Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6909 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 17 Novembre 2005, n. 23262. Est. Celentano.


Società - Di capitali - Società per azioni - Costituzione - Modi di formazione del capitale - Modificazioni dell'atto costitutivo - Contenuto delle modificazioni - Riduzione del capitale - Per perdite - Riduzione al di sotto del limite legale - Delibera assembleare di ricostituzione del capitale - Contestuale immediata sottoscrizione del capitale ricostituito, senza fissazione di un termine per l'esercizio del diritto di opzione dei soci - Necessità - Esclusione - Fissazione, in presenza dell'immediata sottoscrizione del capitale reintegrato da parte di alcuni soci, di un termine per l'esercizio del diritto di opzione da parte degli altri, con effetto risolutivo dell'acquisto degli originari sottoscrittori - Legittimità.



Nell'ipotesi, prevista dall'art. 2447 cod. civ., di ricostituzione del capitale sociale ridottosi, per la perdita di oltre un terzo dello stesso, al di sotto del minimo legale, non è imposta l'immediata - in considerazione dell'urgenza connessa all'altrimenti automatico scioglimento della società - sottoscrizione del capitale medesimo (almeno nei limiti del minimo legale) contestualmente alla delibera assembleare di ricostituzione, così che il socio non possa in alcun modo dolersi della mancata, prima della sottoscrizione, fissazione di un termine per l'esercizio del diritto di opzione spettantegli: infatti l'automatico scioglimento della società, ai sensi dell'art. 2448, n. 4, cod. civ., si produce salvo il verificarsi, con efficacia retroattiva, della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale (o dalla trasformazione della società) ai sensi dell'art. 2447 cit., sicché non la perdita del capitale in quanto tale e la sua riduzione al di sotto del minimo legale costituiscono la causa dello scioglimento, bensì la mancata reintegrazione del capitale stesso al minimo legale (o la mancata trasformazione della società), mentre la legge (che pure vieta agli amministratori di intraprendere nuove operazioni in presenza di un fatto che determina lo scioglimento della società) non impone la predetta contestualità, limitandosi, invece, il richiamato art. 2447 cod. civ. a richiedere che gli amministratori provvedano a convocare senza indugio l'assemblea per le deliberazioni dallo stesso previste. È tuttavia legittima la delibera assembleare che, avvenuta in assemblea la sottoscrizione del capitale ricostituito sino alla misura del minimo legale ad opera dei soci presenti, assegni ugualmente ai soci che ne abbiano diritto un termine per l'esercizio del diritto di opzione, quando tale assegnazione del termine sia accompagnata dalla previsione, integrante una condizione risolutiva, che l'esercizio del diritto rimuove l'acquisto da parte dei soci originari sottoscrittori del capitale ricostituito: infatti tale delibera, per quanto non contenga la fissazione di un termine per l'esercizio del diritto di opzione dei soci (artt. 2439, secondo comma, e 2441 cod. civ.), tuttavia non viola il predetto diritto (nel suo contenuto di diritto di prelazione, quale garanzia del mantenimento della misura della partecipazione del socio alla società), in funzione del quale soltanto è prevista la fissazione preventiva del termine per la sottoscrizione, essendo, invece, tale diritto salvaguardato mediante la previsione dell'esercizio postumo (e retroattivo) rispetto all'avvenuta integrale sottoscrizione del capitale da parte degli altri soci. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MUSIS Rosario - Presidente -
Dott. CELENTANO Walter - rel. Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -
Dott. GILARDI Gianfranco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MORI MARCO, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZALE DELLE MEDAGLIE D'ORO, presso l'avvocato CIUFO CLAUDIO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato CALVOSA LUCIA, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
MASTRELLI MORENO in proprio, MARINE 1 S.R.L. in persona del Amministratore Unico e legale rappresentante Menestrelli Moreno, elettivamente domiciliati in ROMA VIA POMPEO MAGNO 3, presso l'avvocato SAVERIO GIANNI, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato FRANCO BERTI, giusta mandato a margine del controricorso;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 131/02 della Corte d'Appello di FIRENZE, depositata il 04/02/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/09/2005 dal Consigliere Dott. Walter CELENTANO;
udito per il ricorrente, l'Avvocato CIUFO che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l'avvocato BERTI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. UCCELLA Fulvio che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 26.06.1997 Marco Mori convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Pisa la S.r.l. Marine 1 nonché Moreno Maestrelli per sentir dichiarare nulla, o per ottenerne l'annullamento, la deliberazione in data 27.03.1997 dell'assemblea straordinaria della società, la cui invalidità, per contrarietà alla legge, fu prospettata a cagione della "mancanza del termine finale di sottoscrizione dell'aumento di capitale sociale e per la violazione del suo diritto di opzione", invalidità alla quale conseguiva, secondo l'assunto, la nullità e l'inefficacia della sottoscrizione delle quote sociale da parte del socio Moreno Maestrelli, del quale l'attore richiese la condanna generica al risarcimento del danno. La vicenda, nei suoi termini di fatto come prospettati dall'attore, può essere così riassunta nell'ultimo esercizio la S.r.l. Marine 1 aveva riportato perdite per complessive lire 115.710.832 le quali avevano interamente assorbito il capitale sociale di lire 90 milioni sicché si configurava come necessaria e dovuta per disposto di legge (art. 2447 c.c.), la convocazione dell'assemblea straordinaria avente ad oggetto l'adozione dei provvedimento previsti dall'art. 2447 c.c. L'assemblea era stata regolarmente convocata con le previste formalità (racc.ta del 05.03.1997) e vi aveva partecipato il solo sodo Maestrali che, essendo titolare di una quota pari alla metà del capitale sociale, aveva costituito da solo presenza sufficiente alla valida costituzione dell'assemblea, tenutasi in seconda convocazione il 27.03.1997 nel pieno rispetto dell'art. 11 dello statuto sociale. in quella adunanza, l'assemblea, preso atto delle perdite, aveva provveduto all'azzeramento è alla ricostituzione del capitala sociale sino al limita di lire 90.000.000 mediante conferimenti in danaro contante effettuati esclusivamente dal socio Maestrelli, che perciò lo aveva sottoscritto per l'intero.
Contestualmente l'assemblea aveva dato atto dal diritto di opzione spettante ad esso Mori, per legge e per espressa previsione statutaria, e aveva stabilito che tale diritto potesse essere esercitato nel termine di trenta giorni decorrenti dalla comunicazione, per lettera raccomandata, della deliberazione, prevedendosi altresì che, esercitando esso Mori l'opzione, il Maestrali avrebbe avuto diritto alla restituzione di quanto versato per la copertura della parte di capitale residua, mentre nel caso di mancato esercizio del diritto nel termine stabilito esso Mori avrebbe perduto la qualità di socio della S.r.l. Marine 1 per mancata copertura delle perdite sociali e per mancata sottoscrizione del ricostituito capitale sociale.
Detta deliberazione era stata ritualmente comunicata ad esso Mori, con raccomandata del 19.05.1997, e il termine era stato lasciato decorrere senza che egli avesse esercitato il suo diritto di opzione. Da tali particolarità del procedimento, l'attore deduceva, e sosteneva in giudizio, la nullità della deliberazione assembleare per la mancata indicazione del termine per la sottoscrizione del capitala ricostituendo, come a pena di invalidità prescriveva il secondo comma dell'art. 2439 cod. civ., termine che, avrebbe dovuto essere fissato nella deliberazione, appunto a pana di nullità, giacché, altrimenti, "la sua mancanza avrebbe lasciato indefinitivamente aperta l'operazione di aumento del capitale sociale e inammissibilmente operante il principio di inammissibilità stabilito dal suddetto art. 2439 c.c.".
In contraddittorio del Maestrelli e della società, che contrastarono le dedotte ragioni di invalidità della deliberazione, il Tribunale (sentenza del 16.05.2000) respinse le domande dell'attore. Questi propose appello, che la Corte di Firenze, con sentenza emessa il 04.02.2002, rigettò confermando la pronuncia del tribunale. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Mori. Resistono con controricorso il Maestrelli in proprio e la S.r.l. Marine 1, in persona dello stesso Maestrelli amministratore unico e legale rappresentante della stessa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Giova riassumere le ragioni sulla base delle quali la Corte fiorentina ha escluso la dedotta invalidità della deliberazione societaria del 27.03.1997.
Sul punto concernente le prescrizioni dell'art. 2439 secondo comma c.c., la Corte ha ritenuto che "dal tenore letterale della norma e dalla logica ermeneutica al evince, senza alcuna possibilità di dubbio, che soltanto quando l'aumento di capitale non è stato integralmente ed immediatamente sottoscritto deve essere assegnato il termine per il prescritto adempimento" essendo, invece, "evidente che, qualora il capitale aumentato mia stato contestualmente sottoscritto per l'intero" - come era in effetti avvenuto nel caso di specie in cui "l'aumento di capitale era stato integralmente sottoscritto dall'unico modo presente in occasione della delibera assembleare che ne aveva disposto l'azzeramento a la ricostituzione" - "non vi sia alcun termine da assegnare... per provvedere ad un adempimento già effettuato e che non si possano verificare nullità al riguardo". Per di più, "con riferimento alla posizione del socio assente, detto termine risulta implicitamente assegnato e coincide con il termine a quello assegnato per l'esercizio del diritto di opzione, da esercitare mediante la sottoscrizione del capitala in proporzione (50%) al numero delle quote gli possedute prima dell'azzeramento e della ricostituzione.
Sul punto concernente il diritto di opzione ex art. 2441 c.c. (l'esercizio del), la Corte medesima ha ritenuto cha "la deliberazione lo avesse rispettato nella forma e negli effetti sostaziali", così argomentando, in adesione alla pronuncia di altro giudice di merito: "è vero che la disposizione di legge prevede ehm lo quote di nuova emissione debbono essere offerta mediante pubblicazione nel bollettino ufficiale della s.r.l., con concessione di un termine non inferiore a trenta giorni per l'esercizio del diritto, mentre, nel caso di specie, l'assemblea aveva deliberato l'immediata sottoscrizione dell'intero capitale da parte del socio presente e la facoltà dell'altro socio di sottoscrivere la propria quota di capitale entro trenta giorni dalla comunicazione, con contestuale dismissione della corrispondente quota già sottoscritta dal primo socio, ma il meccanismo adottato dalla società, pur formalmente differente, rispecchia fedelmente lo spirito della legge e non compromette in alcun modo i diritti del socio assenta, il quale, nello stesso termine previsto dall'art. 2441 c.c., ha la possibilità di sottoscrivere il capitale sociale in proporzione della quota precedentemente posseduta, e nelle more... potendo il diritto di opzione essere esercitato anche il giorno successivo alla comunicazione, il socio assente si trova nelle condizioni di conservare la qualità di modo, con tutti i corrispondenti diritti, compreso quello di voto, senza, aver ancora, anticipato alcuna somma a copertura delle perdite sociali. Si trova quindi nella stessa, situazione dell'altro socio che, invece, ha corrisposto in contante l'intera somma necessaria al ripianamento delle perdite ed alla ricostituzione del capitale". A tale soluzione la Corte ha riconosciuto il "pregio, per un verso di salvaguardare il diritto di opzione ex art. 2441 c.c. e per altro verso di non richiedere... sovrabbondanti adempimenti, quale quello di convocare nuovamente l'assemblea per procedere o alla messa in liquidazione della società per la mancata ricostituzione del capitale sociale o all'assegnazione delle quote per le quali eventualmente non è stato esercitato il diritto di opzione".
Tali argomentazioni della sentenza impugnata, e quelle altre (delle quali si dirà esaminando le corrispondenti censure) sono ora censurate dal ricorrente sulla base di quattro motivi, come segue rubricati e svolti.
1^ - violazione e falsa applicazione dell'art. 2439 c.c. sul punto della mancata indicazione del termine finale delle operazioni" per avere la Corte erroneamente ritenuto conforme - per equivalenza - alle prescrizioni della norma circa il termine di chiusura delle operazione di aumento di capitale quel termine di trenta giorni assegnato dalla deliberazione del 27.03.1997 per l'esercizio del diritto di opzione. Poiché la deliberazione di aumento del capitale "deve contenere, secondo la prescrizione del comma secondo dell'art. 2439 c.c. stabilita a pena di invalidità della deliberazione, l'indicazione del termine finale della operazioni, essendo mancata nella suddetta deliberazione la fissazione di tale termine la deliberazione medesima avrebbe dovuto essere ritenuta invalida". 2^ - violazione e falsa applicazione dell'art. 2441 c.c., richiamato in tema di s.r.l. dall'art. 2495 c.c. a censura del giudizio espresso dalla Corte di merito che "la delibera assembleare in questione aveva rispettato nella forma e negli aspetti sostanziali il diritto di opzione".
La censura è così argomentata ad esso Mori non era stato riconosciuto il diritto di opzione spettantegli per legge e per statuto ma gli era stata invece attribuita "in modo del tutto invalido e/o inefficace, la diversa facoltà - che nulla aveva a che fare con il diritto di opzione - di riacquistare (dal Maestrelli) una quota pari al 50% del capitale sottoscritto dall'altro socio subordinatamente a) al versamento da parte di esso Mori di una somma pari al valore nominale del capitale di sua spettante aumentata però dalle spese per il riacquisto; b) al rimborso da parte della società al Maestrelli, di quanto da guasto versato a copertura delle perdite;
c) alla rinuncia da parte di esso Mori alla restituzione di una somma a suo tempo vergata in favore della società.
Era da ritenersi inoltre errata la statuizione secondo la quale nell'attesa dell'eventuale esercizio della facoltà attribuitagli esso Mori sarebbe rimasto titolare del diritti connessi alla partecipazione sociale atteso che.... in pendenza del termine assegnato per l'esercizio di detta facoltà, diversa del diritto di opzione, egli aveva perduto la titolarità del diritti sociali stante l'illegittima sottoscrizione da parte del Maestrelli dell'intero aumento del capitale sociale.
Si esaminano ora congiuntamente tali primi due motivi, connessi tra di loro.
La disamina delle tesi prospettate dal ricorrente può essere condotta configurando due quesiti giuridici sul tema delle modalità di sottoscrizione del capitale ricostituendo (art. 2447 c.c.) e dell'esercizio del diritto di opzione ex art. 3441 c.c.;
a) a fronte della censura di violazione dell'art. 3439 comma 2 che il ricorrente ha formulato per la mancata indicazione, nella delibera impugnata, del termine finale dell'operazione di sottoscrizione del capitale, la cui fissazione deve avvenire nell'osservanza di quelli stabiliti dall'art. 2441 secondo e terzo comma, occorre verificare se sia imposta, nell'ipotesi di ricostituzione del capitale sociale nel caso previsto dall'art. 2447 c.c., la contestualità della sottoscrizione del capitale, almeno nei limiti del minimo legale, del quale sia stato deliberato l'aumento, così che il socio non possa in alcun modo dolersi della mancata, preventiva alla sottoscrizione, fissazione di un termine per l'esercizio del diritto di opzione che gli spetti;
b) se, ritenendosi non necessaria la contestualità della sottoscrizione dell'aumento di capitale anche sotto il profilo della necessiti di concedere agli azionisti aventi diritto di opzione (art. 2441 c.c.) il termine per l'esercizio del diritto medesimo, la fissazione di detto termine debba necessariamente precedere la sottoscrizione, così che ogni altra forma alternativa che pur in qualche modo salvaguardi la partecipazione societaria dei suddetti soci titolari del diritto di opzione, sia da ritenersi non conforme alla legge e invalidi (nelle forme dell'annullabilità: Cass. n. 3458 del 1993) la deliberazione che la preveda.
Al quesito sub a) deve darsi risposta negativa. Ed invero, deve disconoscersi ogni fondamento alla tesi, affacciata da alcuni giudici di merito (da ultimo, per quanto consti, il Tribunale di Roma con il decreto emesso in data 16.06.1998, riformato però dalla Corte di Appello territoriale con il decreto emesso il 22.09.1998 avente ad oggetto la medesima deliberazione) che tale necessaria "immediata" contestualità (alla deliberazione) della sottoscrizione dell'aumento di capitale e la conseguente impossibilità dell'assegnazione ai soci di un termine per la (successiva alla deliberazione di aumento) sottoscrizione affermano derivandola dalla urgenza (stante l'efficacia automatica, di diritto, delle causa di scioglimento della società) di rimuovere la causa di scioglimento della società prevista dall'art. 2448 n. 4 c.c. (riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale).
La tesi di quei giudici trascura di considerare che tale causa di scioglimento della società, se pur si produce automaticamente, è soggetta alla condizione risolutiva della reintegrazione del capitale o della trasformazione della società, ex art. 2447 (v. Cass. n. 4089 del 1980 e n. 8928 del 1994 - "nell'ipotesi prevista dall'art. 2448 n. 4 c.c. (riduzione del capitale al di sotto del minimo legale) lo scioglimento della società si produce automaticamente ad immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva, costituita dalla reintegrazione del capitale o della trasformazione della società ai sensi dell'art. 2447 c.c.... che fa vanir meno ex tunc lo scioglimento della società e il diritto del socio alla liquidazione alla quota" - pronuncia quest'ultima che, intendendo il collegamento tra gli adempimenti dell'art. 2447 c.c. e la previsione di scioglimento dell'art. 2448 n. 4 c.c. nel senso che gli adempimenti imposti agli amministratori condizionano risolutivamente, con effetto ex tunc lo scioglimento della società, mostrano di riconoscere fondatezza giuridica alla tesi, sostenuta in dottrina, che "non la perdita del capitale in quanto tale e la sua riduzione al di sotto del minimo legale costituiscono la causa di scioglimento della società di cui all'art. 2448 n. 4 c.c. bensì, stante la riserva espressa dalla norma (salvo quanto è disposto dall'art. 2447), la mancata reintegrazione del capitale stesso al minimo legale o la mancata trasformazione della società".
Le norme codicistiche, invero, che pur vietano agli amministratori di intraprendere nuove operazioni quando si è vetrificato un fatto che determina lo scioglimento della società (art. 2449 c.c.) mostrano di non aver imposto tale contestualità della sottoscrizione dell'aumento, limitandosi proprio l'art. 2448 a richiedere che, verificatasi la causa di scioglimento della riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, gli amministratori provvedano ai sensi dell'art. 2447 (convocare senza indugio l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo).
La deliberazione impugnata dall'attuale ricorrente non risulta conforme alla legge, dunque, in virtù della (sola) necessità - insussistente come si è visto - dell'immediata sottoscrizione della reintegrazione del capitale sociale, almeno in misura pari al minimo legale, e della conseguente impossibilità (anch'essa insussistente) di assegnare ai soci un termine per la successiva sottoscrizione dell'aumento, così che la sua legittimità, come ritenuta dalla Corte di merito, dovrà essere verificata a fronte della censura di cui al secondo motivo di ricorso (violazione del diritto di opzione). Anche al secondo quesito deve darsi risposta negativa, dovendo ritenersi non invalida in particolare quella deliberazione (adottata nel caso di specie dall'assemblea straordinaria della S.r.l. Marine 1) che, avvenuta in assemblea la sottoscrizione del capitale ricostituito sino alla misura del minimo legale ad opera dei soci presenti (nel caso di specie il solo Maestrali titolare del 50% delle quote), assegni egualmente ai soci che ne abbiano diritto un termine per l'esercizio del diritto di opzione (recte, per la sottoscrizione del capitale pro quota) quando tale assegnazione del termine sia accompagnata dalla previsione (integrante una condizione risolutiva) che l'esercizio del diritto rimuova l'acquisto da parte del socio originario sottoscrittore dell'intero capitale.
Una operazione siffatta non viola il diritto di opzione di cui all'art. 2441 c.c. nel suo contenuto (o nella sua natura di mezzo giuridico al fine) di diritto di prelazione che la norma attribuisce al socio in ordine alla sottoscrizione del capitale al fine di garantire allo stesso che resti inalterata la misura della sua partecipazione al capitale ed al patrimonio sociale. Può ammettersi che, nulla prevedendo la norma dell'art. 2447 c.c., il modello per l'operazione di sottoscrizione in reintegrazione del capitale anche in tale ipotesi sia quello indicato dall'art. 2439 comma secondo: una deliberazione deve fissare, per la sottoscrizione, un termine, nell'osservanza di quelli stabiliti dall'art. 2441 commi secondo e terzo (offerta di opzione). E del resto, che debba in ogni caso essere concesso ai soci opzionari un termine per l'esercizio del diritto risulta, come si è detto, dalla stessa norma dell'art. 2441 comma 2^. E tuttavia, essendo differita, in tale modello, la sottoscrizione del capitale proprio, e soltanto, per consentire l'esercizio del diritto di opzione - sicché non risulta imposto a pena di nullità il modello medesimo che prevede l'assegnazione di un termine per l'esercizio del diritto di opzione preventivamente alla sottoscrizione del capitale - può ritenersi legittima la deliberazione della quale si controverte, che il diritto di opzione del Mori ha inteso salvaguardare garantendone l'esercizio postumo rispetto all'avvenuta integrale sottoscrizione del capitale da parte del socio Maestrelli.
Il meccanismo adottato - come accertato e descritto nella sentenza impugnata - ha fatto salva ad un tempo sia il diritto del Mori di mantenere inalterata, nella sottoscrizione del capitale reintegrato, la misura della sua partecipazione al capitale, non potendosi negare l'effetto di acquisto che l'esercizio del diritto comportava, sia la stessa partecipazione societaria del Mori stesso. È vero infatti, posta l'esplicita previsione dell'atto deliberativo in questione (dalla sentenza impugnata, pag. 4 e 8: "fermo restando il diritto di opzione dell'altro socio assente, signor Mori Marco, spettantegli ai sensi dei legge e di statuto, da esercitare nel termine massimo di trenta giorni, decorrenti dalla ricezione della raccomandata a.r. con cui verrà messo a conoscenza della presente delibera" mentre solo "in difetto dell'esercizio del diritto di opzione nel termine prescritto il Mori avrebbe perso la qualità di modo della s.r.l. Marine n. 1 per mancata copertura delle perdite e mancata sottoscrizione del ricostituito capitale sociale"), che l'esercizio da parte di quest'ultimo del suo diritto di sottoscrivere il capitale pro quota era idoneo a "risolvere" la sottoscrizione che, per la corrispondente parte del capitale reintegrato, aveva eseguito il Maestrelli, restando in tal modo (attraverso tale meccanismo risolutivo) superata anche l'obiezione secondo la quale, ricostituito in quel modo (attraverso la sottoscrizione per l'intero da parte del socio presente all'assemblea) il capitale sociale, il diritto di opzione era stato escluso e il socio sottoscrittore era ormai l'unico socio, e l'altro aveva ormai perduto la titolarità dei diritti connessi alla partecipazione sociale (così il ricorrente a pag. 8 del ricorso).
I primi due motivi di ricorso qui esaminati non meritano, dunque, accoglimento, confermandosi, in relazione ai suddetti profili, il giudizio di legittimità della deliberazione espresso dalla Corte di merito. Resta dimostrata da tali considerazioni l'infondatezza anche del quarto motivo di ricorso che denuncia la "violazione e falsa applicazione dell'art. 1375 c.c., in particolare, violazione del principio di buona fede e correttezza; carenza di motivazione su punto decisivo", in relazione alle doglianze (di cui ai motivi di gravame) che prospettavano la violazione del suddetto principio come derivante dalle "peculiari modalità con le quali la deliberazione in questione era stata assunta ed eseguita, le quali dimostravano che essa era stata preordinata al fine di escludere, del tutto illegittimamente, esso Mori dalla compagine modale e che la immediata integrale sottoscrizione di tutto il capitale sociale da parte dell'unico modo premente all'assemblea mi era tradotta in una patente violazione del diritto di opzione ehm ad osso Mori spettava". Seppur non v'è nella sentenza impugnata una disamina esplicita di tali doglianze, la cui avvenuta formulazione con l'atto propositivo del gravame si deduce dalla stessa sentenza (pag. 3 nella parte in cui riassume le ragioni di invalidità della deliberazione prospettata dall'appellante anche per "erronea statuizione del rispetto del principio di buona fede"), essa ben può ritenersi disattesa per implicito dalla Corte fiorentina, se è vero che la violazione da parte del Maestrelli della regola di buona fede esso Mori aveva ricollegato non ad altro che alle "peculiari modalità con le quali la delibera era stata assunta ed eseguita", ossia - come egli ora spiega (pag. 12 del ricorso) - alla "sottoscrizione immediata ed integrale di tutto il capitale sociale da parte dell'unico socio presente che si traduceva nella violazione del diritto di opzione" a lui spettante.
Riproposta in questa sede di legittimità, la tesi che la deliberazione stessa era da ritenersi illegittima per violazione dell'art. 1375 c.c. essendo stata "preordinata al fine di escluderlo, del tutto illegittimamente, dalla compagine sociale" si rivela priva di fondamento, una volta confermata la piena legittimità della deliberazione perché in nessun modo lesiva del diritto di esso Mori alla sottoscrizione del capitale sociale reintegrato e alla partecipazione societaria.
Il terzo motivo denuncia la "violazione e falsa applicazione dell'art. 2472 c.c.: In particolare violazione del principio della limitazione della responsabilità; contraddittoria motivazione su punto decisivo".
Il ricorrente deduce che la previsione della delibera impugnata secondo la quale egli "in mancanza del diritto di opzione (dell'esercizio del) nel termine assegnato, avrebbe perduto la qualità di socio della società per la mancata copertura delle perdite sociali" contrasterebbe, tra l'altro, con il principio che impedisce di condizionare la permanenza del socio nella titolarità della partecipazione al versamento di ulteriori conferimenti. Anche tale motivo è infondato.
La censura non coglie il senso della pronuncia impugnata. Il passo della motivazione (pag. 10/11) nel quale la Corte di merito ha affermato che "se entrambi i soci avessero partecipato all'assemblea, avrebbero dovuto versare nuovi capitali per ripianare le perdite oppure deliberare lo scioglimento della società, senza, alcuna possibilità alternativa. Perciò la richiesta di ripianare le perdite e di sottoscrivere proporzionalmente il capitale sociale ricostituito, per rimanere nella compagine sociale, lungi dal costituire una lesione del principio di responsabilità limitata, si manifesta come adempimento di una inderogabile previsione normativa" non può essere censurato come giuridicamente "erroneo" con l'argomento che (pag. 10 del ricorso) "il versamento di somme di danaro a copertura di perdite patrimoniali non può essere imposto ai soci con deliberazione assembleare, stante il principio espresso dall'art. 2472 cc....".
L'affermazione della sentenza, in risposta alla doglianza che la deliberazione impugnata era da ritenersi illegittima per violazione del diritto alla responsabilità limitata dei soci nelle società di capitali, ha invero la sua premessa - del tutto corretta - nel rilievo che "la deliberazione in oggetto non può essere assimilata tout court a quella che imponga ai soci versamenti di danaro" e che "con la deliberazione del 27.03.1997 l'assemblea aveva unicamente perseguito l'obiettivo di evitare lo scioglimento della società, secondo la previsione alternativa dell'art. 2448 n. 4 c.c. e perciò, una volta azzerato il capitale sociale, aveva esclusivamente la possibilità di ricostituire il predetto capitale in base al dettato dell'art. 2447 cod. civ.".
In altri termini, nell'ipotesi di cui all'art. 2447 c.c., la deliberazione di sottoscrizione del capitale ricostituito non può essere interpretata come contraria al principio invocato dal ricorrente secondo cui la partecipazione del socio nelle società di capitali si esaurisce nella sottoscrizione iniziale delle quote o delle azioni senza possibilità alcuna che egli sia chiamato a conferire prestazioni ulteriori tanto più se alle stesse sia condizionata la sua permanenza nella società (principio che trova deroga, appunto, nelle ipotesi dette di "destinazione specifica" quali la deliberazione di aumento del capitale sociale e quella di ripianamento della perdita del capitale e di ricostituzione del medesimo: artt. 2438 e 2447 c.c. richiamati dagli artt. 2495 e 2496 per le società a responsabilità limitata).
Il ricorso va dunque rigettato.
Appare equo che le spese del giudizio di Cassazione restino interamente compensate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 22 settembre 2005. Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2005