Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6911 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 06 Luglio 2007, n. 15304. Est. Salvato.


Società - Di capitali - Società a responsabilità limitata - Bilancio - In genere - Utili societari - Prova - Bilancio fiscale - Utilizzabilità - Diversità dal bilancio civilistico - Mancata specificazione delle divergenze - Irrilevanza.



Al fine di accertare la produzione di utili di una società commerciale possono essere utilizzate le risultanze del solo bilancio redatto a fini fiscali e non può esserne genericamente eccepita l'inutilizzabilità senza svolgere specifiche e pertinenti deduzioni in ordine ai concreti effetti che le divergenze tra normativa fiscale e civilistica possano produrre. (La fattispecie aveva ad oggetto l'azione di responsabilità di un amministratore di s.r.l. per cattiva gestione riguardante tra l'altro la mancata percezione di utili provenienti da società partecipate, documentati mediante i bilanci redatti a fini fiscali soprattutto a causa della condotta omissiva ed inadempiente dell'amministratore stesso in ordine agli obblighi di corretta redazione e deposito dei bilanci societari). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente -
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - Consigliere -
Dott. SCHIRÒ Stefano - Consigliere -
Dott. DEL CORE Sergio - Consigliere -
Dott. SALVATO Luigi - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Pitucco Eduardo, in proprio e nella qualità di ex amministratore unico della SI.DE.SA. s.r.l., elettivamente domiciliato in ROMA, via Claudio Monteverdi, 18, presso lo studio dell'avv. Vito Sgarra rappresentato e difeso dall'avv. Pitucco Eduardo, unitamente all'avv. Riccardo Russo, in virtù di mandato in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
SI.DE.SA s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore - elettivamente domiciliata in ROMA, via Cassiodoro n. 1/A, presso lo studio dell'avv. Bianca, Maria Castaldi, rappresentata e difesa dall'avv. Redini Giandolfo, in virtù di procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Palermo depositata il 20 marzo 2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21 giugno 2007 dal Consigliere Dott. Luigi Salvato;
udito per il ricorrente l'avv. Eduardo Pitucco, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- La SI.DE.SA. s.r.l. (di seguito, Società), in persona dell'amministratore Giorgio Carbone, con citazione del 3 marzo 1989, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Palermo Pitucco Eduardo.
L'istante esponeva che il Pitucco era stato amministratore della società e che allo stesso erano ascrivibili le seguenti irregolarità commesse nella gestione: non risultavano depositati i bilanci di esercizio degli anni dal 1982 al 1986; i bilanci d'esercizio degli anni 1985 e 1986 non erano stati neppure sottoposti all'assemblea; essa istante era socio accomandante della Tirrenia Immobiliare s.a.s. di Amalia La Vecchia, della Siciliana Immobiliare Y Costruciones di Amalia La Vecchia s.a.s. e della Financera Immobiliare Italia di Amalia La Vecchia s.a.s., aventi sede in Bologna, ma di dette partecipazioni non vi era traccia nella documentazione della società e neppure risultavano utili provenienti dalle stesse, benché siffatte s.a.s., almeno negli anni 1983/1984, avevano prodotto redditi immobiliari che costituivano peraltro l'unico reddito della SI.DE.SA. s.r.l..
La Società chiedeva, quindi, la condanna del convenuto al risarcimento dei danni conseguenti dalla cattiva amministrazione, nonché al pagamento di L. 16.805.207, non rinvenute nella cassa sociale.
Il convenuto si costituiva in giudizio eccependo il difetto di legittimazione dell'amministratore, nominato dall'assemblea della società alla quale aveva partecipato un soggetto non titolare di quote, contestando, nel merito, la domanda.
Il Tribunale di Palermo, con sentenza non definitiva del 6 dicembre 1991, rigettava l'eccezione preliminare, condannava il Pitucco a restituire la somma di L. 16.805.207, lo dichiarava responsabile per non essersi attivato nel richiedere alle società partecipate il pagamento degli utili e, con separata ordinanza, rimetteva la causa in istruttoria per la quantificazione dei danni.
Assunta c.t.u., il citato Tribunale, con sentenza del 12 novembre 1999, rigettava la domanda, in difetto di prova del danno, ritenendo non ostativa a detta conclusione la condanna generica pronunciata con la sentenza non definitiva.
2.- Le sentenze erano appellate da Eduardo Pitucco.
Si costituiva in giudizio la Società, che proponeva appello incidentale.
La Corte d'appello di Palermo, con sentenza del 20 marzo 2004, rigettava l'appello principale e, in accoglimento dell'appello incidentale, condannava Eduardo Pitucco a pagare Euro 18.746,00, ponendo a suo carico le spese del secondo grado.
Per quanto qui interessa, la sentenza:
a) relativamente all'appello principale, sull'eccezione di difetto di legittimazione, esponeva che Giorgio Carbone era stato nominato amministratore della Società dall'assemblea ordinaria del 15 settembre 1987, con il voto di Marcì Salvatore, titolare di 19.999 quote sociali su 20.000, secondo quanto risultava dall'annotazione della cessione delle quote effettuata in suo favore da Pitucco Eduardo. Il Tribunale aveva correttamente osservato che l'attore neppure aveva dedotto di avere impugnato nei termini la delibera, dato che il vizio denunciato era causa di annullabilità della medesima. Ad avviso della Corte siciliana, questa conclusione era incensurabile, dato che le delibere delle società di capitali sono nulle esclusivamente nel caso di impossibilità o illiceità dell'oggetto, mentre nella specie risultava viziato "il processo formativo della deliberazione", con conseguente violazione di norme poste a tutela dell'interesse dei soci.
b) In ordine all'appello incidentale, la sentenza affermava che non era corretta la pronuncia di primo grado nella parte in cui aveva negato che la Società aveva subito un danno a causa della condotta omissiva del Pitucco, consistente nel mancato incasso degli utili delle partecipate, in quanto detti utili non risultavano dai bilanci, che neppure esistevano.
Ad avviso del giudice d'appello questa argomentazione era "semplicistica" e non teneva conto, in primo luogo, del fatto che le partecipate erano proprietarie di immobili, come tali produttivi di reddito; quindi, anche non tenendo conto del valore locativo accertato dal c.t.u., poteva farsi riferimento al reddito risultante dalle dichiarazioni fiscali delle società che, come osservato dal c.t.u., nonché dal perito designato nel processo penale celebrato nei confronti del Pitucco per gli stessi fatti oggetto del giudizio civile, "sono manifestamente inferiori a quelli di mercato". Inoltre, la difficoltà di tradurre il reddito fiscale in utili, a causa della mancata redazione dei bilanci, doveva tenere conto della circostanza che detta carenza era ascrivibile al Pitucco. Infatti, nonostante la misura della partecipazione di cui era titolare la Società (pari al 97,50% del capitale sociale di una delle tre s.a.s. ed al 99% del capitale sociale delle altre due), il predetto non si era attivato, affinché le società depositassero i bilanci e neppure aveva cercato di acquisire notizie sulla loro attività, come aveva accertato il perito nel processo penale.
Ancora, esponeva la pronuncia, "da un punto di vista più sostanziale", assumeva rilievo che tutte le società erano riconducibili al Pitucco: egli possedeva 19.900 quote della Società che partecipava quasi totalitariamente le tre s.a.s., che avevano quale socio accomandatario la madre dello stesso Pitucco, con lui convivente in Palermo, via XII gennaio, ove pure avevano sede le società; il patrimonio immobiliare delle società era costituito da immobili adibiti a casa di abitazione, studio professionale e villa del predetto.
L'incompletezza della documentazione anche in ordine agli utili prodotti dalle società era quindi ascrivibile al Pitucco e l'impossibilità di ricostruire le vicende societarie non poteva andare a suo vantaggio.
In definitiva, la mancanza dei bilanci e della documentazione contabile, secondo la Corte d'appello, "giustifica la conclusione che possano ritenersi quali utili delle società partecipate (...) quantomeno i redditi risultanti dalle dichiarazioni fiscali; e consente di quantificare il danno subito dalla SI.DE.SA nella mancata percezione di tali redditi".
Pertanto, poiché il c.t.u. aveva accertato i redditi prodotti dagli immobili, gli stessi, al netto delle spese fiscalmente deducibili, costituivano la voce di danno che poteva essere posta a carico del Pitucco, sulla quale il giudice d'appello riconosceva il maggior danno da svalutazione monetaria.
3.- Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso Pitucco Eduardo, affidato a due motivi; ha resistito con controricorso la Società.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Eduardo Pitucco, con il primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2311, 2379 c.c., nonché insufficienza di motivazione, deducendo che egli aveva eccepito la nullità della delibera di nomina ad amministratore di Giorgio Carbone, perché adottata con il voto di Marcì Salvatore (titolare di 19.999 quote sociali su 20.000), in virtù di una cessione che esso istante aveva effettuato a titolo di garanzia e che, quindi, era stata stipulata in violazione del divieto del patto commissorio e, conseguentemente, era nulla, come accertato dal Tribunale di Palermo con sentenza del 9 novembre 1999, passata in giudicato.
A suo avviso, erroneamente la Corte d'appello, condividendo la tesi del Tribunale, aveva ritenuto che il vizio denunciato fosse causa di mera annullabilità della delibera, in quanto la previsione dell'art. 2379 c.c., non ha carattere tassativo, essendo identificabili anche casi di inesistenza della delibera, come, ad esempio, nell'ipotesi di mancata convocazione dei soci.
Nella specie, la delibera era stata adottata da un solo socio, titolare delle quote sociali in virtù di un atto illecito, con conseguente nullità della medesima, trattandosi di vizio attinente alla costituzione dell'assemblea ed al procedimento di formazione dell'atto.
1.1.- Il motivo è infondato e va rigettato.
Le censure devono essere esaminate avendo riguardo alle norme che disciplinano la s.r.l. nel testo vigente anteriormente alle modificazioni introdotte dal D.Lgs. n. 6 del 2003, qui applicabili ratione temporis.
Il ricorrente, con il motivo in esame, si duole della circostanza che la Corte territoriale non avrebbe correttamente considerato che l'azione era stata proposta da un amministratore della SI.DE.SA. s.r.l. sfornito di potere rappresentativo della società, in quanto la sua nomina doveva ritenersi viziata.
Al riguardo va ricordato che, qualora la persona giuridica sia stata presente nel processo per mezzo di persona fisica non abilitata a rappresentarla, il vizio che ne consegue attiene alla capacità processuale della persona medesima, concernendo la titolarità del potere di proporre la domanda, e non invece la legittimazione ad agire (ossia il suo prospettarsi quale titolare del diritto azionato), e pertanto un difetto di legittimazione processuale (Cass. n. 21811 del 2006; n. 20913 del 2005; n. 19164 del 2005; n. 6720 del 1996).
Relativamente alla sanatoria di questo vizio, dalla premessa che la ratifica dell'atto del falsus procurator con efficacia retroattiva (art. 1399 c.c.) non opera nel campo processuale e che, in ipotesi di procura alle liti, fuori del caso previsto dall'art. 125 c.p.c., non vale a sanare le decadenze nel frattempo intervenute, si è talora desunta la conseguenza che, qualora per una persona giuridica abbia agito un soggetto privo di poteri rappresentativi, la sanatoria conseguente alla spontanea costituzione in giudizio del soggetto munito di rappresentanza processuale avrebbe efficacia ex nunc, ai sensi dell'art. 182 c.p.c. (in tal senso, n. 5175 del 2005; n. 17525 del 2003).
Un contrario, maggioritario, orientamento ha invece ritenuto che occorre distinguere la questione della validità della procura alla lite, sotto il profilo dello jus postularteli del procuratore (al quale si riferisce la disciplina dell'art. 125 c.p.c.), da quella della capacità processuale, regolata dall'art. 182 c.p.c.. Questa norma, secondo un principio più volte affermato da questa Corte, rende sanabile il difetto di legittimazione processuale in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, a seguito della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza dell'ente stesso, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator.
Siffatta sanatoria non è impedita dalla previsione dell'art. 182 c.p.c., in virtù della quale sono fatte salve le decadenze già verificatesi, non riferendosi detto limite a quelle che si esauriscono nell'ambito del processo (Cass. n. 21811 del 2006; n. 12494 del 2001; cfr anche Cass. n. 5135 del 2004; n. 12494 del 2001;
n. 8426 del 1998). La conseguenza è che, secondo il prevalente e più recente orientamento di questa Corte, al quale va data continuità, il difetto di legittimazione processuale della persona fisica o giuridica, che agisca in giudizio in rappresentanza di un altro soggetto, può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza, il quale manifesti la volontà di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator (Cass. n. 21811 del 2006; n. 12088 del 2006; n. 20913 del 2005; n. 4468 del 2005; n. 5135 del 2004; n. 12494 del 2001; n. 15031 del 2000; n. 2239 del 1978; n. 458 del 1975). In applicazione di detto principio, che il Collegio condivide e fa proprio, la costituzione sin dalla fase di appello, a seguito della messa in liquidazione della società, non contestata, del liquidatore, titolare del potere rappresentativo della società (in relazione alla cui nomina nessuna contestazione è stata sollevata, risultando irrilevante l'identità della persona fisica titolare della carica, essendo comunque la stessa anche mutata in questa fase), il quale, proponendo appello incidentale, prima, e insistendo, poi, in questa fase per il rigetto del ricorso, ha evidentemente manifestato la volontà di ratificare la condotta del soggetto che aveva agito per la società, permette, conseguentemente, di ritenere sanato il vizio denunciato e rende privo di interesse concreto - necessario anche ai fini dell'impugnazione del provvedimento giudiziale, da apprezzare in relazione alla utilità concreta derivabile alla parte dall'eventuale accoglimento del gravame - discutere se sia stata correttamente risolta la questione del tipo di invalidità della delibera, in quanto non avente riflessi pratici sulla decisione adottata (Cass. n. 1755 del 2006; n. 13593 del 2006;
n. 15623 del 2005; n. 13091 del 2003).
2.- Il ricorrente, con il secondo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2423, 2433 ss. c.c., nonché insufficienza di motivazione, sostenendo che la sentenza impugnata lo ha ritenuto responsabile per l'incompletezza della documentazione contabile delle società partecipate e, nel quantificare il danno, ha ritenuto che potevano considerarsi quali utili i redditi risultanti dalle dichiarazioni fiscali.
La conclusione sarebbe erronea, in quanto non considera che il bilancio deve presentare poste passive e che egli aveva "documentato e ampiamente illustrato (cfr. deduzioni responsive 16/1/2002)" che:
la Società aveva venduto tutte le partecipazioni con atto del 14 settembre 1987; la Siciliana Immobiliare Y Costruciones di Amalia La Vecchia s.a.s. aveva subito un'esecuzione forzata immobiliare per un credito garantito da mutuo ipotecario, vantato dal Banco di Sicilia;
un'ipoteca a garanzia di un mutuo gravava sull'immobile di proprietà della Financera Immobiliare Italia di Amalia La Vecchia s.a.s.;
un'ipoteca a garanzia di un mutuo, garantito anche da fideiussione dell'avv. Pitucco, grava sull'immobile di proprietà della Tirrenia Immobiliare s.a.s. di Amalia La Vecchia.
Pertanto, le società partecipate non potevano distribuire utili, in quanto i redditi prodotti erano assorbiti dai pesi derivanti dai mutui.
2.1.- Il motivo è infondato e va rigettato.
Una questione simile a quella qui posta è stata di recente esaminata da questa Corte nella sentenza n. 21832 del 2005, in riferimento ad un caso concernente il diritto di percezione degli utili prodotti da una società semplice, ritenuti esistenti e provati dal giudice del merito sulla scorta della dichiarazione rilasciata ai fini fiscali. Nel risolvere detta questione, la pronuncia ha osservato che, nel vigente ordinamento, non vi è perfetta coincidenza tra bilancio, redatto a fini fiscali, e bilancio redatto in osservanza delle norme del codice civile, perché ad alcuni effetti i criteri di redazione del secondo non sono opponibili all'erario. Siffatta considerazione rende possibile alla parte che contesta la produzione di utili da parte della società di persone desunta dal bilancio redatto ai fini fiscali di far valere tali diversità, deducendo i concreti effetti da queste prodotti, indicando il diverso risultato al quale si sarebbe dovuto pervenire, e che si sarebbe dovuto porre al fondamento della decisione impugnata.
Pertanto, la premessa teorica della diversità tra bilancio fiscale e bilancio civilistico deve essere diligentemente coltivata allo scopo di sollecitare una più corretta definizione della controversia, ma non può fondare l'assunto di una radicale diversità tra i due istituti, tale da rendere del tutto inutilizzabile, al fine di accertare la produzione di utili, il bilancio redatto ai fini della dichiarazione del redditi della società. Tanto, ha precisato infine la sentenza, non perché "vi si opponga l'astratto principio dell'unità dell'ordinamento giuridico, che imporrebbe di muovere dalla premessa della tendenziale convergenza, fino a prova contraria, dei due istituti, quanto perché le divergenze tra di essi (...), non sono in concreto tali da produrre il risultato della radicale inutilizzabilità del bilancio fiscale della società, nell'accertamento del reddito della medesima ai fini del regolamento dei rapporti tra i soci".
Inoltre, siffatta conclusione - che il Collegio condivide e fa propria - va apprezzata considerando che nella società in accomandita semplice l'approvazione del bilancio è un atto che spetta istituzionalmente ai soci accomandatari, con la conseguenza che, se uno solo è il socio accomandatario, il momento dell'approvazione del bilancio coincide con quello della sua presentazione e che nella medesima il diritto del singolo socio a percepire gli utili è subordinato, ai sensi dell'art. 2262 c.c. (applicabile in forza del duplice richiamo di cui agli artt. 2315 e 2293 c.c.), alla sola approvazione del rendiconto, situazione contabile che equivale, quanto ai criteri fondamentali di valutazione, a quella di un bilancio (Cass. n. 1240 del 1996). Nel quadro di questi principi, la sentenza impugnata è, quindi, immune da censure nella parte in cui ha tenuto conto del reddito prodotto dagli immobili "alla stregua delle dichiarazioni fiscali provenienti dalle stesse società interessate" (che erano tutte s.a.s.), ed all'esito delle valutazioni delle stesse operate dal c.t.u..
Il ricorrente si è invero limitato a sostenere - erroneamente per quanto sopra precisato - che non sarebbe stato possibile, in linea generale, valorizzarle, senza svolgere specifiche e pertinenti deduzioni in ordine ai concreti effetti che le divergenze tra normativa fiscale e civilistica avrebbero prodotto. Ed infatti, la deduzione in ordine alla circostanza che la controricorrente, in data 14 settembre 1987, aveva alienato le partecipazioni nelle s.a.s. è inconferente, dato che la sentenza ha espressamente precisato che si è tenuto conto degli utili prodotti negli anni dal 1983 al 1986 (cfr. pg. 10 e pg 14 della pronuncia in esame). La prospettazione concernente l'esistenza di procedure espropriative in danno della s.a.s. è stata formulata, in violazione del principio di autosufficienza (tra le tante, Cass. n. 12362 del 2006; n. 6679 del 2006), mediante generico rinvio ad atti del giudizio di merito ("cfr. deduzioni responsive 16/1/2002", così testualmente), senza neppure indicare quali sarebbero le prove documentali che avrebbe dedotto a conforto, trascrivendone il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso, al fine di consentire il vaglio di decisività (tra le più recenti, Cass. n. 18506 del 2006; n. 12362 del 2006), anche mediante l'indicazione degli elementi temporali, e di quelli concernenti la situazione patrimoniale delle società, imprescindibili per dimostrare la sussistenza di un nesso eziologico tra l'errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto (Cass. n. 11501 del 2006; n. 2602 del 2001).
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese di questa fase seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese della presente fase, che liquida in complessivi Euro 1.300,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 giugno 2007.
Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2007