifestazione di volontà del curatore del fallimento del promissario acquirente, costituisca fonte del credito restitutorio per le prestazioni già eseguite dal fallito prima del fallimento e sia quindi, compensabile con i crediti dell'altra parte "in bonis" maturati prima del fallimento. Tale esame peraltro, riguarda unicamente il profilo specifico della sussistenza nel caso di specie del requisito richiesto dall'art. 56 l.f. ai fini della compensazione, e, cioè, se entrambi i crediti siano sorti in data anteriore alla dichiarazione di fallimento ma non prende in alcun modo in esplicita considerazione il problema della compensazione tra posizioni di debito e credito originate da un unico rapporto contrattuale. In conclusione dunque il ricorso va rigettato con conseguente condanna della banca ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro tremila.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro tremila.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2002
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2002