Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6591 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 14 Ottobre 2005, n. 20005. Est. Del Core.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Effetti - Sugli atti pregiudizievoli ai creditordi - Azione revocatoria fallimentare - Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie - In genere - Pagamento di credito assistito da ipoteca di primo grado non più revocabile - Ammissibilità della revocatoria - Interesse all'azione - "Eventus damni " - Accertamento - Criteri - Riferimento alla massa esistente al momento di intraprendere l'azione revocatoria - Acquisizione del bene all'attivo fallimentare - Necessità - Esclusione.



Qualora il credito soddisfatto mediante pagamento effettuato dal soggetto in seguito fallito sia assistito da ipoteca di primo grado non più revocabile, l'interesse all'azione revocatoria fallimentare può essere riconosciuto solo se e nei limiti in cui il curatore dimostri il danno per la massa, desumibile dalla circostanza che il creditore, senza quel pagamento, non avrebbe trovato capienza, in tutto od in parte, sul ricavato del bene ipotecato in ragione della insufficienza del ricavato medesimo, ovvero della concorrenza su di esso di crediti privilegiati poziori. Tale presupposto oggettivo dell'azione deve essere accertato con riferimento alla massa esistente al momento di esperire la revocatoria e prescinde dall'acquisizione all'attivo fallimentare del bene cui l'ipoteca si riferisce poiché in caso di vendita, prima dell'apertura della procedura concorsuale, del bene già vincolato alla garanzia reale la previsione di riparto in favore del credito ipotecario revocando dovrà essere operata in base al presumibile prezzo del bene medesimo accertato a seguito di stima. (massima ufficiale)


Massimario, art. 58 l. fall.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISCUOLO Alessandro - Presidente -
Dott. GILARDI Gianfranco - Consigliere -
Dott. PANZANI Luciano - Consigliere -
Dott. DEL CORE Sergio - rel. Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO ESTHER S.R.L., in persona del Curatore Dr. Carlo De Luca, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIAN GIACOMO PORRO 8, presso l'avvocato BARENGHI ANDREA, che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio Teodora Masucci di Roma, rep. n. 4412 del 1.7.2005;
- ricorrente -
contro
MEDIOCREDITO ROMA S.P.A ora M.C.C. S.P.A., in persona del Direttore Responsabile pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEL CORSO 75, presso l'avvocato CALZETTA GIANCARLO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 2689/01 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 23/07/01;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 08/07/2005 dal Consigliere Dott. Sergio DEL CORE;
udito per il ricorrente, l'Avvocato BARENGHI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l'avvocato CALZETTA che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CALIENDO Giacomo che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del marzo 1997, il fallimento della Esther s.r.l., dichiarato con sentenza 13 giugno 1996, premesso che detta società, in data 19 giugno 1995, quando già versava in uno stato di insolvenza conosciuto o conoscibile, aveva effettuato, con mezzi anomali, un pagamento di lire 896.000.000 in favore del Mediocredito di Roma s.p.a., convenne quest'ultimo davanti al Tribunale di Roma, cui chiese di dichiarare inefficace l'atto solutorio in questione - ai sensi dell'art. 67, comma 1, n. 2 o, in subordine, comma secondo - con conseguente condanna del convenuto alla restituzione delle relative somme, maggiorate di interessi.
Nella resistenza dal Mediocredito, l'adito tribunale accolse la domanda che venne invece rigettata dalla Corte d'appello di Roma investita del gravame dell'istituto di credito soccombente. Ad avviso della corte romana, nella specie l'istituto di credito appellante aveva provato che il suo credito era garantito da ipoteca di primo grado su un immobile della debitrice dalla cui vendita era stata ricavata una somma con la quale il credito era stato soddisfatto. Sarebbe stato, quindi, onere del fallimento provare il suo interesse ad agire in revocatoria, dimostrando, in particolare, che, in conseguenza di quel pagamento, altri creditori con prelazione di pari grado, o addirittura poziore, erano rimasti insoddisfatti, ovvero che senza la prededuzione il Mediocredito sarebbe rimasto parzialmente incapiente. Sennonché il fallimento non aveva fornito prova siffatta, laddove il Mediocredito aveva effettuato con l'atto d'appello una ricostruzione contabile dalla quale era risultato che la somma riscossa era addirittura inferiore a quanto gli sarebbe spettato, a norma degli artt. 2855 c.c. e 54 l.fall., in relazione alle rate di mutuo scadute e non onorate dalle tre società garantite, con dazione di ipoteca, dalla Esther s.r.l., al capitale residuo e agli interessi maturati nel biennio precedente il fallimento e nell'anno in corso. L'accoglimento del gravame sul punto dell'interesse ad agire in revocatoria da parte della curatela rendeva superfluo l'esame degli altri motivi concernenti gli effetti del declassamento del credito ipotecario vantato dall'appellante, in ipotesi di omessa restituzione delle somme versate, e la mancanza di prova della conoscenza dello stato di insolvenza della fallita al momento del pagamento.
Di tale sentenza il fallimento della Esther s.r.l. ha chiesto la cassazione con ricorso affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il MMC s.p.a., già Mediocredito centrale s.p.a., quale successore a titolo universale del Mediocredito di Roma s.p.a. giusta atto di fusione per incorporazione.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il fallimento denuncia motivazione perplessa e violazione degli artt. 100 e 115 c.p.c. sulla base dei seguenti rilievi. Ritenendo non provato l'interesse ad agire del fallimento, la corte ha omesso di considerare che l'immobile sul quale gravava l'iscrizione ipotecaria in favore del Mediocredito non era più nel patrimonio della Esther s.r.l. al momento dell'apertura del concorso;
esso era stato infatti alienato dalla società predetta con l'insostituibile assenso della banca medesima, la quale prestò il consenso alla cancellazione di tutte le formalità inscritte e trascritte. L'operazione trilaterale favorita dalla banca (vendita dell'Immobile da Esther a Cofim, previa liberazione del bene dall'ipoteca, e contestuale storno del prezzo da Cofim a Mediocredito per la liberazione della Esther dalla responsabilità di garante) non permette affatto di configurare la soddisfazione del credito come un semplice pagamento effettuato dal garante. Tale particolare operazione ha determinato la perdita definitiva della prelazione in favore della banca e per essa la piena legittimità dell'azione revocatoria, avendo la banca derivato la soddisfazione del proprio credito non dai mezzi patrimoniali della garante ma dall'intervento finanziario di un terzo in luogo di escutere la garanzia e coltivare l'esecuzione fino alla realizzazione del proprio titolo esecutivo, essa ha formalmente rinunciato sia alla garanzia che al pignoramento, per trattare la liberazione del bene in cambio del rientro dell'importo a sofferenza in tempi rapidi e in misura integralmente satisfattiva, considerato il maggior valore di mercato del cespite rispetto a quanto ottenibile a seguito di asta. Atteso il principio di specialità dell'ipoteca, la banca revocataria non avrebbe potuto ottenere la prelazione in sede di riparto, poiché questa si sarebbe potuta accordare, in ipotesi, soltanto sul ricavato della vendita all'asta del cespite ipotecato, di fatto però non acquisito all'attivo fallimentare poiché alienato prima dell'apertura della procedura concorsuale. Ha errato, pertanto, la corte nel pretendere dal fallimento la prova dell'interesse ad agire per la dichiarazione di inefficacia del pagamento al creditore ipotecario, nonostante costituissero circostanze pacifiche la liberazione volontaria dall'ipoteca e la trasmigrazione del cespite dal patrimonio della fallita, entrambe idonee a escludere che il credito della banca avrebbe trovato capienza, in tutto o in parte, sul ricavato del bene cui il privilegio si riferisce.
Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia violazione dell'art. 67 l.fall., testualmente, "violazione della disciplina legale dei doveri del curatore fallimentare, violazione dei principi giuridici che regolano la procedura fallimentare". Trasferendo a carico del curatore l'onere di provare l'interesse ad agire, e cioè il ricorrere di una lesione della par condicio creditorum, la corte avrebbe obliterato che la possibilità e ampiezza di tale lesione non è determinabile a priori, essendo ben noto che creditori privilegiati con un diritto poziore possano insinuarsi tardivamente prima del riparto finale. In tal caso, essi avrebbero diritto di soddisfarsi prioritariamente sullo stesso bene, che, per l'ottenuto pagamento, ha invece costituito esclusiva garanzia del credito estinto nel periodo di indisponibilità legale. Si profilerebbe una ipotesi di responsabilità grave del curatore rimasto inerte qualora la esistenza di un tale tipo di creditori emergesse quando la revocatoria nei confronti del creditore che abbia ricevuto pagamenti extra concorsuali - anch'esso privilegiato ma di grado inferiore - sia ormai prescritta e non più esperibile.
In linea pregiudiziale, va disattesa l'eccezione di inammissibilità del primo motivo per novità della questione relativa al fatto che la sussistenza di una lesione della par condicio era provata dalla mancata acquisizione del bene immobile che avrebbe impedito il conseguimento della prelazione in sede di riparto. Come si evince dagli atti di causa, compulsabili in questa sede attesa la natura della eccezione, il riferimento al principio, alla specialità della ipoteca e alle conseguenze incombenti sul creditore ipotecario soddisfatto in caso di fuoriuscita del bene oggetto della garanzia dal patrimonio del soggetto in seguito fallito è presente nella comparsa di costituzione in appello del fallimento, in ogni caso, la questione è solo di diritto e poteva essere sollevata per la prima volta in questa sede, non essendo necessari accertamenti di fatto dacché la circostanza della vendita del bene prima della apertura della procedura concorsuale è assolutamente pacifica in causa. Giova quivi ricordare che nel giudizio di legittimità non è consentita la proposizione di nuove questioni di diritto solo quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di Cassazione. Al contrario, non vi sono ostacoli alla proposizione, in questa sede, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti o di nuove tesi di diritto che lascino immutati i termini, in fatto, della controversia (cfr. Cass. nn. 4045/1979, 4857/1982, 6356/1996, 11622/1998, 13256/1999, 3881/2000, 9812/2002).
Ciò precisato, i due motivi, che possono essere trattati congiuntamente traguardando la stessa questione, si rivelano destituiti di fondamento.
Con essi viene riproposto all'attenzione di questa Corte la questione giuridica della revocabilità dei pagamenti, operati dal soggetto poi fallito, di crediti assistiti da ipoteca non più revocabile. La questione era stata in un primo tempo risolta negativamente in base alla considerazione che, estinguendosi la garanzia con l'estinzione dell'obbligazione in conseguenza del pagamento ai sensi dell'art. 2878 n. 3 c.c. e non potendo più rivivere se non nella diversa ipotesi, non ravvisabile in tema di revocatoria, in cui la causa di estinzione sia dichiarata nulla o altrimenti non sussiste (art. 2881 c.c.), il credito risorgerebbe come chirografario, con la conseguenza che la revoca del pagamento comporterebbe la revoca della garanzia (sia se il bene al quale essa accedeva fosse stato alienato, sia se fosse rimasto nell'attivo fallimentare), vale a dire una sanzione non compresa fra gli effetti della specifica revocatoria in esame (Cass. nn. 2180/1969, 3608/1976). Successivamente, a partire comunque dalla sentenza, n. 1753 del 1974, questa Corte, pur continuando a configurare in chiave indennitaria il fondamento della revocatoria, ha sottoposto a revisione tale indirizzo, sostenendo che la presenza di una garanzia non più revocabile che assiste il credito non è di ostacolo in linea di principio all'esercizio dell'azione revocatoria, in quanto, diversamente, non solo verrebbe implicitamente riconosciuta la permanenza degli effetti della garanzia anche dopo la sua estinzione conseguente al pagamento, ma, per evitare un effetto non voluto dalla legge fallimentare (revoca della garanzia), si finirebbe con il negare un effetto voluto e cioè il ripristino della par condicio creditorum che costituisce il fondamento della revocatoria (vedi Cass. n. 495/1991). Ora, per evitare l'ingiustizia della trasformazione del credito privilegiato in credito chirografario conseguente alla revoca, ingiustizia che la precedente giurisprudenza poneva a base del suo orientamento, si è ritenuto di spostare l'indagine sul concreto per verificare se sussista ugualmente, in tutto od in parte, il pregiudizio per la massa, con la conseguenza che la revocatoria debba ritenersi ammissibile se il curatore, cui incombe l'onere, provi che, ad onta della garanzia, sussista ugualmente il pregiudizio per la massa e cioè che il credito soddisfatto non troverebbe comunque capienza totale o parziale per la concorrenza di crediti privilegiati poziori (vedi Cass. nn. 2181/1975, 3050/1983. 7649/1987, 5857/1988, 495/1991, 2751/1993, 12925/2000, 8096/2004, 12558/2004). Ove, infatti, un creditore munito di pegno ovvero di ipoteca o privilegio speciale su un bene soddisfi prima del fallimento - in assenza di altri creditori privilegiati di grado poziore - il proprio credito sul bene avuto in garanzia, non avrebbe alcuna utilità per il fallimento recuperare tramite azione revocatoria la somma acquisita dal creditore dal momento che dovrebbe comunque successivamente attribuirgliela nel corso della procedura, avendo il creditore stesso un diritto di prelazione poziore rispetto a quello degli altri creditori della massa, in questa ipotesi, il patrimonio del fallito non ha subito alcuna alterazione peggiorativa: il pagamento è stato utilizzato per estinguere passività, rispettando le regole sulla collocazione dei crediti e, pertanto, non sussiste l'interesse del curatore a chiederne la revoca.
In base a questi principi, che vanno qui ribaditi, ai fini della revocabilità o meno del pagamento di un credito assistito da ipoteca, occorre vanificare l'ammissibilità dell'azione proposta dal fallimento alla stregua dell'interesse ad agire del curatore, da commisurarsi al pregiudizio astrattamente configurabile per la massa, in dipendenza dell'effettuato atto solutorio. A questo fine il giudice del merito deve considerare che, se il pregiudizio per la massa è presunto (in quanto ricollegato al fatto stesso della insolvenza), e spetta al creditore soddisfatto dimostrarne la insussistenza, la presunzione deve ritenersi vinta quando la revocatoria riguardi un credito assistito da garanzia reale, astrattamente attributiva di una collocazione di primo grado rispetto ai crediti ammessi, bastando in tal caso al creditore provare la sussistenza e l'efficacia della garanzia stessa, mentre è onere del curatore dimostrare la lesione di creditori poziori, ancorché attualmente non concorrenti, secondo l'ordine stabilito dall'art. 111 l. fall.
Il ricorrente subordina la correttezza di tale impostazione alla presenza, al momento dell'apertura della procedura concorsuale, del bene già vincolato alla garanzia reale; ma tale condizione non può, all'evidenza, pretendersi in quanto ciò che conta è il pagamento al creditore garantito e la conseguente eliminazione dell'ipoteca. In diversi termini, non appare condivisibile l'impostazione formalistica, fatta proprio dal fallimento, secondo cui nel caso di specie ci si troverebbe di fronte a un normale atto estintivo di un credito chirografario, posto che, al momento del pagamento, l'immobile ipotecato era già uscito dal patrimonio del debitore, così da non renderne possibile l'acquisizione all'attivo fallimentare. In realtà, va rilevato che e proprio il pagamento ad avere comportato l'estinzione ex lege dell'ipoteca (art. 2878 n. 3 c.c.) e il trasferimento del bene e che, d'altra parte (diversamente da quanto opinato dalla curatela), la banca non poteva rifiutare di ricevere il dovuto senza incorrere in responsabilità per la mancata liberazione del bene. Ne consegue che il pagamento va riguardato con riferimento al credito nella sua qualità ipotecaria e non già chirografaria, ancorché il bene fosse già stato trasferito all'acquirente. Diversamente ragionando, si verrebbe a degradare a chirografario per via obliqua un credito garantito al di fuori di qualunque azione volta ad attaccare in modo diretto la garanzia in quanto tale. La revocatoria del pagamento non deve divenire un mezzo per negare efficacia indirettamente a una garanzia consolidata o, comunque, non revocabile.
Del reato, contraddittoriamente, il ricorrente fallimento, a pag. 8 del ricorso, deduce che la qualificazione giuridica dell'operazione posta in essere come semplice pagamento effettuato dal garante sarebbe esatta, e il risultato dell'operazione medesima inattaccabile, qualora l'azione esecutiva intentata contro la Esther dal Mediocredito fosse proseguita fino alla subastazione del bene e alla distribuzione del ricavato. La tesi, ove accolta, indurrebbe un'evidente disparità di trattamento tra i pagamenti coattivi dei crediti ipotecari e i pagamenti degli stessi crediti effettuati spontaneamente dal debitore; se, in altre parole, si facesse dipendere l'esercizio dell'azione revocatoria dalle modalità con le quali è avvenuto il pagamento, ne sarebbe esente il creditore soddisfatto mediante azione esecutiva, ancorché la sua posizione non si differenzi in nulla da quella del creditore ipotecario soddisfatto spontaneamente dal debitore. Appare, allora, di tutta evidenza che se una causa di prelazione in ordine a un'ipoteca non più revocabile sussiste e viene rispettata in sede concorsuale, dove vige il massimo rispetto per la par condicio creditorum, non si comprende perché non debba essere rispettata anche quando il pagamento sia conseguenza di una vendita a trattativa privata, verificatasi prima e fuori della procedura concorsuale.
La valutazione che il curatore dovrà operare in caso di pagamento di credito ipotecario prescinde, dunque, dall'acquisizione del bene alla massa o, il che è lo stesso, dalla presenza del bene nel patrimonio del soggetto garante al momento di essere dichiarato fallito. Di fronte alla garanzia ipotecaria, l'interesse alla revocatoria sussiste (solo) se si dimostri il danno per la massa, desumibile dalla circostanza che il credito soddisfatto non avrebbe trovato capienza, totale o parziale, nel prezzo - realizzato se il bene è tuttora nel patrimonio fallimentare o presumibile a seguito di stima nel caso inverso - a causa della insufficienza del prezzo stesso rispetto al pagamento o della concorrenza, su di esso, di crediti assistiti da prelazione poziore.
In definitiva, la sussistenza dell'eventus danni rileva al fine della revocabilità del pagamento, mentre, al fine di verificare tale presupposto oggettivo dell'azione, non rileva la circostanza che la vendita del bene oggetto di ipoteca sia avvenuta prima o dopo l'inizio della procedura concorsuale, in quanto la situazione da tenere presente è quella quo ante, al momento del pagamento del credito assistito dalla garanzia.
Poco perspicuo e comunque generico è, poi, il rilievo secondo cui l'operazione trilaterale posta in essere da Esther, Cofim e Mediocredito, per la sua complessità e il fatto di essere avvenuta con la regia della banca, sfuggirebbe a una qualificazione in termini di pagamento del creditore ipotecario. Non si comprende, infatti, a tacer d'altro, come il ricorrente possa negare che esiste un collegamento funzionale e operativo, oltre che cronologico, tra pagamento, estinzione dell'ipoteca e trasferimento del bene e, in particolare, che è stato proprio il pagamento di cui oggi si chiede la revoca a consentire la pacifica fuoriuscita dell'immobile dal patrimonio del debitore.
Anche il rilievo relativo alla possibilità di domande di insinuazione tardive di altri creditori anteposti appare inconducente, dacché la sussistenza dell'eventus danni deve essere accertata con riferimento alla massa esistente al momento in cui si decida di intraprendere l'azione revocatoria, non va dimenticato, infatti, che i creditori ammessi tardivamente hanno diritto di concorrere "soltanto alle ripartizioni posteriori alla loro ammissione - (art. 112 l. fall.). Del resto, esasperando la tesi del fallimento - secondo cui l'interesse del curatore alla revocatoria del pagamento di credito assistito da garanzia reale deve misurarsi non alla stregua della previsione di riparto in favore del credito revocando, effettuabile al momento di esperire la revocatoria, ma in modo illimitatamente prospettico - la prova dell'eventus damni sarebbe talmente relativa da risultare in concreto impossibile; a situazioni invertite, infatti, il curatore non potrebbe efficacemente contrastare l'eccezione del convenuto in revocatoria neanche provando che la lesione della par condicio è già palese, data la presenza, nello stato passivo fallimentare, di crediti da soddisfare con preferenza, rispetto a quello che è stato soddisfatto con l'atto solutorio oggetto di revoca, perché potrebbero sopravvenire attività sufficienti ad evitare la predetta lesione. Peraltro, è dato esperenziale che, attingendo alla contabilità e ai documenti in possesso del fallito, gli organi del fallimento sono il più delle volte in grado di accertare l'esistenza di creditori con prelazione e prevederne l'insinuazione anche tardiva nel passivo fallimentare. A tali notazioni può aggiungersi la peculiarità della fattispecie, caratterizzata dalla sussistenza in capo al creditore soddisfatto di un'ipoteca di primo grado. Come noto, l'iscrizione dell'ipoteca di primo grado permette ai creditori di essere i primi ad incassare il ricavato di un'eventuale vendita giudiziaria. In un contesto del genere, infatti, il danno per la massa è tendenzialmente da escludere, avendo priorità satisfattoria rispetto a una siffatta causa di prelazione solo il credito assistito da privilegio sul bene immobile.
Con il terzo motivo il fallimento denuncia motivazione perplessa, violazione degli artt. 2697 c.c. e 345, ultimo comma, c.p.c. Lamenta che la corte, pur sembrando in un primo momento assegnare carattere marginale alla ricostruzione contabile contenuta nell'atto di appello e pur negando all'appellante la possibilità di nuove produzioni documentali, ha finito per ritenere provata, proprio sulla base della ricostruzione contabile riprodotta nell'atto di appello, la equivalenza quantitativa tra la somma riscossa dalla banca e il debito delle mutuatario, che era onere del convenuto in revocatoria provare, appartenendo all'area delle eccezioni, e, ove non provata, avrebbe giustificato l'azione revocatoria. Si critica, poi, la sentenza per avere la corte ritenuto provata la suddetta fondamentale circostanza della coincidenza tra quanto riscosso e quanto garantito dalla ipoteca sulla sola base della ridetta ricostruzione contabile costituente una mera deduzione difensiva. Ore la corte avesse ritenuto tale ricostruzione un mezzo di prova documentale, patente sarebbe la violazione del divieto di introduzione di nuove prove in appello e la contraddittorietà della motivazione, in quanto gli stessi giudici di seconde cure avevano richiamato la preclusione di cui all'art. 345 c.p.c. per negare ingresso a una prova documentale offerta dall'appellante.
Il motivo è palesemente inammissibile.
Come è evidente dal tenore letterale della motivazione, la decisione è basata su due rilievi: la prova, data dal Mediocredito, che il suo credito era garantito da ipoteca di primo grado sull'immobile della debitrice, poi venduto per una somma sulla quale trovò soddisfacimento il credito ipotecario; la mancata prova, da parte del fallimento, dell'interesse ad agire in revocatoria. La sentenza prosegue introducendo una ulteriore osservazione e cioè che il Mediocredito, attraverso la ricostruzione contabile riprodotta nell'atto di appello, ha dimostrato che la somma riscossa è addirittura inferiore a quanto spettategli. Tuttavia, la corte territoriale ha precisato trattarsi di osservazione formulata ad abundantiam, sottolineando, in seguito, che su tale punto il Mediocredito ha basato il secondo motivo di gravame volto a contestare anche l'assunto del tribunale secondo cui l'istituto non avrebbe provato l'ammontare del credito. Ha, inoltre, avvertito che ciò era peraltro superato dalla motivazione precedente, relativa all'interesse ad agire del fallimento. L'ulteriore sviluppo argomentativo della sentenza ha solo una funzione rafforzativa. Il motivo investe, quindi, all'evidenza, un'argomentazione di rincalzo della sentenza che, proprio per la sua natura, non ha rilievo alcuno nell'economia della decisione, imperniandosi questa sulla mancata prova dell'interesse ad agire in revocatoria. Tale argomentazione è di per sè idonea e sufficiente a sorreggere la decisione, sicché le ulteriori considerazioni svolte in sentenza in ordine alla prova del fatto che il Mediocredito non ha incassato più di quanto gli spettava, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2855 c.c. e 54 l.fall., in quanto costituenti una motivazione ad abundantiam, non sono soggette ad impugnazione.
Deve infatti ribadirsi che le affermazioni ad abundantiam contenute nella motivazione della sentenza, consistenti in argomentazioni rafforzative di quella costituente la premessa logica dalla statuizione contenuta nel dispositivo, vanno considerate di regola superflue e quindi giuridicamente irrilevanti ai fini della censurabilità, qualora l'argomentazione rafforzata sia per sè sufficiente a giustificare la pronuncia adottata e non risulti infirmata dalla proposta impugnazione (Cass. nn. 5778/1988, 10241/3000, 317/2002, 2087/2002, 9963/2002, 11160/2004, 3002/2004). Infondato in tutta le sue articolazioni, il ricorso va in definitiva rigettato.
La natura delle questioni trattate costituisce giusto motivo di compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 8 luglio 2005.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2005