Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6801 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. IV, lavoro, 16 Aprile 2003, n. 6048. Est. Maiorano.


Società - Di persone fisiche - In genere (nozione, caratteri, distinzioni) - Socio illimitatamente responsabile - Relativa posizione - Assimilabilità a quella di un fideiussore "ex lege" - Esclusione - Beneficio di escussione - Contenuto - Limiti.



La posizione del socio illimitatamente responsabile di una società di persone non è assimilabile a quella di un fideiussore sia pure "ex lege"; in particolare, il socio di una società in nome collettivo può solo invocare il beneficio della preventiva escussione dei beni sociali, che opera limitatamente alla sede esecutiva e non impedisce al creditore sociale di esercitare una azione di cognizione nei confronti del socio, prima di intraprendere l'azione esecutiva nei confronti della società. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D'ANGELO Bruno - Presidente -
Dott. CUOCO Pietro - Consigliere -
Dott. MAIORANO F. Antonio - rel. Consigliere -
Dott. CELENTANO Attilio - Consigliere -
Dott. GIACALONE Giovanni - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MOSCATELLO RAFFAELE, elettivamente domiciliato in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato GIUSEPPE MASCELLO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
MARTINA MAURIZIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA L MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell'avvocato LUIGI GARDIN, rappresentato e difeso dall'avvocato FRANCESCO FLASCASSOVITTI, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 3001/99 del Tribunale di LECCE, depositata il 15/12/99 R.G.N. 438/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/12/02 dal consigliere Dott. Francesco Antonio MAIORANO;
udito l'Avvocato FLASCSSOVITTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Riccardo FUZIO che ha concluso per l'accoglimento del ricorso ed assorbiti gli altri motivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Pretore di Lecce, sezione distaccata di Maglie, del 12/12/94 Martina Maurizio conveniva in giudizio la Cartoprint snc di Moscatello Raffaele & C. per. il pagamento della somma di L. 48.251.751 a titolo di differenze retributive, tredicesima ed indennità ferie non godute, per avere lavorato, in qualità di ragioniere per 8 ore al giorno e per cinque giorni la settimana, alle dipendenze della società dal 26/11/86 al 14/8/90 senza essere assicurato e con una retribuzione inferiore al dovuto. Il Moscatello contrastava la domanda, ma il Pretore istruita la causa l'accoglieva, "condannando Moscatello Raffaele, titolare della società al pagamento della somma di L. 38.594.757, oltre rivalutazione monetaria o interessi". Il Tribunale di Lecce, investito con appello principale del Moscatello ed incidentale del lavoratore, con sentenza del 14/10 - 15/12/99, rigettava l'appello principale ed in accoglimento di quello incidentale dichiarava dovuti sia gli interessi che la rivalutazione monetaria, trattandosi di crediti di lavoro precedenti al 31/12/94.
Precisava il giudice del riesame che non sussisteva la pretesa violazione dell'art. 112 CPC, anche se la sentenza era stata emessa nei confronti di Moscatello Raffaele mentre la domanda era stata proposta contro la Cartoprint snc di Moscatello Raffaele & C, in quanto, a prescindere dalla responsabilità solidale del socio di una società di persone, il Moscatello si era costituito in giudizio non eccependo nulla in ordine alla notificazione del ricorso, aveva accettato il contraddittorio, non aveva sollevato alcuna eccezione in ordine alle conclusioni formulate, non aveva dichiarato di partecipare al giudizio quale interventore volontario e di fatto si era comportato come interessato diretto ed effettivo destinatario della pretesa creditoria del Martina.
Infondata era anche la seconda censura relativa ad una pretesa violazione dell'art. 145 CPC, in quanto il ricorso era stato regolarmente notificato "alla ditta Cartoprint snc corrente in San Cassino di Moscatello Raffaele & C., in persona del suo rappresentante in carica, portandone copia al suo domicilio per la carica e consegnandola a mani dello stesso Moscatello Raffaele, titolare così qualificatosi".
Dovevano infine essere condivise le valutazioni del primo giudice, correttamente motivate, attinenti alla qualificazione del rapporto come di lavoro subordinato. L'appello principale doveva quindi essere rigettato, mentre quello incidentale andava accolto per le considerazioni sopra riportate.
Avverso questa pronuncia propone ricorso per Cassazione il Moscatello, fondato su 5 motivi. Resiste il Martina con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Lamentando, col primo, motivo, violazione dell'art. 112 CPC, deduce il ricorrente che i limiti dettati dalla domanda vanno determinati con riferimento all'azione promossa ed identificata sulla base degli elementi costitutivi delle persone, del petitum e della causa petendi, per cui avendo il ricorrente proposto domanda nei confronti della società, il giudice non può condannare un soggetto diverso a pena di violare il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato. L'intervento in causa del Moscatello è stato effettuato ai sensi dell'art. 105 CPC, avendone egli interesse per non subire gli effetti di una eventuale condanna della società;
ciò però non giustifica una sua condanna in via principale. Lamentando col 2^ motivo violazione dell'art. 145 CPC, deduce il ricorrente che la notificazione degli atti a società non avente personalità giuridica deve essere fatta presso la sede della stessa e solo nell'ipotesi in cui non sia possibile farlo per mancanza di addetti, chiusura momentanea, ecc., come precisato dalla Suprema Corte con sentenza n. 3107 del 12/4/90, si può consegnare il plico a mani del legale rappresentante; è necessaria però l'attestazione dell'Ufficiale giudiziario in ordine alla impossibilità di notificare l'atto presso la sede sociale. La Cartoprint ha avuto la sede in Botrugno e non in San Cassiano, ma ha cessato l'attività da circa quattro anni ed è stata cancellata dal registro delle imprese, con conseguente cessazione dei poteri rappresentativi del suo legale rappresentante. La domanda quindi può essere proposta nei confronti dei soci, che però devono essere chiamati tutti direttamente in giudizio, compresa la socia Bene Rosa Laura. La notificazione della citazione è nulla nei confronti della Cartoprint ed inesistente nei confronti dei soci, unici legittimati passivi.
Lamentando, col terzo motivo, violazione dell'art. 102 CPC, deduce il ricorrente che anche a volere, per assurdo, attribuire alla costituzione dell'interventore volontario effetto sanante dell'omessa notifica, la sentenza del Pretore di Maglie è inutiliter data, in quanto la decisione deve essere presa nei confronti di tutti i soci della Cartoprint.
Lamentando, col quarto motivo, violazione dell'art. 2094 c.c., deduce il ricorrente che errata è la qualificazione del rapporto come prestazione di lavoro subordinato. Il Pretore ha omesso di accertare la volontà delle parti (che hanno posto in essere un rapporto di collaborazione autonoma), nonché la sussistenza della subordinazione (intesa come assoggettamento del prestatore al potere gerarchico e disciplinare) e della onerosità della prestazione (intesa comè corrispettivo per la disponibilità delle energie lavorative e non collegato esclusivamente ad un risultato, con rischio a carico del lavoratore). Il Tribunale, "nonostante la specifica doglianza, sia pure non formulata espressamente come violazione dell'art. 2094 c.c., ha ritenuto di non sprecare neanche una riga sul punto".
Lamentando, col quinto motivo, violazione dell'art. 429, comma 3 CPC, deduce il ricorrente che il Pretore ha esattamente ritenuto che per i crediti da lavoro sono dovuti alternativamente gli interessi e svalutazione monetaria; il Tribunale invece ha accolto l'appello sul punto senza motivazione alcuna.
Il ricorso è parzialmente fondato.
In ordine al primo motivo, si osserva che la Corte ha già avuto modo di affermare i seguenti principi di diritto: "nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice del merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tenere conto, piuttosto, del contenuto sostanziale della pretesa così come desumibile dalla situazione dedotta in causa e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio, nonché del provvedimento richiesto in concreto, senza altri limiti che quello di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta, e di non sostituire d'ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta. Ove tale principio sia violato - e, quindi, venga denunziato un errore "in procedendo", quale la pronunzia su di una domanda che si afferma diversa da quella inizialmente proposta - la Corte di Cassazione ha il potere - dovere di procedere direttamente all'esame e all'interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e delle deduzioni delle parti" (Cass. n. 2574 del 20/3/99). Ed ancora "Nell'indagine diretta all'individuazione e qualificazione della domanda giudiziale, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener presente essenzialmente il contenuto sostanziale della pretesa, desumibile oltre che dal tenore delle deduzioni svolte nell'atto introduttivo e nei successivi scritti difensivi, anche dallo scopo cui la parte mira con la sua richiesta e tenuto conto altresì, delle eventuali modifiche e trasformazioni che la domanda ha subito nel corso del giudizio" (Cass. n. 8879 del 30/7/00).
Il Collegio condivide questi principi e quindi, essendo stato denunciato un vizio "in procedendo", dovrebbe esaminare gli atti per accertare quali siano state le conclusioni definitive rassegnate al Pretore dopo la costituzione del Moscatello e la gestione, da parte dello stesso, della causa "come diretto interessato ed effettivo destinatario della pretesa creditoria del Martina". Nel caso di specie, però, tutte le circostanze di fatto poste dal Tribunale a base della decisione sono accertate in via definitiva e non sono più contestabili per difetto di censura o per inammissibilità della stessa; manca, infatti, ogni censura in ordine ai seguenti accertamenti di fatto compiuti dal giudice di appello: a) l'omessa contestazione nel giudizio di primo grado della regolarità della notificazione dell'atto introduttivo, effettuata presso il domicilio ed a mani dello stesso Moscatello; b) la accettazione del contraddittorio; c) la mancata contestazione delle conclusioni formulate nei suoi confronti; d) la circostanza che il Moscatello si è di fatto comportato "come diretto interessato ed effettivo destinatario della pretesa creditoria del Martina". La circostanza, invece, che il Moscatello abbia partecipato al giudizio in qualità di interventore volontario viene dedotta per la prima volta solo in questa sede ed è inammissibile. La Corte quindi non ha nemmeno la possibilità di esercitare il potere - dovere che in astratto le competerebbe di procedere all'esame diretto degli atti processuali ed alla interpretazione degli stessi e deve invece ritenere che il Moscatello si è costituito in proprio, quale titolare del rapporto dedotto in giudizio, e che contro di lui sono state rassegnate le conclusioni definitive.
Ciò premesso, osserva il Collegio che la materia del contendere è data dal complesso delle questioni sulle quali si è costituito e sviluppato il contraddittorio e comprende sia la domanda iniziale, che le questioni introdotte nel giudizio dal convenuto, con tutte le modificazioni che ne derivano con riferimento all'azione proposta ed agli elementi che valgono ad identificarla (persone, petitum e causa pretendi); ne deriva che ai fini della individuazione della domanda proposta dalla parte, rispetto alla quale va effettuata la valutazione di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, rilevano non solo le deduzioni e le conclusioni dell'atto introduttivo, ma anche le precisazioni e specificazioni intervenute in corso di causa ed in ultima analisi le conclusioni definitive sottoposte al giudicante. Da qui la conclusione che non sussiste il vizio lamentato di violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, in quanto la domanda inizialmente proposta contro la società si è trasformata nel corso del giudizio di primo grado in azione contro il socio illimitatamente responsabile, che nel processo si è assunto la titolarità del rapporto di lavoro dedotto in giudizio e la relativa
responsabilità.
In ordine al secondo motivo basta rilevare che il principio di diritto su cui si fonda la censura (enunciato da questa Corte nella sentenza n. 3107 del 1990, citata dal ricorrente) non si attaglia al caso di specie, in quanto lo stesso riguarda il caso di una notifica effettuata ai sensi dell'art. 143 CPC, per irreperibilità del legale rappresentante, senza che fosse stata accertata l'impossibilità di effettuare la notificazione presso la sede sociale, che sulla base degli atti risultava ancora esistente. Nel nostro caso, invece, la notifica è stata fatta a mani del legale rappresentante, che l'ha accettata, qualificandosi come "titolare" e senza sollevare obiezione alcuna in ordine alla sede sociale, all'esistenza della società ed alla sua qualità di rappresentante della stessa. La censura va quindi disattesa.
In ordine al terzo motivo si osserva che la sentenza contro il socio illimitatamente responsabile non è mai "inutiliter data". La Corte, infatti ha già avuto modo di precisare, in linea generale che "la posizione del socio illimitatamente responsabile di una società personale non è assimilabile a quella di un fideiussore, sia pure 'ex legè, poiché mentre quest'ultimo garantisce un debito altrui e per tale ragione, una volta effettuato il pagamento, ha azione di regresso per l'intero nei confronti del debitore principale e sì surroga nei diritti del creditore (artt. 1949 e 1950 cod. civ.), il socio illimitatamente responsabile risponde con il proprio patrimonio di debiti che non possono dirsi a lui estranei, in quanto derivanti dall'esercizio dell'attività comune (al cui svolgimento, data l'assenza di un'organizzazione corporativa, partecipa direttamente:
artt. 2257 e 2258 cod. civ.), ed è anzi tenuto, ove i fondi sociali risultino insufficienti, a provvedere anche mediante contribuzioni aggiuntive a quelle effettuate all'atto dei conferimenti (art. 2280 cod. civ.), onde l'impossibilità di ammettere (ex art. 1954 cod. civ.) un'azione di regresso contro la società del socio che abbia provveduto al pagamento di un debito sociale e l'inapplicabilità degli artt. 1953, 1955 e 1957 cod. civ., che hanno la loro giustificazione nell'esigenza di salvaguardare la possibilità del regresso del fideiussore. Tali conclusioni non trovano ostacolo nel fatto che anche le società personali costituiscano centri di imputazione di situazioni giuridiche distinti dalle persone dei soci, posto che siffatta soggettività ha carattere transitorio e strumentale, essendo i diritti e gli obblighi ad esse imputati destinati a tradursi in situazioni individuali in capo ai singoli membri" (Cass. n. 12310 del 5/11/99).
Il principio è condiviso dal collegio e quindi va ritenuto che il socio non ha diritto di rivalsa nei confronti della società, perché paga un debito proprio; può solo invocare il beneficio della preventiva escussione dei beni sociali. In proposito, però, la Corte, per la società in nome collettivo, ha già affermato il principio di diritto, secondo cui "il "beneficium excussionis" concesso dall'art. 2304 cod. civ. ai soci di una società in nome collettivo, in base al quale il creditore sociale non può pretendere il pagamento da un singolo socio se non dopo l'escussione del patrimonio sociale, opera esclusivamente in sede esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società", ma non impedisce al predetto creditore di agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, prima di iniziare l'azione esecutiva nei confronti della società" (Cass. n. 3651 del 24/3/92). Anche il terzo motivo va disatteso.
In ordine al quarto motivo osserva il Collegio che il Tribunale omette totalmente di motivare in ordine alla qualificazione del rapporto, se di carattere autonomo o subordinato, e si limita a condividere "le motivazioni contenute nella sentenza impugnata", precisando che "con una corretta valutazione delle risultanze istruttorie il primo giudice ha accertato la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato".
Si tratta di motivazione apparente, perché, a prescindere dalla considerazione che neanche la sentenza pretoriale indica le ragioni della scelta operata dal primo giudice in favore della subordinazione, la sentenza di appello sostituisce intermente quella di primo grado e quindi deve indicare le ragioni della decisione, sia pure succintamente, e non può limitarsi a dire che è "corretta (la) valutazione delle risultanze istruttorie (effettuata) dal primo giudice" senza specificare quali siano e quale sia il criterio di valutazione adottato.
Questo motivo di ricorso è quindi fondato e va accolto, con conseguente assorbimento del quinto motiva sul cumulo di interessi e svalutazione monetaria.
Vanno quindi rigettati i primi tre motivai di ricorso, mentre va accolto il quarto e dichiarato assorbito il quinto. La sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rimessa, per una nuova valutazione, ad altro giudice, che si individua nella Corte di Appello di Bari. Il giudice del rinvio deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE
Accoglie i quarto motivo di ricorso; rigetta i primi tre motivi e dichiara assorbito il quinto. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Bari.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2002.
Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2003