Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 7524 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 15 Dicembre 2006, n. 26933. Est. Panzani.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Liquidazione coatta amministrativa - Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi - In genere - Azione revocatoria fallimentare - Condizioni e limiti - Destinazione liquidatoria della procedura - Necessità - Momento rilevante - Decisione sull'azione revocatoria.



Nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, disciplinata ("ratione temporis") dal decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26, convertito nella legge 3 aprile 1979, n. 95, l'azione revocatoria è esercitabile soltanto dopo la cessazione della fase conservativa dell'impresa e l'inizio di quella liquidatoria. Peraltro, un'effettiva destinazione liquidatoria della procedura di amministrazione straordinaria può manifestarsi già prima del formale avvio del procedimento di alienazione dei beni, perché l'attività di conservazione dell'azienda, nella sua unitarietà funzionale, può risultare destinata non solo alla salvaguardia dell'unità produttiva bensì anche alla tutela delle ragioni dei creditori, che hanno evidentemente interesse all'alienazione di un complesso aziendale efficiente e avviato, piuttosto che alla separata alienazione dei singoli beni aziendali. Ne consegue che l'eventualità di una destinazione liquidatoria della procedura deve essere accertata con riferimento al momento della decisione sull'azione revocatoria. (massima ufficiale)



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOSAVIO Giovanni - Presidente -
Dott. PLENTEDA Donato - Consigliere -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. PANZANI Luciano - rel. Consigliere -
Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:



SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A., in persona del responsabile dell'Unità Contenzioso Rischi Rilevanti e Internazionale avv. Ruta Vittorio, elettivamente domiciliato in Roma, Via di Val Gardena 3, presso l'avv. DE ANGELIS Lucio, che lo rappresenta e difende con l'avv. Giorgio Tarzia del foro di Milano, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
SAIMP SISTEMI S.P.A. in amministrazione straordinaria, in persona dei Commissari Straordinari Dott. Averni Giorgio, Dott. Molinari Maurizio e avv. Trauner Sergio, elettivamente domiciliato in Roma, Via Giuseppe Avezzana 6, presso l'avv. Liana Ferri, rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. RICCI Edoardo e Roberto Marinoni del foro di Milano, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Bologna n. 1228/04 del 18 ottobre 2004;
Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 23/10/06 dal Relatore Cons. Dott. Luciano Panzani;
Udito gli avv.ti. G. Tarzia e L. De Angelis per la ricorrente che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso;
Udito l'avv. R. Marinoni per la controricorrente che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con D.M. 15 marzo 1994, Saimp Sistemi s.p.a. veniva posta in amministrazione straordinaria ai sensi della L. n. 95 del 1979. BNL Credito Industriale s.p.a., poi incorporata nella Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., chiedeva di essere ammessa al passivo della procedura in via privilegiata per il pegno di USD 6.509.233,78 sul conto corrente vincolato nr. 854028, acceso a garanzia di un'operazione di finanziamento estero effettuata dalla Banca su richiesta di Saimp. Il finanziamento traeva origine dalla vendita da parte di Saimp alla Stankoimport di Mosca di macchinari per complessivi 10 milioni di USD. Il venditore aveva chiesto che per il pagamento fosse utilizzata la linea di credito di 200 milioni di USD concessa da Efibanca e dalla Sezione Speciale per il Credito Industriale presso BNL, poi conferita in BNL Credito Industriale s.p.a., alla Vnesheconombank di Mosca. I rapporti tra le banche italiane e quella russa erano regolati dalla convenzione del 10/02/1998, stipulata ai sensi della L. 24 magio 1977, n. 277. In virtù di tale legge i rischi dell'operazione, ivi compreso quello dell'insolvenza del debitore straniero, erano coperti da assicurazione stipulata con SACE - Sezione speciale per il credito all'esportazione. BNL aveva assicurato presso SACE il 25% di ogni singola operazione di utilizzo della linea di credito.
Consegnata la merce da parte di Saimp al compratore, la banca russa ha chiesto a BNL di accedere alla linea di credito, ma prima ancora che il finanziamento fosse versato la banca russa ha dichiarato la propria insolvenza e l'utilizzo della linea di credito è stato sospeso da BNL.
Saimp ha allora chiesto a BNL di mantenere la linea di credito, offrendo la costituzione in pegno dell'intero importo che sarebbe stato erogato, a garanzia di ogni rischio di BNL. Quest'ultima ha pertanto versato a Saimp per conto della banca russa il 75% dell'intero prezzo della fornitura, accreditandolo sul conto corrente vincolato. Saimp con atto 14/02/1992 ha costituito in pegno in favore di BNL il credito di USD 6.757.500 a garanzia di tutte le somme dovute a BNL dalla banca russa.
Dichiarato lo stato d'insolvenza di Saimp e ammessa la società alla procedura di amministrazione straordinaria, BNL ha chiesto di essere ammessa al passivo in via privilegiata pignoratizia per il credito di USD 6.757.500. Tale credito è stato ammesso al passivo dal commissario straordinario in via chirografaria per "inopponibilità e/o inefficacia e/o revoca" del pegno.
A seguito di opposizione allo stato passivo proposta da BNL, opposizione nel corso della quale BNL aveva chiesto che fosse disapplicata la L. 3 aprile 1979, n. 95, per contrarietà con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, il Tribunale di Piacenza con sentenza 21/06/2002 ha respinto l'eccezione di difetto di legittimazione del commissario straordinario ed ha rigettato l'opposizione affermando che l'atto di costituzione del pegno era revocabile L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 1. Il Tribunale ha modificato lo stato passivo ammettendo BNL al passivo in via chirografaria per un importo pari al saldo attivo del conto corrente vincolato, diminuito delle somme nelle more corrisposte da SACE. La Corte d'Appello di Bologna con sentenza 18/10/2004 ha rigettato l'appello di BNL. Ha osservato la Corte Territoriale che l'eventuale contrarietà della procedura di amministrazione straordinaria, regolata dalla L. n. 95 del 1979, e dalla norma transitoria di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 106, alla disciplina comunitaria ed in particolare all'art. 87 (già 92) del Trattato CE potrebbe riguardare soltanto quegli aspetti della procedura che si traducono in aiuti di Stato vietati, ma non la legittimità dell'intera procedura e la legittimazione del commissario straordinario. Le norme che estendono all'amministrazione straordinaria la normativa generale sulla liquidazione coatta amministrativa e con essa la disciplina del fallimento sono neutre sotto il profilo comunitario, con la conseguenza che ben può il commissario esperire l'azione revocatoria fallimentare.
In concreto dagli atti di causa non emergeva il conseguimento da parte di Saimp di vantaggi qualificabili come aiuti di Stato. Era evidente che l'azione revocatoria, promossa quando era prossima la scadenza del termine per la continuazione dell'esercizio dell'impresa, era stata proposta quando ormai Saimp si trovava in fase di irreversibile liquidazione. Nessuna soluzione per realizzare la salvaguardia del patrimonio aziendale o dei livelli occupazionali era in corso e di fatto era cessata l'attività. Il provento dell'azione revocatoria non poteva che essere destinato al soddisfacimento dei creditori.
Sul fondamento della revoca della garanzia, la Corte di merito osservava che la costituzione in pegno del saldo del conto corrente vincolato era stata un atto a titolo oneroso, revocabile ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 1, indipendentemente dal fatto che la revoca delle garanzie fosse disciplinata dai nn. 3 e 4 del comma citato. Sussisteva la notevole sproporzione tra le prestazioni poste in essere dalle parti perché la costituzione in pegno era negozio distinto e separato rispetto ai negozi precedentemente posti in essere da Saimp con il compratore russo e da BNL con la banca russa finanziatrice di quest'ultimo. Con la costituzione del pegno Saimp aveva perso la disponibilità della somma di USD 6.757.500 a fronte del rischio di una rinegoziazione della vendita con il compratore russo e dell'accettazione delle più modeste somme che SACE avrebbe erogato a BNL.
Ricorre per cassazione Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. articolando due motivi di ricorso. Resiste con controricorso Saimp Sistemi s.p.a. in amministrazione straordinaria. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione dell'art. 87 (già 92), art. 88, comma 3 (già 93), art. 249, comma 4 (già 189), art. 254, comma 3 (già 191, comma 3) del Trattato CE e delle relative leggi di ratifica, nonché della L. Fall., artt. 67 e 203, e difetto di motivazione.
Argomentando dalle pronunce della Corte di Giustizia CE e della Commissione in materia di aiuti di Stato, la ricorrente osserva che la Corte con la sentenza 01/12/1998 in causa C - 200/97 aveva affermato che l'applicazione ad un'impresa di un regime come quello previsto dalla L. n. 95 del 1979, derogatorio della normale disciplina vigente in caso di fallimento, poteva dar luogo ad un aiuto di Stato vietato dall'art. 4 lett. c) del Trattato CECA, che dettava una disciplina analoga a quella prevista dal Trattato CE, quando l'impresa fosse stata autorizzata a continuare la sua attività economica in circostanze in cui tale eventualità sarebbe stata esclusa applicando le regole normalmente vigenti in tema di fallimento ed avesse beneficiato di uno o più vantaggi, quali una garanzia di Stato, un'aliquota d'imposta ridotta, l'esenzione dal pagamento di ammende o altre sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, a crediti pubblici, di cui non avrebbe potuto usufruire un'altra impresa insolvente. Facendo riferimento anche alla sentenza 17/06/1999 della Corte di Giustizia, la ricorrente, dopo aver ricordato che il diritto comunitario era direttamente vincolante per il Giudice nazionale, osservava che per aiuto di Stato doveva intendersi ogni vantaggio concesso direttamente o indirettamente mediante risorse statali, o che costituissero un onere supplementare per lo Stato o per gli Enti designati o istituiti a tal fine. Poiché la L. n. 95 del 1979, si applicava a favore di grandi imprese industriali in crisi, con una posizione debitoria particolarmente elevata verso talune categorie di creditori, la maggior parte dei quali di carattere pubblico, era probabile che lo Stato o altri enti pubblici figurassero tra i principali creditori, il cui credito veniva sacrificato all'esigenza di prosecuzione dell'attività ed ai nuovi crediti che ne derivavano. Costituivano poi aiuti di Stato la concessione della garanzia dello Stato, la sospensione di qualsiasi azione esecutiva individuale per i debiti di natura fiscale, l'esenzione dall'obbligo di pagamento delle ammende e delle sanzioni pecuniarie in caso di mancato pagamento dei contributi previdenziali, l'applicazione di un'imposta fissa nel caso di trasferimento totale o parziale dell'azienda. La procedura di amministrazione straordinaria era pertanto compatibile con la disciplina comunitaria soltanto quando non vi fosse in atto nessuna delle condizioni ora viste. In più, così com'era stato affermato dalla sentenza 17/06/1999 della Corte di Giustizia, ove fosse stato dimostrato che un regime come quello previsto dalla L. n. 95 del 1979, era idoneo di per sè a generare la concessione di aiuti di Stato, tale regime non poteva essere attuato ove non fosse stato previamente notificato alla Commissione e fosse intervenuta la decisione della Commissione che riconosceva la compatibilità del progetto di aiuto con il mercato comunitario o fosse decorso il termine previsto per la decisione della Commissione. Tale regime, di notifica alla Commissione, doveva ritenersi in particolare applicabile nel caso in cui, come nella specie, fosse questione del Trattato CE, la cui disciplina era più rigida del Trattato CECA. Infine la ricorrente ricordava la decisione della Commissione del 16 maggio 2000 che aveva affermato che la L. n. 95 del 1979, introduceva un regime di aiuti di Stato in favore delle grandi imprese in crisi in violazione degli obblighi previsti dall'art. art. 88, comma 3, ora 92, del Trattato CE. Ancora la Corte di Giustizia con l'ordinanza 24.7.2003 aveva osservato che il regime transitorio introdotto dal D.Lgs. n. 270 del 1999, prorogando un regime di aiuti di Stato vietati, costituiva esso stesso un regime nuovo di aiuti di Stato vietati.
La sentenza impugnata sarebbe pertanto errata perché la Corte di merito, invece di ritenere illegittima l'intera L. n. 95 del 1979, per aver introdotto un regime vietato di aiuti di Stato, ha affermato che il Giudice nazionale dovrebbe disapplicare soltanto le norme che introducono aiuti di Stato. Anche la giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto che la revocatoria fallimentare espletata nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria quando è iniziata la fase liquidatoria, non rappresenta un aiuto di Stato e non viola la normativa comunitaria, non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla Corte di Giustizia e dalla Commissione. Ancora la Corte bolognese avrebbe errato nel ritenere che la revocatoria fosse ammissibile perché l'azione era iniziata quando ormai di fatto la società intimata si trovava in stato di liquidazione, dimenticando che, come gli stessi Giudici di appello avevano rilevato, ancora non era scaduta l'autorizzazione alla prosecuzione dell'attività, momento in cui avviene il passaggio dalla fase conservativa a quella liquidatoria.
Con il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 1 e art. 203, nonché difetto di motivazione.
Lamenta (secondo motivo) che la Corte d'Appello abbia disatteso la tesi secondo la quale l'art. 67, comma 1, n. 1 si applica agli atti a titolo oneroso, non alla costituzione delle garanzie. La Corte avrebbe applicato la norma di cui al n. 1, pur dando atto che il pegno era stato costituito a garanzia del credito di BNL nei confronti della banca russa, e quindi costituiva una garanzia per debito altrui. Di conseguenza, ove l'atto fosse stato ritenuto gratuito, doveva trovare applicazione la L. Fall., art. 64, ed altrimenti, ove si fosse trattato di garanzie contestuali, l'art. 67, comma 2.
La Corte d'Appello (terzo motivo) nel valutare la sproporzione tra le reciproche prestazioni avrebbe errato nel considerare i vantaggi che derivavano a Saimp dalla concessione della garanzia in luogo del fatto che il pegno era costituito a garanzia della riattivazione del finanziamento erogato alla banca russa e che si trattava di prestazioni equivalenti. Infine i Giudici d'appello avrebbero omesso ogni valutazione in ordine alla conoscenza dello stato d'insolvenza, ancorché la sussistenza dell'inscentia decoctionis fosse stata oggetto di un motivo d'appello.
2. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
La Corte d'Appello ha ritenuto che l'eccezione d'illegittimità dell'intera procedura di amministrazione straordinaria, sollevata dalla banca ricorrente, fosse infondata. Se in effetti taluni aspetti della disciplina dettata dalla L. n. 95 del 1979, potevano ritenersi in contrasto con il divieto comunitario di aiuti di Stato dettato dall'art. 87 del Trattato C.E., alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Commissione europea, tale contrasto non poteva determinare l'illegittimità dell'intera procedura e il difetto di legittimazione del Commissario straordinario ad esperire le azioni revocatorie. Occorreva distinguere tra le norme relative alla continuazione dell'esercizio dell'impresa, contenute nella L. n. 95 del 1979, suscettibili di risolversi in un aiuto di Stato illegittimo, e le norme che, limitandosi ad estendere all'amministrazione straordinaria la normativa generale propria delle procedure concorsuali di carattere liquidatorio, si presentavano prive di carattere selettivo ed erano di conseguenza neutre sotto il profilo comunitario. L'azione revocatoria era pertanto legittimamente esercitata dal commissario straordinario nella fase di liquidazione dell'impresa. Nel caso in esame, ancorché l'autorizzazione alla continuazione dell'impresa fosse ancora in essere al momento in cui la revoca era stata proposta, era tuttavia certo che in quel momento la società era già in fase di irreversibile liquidazione. Le conclusioni cui sono pervenuti i Giudici d'appello sono contestate dalla ricorrente, che riproponendo tesi ed argomenti già più volte esaminati da questa Corte, in sintesi afferma che:
a) la procedura di amministrazione straordinaria disciplinata dalla L. n. 95 del 1979, ed il cui regime è stato prorogato dal D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 106, realizza di per sè un sistema di aiuti di Stato, come avrebbe riconosciuto la giurisprudenza della Corte di Giustizia C.E. e la stessa Commissione europea con la decisione 16/05/2000;
b) la stessa circostanza che tale regime non sia stato notificato alla Commissione prima della sua adozione, determinerebbe l'illegittimità della procedura;
c) sarebbe di conseguenza errata la tesi, seguita dalla giurisprudenza di questa Corte, che esclude che la revocatoria non costituisca aiuto di Stato e possa essere esperita quando è ormai in corso la fase liquidatoria della procedura, essendo venuta meno la prosecuzione dell'attività d'impresa;
d) i Giudici d'appello avrebbero errato nel ritenere legittimo l'esperimento dell'azione revocatoria, posto che al momento della sua proposizione non era scaduta l'autorizzazione alla prosecuzione dell'attività, momento in cui avviene il passaggio dalla fase conservativa a quella liquidatoria.
La questione proposta all'esame del Collegio è stata oggetto di numerose pronunce di questa Corte che ha affermato che nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, disciplinata dal D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito in L. 3 aprile 1979, n. 95 (applicabile "ratione temporis"), l'azione revocatoria - esercitatale soltanto dopo la cessazione della fase conservativa dell'impresa e l'inizio di quella liquidatoria - non può essere qualificata come aiuto di Stato, vietato dall'art. 87 (già art. 92) del Trattato CE, trattandosi di istituto privo del requisito della specificità, sotto i due profili della selettività e della discrezionalità, che, alla stregua delle sentenze della Corte di giustizia 1 dicembre 1998, in causa C-200/97, e 17 giugno 1999, in causa C-295/97, caratterizzano gli aiuti di Stato, avuto riguardo all'identità funzionale di detta azione con quella esercitata in sede fallimentare, di generale applicazione, e tenuto conto, altresì, della mancanza del requisito ulteriore dell'impiego di risorse pubbliche, non potendo lo Stato e gli enti pubblici essere considerati naturali soggetti passivi dell'azione revocatoria. Nè, d'altro canto, con riferimento all'esperimento di tale azione, potrebbe essere considerata come aiuto di Stato la stessa apertura della procedura di amministrazione straordinaria, giacché i vantaggi a carico di risorse pubbliche, individuati dalla Corte di giustizia con la citata sentenza 17 settembre 1999, possono bene essere disapplicati senza incidere sulla possibilità di una gestione liquidatoria della procedura, gestione che di per sè stessa esclude una prosecuzione dell'attività di impresa con effetti distorsivi della concorrenza (Cass. 24/02/2006, n. 4206; Cass. 10/03/2006, n. 5301; Cass. 28/10/2005, n. 21083).
Ed ancora si è osservato, contrariamente all'assunto della ricorrente, che la Commissione CE, con la decisione n. 2001/212/CE del 16 maggio 2000, ha escluso l'incompatibilità tra l'intera L. 3 aprile 1979, n. 95, e le norme che regolano il mercato comune, affermando che, nell'ambito della predetta legge, configurano aiuti di Stato soltanto le disposizioni che prevedono la concessione di specifici vantaggi e l'attribuzione di risorse pubbliche a favore di beneficiari individuabili (Cass. 28/10/2005, n. 21083). La giurisprudenza di questa Corte è poi prevalentemente orientata ormai nel senso che l'azione revocatoria fallimentare, "essendo ispirata a finalità recuperatorie estranee alla fase conservativa dell'amministrazione straordinaria, è esperibile nell'eventuale fase liquidatoria ed il suo ambito operativo è da riferirsi necessariamente e correlativamente al momento in cui inizia la liquidazione dei beni" ( oltre alla giurisprudenza già citata, cfr. Cass., 05/09/2003, n. 12936; Cass., 21/09/2004, n. 18915; Cass., 27/12/1996, n. 11519; Cass. 10/03/2006, n. 5301).
Tale orientamento è in armonia con la disciplina dettata per le "nuove" procedure di amministrazione straordinaria dal D.Lgs. n. 1270 del 1999, art. 49 (c.d. Prodi bis) che vieta l'esercizio dell'azione revocatoria quando sia stato adottato il programma di ristrutturazione, programma che comporta la prosecuzione dell'impresa. E la Corte Costituzionale (Corte Cost., 21 aprile 2006, n. 172), pronunciando sulla questione di legittimità costituzionale dell'inciso contenuto nell'art. 6 del D.L. 347/2003 e successive modificazioni (c.d. decreto Marzano, che ha dettato una disciplina speciale per l'amministrazione straordinaria delle imprese di maggiori dimensioni), secondo il quale le azioni revocatorie possono essere esperite "anche nel caso di autorizzazione all'esecuzione del programma di ristrutturazione, purché si traducano in un vantaggio per i creditori", ha osservato che tale norma va intesa, in una lettura costituzionalmente orientata, nel senso che le azioni revocatorie possono essere esperite nell'amministrazione straordinaria regolata dal decreto Marzano soltanto quando esse vadano a vantaggio dei creditori e non dell'imprenditore, quando cioè non vi sia ristrutturazione, ma cessione dei complessi aziendali ovvero, nel caso di concordato, cessione dell'azienda ad un assuntore.
Soltanto a tali condizioni deve ritenersi escluso il contrasto tra la disciplina speciale dettata dal legislatore e l'art. 3 Cost.. I Giudici costituzionali hanno escluso che disparità di trattamento vi sia, perché tanto nella Prodi bis quanto nella disciplina dettata dal decreto Marzano la revocatoria rimane incompatibile con la prosecuzione dell'attività in capo all'imprenditore originario attraverso il procedimento di ristrutturazione ovvero con un concordato senza assuntore, in cui le attività dell'impresa insolvente rimangano in capo all'imprenditore.
Questa Corte ha poi osservato che un'effettiva destinazione liquidatoria della procedura di amministrazione straordinaria può manifestarsi già prima del formale avvio del procedimento di alienazione dei beni, perché l'attività di conservazione dell'azienda, nella sua unitarietà funzionale, può risultare destinata, nello stesso ambito della procedura prevista dalla L. n. 95 del 1979, non solo alla salvaguardia dell'unità produttiva bensì anche alla tutela della ragioni dei creditori, che hanno evidentemente interesse all'alienazione di un complesso aziendale efficiente e avviato, piuttosto che alla separata alienazione dei singoli beni aziendali. Ne consegue che l'eventualità di una destinazione liquidatoria della procedura non può non essere accertata con riferimento al momento della decisione sull'azione revocatoria (Cass. 10/03/2006, n. 5301; Cass., 22/03/2005, n. 6192). Correttamente i Giudici d'appello hanno pertanto considerato che, indipendentemente dal formale avvio della fase liquidatoria conseguente alla revoca dell'autorizzazione ministeriale alla prosecuzione dell'esercizio dell'impresa, era sufficiente per rendere legittimo il ricorso all'azione revocatoria la circostanza che di fatto SAIMP fosse entrata in fase di irreversibile liquidazione, così come essi hanno accertato in fatto e come non è stato contestato dalla ricorrente.
Va infine osservato che nella specie le ragioni in base alle quali si è sostenuta l'incompatibilità dell'azione revocatoria con il regime di amministrazione straordinaria dell'impresa in dissesto appaiono ancor più difficilmente sostenibili, ove si consideri che non è questione di un'azione revocatoria diretta a rendere inefficace un atto dispositivo di beni od un pagamento e quindi ad accrescere la massa attiva della procedura, operazione che si sostiene sarebbe diretta a finanziare la prosecuzione dell'attività anziché a soddisfare i creditori, con il risultato di distorcere la concorrenza in danno delle imprese in bonis, che non potrebbero approfittare di siffatto regime. Nel caso in esame, infatti, gli organi della procedura di sono opposti in sede di ammissione al passivo al riconoscimento del pegno sul saldo di conto corrente derivante dall'operazione di finanziamento all'esportazione che si è descritta in narrativa. Con ciò i commissari straordinari hanno esperito una tipica azione fallimentare diretta a tutelare gli altri creditori nel concorso con il preteso creditore pignoratizio, senza che l'esito di tale azione possa comunque determinare un accrescimento della massa attiva, incidendo essa soltanto sulla distribuzione dell'attivo tra i creditori concorrenti.
3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente in quanto investono questioni connesse. Essi sono fondati nei termini che seguono.
La ricorrente lamenta con il secondo motivo che la Corte d'Appello abbia disatteso la tesi secondo la quale l'art. 67, comma 1, n. 1, si applica agli atti a titolo oneroso, non alla costituzione delle garanzie.
La Corte avrebbe applicato la norma di cui al n. 1, pur dando atto che il pegno era stato costituito a garanzia del credito di BNL nei confronti della banca russa, e quindi costituiva una garanzia per debito altrui. Di conseguenza, ove l'atto fosse stato ritenuto gratuito, doveva trovare applicazione la L. Fall., art. 64, ed altrimenti, ove si fosse trattato di garanzie contestuali, l'art. 67, comma 2, senza che rimanesse spazio concettuale per invocare la disciplina dettata per i soli negozi a prestazioni corrispettive dall'art. 67, comma 1, n. 1.
Ancora la ricorrente deduce con il terzo motivo che la Corte d'appello nel valutare la sproporzione tra le reciproche prestazioni avrebbe errato nel considerare i vantaggi che derivavano a Saimp dalla concessione della garanzia in luogo del fatto che il pegno era costituito a garanzia della riattivazione del finanziamento erogato alla banca russa e che, sotto questo profilo, si trattava di prestazioni equivalenti.
Nell'affrontare il problema sollevato dalla ricorrente occorre anzitutto osservare che la concessione di una garanzia può venire in considerazione, per quanto attiene alla disciplina della revocatoria fallimentare, come atto a titolo gratuito quando a fronte della garanzia non vi sia alcuna controprestazione da parte del creditore garantito. Su quest'ultimo punto si tornerà in seguito con riferimento alla garanzia per debito altrui.
L'art. 67, comma 1, nn. 3 e 4, si riferisce invece all'ipotesi in cui la garanzia sia concessa a fronte di debito preesistente, non ancora scaduto (n. 3) ovvero già scaduto (n. 4).
In questo caso alla concessione della garanzia corrisponde una controprestazione da parte del creditore garantito, perché questi o rinuncia ad esigere il pagamento, se il debito è scaduto, o evita di invocare la decadenza dal beneficio del termine del debitore principale, ove il debito non sia scaduto. La disciplina prevista dal legislatore per queste due ipotesi si differenzia per la diversa durata del periodo sospetto in ragione della differente gravità dell'atto, dal punto di vista della lesione degli interessi della massa.
Ancora la concessione della garanzia può venire in esame come atto a titolo oneroso, nella prospettiva della L. Fall., art. 67, comma 2, quando vi sia contestualità tra il sorgere del credito garantito e la concessione della garanzia. Secondo la giurisprudenza della Cassazione ricade in tale ipotesi, e non sussiste quindi atto a titolo gratuito, la concessione della garanzia per debito altrui, trovando applicazione la presunzione dettata dall'art. 2901 c.c.. Con riguardo ad un atto costitutivo di garanzia prestata dal terzo in favore di altro soggetto, il principio stabilito per l'azione revocatoria ordinaria dall'art. 2901 cod. civ., comma 2, secondo il quale le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al sorgere del credito garantito, è applicabile anche al sistema revocatorio fallimentare, essendo tale principio coerente con la natura intrinseca dell'atto (di prestazione di garanzia), il quale, nei confronti del soggetto erogatore del finanziamento, non può essere considerato gratuito - con conseguente inapplicabilità della L. Fall., art. 64 (salva la revocabilità ex art. 67, comma 2, della legge stessa) -, perché viene a porsi in relazione di
corrispettività con la contestuale erogazione del credito (Cass. 24/02/2004, n. 3615; Cass. 08/07/2005, n. 14376; Cass. 25/06/2003, n. 10072; Cass. 07/06/1999, n. 5562).
Esula da tutti questi casi l'ipotesi, affrontata dalla Corte di merito nel caso in esame, in cui secondo i Giudici d'appello tra la concessione della garanzia e la controprestazione non vi è rapporto di corrispettività e vi è anzi notevole sproporzione tra le due prestazioni, indice dell'anormalità dell'atto. Ad avviso della ricorrente tale ipotesi non potrebbe ricorrere perché l'art. 67, comma 1, n. 1, non potrebbe riferirsi alle garanzie per debiti altrui, posto che in tal caso o la garanzia è contestuale al credito e l'atto sarà revocabile in ipotesi ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, ovvero difetta tale contestualità ed allora l'atto dovrà essere considerato a titolo gratuito e sarà revocabile ai sensi della l. Fall., art. 64.
Aggiunge che nelle concessioni di garanzia non si pone un rapporto tra prestazioni corrispettive, tipico dei contratti di scambio, ma soltanto fra ammontare della garanzia e credito garantito, rapporto quest'ultimo che il legislatore non prende in considerazione, assoggettando la concessione della garanzia alla disciplina degli atti a titolo gratuito o degli atti a titolo oneroso in caso di contestualità, senza ulteriori distinzioni.
Questa Corte ha recentemente osservato che con riguardo agli atti costitutivi di garanzia per debito altrui (nella specie, costituzione di pegno su titoli da parte di una società a garanzia delle obbligazioni contestualmente assunte da altra società del medesimo gruppo in dipendenza di contratti di "leasing"), la presunzione di onerosità prevista per l'azione revocatoria ordinaria dall'art. 2901 cod. civ., comma 2 - in forza del quale le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso quando sono contestuali al sorgere del credito garantito - si applica anche alla revocatoria fallimentare, considerate, da un lato, l'identità della natura e del fondamento giuridico delle due azioni;
e, dall'altro, la circostanza che il carattere oneroso della prestazione di garanzia va apprezzato, non nella sola prospettiva del fallito garante, ma anche in quella del creditore, rispetto al quale la costituzione della garanzia, ove contestuale all'erogazione del credito, si pone in naturale relazione di corrispettività con quest'ultima. Nè la presunzione in parola può ritenersi logicamente incompatibile con l'inclusione fra gli atti soggetti a revocatoria fallimentare, in base alla L. Fall., art. 67, sia di prestazioni di garanzia non contestuali (comma 1, nn. 3 e 4) che contestuali (comma 2), e la separata previsione nella L. Fall., art. 64,
dell'inefficacia degli atti a titolo gratuito: l'art. 2901 cod. civ., comma 2, infatti, una presunzione di onerosità per le prestazioni di garanzia contestuali, ma non stabilisce affatto una presunzione di gratuità per le prestazioni non contestuali, la cui onerosità o meno va dunque apprezzata caso per caso (Cass. 08/07/2005, n. 14376). La decisione ora citata, nel confermare un orientamento giurisprudenziale consolidato sull'applicabilità della presunzione dettata dall'art. 2901 c.c., all'azione revocatoria fallimentare, orientamento ora confermato in sede di riforma della legge fallimentare dall'inserimento nel testo della L. Fa.., art. 67, comma 2, da parte del D.L. n. 35 del 2005, dell'inciso "anche di terzi" tra le parole ne quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti" e le parole "contestualmente creati", ha ribadito che il carattere oneroso della prestazione di garanzia va apprezzato, non nella sola prospettiva del fallito garante, ma anche in quella del creditore, rispetto al quale la costituzione della garanzia, ove contestuale all'erogazione del credito, si pone in naturale relazione di corrispettività.
Tanto premesso non vi sono difficoltà concettuali ad ammettere che a fronte della concessione di una garanzia non contestuale per debito altrui, a titolo oneroso, possa configurarsi un'ipotesi sussumibile nella previsione del primo comma della L. Fall., art. 67, anche se è stato correttamente osservato che le garanzie non contestuali per debiti altrui concesse a titolo oneroso (per quella a titolo gratuito si applica, la L. Fall., art. 64), difficilmente possono essere considerate sintomatiche di uno stato di insolvenza e giustificare, quindi, la relativa presunzione di conoscenza (Cass. 08/07/2005, n. 14376, cit.).
Nel caso in esame, peraltro, la Corte d'Appello nel valutare il carattere gratuito od oneroso dell'atto di concessione della garanzia ed il rapporto di corrispettività tra gli atti, da un lato non ha considerato che era pacifico che il pegno era stato concesso a fronte della riattivazione del finanziamento alla banca russa, la cui erogazione era stata sospesa in ragione della dichiarazione d'insolvenza da parte di quest'ultima, e dall'altro che, come s'è detto, tale rapporto di corrispettività va valutato avendo riguardo non all'utile che il garante ricava dalla concessione della garanzia, ma alla prestazione del creditore garantito a fronte della garanzia stessa.
La Corte d'Appello, nell'affermare che sussisteva notevole sproporzione tra le prestazioni perché i vantaggi che Saimp Sistemi ricavava dalla costituzione del pegno erano inferiori al costo della rinegoziazione della vendita con il compratore russo, tenuto conto dei pagamenti sino a concorrenza del 25% del corrispettivo che sarebbero stati effettuati da SACE, non ha tenuto conto di tutto ciò. In particolare non ha considerato che per stabilire la sussistenza del rapporto di corrispettività occorreva considerare la prestazione del creditore, che si risolveva a concedere (nella specie a riattivare) il finanziamento a fronte della garanzia concessa. E poiché nella specie il pegno veniva costituito sul saldo del conto corrente in tal modo vincolato, finanziamento e garanzia erano perfettamente equivalenti, sì che non poteva dubitarsi della sussistenza della piena corrispettività tra le due prestazioni. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte d'Appello, che si atterrà al principio sopra formulato. Il quarto motivo resta assorbito.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il secondo ed il terzo motivo, per quanto di ragione; rigetta il primo e dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Bologna in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 ottobre 2006.
Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2006