Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6628 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 01 Luglio 1992, n. 8097. Est. Bibolini.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Concordato preventivo - Ammissione - In genere - Società di persone - Socio illimitatamente responsabile - Concordato preventivo - Proposta ai propri creditori personali unitamente e contestualmente al concordato preventivo della società - Inammissibilità - Art. 147 e 154 legge fall. - Disciplina - Inapplicabilità - Conseguente contrasto con l'art. 3 Cost. - Inammissibilità.



È inammissibile il concordato preventivo proposto ai propri creditori personali da un socio illimitatamente responsabile di una società di persone, unitamente e contestualmente al concordato preventivo della società stessa, atteso che l'efficacia del concordato della società nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, ai sensi dell'art. 184, secondo comma, legge fall., non coinvolge anche i creditori personali di tali soci, i quali, mancando della qualità di imprenditori, non sono legittimati alla proposizione del concordato preventivo (artt. 1 e 161 legge fall.), e che non possono applicarsi a questa procedura le regole, contenute negli artt. 147 e 154 legge fall., sull'estensione del fallimento e del concordato fallimentare ai soci illimitatamente responsabili, trattandosi di disposizioni eccezionali, non suscettibili di interpretazione analogica (senza che ciò implichi contrasto con l'art. 3 Cost., attesa la diversa funzione delle rispettive procedure). (massima ufficiale)


Massimario, art. 154 l. fall.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Paolo VERCELLONE Presidente
" Antonio SENSALE Consigliere
" Alfredo ROCCHI "
" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "
" Mario CICALA "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
S.p.A. BANCA CATTOLICA DEL VENETO con sede in Vicenza, in persona del suo direttore generale, elettivamente domiciliata in Roma, via F. Confalonieri n. 5 presso l'Avv. Luigi Manzi che la rappresenta e difende unitamente all'Avv. Giorgio Oppo e Antonio Zanotto, giusta delega a margine del ricorso introduttivo.
Ricorrente
contro
CONCORDATO PREVENTIVO DELLA S.N.C. SOCIETÀ ITALIANA METALLURGICA E SMALTERIA EBOS, nonché CONCORDATO DEL SOCIO ILLIMITATAMENTE RESPONSABILE GIORGIO FUGAZZA, in persona del Commissario Giudiziale, rappresentati e difesi dall'Avv. Lino Guglielmucci e dall'Avv. Paolo Vitucci, giusta procura speciale a margine del controricorso, elett. dom. in Roma, via Mascagni n. 154 presso l'Avv. Paolo Vitucci. Controricorrenti
avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia del 29-5-1987 n. 372;
Udita la relazione svolta dal cons. Gian Carlo Bibolini;
Udito per il ricorrente l'Avv. Manzi il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso nonché gli avv.ti Lino Guglielmucci e Paolo Vitucci per i controricorrenti, i quali hanno chiesto pregiudizialmente la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per tardività e, nel merito, il rigetto,
Udito il P.M. Dr. Martinelli che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il problema fondamentale posto nella presente controversia, nelle sue varie fasi, attiene all'ammissibilità del concordato preventivo (nella specie concordato con cessione di beni) proposto da un socio illimitatamente responsabile di una Società di persone, unitamente e contestualmente al concordato preventivo della società stessa. La questione è sollevata da un creditore personale del socio, il quale sostiene la sussistenza del suo diritto ad agire esecutivamente sul patrimonio dello stesso (non altrimenti imprenditore) fino all'integrale soddisfazione delle proprie ragioni creditorie, ancorché chirografarie, senza dovere egli sottostare alla falcidia concordataria, soprattutto quando, come nel caso di specie, il concordato della società prevedeva che, raggiunta la percentuale del 40%, i creditori personali del socio avrebbero dovuto concorrere con i creditori sociali concordatari sull'eventuale residuo attivo personale.
In fatto (secondo l'esposizione e l'interpretazione delle proposte effettuata dalla Corte di Venezia nella sentenza n. 372-87), in data 16-11-1982 la s.n.c. EBOS ed i soci illimitatamente responsabili sig.ri Giorgio Fugazza e Liliana Rigon, depositando i relativi ricorsi davanti al Tribunale di Padova, avevano proposto ai rispettivi creditori sociali e personali concordati preventivi con la cessione dei beni.
Tralasciando la posizione di Liliana Rigon che, in sede di opposizione all'omologazione del concordato, aveva revocato la propria proposta, vi è da porre in rilievo la proposta della società, nel punto in cui era previsto che, sul residuo patrimonio attivo del socio, una volta soddisfatto il 40% dei creditori chirografari personali, (oltre ovviamente a quelli privilegiati in via integrale) concorressero sia i creditori sociali sia quelli personali per la parte insoddisfatta (v. pag. 18-19-20 della sentenza).
Le proposte riportavano le maggioranze di legge all'adunanza dei creditori e nei venti giorni successivi, per cui veniva aperta la fase di omologazione nella quale la Banca Cattolica del Veneto, assumendo una propria posizione creditoria verso il sig. Giorgio Fugazza, proponeva opposizione, chiedendo che venisse dichiarata "irricevibile" l'istanza di concordato del socio Fugazza, senza per nulla interferire sull'omologabilità del concordato sociale. Il Tribunale di Padova con sentenza 31-10-1983, rigettava l'opposizione e dava omologazione ai concordati proposti dalla società e dal socio predetto.
La Corte di Appello di Venezia, pronunciando su impugnazione della banca suddetta e su appello incidentale relativo alla compensazione delle spese di causa, con sentenza 9-5-1987 dava integrale conferma alla sentenza del Tribunale, dichiarando inammissibile l'appello incidentale e rigettando quello principale.
In ordine alla questione fondamentale, relativa all'ammissibilità del concordato preventivo dei soci di società di persone, la Corte di Venezia richiamava l'unico precedente allora edito di questa Corte (sent. n. 2681-70 - ancorché fosse già stata pubblicata da breve tempo la sentenza 3-4-1987 n. 3229 di diverso indirizzo), riproponendone le argomentazioni, ed ammettendo detto tipo procedurale sulla considerazione che ai soci, soggetti alla dichiarazione di fallimento unitamente alla società, non può negarsi l'uso degli strumenti apprestati dalla legge per evitare di essere sottoposti a fallimento; diversamente, in tesi, si determinerebbe un arbitrario trattamento di sfavore dei soci rispetto agli imprenditori, ai quali sono equiparati, all'atto pratico, ai fini della dichiarazione di fallimento; fallimento al quale ben difficilmente potrebbero sottrarsi se il loro patrimonio fosse lasciato come oggetto della libera attività esecutiva dei creditori personali.
Si giustifica, inoltre, l'effetto concordatario nei riguardi dei creditori chirografari personali dei soci, in considerazione dell'interesse del socio stesso di mantenere il più possibile integro il proprio patrimonio, per fare fronte anche agli obblighi sociali.
La tesi, poi, non troverebbe contrasto nella disciplina dell'art. 184 L.F., in virtù della previsione di "patto contrario" prevista dall'articolo stesso.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la Banca Cattolica del Veneto, deducendo tre motivi, integrati da memoria e da note di udienza; si costituiva con controricorso il Commissario dei concordatari preventivi, nella veste.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Pregiudizialmente occorre valutare l'eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione a causa di tardiva proposizione, sollevata dalla difesa dei controricorrenti alla odierna udienza, sollecitando il potere di esame di ufficio della Corte.
La tardività del ricorso deriverebbe, in tesi, dalla mancata operatività della sospensione dei termini in periodo feriale nella procedura di omologazione di concordato e di opposizione all'omologazione, nei vari gradi e fasi.
In fatto, tra la notifica della sentenza della Corte d'Appello di Venezia emessa il 9-5-1987 (20-8-87) e la notifica del ricorso per cassazione (11-11-1987) è decorso un arco di tempo superiore a sessanta giorni, tempo che renderebbe tardivo il ricorso stesso in assenza della sospensione dei termini e che, al contrario, lo qualificherebbe tempestivo in presenza del fenomeno sospensivo. La difesa della controricorrente, opponendosi nelle note di udienza all'eccezione indicata, ha richiamato, come precedente giurisprudenziale coerente con la propria posizione processuale, la sentenza 23 maggio 1990 n. 4669 di questa Corte. Il richiamo, peraltro, non pare ne' confacente alla fattispecie oggetto di esame nè risolutivo, sia perché detta sentenza concerneva esclusivamente il concordato fallimentare, e non quello preventivo, sia perché la stessa pronuncia, non fornendo autonomi argomenti, si limitava a richiamare integralmente sul punto il precedente di questa Corte costituito dalla sentenza 10-3-1971 n. 687, la cui motivazione non è estensibile alla situazione dedotta in controversia nella presente procedura. L'insegnamento della sentenza del 1971 citata, infatti era nel senso che non potessero equipararsi, in via di interpretazione estensiva dell'art. 92 dell'Ordinamento Giudiziario, l'ipotesi espressamente prevista da detto articolo relativa alla revoca del fallimento (quale causa di non operatività della sospensione dei termini processuali in periodo feriale) alla fattispecie di chiusura di fallimento inerente all'omologazione del concordato fallimentare. Al concordato preventivo, ovviamente, è estranea ogni situazione relativa alla revoca o alla chiusura del fallimento, per cui il principio richiamato come precedente non può trovare applicazione diretta.
La questione pregiudiziale proposta in questa sede, che non ha precedenti giurisprudenziali noti nelle sentenze della Corte Suprema, non può trovare accoglimento considerando il tenore delle disposizioni relative alla sospensione dei termini processuali in periodo feriale. Ed invero, la L. 7-10-1969 n. 742, dopo avere determinato la regola della sospensione, disciplina le eccezioni (per quanto ci riguarda) all'art. 4 mediante il richiamo delle situazioni previste dall'art. 92 dell'Ordinamento Giudiziario, approvato con R.D. 30-1-1941 n. 12, nel quale l'unico riferimento alle procedure concorsuali attiene ai procedimenti per la dichiarazione di fallimento e per la relativa revoca.
I procedimenti di omologazione di concordato preventivo, quindi, esulano dalla letteralità della norma, ne' l'eccezionalità della non decorrenza della sospensione dei termini processuali in periodo feriale, in relazione al principio generale della sospensione espresso nell'art. 1 della L. n. 742-69 citato (in tale senso Cass. 10-3-71 n. 687 citata) consente l'interpretazione analogica. Non giova, d'altronde, a sostegno dell'eccezione pregiudiziale il rilievo (ancorché non svolto) della possibile convertibilità della procedura di omologazione di concordato in dichiarazione di fallimento, vuoi sotto il profilo dell'unicità procedimentale, vuoi in relazione alla funzione cautelare (i procedimenti cautelari costituiscono altre ipotesi di mancata sospensione prevista dall'art. 92 Ord. Giud.) che la fase preliminare di concordato preventivo può svolgere nei confronti del successivo fallimento, in quanto l'unicità di presupposti soggettivi ed oggettivi fondamentali tra concordato preventivo e fallimento non esclude che si tratti di differenti procedure concorsuali con distinta operatività e con finalità non integralmente coincidenti, ed inoltre perché la funzione cautelare della prima procedura rispetto alla seconda si evidenzia solquando al fallimento si controverte ancora sull'omologabilità del concordato in considerazione della sua ammissibilità, o no.
Infine, la fase preliminare del concordato preventivo fino all'omologazione compresa, non può considerarsi in sè un procedimento cautelare. Esistono indubbiamente nella procedura concorsuale complessa operazioni destinate ad una funzione cautelativa (art. 162 e 172 L.F.) e di norma non incidenti sulla decorrenza di termini processuali; la funzione della procedura concordataria in quanto tale, però, sia come mezzo volto ad evitare il fallimento, sia come procedura concorsuale con finalità liquidatoria e satisfattiva e con effetto parzialmente esdebitatorio per i proponenti, persegue finalità che esulano completamente da una semplice procedura cautelare.
Mancano, pertanto, gli stessi presupposti perché, preclusa l'interpretazione analogica, possa addivenirsi ad un'interpretazione estensiva dell'art. 4 della L. n. 742-69 in relazione alle varie ipotesi dell'art. 92 dell'ordinamento giudiziario, nel giudizio di omologazione di concordato preventivo.
L'eccezione pregiudiziale, quindi, deve essere respinta, dovendosi ammettere che la sospensione dei termini in periodo feriale è operativa anche nel giudizio di omologazione del concordato preventivo nei suoi vari gradi e fasi, salvo sempre, in caso di necessità, la dichiarazione di urgenza prevista dall'art. 92, comma 2, Ord. Giud..
Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente deduce la violazione dei principi regolanti la posizione dei soci illimitatamente responsabili nelle procedure concorsuali e, in ispecie, la violazione e-o la falsa applicazione degli artt. 1, 147, 154, 160, 184, 203 e 211 del R.D., n. 267-42, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., dolendosi del tenore della sentenza n. 387-72 della Corte veneziana, sotto diversi profili.
A) Essa rileva, innanzi tutto, che il presupposto soggettivo per la sottoposizione a procedure concorsuali, è la qualifica imprenditoriale, come emerge dall'art. 1 L.F. in riferimento ai presupposti richiesti dall'art. 160 L.F..
Poiché il socio non è imprenditore in quanto tale, esso non è assoggettabile alla stessa procedura della società di persone, salvo che espressa ed eccezionale norma ciò non preveda. Detta norma esistente per il fallimento, manca per il concordato preventivo. Nè la disciplina speciale in materia può ricercarsi nell'art. 184, comma 2, L.F., il cui unico significato sarebbe quello di estendere al socio l'effetto (di esdebitazione) del concordato preventivo illimitatamente ai debiti sociali, senza peraltro consentire la sottoposizione del socio (o come conseguenza automatica del concordato della società, o come conseguenza di espressa domanda) al concordato, con effetto sui propri debiti personali. B) Detta parte sostiene, inoltre, che nessun fondamento assume la tesi secondo cui il socio, come è sottoposto a fallimento in conseguenza dell'insolvenza della società, così deve essere messo nella condizione di evitare il fallimento ricorrendo al concordato. Sul punto il ricorrente fa rilevare che, una volta omologato il concordato sociale, viene meno per ciò stesso il presupposto (il fallimento sociale) per cui il socio (non autonomamente imprenditore), possa essere dichiarato fallito.
C) La ricorrente aggiunge che nessun argomento, in
un'interpretazione sistematica, può trarsi dall'ammissibilità del concordato fallimentare nel fallimento della società e dei soci. Si tratta, infatti, di un mezzo di chiusura del fallimento cui viene normalmente assoggettato il socio dichiarato fallito, senza la possibilità di trarre argomenti a favore del concordato preventivo del socio stesso. Nè troverebbe fondamento la tesi espressa nella sentenza impugnata, secondo cui il concordato personale del socio si giustificherebbe con il suo interesse di sottrarre il suo patrimonio alle libere azioni esecutive dei creditori personali, e di riservare MOTIVI DELLA DECISIONE
il patrimonio stesso (o parte di esso), ai creditori sociali per fini concordatari.
Ed invero l'interesse del socio, e fosse anche l'interesse della società, non costituisce argomento sufficiente per consentire il sacrificio concordatario dei creditori personali del socio, in mancanza di espressa disciplina normativa.
Si pone così all'esame di questa Corte un problema che, quale emerge dal dibattito tra le parti, ha lungamente impegnato la dottrina e che ha avuto soluzioni non coerenti tra una giurisprudenza risalente di questa corte, ed un indirizzo più recente; il problema se, in caso di società con soci illimitatamente responsabili, il concordato dell'impresa sociale coinvolga anche i creditori personali dei soci estranei ai rapporti imprenditoriali, oppure no. Esula, invece dalla presente disamina l'ulteriore problema, al primo di norma connesso, relativo all'esigenza che lo stesso socio, per fruire dei benefici concordatari anche per i propri debiti personali, debba proporre a sua volta domanda di concordato in coerenza con quella sociale, ovvero se, proposta la domanda della società, si verifichi nei confronti del socio un concordato preventivo per ripercussione, in analogia a quanto si ha per il fallimento, volta che nella specie la domanda del socio era stata fatta ed inoltre la proposta concordataria prevedeva anche come dovesse operare il concorso tra i creditori sociali e quelli personali, nel senso che, raggiunta la percentuale del 40% sul patrimonio del socio dei suoi creditori personali, gli stessi dovessero concorrere sul residuo con quelli societari. Le argomentazioni svolte nella sentenza della Corte d'Appello di Venezia, oggetto di ricorso, (come richiamate nella parte espositiva) ripropongono sostanzialmente quelle della sentenza di questa Corte 15 dicembre 1970 n. 2681 ed in parte nella sentenza 17 dicembre 1981 n. 6677; gli argomenti portati dalla ricorrente a sostegno del mezzo di cassazione in esame, ripropongono il più recente indirizzo di questa Corte, espresso nella sentenza 3 aprile 1987 n. 3229. A quest'ultimo indirizzo la Corte ritiene di dovere dare continuità, in quanto il rigore interpretativo della normativa speciale concernente il concordato preventivo, di cui è espressione, non consente una diversa soluzione, pur prendendo atto degli inconvenienti, come ampiamente illustrati dalla controricorrente procedura, che la soluzione indicata può evidenziare, ma che pur tuttavia non sconfinano in situazioni di arbitrarietà ed hanno una coerenza logica nell'interpretazione della specialità della procedura in esame.
Gli argomenti richiamati, sono riassumibili come segue:
1) Vi è una coincidenza tra l'art. 160, comma 1, L.F., che legittima alla preposizione della proposta di concordato solo "l'imprenditore", con la precisazione che la proposta è rivolta "ai creditori", e l'art. 1, comma 1, L.F. che sottopone alle disposizioni sul concordato preventivo "gli imprenditori che esercitano attività commerciale".
Il concordato è retto (sia pure nella specialità di tutto l'ordinamento concorsuale costituente un insieme di norme organiche) da un principio generale che riserva la procedura all'imprenditore commerciale. Poiché il socio di una società di persone, non è in quanto tale, e sol per questo, qualificabile come imprenditore (sia che si ritenga che egli debba rispondere delle obbligazioni sociali quale espressione di una responsabilità per debiti propri - Cass. S.U. sent. n. 3749-89 -, sia che si ritenga la sua responsabilità connessa a situazioni debitorie altrui), la disciplina concordataria non lo prevede come soggetto attivo della procedura concorsuale. 2) L'art. 184, comma 2, L.F., disponendo l'efficacia del concordato della società nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, ha espressamente preso in esame l'esdebitazione parziale concernente i debiti sociali, nel senso che il pagamento della percentuale concordataria libera anche i soci illimitatamente responsabili con riguardo a detti debiti, per cui anche la pattuizione contraria, prevista dalla stessa norma, non può che riferirsi all'oggetto della disposizione nel suo complesso, nel senso che il socio può rinunciare ad avvalersi dell'esdebitazione per i crediti sociali, rafforzando la garanzia patrimoniale per i creditori sociali. Di conseguenza, nessuna utile deduzione può trarsi dall'articolo in esame in favore della proponibilità del concordato da parte del socio in esame o dall'effetto del concordato sui debiti personali ed individuali del socio.
3) L'estensione della proponibilità del concordato al socio illimitatamente responsabile, infine, non può fondarsi sull'interpretazione analogica degli artt. 147 e 154 L.F. che, nell'estensione del fallimento e del concordato fallimentare ai soci illimitatamente responsabili, costituiscono disposizioni eccezionali, non suscettive di interpretazione analogica.
4) Si aggiunga, ancora che l'inammissibilità di un concordato preventivo sul patrimonio dei soci illimitatamente responsabili, come pure è stato rilevato in dottrina, discende dalla carenza di un qualunque coordinamento rispetto al concordato preventivo della società, volta che la connessione di più procedimenti, nella quale si risolverebbe l'apertura di più concordati preventivi a vantaggio di singoli soci, non si potrebbe creare in via di interpretazione, ma richiede un adeguato corredo di norme, sia per la riduzione ad unità degli organi delle varie procedure concorsuali (come si verifica nel fallimento ex art. 148 L.F.), sia in ordine al concorso dei creditori sociali e personali, sia in fine sulle modalità di attuazione dell'assemblea dei creditori concorrenti sui vari patrimoni in discussione. Il tutto senza ulteriormente considerare che l'operatività vincolante, per le minoranze, della volontà collettiva dei soci, secondo le maggioranze prescritte dall'art. 177 L.F., è a sua volta disposizione derogante al principio generale della disponibilità dei diritti da parte del titolare, per cui in mancanza di espressa regolamentazione normativa non è consentito creare per i creditori particolare del socio un vincolo al di fuori del dettato normativo e della loro volontà singolare. 5) Val la pena anche di aggiungere, come è stato pur rilevato in dottrina, come la possibile evoluzione successiva dei vari concordati connessi potrebbe portare a situazioni del tutto in contrasto con i principi dell'ordinamento concorsuale, nell'ipotesi di differente esito delle votazioni per i due procedimenti o di omologa del concordato della società e di rifiuto di omologa di quello del socio, per il quale dovrebbe instaurarsi il procedimento per la dichiarazione di fallimento, secondo il disposto dell'art. 181, comma 2, ultima ipotesi L.F., pur in assenza del fenomeno imprenditoriale singolare, ovvero rifiutare l'evoluzione del concordato in fallimento, proprio per la mancanza del presupposto soggettivo, creando un regime del concordato connesso al di fuori di ogni previsione normativa, o contro la previsione espressa dagli artt. 179 e 181 L.F..
Parte controricorrente, peraltro, con un'impostazione indubbiamente nuova e sottile, suggerisce la soluzione del problema, non sulla base dell'interpretazione analogica di norme, che la disciplina speciale non consentirebbe, bensì ricorrendo all'interpretazione estensiva.
Rileva il controricorrente, secondo questa linea logica, che la disciplina del fallimento è essenzialmente modellata sulla figura dell'imprenditore individuale, avendo poi il legislatore provveduto con disposizioni particolari ad adattare il modello principale alle ipotesi del fallimento delle società. Poiché il concordato preventivo costituisce il mezzo per evitare all'imprenditore la dichiarazione di fallimento, cui egli è altrimenti soggetto, può ritenersi che anche l'art. 160 L.F. in materia di concordato preventivo, abbia modellato detta procedura soltanto sull'imprenditore individuale, non essendosi avvertita la necessità di disciplinare espressamente (come invece gli artt. da 146 a 159 fanno per il fallimento ed il concordato fallimentare delle società) il concordato preventivo delle società. Da ciò una carenza normativa che legittimerebbe l'interpretazione estensiva, e non analogica, delle norme sul fallimento delle società, muovendo dalla correlazione concordato preventivo-fallimento, dovendosi ritenere che se il legislatore ha inteso offrire, con il concordato preventivo, uno strumento di prevenzione di fallimento, ha inteso riferirsi all'imprenditore non in quanto soggetto suscettibile di essere dichiarato fallito.
L'impostazione del problema ha indubbiamente il carattere dell'originalità e della coerenza logica, solché si accolga il postulato di premessa dell'intera argomentazione: l'opinione che il legislatore, improntando la struttura del concordato preventivo alla figura dell'imprenditore individuale, abbia lasciato un vuoto normativo in ordine al concordato della società di persona, nel quale possa insinuarsi l'interpretazione estensiva suggerita. La tesi, ancorché suggestiva, è peraltro carente proprio del postulato di premessa.
Già prima dell'emanazione della legge fallimentare vigente, esisteva dibattito sia sulla estensione al socio illimitatamente responsabile dell'esdebitamento delle situazioni soggettive sociali, sia sulla ammissione dei soci in quanto tali al concordato preventivo delle società di persone. Della Rel. Min. alla vigente legge fallimentare (N. 34) si evince che il legislatore ha inteso solo legalizzare la prassi, da tempo affermatasi, dell'estensione ai soci degli effetti del concordato sociale, e non anche l'altra situazione dell'ammissione dei soci in quanto tali al concordato preventivo insieme alla società.
Ciò che non è regolato dalla Legge fallimentare, non è la posizione del socio delle società irregolari nel concordato, ma soltanto la possibilità del socio di proporre autonomo e connesso concordato con quello della società. Questa situazione, peraltro, non può portare a ritenere che il legislatore abbia improntato la struttura del concordato preventivo solo alla figura dell'imprenditore individuale, per cui in via estensiva gli effetti e le caratteristiche del concordato sociale (nelle società di persone) debbano essere tratti dalle norme che espressamente hanno invece regolato il fallimento dei soci illimitatamente responsabili delle società di persone.
Basti ricordare l'art. 161, comma 4, L.F., che regola la domanda di concordato delle società, richiamando la disciplina del precedente art. 152 (concernente il concordato fallimentare della società) inerente alla domanda sia delle società di capitali, sia di quelle di persone; basti richiamare il già ricordato art. 184, comma 2, L.F., concernente proprio il concordato delle società con soci illimitatamente responsabili, di cui è regolata esclusivamente l'estensione degli effetti del concordato sociale a favore dei soci predetti; basti ricordare, quindi, queste due situazioni per rendersi ulteriormente conto che il fenomeno del concordato delle società di persone, e la situazione dei soci illimitatamente responsabili, sono stati ben presenti al legislatore del 1942, per cui non è consentito parlare di vuoto normativo da coprire con interpretazione estensiva. In una situazione regolata dalla legge, non è stata prevista la proponibilità del concordato particolare del socio in concomitanza con quello della società con il chiaro intendimento di escludere l'ipotesi dalle possibilità di realizzazione della procedura concorsuale in esame.
Nè può superarsi il senso della mancata regolamentazione del concordato preventivo del socio, con la constatazione che il concordato preventivo dei soci illimitatamente responsabili varrebbe a rafforzare quello della società, rendendone più probabile l'adempimento, ovvero, in contrario, che sottraendo il patrimonio del socio al concordato sociale per riservarlo alla libera disponibilità dei suoi creditori personali, si renderebbe precaria la "convenienza" (quale requisito di omologabilità ex art. 181, comma 1, n. 1, L.F.) del concordato rispetto al fallimento sociale; non può, inoltre, prospettarsi ulteriormente, sotto questo profilo, un'ipotesi di censura ex art. 3 della Costituzione dell'interpretazione accolta, sia sotto il profilo dell'irrazionalità di una normativa che consenta al socio di chiudere il proprio fallimento con un concordato, ma non di prevenirlo con un concordato fallimentare e preventivo, consentendo nell'un caso la disposizione a maggioranza dei diritti dei creditori particolari per chiudere una procedura di fallimento e non consentendo di prevenirla, nell'altro, con analogo mezzo.
La prospettata situazione di disuguaglianza appare priva manifestamente di fondamento se rapportata al dettato costituzionale, ove si tenga conto della diversa funzione del concordato fallimentare, connesso intimamente alla disciplina del fallimento prevista dall'art. 147 L.F., e del concordato preventivo. L'una è una situazione di chiusura del fallimento, in cui il socio era sia stato coinvolto in virtù della sua illimitata responsabilità ed a norma del richiamato art. 147 L.F.; l'altra è una situazione per evitare che sia dichiarato il fallimento proprio a norma dell'art. 147 citato, beneficio di cui il socio fruisce per il solo fatto che il concordato della società sia stato proposto ed omologato, senza dovere necessariamente ricorrere ad un parallelo concordato del socio, concomitante con quello della società. Se d'altra parte, sul piano della "convenienza economica per i creditori" il concordato sociale non accompagnato da quello dei soci, crea difficoltà di omologa nel tipo con cessione di beni, non è precluso ai soci creare le situazioni di convenienza sia rinunciando all'efficacia nei loro confronti del concordato sociale secondo il "patto contrario" di cui l'art. 184, comma 2, L.F. fa salvezza, sia fornendo garanzie personali in una forma di concordato misto, pur consentito dall'ordinamento, atto a ricreare la condizione di "convenienza" di omologabilità del concordato sociale che, di per sè, consente al socio di evitare il proprio fallimento. La diversa regolamentazione, quindi, tra concordato fallimentare e concordato preventivo in relazione alla condizione dei soci illimitatamente responsabili, non ha il carattere dell'arbitrarietà, trovando fondamento sia nella diversa funzione che i due tipi di concordato adempiono, sia nel perseguimento, ancorché con diverse modalità, di risultati analoghi volti rispettivamente a chiudere il fallimento o ad evitarlo.
All'accoglimento del primo mezzo di cassazione, consegue l'assorbimento degli altri due, i quali coinvolgono situazioni procedurali del concordato preventivo del socio e la cui funzione era ad evidenza meramente subordinata al rigetto del primo motivo. Sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese della presente fase processuale.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri compensando le spese della presente fase processuale. Roma 24-1-1991.