Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6836 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 23 Marzo 2004, n. 5724. Est. Rordorf.


Contratti in genere - Requisiti (elementi del contratto) - Causa - In genere (nozione, distinzioni) - Contratti di trasferimento della proprietà di alloggi da parte di una società cooperativa edilizia ad alcuni soci a condizioni più favorevoli rispetto a quelle praticate nei confronti di altri soci - Nullità dei contratti stipulati con i soci favoriti - Configurabilità - Esclusione.



Gli atti contrattuali con i quali una società cooperativa trasferisca ad alcuni soci la proprietà di alloggi, da essa costruiti, a condizioni più favorevoli rispetto a quelle praticate (o che in futuro è prevedibile possano essere praticate) ad altri soci non sono, per ciò stesso, affetti da nullità, sia perché non ogni anomalia di funzionamento del rapporto sociale si traduce, sol perché tale, in un vizio genetico del contratto di cessione dell'alloggio di per sè altrimenti valido (un simile vizio potendosi ravvisare solo quando quell'anomalia sia tale da recidere del tutto l'indispensabile nesso tra la causa mutualistica del rapporto societario e la causa sinallagmatica del contratto di scambio), sia perché il principio di parità di trattamento, vigente nel sistema delle società cooperative già prima nella novellazione dell'art. 2516 ad opera del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, definisce una regola di comportamento per gli organi sociali, ma non è idoneo a riflettersi sulla validità dei singoli rapporti contrattuali per il cui tramite i singoli soci si assicurano la prestazione mutualistica loro fornita dalla cooperativa. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. OLLA Giovanni - Presidente -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - rel. Consigliere -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
Dott. DI PALMA Salvatore - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO COOPERATIVA MUTUA EDILIZIA CASE MAESTRI DEIVA SRL, in persona del Curatore Gian Paolo Pozzolini, elettivamente domiciliato in ROMA VIA LIMA 48, presso l'avvocato GIORGIO MEO, rappresentato e difeso dall'avvocato MARCO ARATO, giusta mandato in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
MARTINI ANGELA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA GIUSEPPE PISANELLI 4, presso l'Avvocato VINCENZO SCORSONE che la rappresenta e difende unitamente all'Avvocato DORA SPINA BRIGUORI giusta mandato a margine del controricorso;
- controricorrente -
contro CAVATORTI MARCO, DALLA LIBERA ROSSELLA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 106/00 della Corte d'Appello di GENOVA, depositata il 21/02/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/12/2003 dal Consigliere Dott. Renato RORDORF;
udito per il resistente l'Avvocato SCORSONE che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA Antonietta che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il curatore del fallimento dalla Cooperativa Mutua Edilizia Casa Maestri di Deiva ha impugnato dinanzi alla Corta d'appello di Genova la sentenza con la quale il tribunale di quella città aveva rigettato la domanda proposta da esso curatore al fine di: a) far dichiarare nulli, o comunque invalidi, gli atti di assegnazione di alloggi della cooperativa in favore della sig.ra Angela Martini ed in favore dei sigg.ri Marco Cavatorti e Rossella Dalla Libera, in quanto contrastanti con i principi di mutualità e parità di trattamento ai quali una cooperativa, è tenuta ad informare il proprio comportamento verso i soci; b) in via subordinata, revocare i medesimi atti, a norma dell'art. 67, c. 1^, l. fall., siccome stipulati ad un prezzo sproporzionatamente esiguo nel biennio anteriore al fallimento della cooperativa alienante. Nel pieno contraddittorio dalle parti la corte d'appello, con sentenza depositata il 21 febbraio 2000, ha respinto il gravame ed ha condannato l'appellante al pagamento delle spese di lite. La corte ligure non ha condiviso l'assunto del fallimento appellante, secondo cui l'assegnazione di alcuni alloggi ad un prezzo non comprensivo di tutti gli oneri e delle spese che avrebbero invece dovuto confluirvi sarebbe nulla, in quanto lesiva dei principi di mutualità e parità di trattamento tra i soci. L'eventuale violazione dello scopo mutualistioo - a giudizio della corte - non potrebbe infatti riflettersi sulla validità dei singoli atti negoziali intercorsi tra i soci e la cooperativa, la quale, del resto, risultava in concreto avere svolto la propria attività al di fuori dello schema mutualistico comportandosi come una qualsiasi impresa commerciale del settore edilizio. Nè varrebbe obiettare che, recedendo dalla società subito dopo l'assegnazione degli alloggi in loro favore e prima dell'integrale ripartitone dagli oneri mutualistici, quei soci avrebbero indebitamente depauperato il patrimonio sociale in danno degli altri, giacché un tal rilievo potrebbe semmai far dubitare della validità del recesso, ma non inficiava gli atti di assegnazione. Anche la domanda subordinata di revoca dei medesimi atti, proposta ai sensi della citata disposizione della legge fallimantare, è stata reputata infondata dal giudice del gravame, per ragioni che in questa sede ormai più non interessano. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il fallimento, prospettando due articolati motivi di censura.
Resiste con controricorso la sola sig.ra Martini.
Entrambe la parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta la violazione dall'art. 2511 c.c., nonché vizio di motivaziona dell'impugnata sentenza, ripropone l'assunto secondo cui gli atti di assegnazione dagli alloggi di una cooperativa edilizia, se compiuti dalla società in spregio al principio mutualistico ed a quello di parità del trattamento tra i soci, sarebbero affetti da nullità. Il motivo è articolato in due parti, corrispondenti alla duplice ratio decidendi in base alla quale la corte d'appello ha negato potersi ravvisare la prospettata nullità dagli atti di assegnazione. La corte ligure, in via generale, ha fondato la propria negativa decisione sul rilievo che la violazione degli anzidetti principi, operanti nell'ambito dei rapporti interni alla cooperativa, non potrebbe giammai riflettersi sulla validità dei contratti di scambio stipulati dalla società con i singoli soci. In secondo luogo, ha ritenuto che quei principi male fossero stati invocati nel caso specifico perché la cooperativa in questione non aveva mai di fatto davvero corrisposto al modello mutualistico, agendo invece in concreto come una società lucrativa.
1.1. Con riguardo al primo profilo, il fallimento ricorrente contesta che gli atti negoziali posti in essere tra la società ed i singoli soci possano non risentire del fine mutualistico cui l'attività della cooperativa deve essere improntata. Osserva poi che il perseguimento di tale fine ed il rispetto del connesso principio di parità di trattamento dei soci costituiscono imperativi inderogabili per la società, e che la stipulazione dei contratti di assegnazione dei singoli alloggi è il mezzo attraverso cui quel fine è destinato a realizzarsi. Da ciò il collegamento funzionale tra il contratto di società ed i singoli contratti di scambio, collegamento alla luce del quale la violazione dei principi informatori del primo necessariamente sarebbe destinata a ripercuoterai anche sui secondi. 1.2. In relaziona al secondo profilo, il ricorrente si duole che la corte territoriale, pur avendo in via di principio riconosciuto che lo svolgimento di attività commerciale e l'eventuale dichiarazione di fallimento dalla società cooperativa non sono elementi di per se incompatibili con i fini di mutualità propri dalla cooperazione, abbia poi contraddittoriamente desunto l'inesistenza nel caso concreto di tali finalità unicamente dal fatto che la cooperativa è stata sottoposta a fallimento, così confondendo lo scopo mutualistico e l'oggetto commerciale dell'attività sociale; ed abbia inoltre fondato il proprio giudizio sull'erroneo presupposto dell'avvenuta cessione in tutto o in parte a non soci di alloggi realizzati dalla società.
2. Con il secondo mezzo d'impugnazione, nel denunciare la violazione degli artt. 2511 e 2529 c.c. (nonché ulteriori vizi di motivazione), la curatela ricorrente critica la sentenza d'appello nella parte in cui questa ha reputato irrilevante, ai fini della declaratoria d'invalidità degli atti di assegnazione, la circostanza che i soci assegnatari fossero poi subito dopo receduti dalla cooperativa. La corte ligure, premesso che il recesso del socio assegnatario dall'alloggio non escluda la sua responsabilità per gli obblighi sociali validamente assunti durante il corso del rapporto associativo, ha osservato che l'asserita contrarietà di un siffatto recesso con le norme disciplinanti la liquidazione del patrimonio sociale si risolverebbe, tutt'al più, in una ragione d'illegittimità del recesso medesimo - che potrebbe attuarsi solo mediante rimborso dalla azioni o della quota spettante al socio, senza tuttavia il mantenimento dell'alloggio assegnatogli - ma non certo nell'automatica nullità dell'atto di assegnazione. Il fallimento ricorrente obietta che, se il recesso sia intervenuto in un momento successivo al conseguimento da parte del socio del beneficio mutualistico, ma anteriore alla ripartitone di tutti i costi che ineriscono all'attività della cooperativa, è illegittimo il consolidamento di detto beneficio in capo al medesimo socio, il quale verrebbe in tal modo ad acquisire un bene facente parte del patrimonio sociale sopportando oneri inferiori a quelli degli altri soci.
3. il primo motivo di ricorso non è fondato.
La questione che anzitutto esso pone si può riassumere nel seguente interrogativo: se gli atti contrattuali con cui una cooperativa trasferisce ad alcuni soci la proprietà di alloggi da essa realizzati a condizioni più favorevoli rispetto a quelle praticate (o che in futuro è prevedibile possano essere praticate) ad altri soci siano, per ciò stesso, affetti da nullità; sicché qualunque interessato, ed in specie la cooperativa stessa (o, per essa, il curatore del fallimento successivamente dichiarato), possa far accertare tale nullità ed ottenere la restituzione degli alloggi invalidamente trasferiti a quei soci.
La difesa del fallimento ricorrente suggerisce che a tale quesito debba darsi risposta positiva in quanto, come s'è accennato, essa ravvisa una ragione di nullità nella violazione del principio di parità di trattamento dei soci e nella distorsione che, di conseguenza, subirebbe la causa mutualistica insita nel contratto sociale; distorsione destinata a ripercuotersi negativamente anche sulla causa dei contratti di assegnazione dei singoli alloggi, perché questi costituiscono lo strumento mediante il quale la cooperativa attua il proprio scopo e sono perciò ad esso imprescindibilmente legati.
Questa tesi, benché elegantemente argomentata e non priva di spunti suggestivi, non appare però persuasiva.
Non si può non convenire sul fatto che la realizzazione di uno scopo mutualistico attiene alla causa stessa della società cooperativa. Del pari non sembra dubbio che, per il modo in cui la cooperativa tenda alla realizzazione del proprio scopo mutualistico, consentendo ai soci di conseguire direttamente il soddisfacimento di bisogni che altrimenti imporrebbero loro di sopportare i costi
dall'intermediazione di terzi, i distinti rapporti contrattuali intrecciati tra, la società ed i propri soci al fine di realizzare detti scopi abbiano con il contratto sociale un preciso collegamento causale (cfr., in tal senso, Cass. 23 ottobre 1997, n. 10422). Se questo è vero, e se è pur vero che ciò in via di principio non esclude possibili riflessi di un'eventuale patologia del rapporto cooperativo societario sui distinti rapporti negoziali che, in attuazione del primo, intercorrano tra la società ed i singoli soci, resta nondimeno indispensabile distinguere questi da quello. Occorre cioè non dimenticare che il socio di una cooperativa edilizia, che sia anche beneficiario del servizio mutualistico reso dalla medesima cooperativa, è parte di due distinti (anche se collegati) rapporti:
l'uno, di carattere associativo, che direttamente discende dall'adesione al contratto sociale e dalla conseguente acquisizione della qualità di socio; l'altro, di natura sinallagmatica, che deriva dal contratto bilaterale di scambio mediante il quale egli si appropria del bene che la cooperativa gli fornisce. Il fatto che il contratto di assegnazione dell'alloggio sia frutto di una contrattazione ulteriore e diversa, rispetto a quella da cui discende il rapporto sociale, e che sia dotato di una propria distinta causa (quantunque all'altra collegata), non consente quindi di affermare che ogni eventuale anomalia di funzionamento del rapporto sociale si traduca, sol perché tale, in un vizio genetico del contratto di cessione dell'alloggio di per sè altrimenti valido. Un simile vizio lo si potrebbe ravvisare solo qualora quell'anomalia fosse tale da recidere del tutto l'indispensabile nesso tra la causa mutualistica del rapporto societario e la causa sinallagmatica del rapporto di scambio, finendo così per stravolgere anche quest'ultima come, ad esempio, in ipotesi di cessione di alloggi a terzi estranei alla cooperativa, in violazione dei diritti dei soci prenotatari degli alloggi medesimi: cfr. Cass. 25 settembre 1999, n. 10602); ma occorre verificare se questo sia il caso.
La curatela ricorrente sostiene, per l'appunto, che un simile stravolgimento sarebbe effetto, nella presente fattispecie, della violazione del principio di parità di trattamento dei soci, che vulnererebbe lo scopo mutualistico posto a fondamento della cooperativa. A ciò si deve però anzitutto obiettare che l'invocato principio di parità di trattamento dei soci, pur trovando nello scopo mutualistico della cooperativa un valido punto di appiglio, non si identifica affatto con esso. Lo scopo mutualistico si differenza da quello lucrativo, proprio in genere delle società commerciali, essenzialmente per il fatto che l'attività imprenditoriale di queste ultime è volta alla creazione di un profitto, destinato a remunerare il capitale investito, mentre l'attività d'impresa svolta dalle cooperative è orientata alla soddisfazione diretta di determinati bisogni dei soci, cui vengono forniti beni o servizi o possibilità di lavoro a condizioni che l'assenza di ogni intermediazione di terzi rende più favorevoli.
Nello scambio mutualistico è sicuramente insito un connotato di reciprocità, ma non anche, da un punto di vista logico, l'assoluta equivalenza per tutti i soci delle condizioni alle quali il servizio è reso. La mutualità, in sè sola considerata, potrebbe insomma anche esser diseguale. Non deve esserlo, naturalmente; ma non per ragioni ad essa intrinseche, bensì per effetto di un diverso principio - il principio di parità di trattamento - che alla mutualità si riallaccia ma con essa non si confonde.
Quest'ultimo principio è stato di recente espressamente enunciato nel testo dall'art. 2516 c.c., come novellato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (a riprova del fatto che esso non può dirsi già automaticamente compreso nella nozione di mutualità richiamata dal precedente art. 2511), ma non per questo può ritenersi fosse estraneo al sistema giuridico preesistente. Vi era invece già insito, se non per ogni tipo di società (come pure in passato hanno sostenuto autorevoli voci di dottrina), quanto meno nella società cooperativa: sia per la più accentuata rilevanza dell'elemento personale che è loro propria e che si esprime anche nelle limitazioni alla possibilità per ciascun socio di possedere oltre un certo numero di azioni e nella connessa regola del voto capitario in assemblea, sia per la connotazione solidaristica di questa società, cui la stessa mutualità storicamente si riallaccia. Lo si potava - e lo si può - in definitiva dedurre anche dall'ancor più generale principio di buona fede, cui l'esecuzione di ogni rapporto contrattuale (ivi compresi quelli societari) è soggetta, essendo intuitivo che gli aderenti ad una cooperativa si attendano, a parità di apporti, la possibilità di godere di pari benefici e quindi di fruire in pari misura dei servizi mutualistici che la società è chiamata a rendere loro.
Ma il principio di parità di trattamento (pur sempre da intendersi in senso relativo, e cioè come parità di trattamento dei soci che si trovino, rispetto alla società, in uguale posizione), attiene al modo in cui la società - e per essa i suoi amministratori e rappresentanti - è tenuta a comportarsi nei riguardi dei propri soci. Definisce, cioè, una regola di comportamento (positiva o negativa, a secondo dei casi) per gli organi sociali, ma non investe la causa del rapporto societario; tanto meno, quindi, è idoneo a riflettersi sulla validità dei distinti rapporti contrattuali per il cui tramite i singoli soci si assicurano la prestazione mutualistica loro fornita dalla cooperativa.
Ne consegue che la sua violazione (a parte gli eventuali riflessi sulla validità degli atti interni alla società, ed in specie delle deliberazioni assembleari o consiliari: si veda Cass. 24 gennaio 1990, n. 420), può eventualmente giustificare l'esercizio, da parte dei singoli soci sacrificati, di un'azione di responsabilità nei confronti degli organi sociali della cooperativa cui quella violazione sia imputabile, in presenza delle condizioni richieste dall'art. 2395 c.c., applicabile alle cooperative in virtù del rinvio operato dall'art. 2516 (ora 2519) c.c.. Non giustifica invece la pretesa della medesima società (o degli organi del suo fallimento) di far dichiarare la nullità dei contratti stipulati con i soci favoriti.
La conclusione alla quale è pervenuta su questo punto la corte d'appello, con le precisazioni ora formulate, appare quindi corretta. Ciò rende superfluo esaminare il secondo profilo del primo motivo di ricorso.
4. Nemmeno il secondo motivo di ricorso è meritevole di accoglimento.
Esso, come già sopra accennato, si incentra sul rilievo che i soci assegnatari di alloggi cooperativi non potrebbero, una volta conseguita la proprietà individuale dell'alloggio a ciascuno spettante, recedere dalla società, con il duplice l'effetto di realizzare una sorta di parziale liquidazione anticipata del patrimonio sociale e di sottrarsi agli ulteriori oneri necessari al soddisfacimento dell'analogo bisogno abitativo degli altri soci. A sostegno di tale doglianza viene ripetutamente invocata la decisione assunta da questa corte con la sentenza 28 marzo 1990, n. 2524, a tenore della quale il nesso di interdipendenza funzionale che collega lo scopo sociale di una cooperativa edilizia alle assegnazioni, globalmente e non individualmente considerate, fa sì che quello scopo non possa dirsi raggiunto se tutte le assegnazioni non siano esaurite, di modo che ciascuna di queste non si giustifica senza la soddisfazione di quello.
Occorre però subito ossarvare che la citata sentenza ha affermato tali principi, in sè assolutamente condivisibili, non al fine di accertare una causa di nullità dell'atto di assegnazione dell'alloggio in favore del socio poi receduto dalla cooperativa, bansì per confermare la validità - che in quel giudizio infondatamente era stata contestata - di una clausola dallo statuto sociale volta appunto ad impedire il recesso del socio dopo l'assagnazione dell'alloggio. Ed, in realtà, il comportamento dei soci assegnatari di cui la curatela ricorrente nel presente giudizio si duole potrebbe aver rilievo - come correttamente già reputato dalla corte d'appello - solo al fine di mettere in discussione la validità e gli effetti dagli atti di recesso posti in essere da quei soci. Nulla, invece, consente di individuare in quel comportamento una possibile ragione d'invalidità dei contratti di assegnazione. Non può condividersi il presupposto implicito nel ragionamento svolto dalla curatela ricorrente: che cioè l'acquisto della proprietà dell'alloggio da parte del singolo socio assegnatario non sia piena e definitiva sin dal momento in cui il contratto di assegnazione è stipulato, quasi che solo invece con la definitiva liquidazione della cooperativa quel passaggio di proprietà si perfezionasse e si consolidasse così in capo al socio il diritto di disporre dell'alloggio come cosa propria. Vero è, viceversa, che il contratto di assegnazione è, al pari di una compravendita, un contratto ad affetti reali che si perfeziona con il consenso delle parti e determina, ipso facto, il trasferimento pieno e definitivo all'acquirente della proprietà del bene immobile che ne è oggetto. Quel bene, dunque, cessa sin da allora di far parte del patrimonio sociale e la sua alienazione, nei termini appena descritti, non integra una sorta di liquidazione parziale ed anticipata della società, bensì la naturale esplicazione del servizio per il quale la società è stata costituita e deve operare.
Se quindi si conviene sulla possibilità di stipulare tali contratti di assegnazione con i singoli soci della cooperativa anche in tempi diversi e prima che la cooperativa stessa abbia esaurito completamente la propria funzione, non è dato individuare alcuna causa di nullità preesistente o contemporanea alla loro stipulazione. Non si vede perciò come il comportamento tenuto dal socio assegnatario in un momento successivo all'assegnazione possa riflettersi sulla validità originaria di quell'atto. Si potrà sostenere che il recesso non è consentito al socio assegnatario, se non a condizione che egli rinunci alla già avvenuta assegnazione e quindi stipuli un contratto di retrocessione del bene alla società;
ma non vi sono assolutamente appigli normativi che consentano di ravvisare nel recesso illegittimamente operato una causa di nullità sopravvenuta della pregressa assegnazione.
Resta perciò confermato che l'eventuale illegittimità del comportamento tenuto dal socio assegnatario, nella descritta situazione, è semmai idoneo a produrre conseguenze sul piano dei rapporti obbligatori (in termini di eventuale invalidità del recesso, di perdurante assoggettabilità del socio medesimo agli obblighi derivanti dalla sua adesione alla cooperativa o, se del caso, di risarcimento dei danni), ma non su quello reale. 5. il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Sussistono, nondimeno, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità, attesa la natura delle questioni trattate, la loro complessità e relativa novità. P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2003.
Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2004