Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6663 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. IV, lavoro, 02 Febbraio 1999, n. 861. Est. Vidiri.


Prova civile - Giuramento - Ammissibilità - Del giuramento decisorio - Deferimento subordinato alla (eventualmente ritenuta) mancata idoneità delle altre prove - Ammissibilità - Conseguenti poteri del giudice.



Il giuramento decisorio deferito subordinatamente all'eventuale non ammissione di altri mezzi di prova richiesti in via principale può essere ammesso dal giudice del merito solo dopo che egli abbia escluso l'ammissibilità e la rilevanza degli altri mezzi suddetti; peraltro, tale valutazione negativa, non esigendo una motivazione espressa, può risultare per implicito dall'"iter" logico seguito dal giudice che abbia ammesso soltanto il giuramento. (massima ufficiale)


Massimario, art. 237 l. fall.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Francesco SOMMELLA - Presidente -
Dott. Alberto EULA - Consigliere -
Dott. Natale CAPITANIO - Consigliere -
Dott. Vincenzo CASTIGLIONE - Consigliere -
Dott. Guido VIDIRI - Rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:

CRAVIN SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA GAVORRANO N.12 sc.B presso lo studio dell'avvocato MARIO GIANNARINI, rappresentata e difesa dall'avvocato GIOVANNI CILIA, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

MINARDI GIUSEPPE;

- intimato -

avverso la sentenza n. 904/95 del Tribunale RAGUSA, depositata il 18/11/95 R.G.N.1007/94;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/10/98 dal Consigliere Dott. Guido Vidiri;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto CINQUE che ha concluso per l'accoglimento del quarto e quinto motivo del ricorso e il rigetto degli altri.

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

Con ricorso depositato in data 18 agosto 1990, Giuseppe Minardi adiva il Pretore di Ragusa chiedendo la condanna dalla C. RA. V.IN. s.r.l., sua datrice di lavoro, esercente l'attività di officina di macchine agricole e magazzino ricambi, al pagamento della complessiva somma di lire 74.021.720, con gli interessi e rivalutazione monetaria, il tutto con vittoria di spese ed onorari di giudizio. Esponeva a tal riguardo il ricorrente che aveva lavorato come magazziniere dal 1 dicembre 1986 al 20 giugno 1990 con una retribuzione mensile costante di lire 450.000, inferiore a quella stabilita dal contratto collettivo di categoria e comunque a quella dovuta alla stregua dell'art. 36 Cost., e che non aveva percepito la retribuzione per i mesi di maggio e giugno 1990, il trattamento di fine rapporto, il compenso per lavoro straordinario ( svolto in ragione di un ora e mezzo al giorno e cinque ore il sabato), le mensilità aggiuntive nonché l'indennità sostitutiva di ferie. Dopo la costituzione del contraddittorio il Pretore di Ragusa, ritenendo parzialmente fondata la domanda, condannava la società al pagamento della somma di lire 31.384.509, oltre gli interessi e rivalutazione monetaria dal 31 marzo 1994 al saldo.

A seguito di appello principale di Minardi, che lamentava l'errata decorrenza degli interessi e della rivalutazione sull'intero dovuto dal 31 marzo 1994, invece che dalla maturazione di ogni singolo credito, e di appello incidentale della società, che deferiva alla controparte giuramento decisorio in relazione all'entità della retribuzione percepita, il Tribunale di Ragusa con sentenza del 18 novembre 1995, in parziale modifica della impugnata sentenza, condannava la società al pagamento della complessiva somma di lire 23.526.924, con la rivalutazione e gli interessi a decorrere dalla data di maturazione dei singoli crediti su lire 19.877.483 e dall'8 giugno 1990 sul resto al saldo.

Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale osservava in rito che doveva ritenersi infondato il primo motivo dell'appello incidentale, con il quale la società aveva eccepito la nullità del ricorso del lavoratore ai sensi dell'art. 414 nn. 3 e 4 c.p.c., perché assolutamente generico e perché lacunoso nell'esposizione dei fatti. Ed invero, il lavoratore aveva indicato gli elementi di fatto posti a base della sua pretesa, e cioè il periodo di lavoro, le mansioni, la retribuzione percepita e le diverse voci della sua pretesa, ed aveva per di più quantificato le sue pretese. Nel merito, il Tribunale affermava che, in relazione all'ammontare della retribuzione percepita dal lavoratore, non poteva che rifarsi, anche sulla base del giuramento decisorio reso dal Minardi, a quanto sostenuto dallo stesso lavoratore, non avendo la società dato prova di avere corrisposto somme maggiori a lire 450.000 mensili indicate dallo stesso Minardi. Detta somma andava rivalutata, in considerazione della quantità e qualità del lavoro svolto, non sulla base del contratto collettivo del settore commercio, come ritenuto dal Pretore, ma di quello del settore meccanico-artigianale, in considerazione del quale andava quindi determinato l'esatto ammontare delle competenze economiche spettanti al Minardi.

Il Tribunale, infine, prendendo in esame le singole pretese del lavoratore, osservava che nulla spettava al lavoratore per straordinario e per indennità per ferie non godute.

In relazione alla prima richiesta il giudice d'appello deduceva che, non essendo applicabili nella fattispecie in esame i contratti collettivi di categoria, il limite dell'orario ordinario era quello fissato dall'art. 1 del r.d.l. n. 692/1923, per cui non avendo il Minardi provato, attraverso i testi escussi, di avere svolto la sua attività per più di 48 ore settimanali, la sua richiesta andava respinta.

Anche per l'indennità sostitutiva di ferie nulla poteva riconoscersi al lavoratore atteso che quest'ultimo aveva usufruito di un periodo di riposo annuale (tre settimane) sicuramente adeguato in ragione della prestazione lavorativa svolta.

Riteneva, da ultimo, il Tribunale che andava accolta la censura del lavoratore relativa alla decorrenza degli interessi e della rivalutazione, che erano stati computati a partire dal 31 aprile 1991 invece che dal giorno della maturazione dei singoli crediti. Evidenziava il giudice d'appello che il Pretore era caduto in un evidente errore nel momento che aveva ritenuto la somma finale quantificata dal consulente d'ufficio comprensiva di interessi e svalutazione sino al 31 aprile 1994 laddove invece il detto consulente si era limitato a rivalutare solo il trattamento di fine lavoro.

Avverso tale sentenza la s.r.l. C.RA. V.IN. propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. Giuseppe Minardi non si è costituito in giudizio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società denunzia violazione degli artt. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all'art.414,421 e 437 c.p.c., lamentando che erroneamente il Tribunale di Ragusa aveva rigettato l'eccezione di nullità del ricorso introduttivo proposto da essa ricorrente in primo grado e riproposta in grado di appello. In particolare sostiene che l'originario ricorrente non aveva precisato le sue mansioni di magazziniere ne' aveva indicato le disposizioni della contrattazione collettiva applicabili al caso di specie, ed, infine, non aveva indicato in maniera chiara l'orario svolto in modo da consentire l'individuazione del lavoro straordinario, che in maniera del tutto generica affermava essersi spiegato "in ragione di un'ora e mezzo giornaliera e di cinque ore nella giornata di sabato". Il motivo è infondato e, pertanto, va rigettato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che nel rito del lavoro per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado,per mancata determinazione dell'oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, non è sufficiente l'omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è necessario che ne sia impossibile l'individuazione attraverso l'esame complessivo dell'atto, effettuabile, anche d'ufficio ed in grado di appello, con apprezzamento del giudice di merito censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione ( cfr. Cass., Sez. Un., 2 giugno 1993 n. 6140; Cass. 13 febbraio 1990 n. 1047;

Cass. 5 marzo 1986 n. 1446).

Orbene, il Tribunale, con una motivazione congrua e corretta sul piano logico-giuridico, e, pertanto, non censurabile in questa sede di legittimità, ha evidenziato le ragioni che portavano ad escludere la nullità del ricorso introduttivo del giudizio. A tal riguardo ha sottolineato che il ricorrente con il riferire di avere svolto le mansioni di magazziniere, con il precisare l'ammontare della retribuzione percepita da rivalutarsi alla stregua del parametro di cui all'art. 36 Cost., con lo spiegare le altre modalità di svolgimento del suo rapporto lavorativo (quale l'orario di lavoro) , ed, infine, con l'enunciare le sue specifiche richieste( differenze retributive, tredicesima mensilità, straordinario ed indennità per ferie non godute) aveva consentito l'individuazione dell'oggetto della domanda, e degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della stessa. Ne conseguiva che il ricorso del Minardi non aveva in alcun modo violato il disposto dell'art. 414 nn. 3 e 4 c.p.c.

Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 2697 c.c. e 166 c.p.c. In particolare sostiene che i giudici d'appello non hanno tenuto conto che incombe sul lavoratore provare l'ammontare della retribuzione che assume di avere ricevuto, per cui doveva tenersi conto della retribuzione indicata nella memoria difensiva dalla società datrice di lavoro e non di quella assunta dall'originario ricorrente.

Anche questo motivo è privo di fondamento.

Sulla base del principio generale di cui all'art. 2697 c.c. - in base al quale spetta al lavoratore dimostrare l'esistenza del rapporto lavorativo ed al datore di lavoro provare l'effettuato pagamento delle retribuzioni - il Tribunale , con una motivazione anche per questa parte corretta sul piano logico-giuridico, ha esattamente considerato come retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore la somma che questi ha ammesso di avere percepito in costanza di rapporto,e su tale parametro ha, poi, correttamente calcolato le differenze retributive da corrispondersi ex art. 36 Cost. al lavoratore.

Con il terzo motivo la società ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione all'art. 2721 c.c., 244 e 437 c.p.c. e, comunque, in violazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c., per omessa e comunque insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia. In particolare sostiene che il Tribunale ha ingiustamente omesso di ammettere la prova testimoniale richiesta nella memoria difensiva con appello incidentale ed ha invece accolto la richiesta di giuramento decisorio, avanzata solo in via subordinata. Incombeva, invece, al giudice d'appello provvedere sulla sua istanza istruttoria di prova testimoniale, in relazione alla quale doveva escludersi una sia pure implicita deliberazione negativa non essendosi il giudice limitato a tacere sul punto ma avendo all'opposto espressamente rilevato essere il giuramento l'unico elemento istruttorio ammesso. Questa Corte ha statuito che il giuramento decisorio deferito subordinatamente all'eventuale non ammissione di altri mezzi di prova richiesti in via principale può essere ammesso dal giudice del merito solo dopo che egli abbia escluso l'ammissibilità e la rilevanza dei suddetti mezzi. Peraltro, tale valutazione negativa, non esigendo una motivazione espressa, può risultare per implicito dall'"iter" logico seguito dal giudice che abbia dato ingresso soltanto al giuramento( cfr. in questi sensi Cass. 9 dicembre 1981 n.6507 cui "adde" in argomento anche : Cass. 5 marzo 1987 n. 2330, per l'affermazione che allorquando nel giudizio di secondo grado venga deferito dall'appellante giuramento decisorio dell'appellato, ma subordinatamente all'ipotesi che non si ritengano acquisiti elementi sufficienti per accogliere l'impugnazione , il giudice d'appello, nel mancato verificarsi di tale condizione, non può e non deve prendere in considerazione il mezzo istruttorio che la legge rimette alla disponibilità delle parti e che, quindi, non è ammissibile d'ufficio).

Per di più la censura del ricorrente non può trovare accoglimento anche per la mancata specificazione del contenuto della prova testimoniale, di cui lamenta la non ammissione da parte del giudice di merito. Il ricorso per cassazione deve presentare, infatti, l'autonomia necessaria a consentire, senza il sussidio di altre fonti, l'immediata individuazione delle questioni da risolvere e la loro decisività, sicché il ricorrente non può lamentare il vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere omesso di considerare un elemento istruttorio asseritamente importante, limitandosi a rinviare - come è avvenuto nel caso di specie - agli atti del pregresso giudizio di appello ( cfr. ex "plurimis" : Cass. 26 maggio 1994 n. 5133; Cass. 5 marzo 1991 n. 2325; Cass. 4 marzo 1988 n. 2286).

Con il quarto motivo la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all'art. 429, comma 3, c.p.c. Sostiene in particolare che il Tribunale di Ragusa ha errato nel calcolare gli interessi sulle somme rivalutate in quanto, in linea con quanto affermato dai giudici di legittimità, "gli interessi legali che, ai sensi dell'art. 429, comma 3, c.p.c., il giudice deve determinare sulle somme dovute per i crediti di lavoro, devono computarsi sull'importo originario del credito e non su quello risultante dalla rivalutazione o sulle somme via via rivalutate".

Anche questo motivo - con il quale si chiede una applicazione dell'art. 429, comma 3, c.p.c. nei termini indicati da un recente orientamento giurisprudenziale ( Cass. 26 gennaio 1997 n. 907; Cass. 21 gennaio 1995 n. 680; Cass. 19 maggio 1995 n. 5545) - non può trovare accoglimento risultando del tutto nuovo in quanto, come si evince dagli atti processuali, il cumulo degli interessi e rivalutazione monetaria sui crediti di lavoro del Minardi disposto dal Pretore non è stato oggetto di specifico gravame da parte della società, che pertanto non può ora pretendere che siano presi in esame questioni di fatto e di diritto mai avanzate nel giudizio di merito.

Con l'ultimo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all'art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994 n. 724. Lamenta in altri termini la ricorrente che il Tribunale ha errato nel riconoscere il cumulo di interessi e svalutazione, in quanto il citato art. 22 l. 724 del 1994 aveva, a partire dal 1 gennaio 1995, escluso detto cumulo.

L'indicata censura non può trovare accoglimento.

Come si evince dalla lettera dell'art. 22, comma 36, l. 23 dicembre 1994 n. 724, il divieto di cumulo fra interessi e rivalutazione monetaria dei crediti "di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale" è applicabile solo ai crediti maturati dopo il 31 dicembre 1994( cfr. al riguardo Cass. 30 maggio 1995 n. 6109; Cass. 19 maggio 1995 n. 5501; Cass. 16 maggio 1995 n. 5334). Nel caso di specie i crediti azionati dal Minardi sono sorti prima della suddetta data del 31 dicembre 1994 sicché non opera il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria.

Nessuna statuizione sulle spese del presente giudizio di cassazione stante la mancata costituzione del Minardi.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 1998.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 1999