Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6854 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 20 Dicembre 2005, n. 28242. Est. Gilardi.


Società - Fusione - In genere - Scissione - Iscrizione dell'atto di scissione - Effetti - Preclusione delle impugnative - Estensione - Preordinazione all'eventuale azione di risarcimento del danno - Rilevanza - Esclusione.



La disposizione di cui all'art.2504-quater cod. civ., richiamata anche per le operazioni di scissione dall'art.2504-novies (oggi art.2506-ter cod. civ.), secondo cui, una volta eseguita l'iscrizione dell'atto di fusione delle società, l'invalidità dello stesso non può più essere dichiarata, pone una preclusione di carattere assoluto, che riguarda tanto il caso in cui si deducano vizi inerenti direttamente all'atto di fusione, quanto l'ipotesi in cui i vizi concernano il procedimento di formazione dell'atto e della sua iscrizione; tale preclusione rimane operante anche nel caso in cui si asserisca che l'impugnativa è meramente preordinata ad una futura ed ipotetica azione di risarcimento del danno nei confronti degli amministratori o di terzi. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MUSIS Rosario - Presidente -
Dott. CELENTANO Walter - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -
Dott. GILARDI Gianfranco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SERAFINI Renato, elettivamente domiciliato in Roma, Via Germanico n. 197/a presso lo studio dell'Avv. NAPOLEONI Maria Cristina, dalla quale è rappresentato e difeso unitamente all'Avv. Leonardo CATTANEO in virtù di procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
GEMINA (Generale Mobiliare Interessenze Azionarie) S.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Condotti n. 91 presso lo studio del Prof. LIBONATI Berardino dal quale è rappresentata e difesa unitamente all'Avv. Marcello FRANCO in virtù di delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 2743/2001 della Corte d'appello di Milano, depositata il 9 novembre 2001;
Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 22 settembre 2005 dal Dott. Gianfranco GUARDI;
udito per il P.M. il Sostituto Procuratore Generale Dott. UCCELLA Fulvio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 20 marzo 1997 Renato Serafini, azionista della s.p.a. Gemina, conveniva in giudizio la società innanzi al Tribunale di Milano per sentir dichiarare la nullità o, comunque, per sentire annullare la delibera assembleare del 28 novembre 1996 con la quale era stato approvato il progetto di scissione parziale della convenuta, a sostegno della domanda, l'attore deduceva che, insieme al progetto di scissione, non erano stati depositati i bilanci delle società controllate che nei tre anni precedenti avevano registrato considerevoli perdite; rilevava che i bilanci della Gemina degli ultimi tre anni erano stati impugnati ed avevano formato oggetto di indagini, anche penali, ed assumeva che in questa situazione di illegalità la scissione proposta non avrebbe consentito alla società scissa di far fronte agli impegni derivanti dalle necessarie rettifiche di bilancio. Si costituiva in giudizio la Gemina s.p.a. chiedendo che la domanda fosse dichiarata inammissibile o improcedibile in quanto, al momento della sua proposizione, era già intervenuto l'atto di scissione ne' l'attore aveva proposto domanda di risarcimento del danno; nel merito chiedeva, comunque, che la domanda fosse rigettata. Con sentenza dell'8 luglio - 16 settembre 1999 il Tribunale respingeva la domanda del Serafini; e la decisione veniva confermata dalla Corte d'appello di Milano con sentenza del 24 ottobre - 9 novembre 2001 contro la quale il Serafini ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo.
Ha resistito la Gemina s.p.a., notificando controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2377, 2378, 2354 ter e 2504 quater c.c.,- degli artt. 100, 342 e 345 c.p.c. e dei principi generali in materia, nonché omessa o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione agli art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, in quanto la Corte d'appello di Milano, pur avendo correttamente ritenuto che esso ricorrente aveva proposto domanda di declaratoria di nullità o di annullamento della delibera con la quale l'assemblea della società aveva approvato il progetto di fusione, ha trascurato di considerare che una simile domanda può essere formulata anche dopo l'esecuzione dell'iscrizione di cui all'art. 2504-quater c.c. allorché sia diretta non a caducare la delibera e gli effetti che ne sono derivati a seguito dell'avvenuta iscrizione dell'atto di scissione nel registro delle imprese, ma quale premessa necessaria per promuovere l'azione di risarcimento del danno oltre che nei confronti della società, anche verso gli amministratori che hanno dato attuazione all'invalida deliberazione e dei terzi i quali, quanto meno colposamente, abbiano aiutato gli amministratori a conseguire quel risultato. L'illecito degli amministratori e dei terzi sussisterebbe soltanto se, preliminarmente, fosse dichiarata la fondatezza delle domanda di invalidità delle delibera assembleare che quegli amministratori e quei terzi abbiano, conoscendone l'invalidità, attuato o consentito. Del tutto erroneamente la Corte d'appello avrebbe affermato che da parte del ricorrente era stata riconosciuta la non impugnabilità della delibera di approvazione della scissione una volta avvenuta l'iscrizione ex art. 2504-quater c.c., ed altrettanto erroneamente avrebbe negato rilevanza, ai fini della responsabilità degli amministratori e dei terzi, all'invalidità della delibera in questione, non considerando che è proprio la delibera di approvazione della scissione a definire le modalità di attuazione della scissione e, in particolare, il rapporto di cambio.
Il motivo è infondato. Del tutto correttamente la Corte d'appello ha rilevato che la domanda così come formulata dal Serafini sin dall'inizio del giudizio, e come è stata successivamente riproposta nel giudizio di impugnazione, era rivolta ad ottenere la declaratoria di nullità o, comunque, la pronuncia di annullamento della delibera di scissione e che quindi tale domanda - essendo nel frattempo intervenuta l'iscrizione dell'atto di scissione nel registro delle imprese - mirava ad ottenere una pronuncia preclusa dall'art. 2504- quater c.c.. Nessun dubbio può invero sussistere circa il fatto che la preclusione di cui all'art. 2504-quater c.c. (richiamato per le scissioni dall'art. 2504-novies c.c.) riguarda sia gli eventuali vizi che colpiscono direttamente l'atto di fusione (o di scissione), sia quelli che si fossero verificati nel corso dell'iter procedimentale che ha portato alla formazione dell'atto ed alla sua iscrizione successiva. La circostanza che la domanda del ricorrente fosse preordinata, come sostenuto dal ricorrente medesimo, ad una futura ed ipotetica azione di risarcimento del danno nei confronti degli amministratori o di terzi, non toglie che l'oggetto della pronuncia richiesta consistesse per l'appunto nella declaratoria di nullità o nell'annullamento della delibera. La finalità pratica cui, in ipotesi, tendeva l'azione, non vale a trasformare in domanda risarcitoria la diversa domanda avente ad oggetto - come il Serafini ancora una volta ha confermato nel presente ricorso - la declaratoria di invalidità della delibera. Nè a diverso risultato potrebbe indurre la precisazione che la domanda di invalidità della delibera è stata proposta ai fini dell'accertamento delle responsabilità della società e degli amministratori. Come, infatti, rilevato dal giudice d'appello nella motivazione della sentenza impugnata, una simile precisazione non era contenuta nell'atto di citazione, ma è stata introdotta solo in prosieguo di giudizio: con la conseguenza che, ove si fosse voluto ipotizzare quale oggetto del giudizio l'azione risarcitoria (e non quella di invalidità della delibera), l'evidente mutamento di "petitum", su cui mai è intervenuta accettazione di contraddittorio, si poneva come ostacolo alla possibilità di esame della domanda.
Consegue da quanto sopra che il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in favore della resistente nella misura complessiva di Euro 5.100,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari di avvocato, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge. P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in favore della resistente nella misura complessiva di Euro 5.100,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari di avvocato, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2005.