Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 7455 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 10 Gennaio 2007, n. 267. Est. Nappi.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Liquidazione coatta amministrativa - Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi - In genere - Azione revocatoria - Prescrizione - Decorrenza - Dalla nomina del commissario - Contrasto con il principio di esperibilità dell'azione con riguardo alla sola fase liquidatoria della procedura - Esclusione - Fondamento.



Nella procedura di amministrazione straordinaria come disciplinata dal d.l. n. 26 del 1979, conv. in legge n. 95 del 1979, sebbene l'azione revocatoria fallimentare sia esperibile soltanto in relazione alla eventuale fase liquidatoria (essendo ispirata a finalità recuperatorie estranee alla fase conservativa della medesima procedura), il suo termine di prescrizione decorre già dalla data della nomina del commissario (unico soggetto legittimato all'esercizio dell'azione, che dunque con la sua nomina diventa esperibile agli effetti dell'art. 2935 cod. civ.). Infatti un'effettiva destinazione liquidatoria della procedura di amministrazione straordinaria può manifestarsi già prima del formale avvio del procedimento di alienazione dei beni, perché un'attività di conservazione dell'azienda, nella sua unitarietà funzionale, può risultare destinata anche alla tutela delle ragioni dei creditori, che hanno evidentemente interesse all'alienazione di un complesso aziendale efficiente e avviato, piuttosto che alla separata alienazione dei singoli beni, con la conseguenza che l'eventualità di una destinazione liquidatoria della procedura non può non essere accertata con riferimento al momento della decisione sull'azione revocatoria, dato che anche la cessione dell'intero complesso aziendale ha funzione di liquidazione, mentre di un risultato di risanamento, senza liquidazione dei beni, può parlarsi solo quando sia il medesimo originario imprenditore a riprendere l'attività economica di cui trattasi. (massima ufficiale)



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOSAVIO Giovanni - Presidente -
Dott. PLENTEDA Donato - Consigliere -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. PANZANI Luciano - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:


SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Metano Toscana s.r.l., domiciliata in Roma, piazza del Fante 2, presso l'avv. Palmeri G. che la rappresenta e difende come da mandato in calce al ricorso.
- ricorrente -
contro
Ferdofin Siderurgica s.r.l. in amministrazione straordinaria, domiciliata in Roma, via Crescenzio 9, presso l'avv. Caldarera M. che la rappresenta e difende come da mandato a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Torino depositata il 15 settembre 2003;
Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi;
uditi i difensori, avv. Palmeri per la ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso, e avv. Caldarera per la resistente, che ne ha chiesto il rigetto.
Udite le conclusioni del P.M., Dr. SCHIAVON Giovanni, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Torino ha confermato la dichiarazione di inefficacia dei pagamenti per complessive L. 291.781.842 effettuati in favore della Metano Toscana s.r.l. dalla Ferdofin Siderurgica s.r.l., poi ammessa all'amministrazione straordinaria.
Hanno ritenuto i giudici del merito:
a) la L. n. 95 del 1979, non può essere considerata totalmente incompatibile con il diritto comunitario e, quand'anche volesse considerarsi l'azione revocatoria incompatibile con la fase conservativa dell'amministrazione straordinaria, nel caso in esame la domanda fu proposta appunto quando la fase di liquidazione era già avviata;
b) il termine di prescrizione dell'azione revocatoria decorre dal giorno in cui l'azione può essere proposta, vale a dire dalla nomina dei commissari;
c) l'effettiva erogazione della controprestazione non esclude la negativa incidenza sulla par condicio creditorum dei pagamenti eseguiti dal debitore insolvente nell'imminenza del fallimento;
d) la conoscenza dello stato di insolvenza della Ferdofin Siderurgica si desume dalle notizie di stampa dell'epoca, dall'interruzione per inadempimento del precedente rapporto di fornitura del gas con la Snam, dalla convenzione di pagamento anticipato delle forniture, con significativa e reiterata prestazione di cauzione, sicché era superflua la prova per testi articolata dalla convenuta sul contesto di stipulazione del contratto di somministrazione. Ricorre per cassazione la Metano Toscana s.r.l. e propone cinque motivi d'impugnazione, cui resiste con controricorso la Ferdofin Siderurgica s.r.l. in amministrazione straordinaria. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione degli art. 4 Trattato Ceca, art. 92 e s. Trattato CEE, L. n. 95 del 1979, art. 1 e s. come interpretati dalla sentenza 17 giugno 1999 della Corte di giustizia e dalla decisione 16 maggio 2000 della Commissione dell'Unione europea, del D.L. n. 270 del 1999, art. 106 e degli artt. 203 e 67 L. Fall.; contraddittorietà della motivazione. Sostiene che, in quanto sottrae al fallimento e ammette alla continuazione dell'attività un'impresa dichiarata insolvente, la L. n. 95 del 1979, prevede un aiuto di Stato e deve essere disapplicata per incompatibilità con il diritto comunitario, con la conseguenza dell'inammissibilità dell'azione revocatoria fallimentare esercitata. Lamenta che i giudici del merito abbiano erroneamente interpretato sia la decisione della Commissione 16 maggio 2000 2001/212/CE, che non ha affatto escluso l'incompatibilità comunitaria della L. n. 95 del 1979, sia la L. n. 207 del 1999, art. 106 e abbiano omesso di considerare adeguatamente la inequivocabile dichiarazione di incompatibilità con il diritto comunitario della L. n. 95 del 1979 contenuta nella sentenza resa il 17 giugno 1999 dalla Corte europea di giustizia in causa C-295/97.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione, lamentando che erroneamente i giudici del merito abbiano negato la rimessione alla Corte europea di giustizia della questione pregiudiziale di interpretazione delle norme comunitarie. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli art. 2395 c.c., L. n. 95 del 1979, artt. 1 e ss. D.Lgs. n. 27 del 1999, art. 106, art. 67 L. Fall., vizi di motivazione della sentenza impugnata. Sostiene la compatibilità dell'azione revocatoria fallimentare esclusivamente con la fase di liquidazione e non con quella di conservazione dell'impresa insolvente. E lamenta che i giudici del merito abbiano erroneamente disatteso l'eccezione di prescrizione dell'azione revocatoria, promossa l'il dicembre 1998, a distanza di oltre cinque anni dalla dichiarazione di insolvenza del 7 dicembre 1993. La tesi della corte di merito, che fa decorrere il termine di prescrizione dalla nomina del commissario, si fonda su un'erronea interpretazione dell'art. 2395 c.c., perché attribuisce rilevanza anche a un'impossibilità di fatto, anziché solo a un'impossibilità giuridica, di esercitare l'azione della cui prescrizione si discute.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione della sentenza impugnata in ordine ai presupposti dell'azione revocatoria. Sostiene che i pagamenti revocati non provocarono danno alcuno ai creditori concorsuali, perché consentirono l'erogazione dell'energia necessaria all'esercizio dell'impresa, con un contratto di fornitura proseguito anche dopo la dichiarazione di insolvenza, ne' impedirono il pagamento dei creditori privilegiati. Con la memoria depositata ex art. 378 c.p.c. chiede comunque l'applicazione della nuova formulazione dell'art. 67 L. Fall., così come modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, che esclude la revocabilità dei pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso, eccependo di illegittimità costituzionale della disciplina transitoria, ove interpretata nel senso di escludere l'immediata applicabilità della nuova norma alle procedure di amministrazione straordinaria in corso. Aggiunge che erroneamente i giudici del merito hanno ritenuto provato il presupposto soggettivo dell'azione revocatoria sulla base di notizie di stampa, inidonee a dimostrare l'effettiva scientia decoctionis, e di un'inadeguata valutazione delle condizioni contrattuali, che prevedevano il pagamento parzialmente anticipato delle forniture, senza considerare che il conguaglio era sempre puntualmente avvenuto a fornitura eseguita. Con il quinto motivo infine la ricorrente deduce violazione della legge processuale e vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando l'ingiustificato diniego della prova testimoniale richiesta anche in appello per dimostrare la corrispondenza all'abituale pratica commerciale delle condizioni contrattuali applicate alla Ferdofin.
2. I primi tre motivi del ricorso vanno esaminati congiuntamente, perché propongono questioni connesse, e risultano tutti infondati. Infatti questa Corte ha già ampiamente chiarito che "il D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, conv., con modif., in L. 3 aprile 1979, n. 95, sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, contrasta - in base alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee 1 dicembre 1998 C -200/97 e 17 giugno 1999, nonché alla decisione della Commissione 16 maggio 2000 2001/212/CE, che hanno carattere vincolante - con la normativa comunitaria solo relativamente a quelle disposizioni che prevedono aiuti di Stato non consentiti" (Cass., sez. 1^, 16 luglio 2004, n. 13165, m. 577216, Cass., sez. 1^, 8 febbraio 2005, n. 2534, m. 579315). Sicché l'accertamento dell'eventuale incompatibilità con il diritto comunitario delle agevolazioni fiscali eventualmente godute dalla Ferdofin Siderurgica s.r.l. in amministrazione straordinaria, potrebbe comportare l'invalidazione di tali aiuti di Stato, ma non certo la caducazione dell'intera procedura e, di conseguenza, non inciderebbe sull'ammissibilità dell'azione revocatoria, che qui rileva.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, per l'azione revocatoria fallimentare si pone solo un problema, di diritto nazionale, attinente alla compatibilità con le finalità di risanamento che può avere la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Sicché risulta infondato il primo motivo del ricorso. E, contrariamente a quanto la ricorrente sostiene con il secondo motivo, è esclusa in radice la proponibilità di una pregiudiziale comunitaria.
Quanto all'ammissibilità dell'azione revocatoria fallimentare nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, infatti, la giurisprudenza di questa Corte è certamente orientata ormai nel senso che l'azione revocatoria fallimentare, "essendo ispirata a finalità recuperatorie estranee alla fase conservativa dell'amministrazione straordinaria, è esperibile soltanto in relazione alla eventuale fase liquidatoria ed il suo ambito operativo è da riferirsi necessariamente e correlativamente al momento in cui inizia la liquidazione dei beni" (Cass., sez. 1^, 5 settembre 2003, n. 12936, m. 566562, Cass., sez. 1^, 21 settembre 2004, n. 18915, m. 577264, Cass., sez. 1^, 27 dicembre 1996, n. 11519, m. 501523).
Nè questa condivisibile giurisprudenza è in contraddizione con il riconoscimento che "nel procedimento concorsuale di amministrazione straordinaria, l'azione revocatoria è esperibile solo dalla data del decreto che dispone l'apertura della procedura e la nomina del commissario, essendo quest'ultimo l'unico soggetto legittimato all'esercizio della suddetta azione, con la conseguenza che il termine di prescrizione della revocatoria fallimentare non decorre dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, bensì solo dalla data del decreto di nomina del commissario governativo, ossia dal momento in cui, a norma dell'art. 2935 c.c., il "diritto" può essere fatto valere" (Cass., sez. un., 15 giugno 2000, n. 437, m. 537612). Infatti tra azione revocatoria e fase conservativa
dell'amministrazione straordinaria v'è una incompatibilità logica e di fatto, prima che giuridica. Sicché non rileva ai fini della prescrizione che la destinazione conservativa della procedura escluda la possibilità di agire in revocatoria. E tuttavia un'effettiva destinazione liquidatoria della procedura di amministrazione straordinaria può manifestarsi già prima del formale avvio del procedimento di alienazione dei beni, perché un'attività di conservazione dell'azienda, nella sua unitarietà funzionale, può risultare destinata, nello stesso ambito della procedura prevista dalla L. n. 95 del 1979, non solo alla salvaguardia dell'unità produttiva bensì anche alla tutela della ragioni dei creditori, che hanno evidentemente interesse all'alienazione di un complesso aziendale efficiente e avviato, piuttosto che alla separata alienazione dei singoli beni aziendali.
Ne consegue che l'eventualità di una destinazione liquidatoria della procedura non può non essere accertata con riferimento al momento della decisione sull'azione revocatoria.
Infatti anche la cessione dell'intero complesso aziendale ha funzione di liquidazione, posto che di un risultato di risanamento, senza liquidazione dei beni, può parlarsi solo quando sia il medesimo originario imprenditore a riprendere l'attività produttiva e/o di scambio (L. n. 270 del 1999, artt. 27 e 49).
Ne risulta perciò l'infondatezza del terzo motivo del ricorso in entrambi i suoi profili, sia quello con il quale si deduce l'inammissibilità della domanda sia quello con il quale si eccepisce la prescrizione dell'azione.
3. Infondati sono anche il quarto e il quinto motivo del ricorso, che propongono in realtà questioni attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata con riferimento a una plausibile ricostruzione dei fatti.
Occorre premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "in tema di revocatoria fallimentare, la legge in nessun caso richiede l'accertamento di un'effettiva incidenza dell'atto che ne è oggetto sulla "par condicio creditorum", sicché è evidente che la funzione dell'azione revocatoria fallimentare è esclusivamente quella di ricondurre al concorso chi se ne sia sottratto, e ciò esclude anche che un'effettiva lesione della "par condicio creditorum" possa assumere rilevanza sotto il profilo dell'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), essendo evidente che l'interesse del curatore ad agire ha natura procedimentale, in quanto inteso ad attuare il pari concorso dei creditori, e va accertato con riferimento al momento della proposizione della domanda, perché si fonda sul già dichiarato stato di insolvenza del debitore, non sui prevedibili esiti della procedura concorsuale, mentre potrebbe assumere rilevanza solo l'eventuale impossibilità di qualificare come "bene" la cosa oggetto dell'azione" (Cass., sez. 1^, 1 settembre 2004, n. 17524, m. 576574, Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7028, m. 591009).
Nè ha rilievo la destinazione del contratto di somministrazione a una fornitura indispensabile per l'esercizio dell'impresa, perché anche per i pagamenti relativi a tali contratti, e finanche per il caso in cui la somministrazione avvenga in regime di monopolio, si è ritenuto esercitabile l'azione revocatoria fallimentare (Cass., sez. un., 23 gennaio 2004, n. 1232, m. 569633). Tanto premesso, risulta incensurabile il convincimento espresso dai giudici del merito sul presupposto soggettivo dell'azione revocatoria, essendo indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che lementi indiziari della scientia decoctionis possono desumersi anche dalle notizie di stampa precedenti alla dichiarazione dell'insolvenza (Cass., sez. 1^, 7 febbraio 2001, n. 1719, m. 543685, Cass., sez. 1^, 23 gennaio 1997, n. 699, m. 501971), mentre la considerazione della risoluzione per inadempimento del precedente contratto di somministrazione con altro fornitore è di per sè sufficiente a sorreggere la decisione, anche prescindendo dal riferimento alle pur significative condizioni contrattuali, di cui la ricorrente intenderebbe dimostrare l'irrilevanza con la prova testimoniale non ammessa. Quanto alla dedotta applicabilità della nuova formulazione dell'art. 67 L. Fall., va rilevato che essa è esclusa espressamente dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 150, mentre è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tale disciplina transitoria, perché è "nella discrezionalità del legislatore stabilire, rispetto a tutti i destinatari che versino in una certa situazione, la decorrenza della data di applicazione di una nuova disposizione di legge ed anche differirne la entrata in vigore per esigenze di ordine generale" (Cass., sez. 1^, 12 dicembre 2005, n. 27384, m. 588220).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 8.100,00 di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2006.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2007