Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 7537 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 21 Settembre 2004, n. 18915. Est. Panebianco.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Liquidazione coatta amministrativa - Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi - In genere - Legge n. 95 del 1979 - Revocatoria fallimentare - Esercizio nella fase liquidatoria all'esclusivo fine di tutelare la "par condicio creditorum" - Aiuti concessi dagli Stati - Art. 92 del Trattato CE ( divenuto, in seguito a modifica, art. 87 CE ) - Configurabilità - Esclusione.



Essendo la revocatoria fallimentare normalmente esercitabile nel corso delle procedure fallimentari, nessun carattere "selettivo", configurabile come aiuto di Stato ai sensi dell'art. 87( già art. 92 ) del Trattato CE, può esser ravvisato allorché l'azione revocatoria, nell'ambito dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, come regolata dalla legge 3 aprile 1979, n. 95( di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 30 gennaio 1979, n. 26 ), venga fatta valere nella fase liquidatoria all'unico fine di tutelare la "par condicio creditorum" al pari di quanto avviene nel fallimento.( Cfr. sentenze della Corte di giustizia 17 giugno 1999, nel procedimento C-295/97, e 1 dicembre 1998, nel procedimento C-200/97, entrambe della V sezione, nonché ordinanza della stessa Corte, V sezione, 24 luglio 2003, nel procedimento C-297/01 ). (massima ufficiale)



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAGGIO Antonio - Presidente -
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - rel. Consigliere -
Dott. PLENTEDA Donato - Consigliere -
Dott. CELENTANO Walter - Consigliere -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:



SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BANCA FIDEURAM SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA OSLAVIA 6, presso l'avvocato ALESSI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio Anna Albini di Milano, Rep. n. 15752 del 5.11.01;
- ricorrente -
contro
FERDOFIN SIDERURGICA SRL IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA;
- intimata -
sul 2^ ricorso 1587 proposto da:
FERDOFIN SIDERURGICA SRL IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, elettivamente domiciliata in ROMA via PACUVIO 34, presso l'avvocato ROMANELLI GUIDO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati RACUGNO Gabriele, CAGNASSO ORESTE, giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
BANCA FIDEURAM SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA OSLAVIA 6, presso l'avvocato ALESSI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio Anna Albini di Milano, Rep. n. 15752 del 5.11.01;
- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 677/01 della Corte d'Appello di TORINO, depositata il 30/05/01;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 05/05/2004 dal Consigliere Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo;
udito per il ricorrente l'Avvocato ALESSI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale;
udito per il controricorrente e ricorrente incidentale l'Avvocato ROMANELLI che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento di quello incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'assorbimento del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 6.7.1996 la Ferdofin Siderurgica s.r.l. in amministrazione straordinaria conveniva avanti al Tribunale di Torino la Banca Fideuram s.p.a., chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 5.554.969.022, costituita da rimesse solutorie revocabili ai sensi dell'art. 67 L.F. sul presupposto della conoscenza da parte della banca dello stato di insolvenza in cui versava la società debitrice.
Si costituiva la convenuta che contestava sia l'esistenza dei pagamenti revocabili che la conoscenza dello stato d'insolvenza all'epoca dei pagamenti, precisando che questi erano stati ricevuti in parziale compensazione del proprio credito e che poteva quindi trattenerli ai sensi degli artt. 1720 e 1721 c.c., relativi al diritto del mandatario di soddisfarsi sui crediti pecuniari sorti nell'esecuzione del mandato.
Nel corso del giudizio, nel quale veniva disposta consulenza tecnica d'ufficio di natura contabile, la richiesta veniva ridotta a L. 4.376.320.515.
Con sentenza del 7.12.1999 il Tribunale accoglieva la domanda nei limiti della somma di L. 2.281.874.450, condannando la convenuta anche al pagamento delle spese processuali nella misura di due terzi. Proponeva impugnazione avanti alla Corte d'Appello di Torino la Banca Fideuram s.p.a., deducendo, oltre a quanto già esposto in primo grado, due eccezioni:
1) inammissibilità e/o improponibilità della azione revocatoria per contrasto della Legge 3.4.1979 n. 95 (cosiddetta Legge Prodi) con l'art. 87 del Trattato CE sulla base della sentenza della Corte di Giustizia CEE del 17.6.1999;
2) illegittimità costituzionale dell'art. 67 comma 2 L.F., applicabile all'amministrazione straordinaria in virtù dell'art. 1 della Legge 95/79, in relazione agli artt. 3, 24 e 41 Cost.. Si costituiva la controparte, eccependo preliminarmente la novità dell'eccezione di inammissibilità e chiedendo nel merito il rigetto del gravame.
All'esito la Corte d'Appello con sentenza del 4-30.5.2001 rigettava l'impugnazione, condannando la Banca al pagamento delle spese processuali del grado.
Dopo aver ritenuto ammissibile l'eccezione di inammissibilità e/o improponibilità dell'azione revocatoria in quanto integrante, appunto, una mera eccezione e non una domanda autonoma, rilevava che la Corte di Giustizia CEE, nell'affermare con la sentenza del 17.6.1999 che la Legge 95/79, laddove preveda aiuti di Stato alle imprese ammesse all'amministrazione straordinaria, deve essere sottoposta, a pena di illegittimità, alla condizione della previa comunicazione dei provvedimenti alla Commissione Europea e della successiva delibera della stessa, non ha inteso sostenere che è la stessa legge ad essere sottoposta a tale disciplina ma solo i singoli provvedimenti integranti un aiuto di Stato, come del resto ha chiarito la Commissione Europea con la decisione del 20.5.2000. Riteneva poi che l'unico provvedimento che potrebbe dar luogo ad un sospetto di illegittimità sotto tale profilo è costituito dalla sottoposizione a tassazione in misura fissa (L. 1.000.000), anziché in quella ordinaria del 3%, dell'atto di cessione di azienda del 31.10.1996, vale a dire da un circostanza non collegabile ne' causalmente ne' temporalmente con la procedura di amministrazione straordinaria la quale, avviata con decreto del 28.12.1993, sia pure con ammissione alla continuazione dell'esercizio dell'impresa, aveva cessato in realtà subito dopo ogni attività entrando nella fase liquidatoria, nel cui ambito si giustifica e deve considerarsi legittima l'azione revocatoria in esame.
Precisava altresì che con la richiamata sentenza del 17.6.1999 la Corte di Giustizia CEE ha inteso sostenere la necessità di verificare se con il decreto di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria sia stato attuato un vero e proprio regime di aiuti di Stato ed, in caso positivo, se il decreto ministeriale sia stato comunicato alla Commissione Europea per il giudizio di compatibilità con l'art. 87 del Trattato CEE, con la conseguenza che, non ravvisandosi alcun regime di aiuti di Stato di cui nemmeno la controparte si è fatto carico di provare, non era configurabile la prospettata incompatibilità.
Per quanto riguarda l'elemento soggettivo della conoscenza dello stato d'insolvenza della Ferdofin da parte della Banca, evidenziava il documento dell'1.3.1993, prodotto in quel grado, attestante la consegna anche alla banca del progetto di ristrutturazione da cui risultavano le notevoli difficoltà finanziarie nelle quali versava la società.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la Banca Fideuram s.p.a., deducendo due motivi di censura, illustrati anche con memoria.
Resiste con controricorso la società Ferdofin Siderurgica s.r.l. in amministrazione straordinaria che propone anche ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
La Banca Fideuram s.p.a. resiste concontroricorso al ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Pregiudizialmente i due ricorsi, il principale e l'incidentale, vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 C.P.C., riguardando la stessa sentenza.
Prioritario è l'esame del ricorso incidentale, precludendo il suo eventuale accoglimento la valutazione del primo motivo di quello principale.
Con l'unico motivo del ricorso incidentale infatti la Ferdofin Siderurgica s.r.l. in amministrazione straordinaria denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 345 C.P.C., lamentando che la Corte d'Appello abbia ritenuto ammissibile, nonostante fosse stata proposta per la prima volta in appello, l'eccezione di inammissibilità e/o improponibilità dell'azione sul rilievo che trattasi di eccezione e non di una domanda autonoma, senza considerare che in base alla previsione dell'art. 345 C.P.C., nella nuova formulazione, non sono consentite in appello nuove eccezioni, fatte salve quelle rilevabili d'ufficio. Al riguardo richiama il principio affermato dalla Corte di Giustizia (14.12-1995), secondo cui "il diritto comunitario non impone ai giudici nazionali di sollevare d'ufficio un motivo basato sulla violazione di disposizioni comunitarie qualora l'esame di tale motivo li obblighi a rinunciare al principio dispositivo alla cui inosservanza sono tenuti". La censura è in linea di principio certamente fondata, avendo errato la Corte d'Appello nel ritenere ammissibile, sul rilievo che trattasi di una mera eccezione e non di una domanda autonoma, la deduzione formulata per la prima volta con l'atto di appello con cui la Banca ha sostenuto l'inammissibilità o l'improcedibilità della domanda revocatoria per pretesa contrarietà della Legge 3.4.1979 n. 95 (cosiddetta Legge Prodi) all'art. 87 del Trattato CE. L'art. 345 comma 2 C.P.C., nella nuova formulazione applicabile "ratione temporis" al procedimento in esame, non consente infatti la proposizione di nuove eccezioni che non siano rilevabili d'ufficio. Orbene, sotto tale ultimo profilo si osserva che, vertendo la pretesa inammissibilità della domanda revocatoria sul problema della compatibilità del diritto interno con le disposizioni comunitarie, una tale verifica da parte del giudice nazionale non può ritenersi condizionata alla deduzione di uno specifico motivo ma, come nell'ipotesi di "ius superveniens" o della modifica normativa determinata dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, essa può essere compiuta anche d'ufficio (giurisprudenza consolidata; da ultimo Cass. 4.4.2003 n. 5241).
Essendo pertanto conforme a diritto il definitivo giudizio di ammissibilità espresso dalla Corte d'Appello in ordine al profilo relativo alla compatibilità della legge in esame con il diritto comunitario ed essendone errata solo la motivazione, è sufficiente disporne la correzione nei termini sopra precisati. Può quindi essere esaminato il primo motivo del ricorso principale con cui la Banca Fideuram s.p.a. denuncia violazione dell'art. 1 della Legge 95/79 e degli artt. 67 e 203 L.F. in relazione alle norme del Trattato UE, lamentando che la Corte d'Appello, nel rigettare l'eccezione di incompatibilità della Legge 95/79 con la disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, abbia ritenuto che tale incompatibilità non possa determinare la disapplicazione dell'intera normativa ma solo di quella parte che in concreto ne risulti in contrasto, senza considerare l'efficacia applicativa diretta nel nostro ordinamento della decisione della Commissione CE del 16.5.2000 con la quale è stata dichiarata l'incompatibilità con il mercato comune della Legge 95/78. Deduce al riguardo che, secondo un consolidato orientamento della Corte di Giustizia Europea, i benefici previsti dalla legge in esame danno luogo ad un aiuto di Stato in favore dell'impresa in crisi in contrasto con l'art. 87 del Trattato CE quando la stessa è autorizzata a continuare la sua attività economica in circostanze in cui tale eventualità sarebbe stata esclusa nell'ambito delle regole vigenti in materia di fallimento o quando ha beneficiato di altri vantaggi o garanzie da parte dello Stato; che con la sentenza del 17.6.1999 la Corte di Giustizia ha stabilito che il giudice nazionale è competente ad accertare se sia stato rispettato il meccanismo della previa notifica dell'aiuto di Stato e disapplicare, in caso positivo, la normativa; che infine l'art. 88 n. 3 del Trattato prevede che lo Stato membro non può dare esecuzione alle misure progettate prima di una decisione finale da parte della Commissione. Sostiene altresì che, essendo risultato che la Ferdofin era stata autorizzata alla continuazione dell'esercizio dell'impresa ai sensi dell'art. 2 della Legge 95/78 con decreto del 28.12.1993 e che il contratto di cessione di azienda era stato registrato con l'imposta fissa di L. 1.000.000, era stata fornita la prova in ordine alla presenza di tutti quegli elementi che avrebbero consentito di affermare la disapplicazione della legge. Sostiene ancora che, in ogni caso, anche qualora la tesi della disapplicazione fosse invocabile ai soli istituti che comportano aiuti di Stato e non già all'intera legge, l'azione revocatoria promossa deve ritenersi un aiuto di Stato in quanto, essendo stata autorizzata la continuazione dell'esercizio dell'impresa, la revoca dei pagamenti contribuisce al pagamento dei debiti di massa sorti durante il prolungato esercizio dell'impresa.
La censura è infondata.
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha più volte affermato (17.6.1999 in causa 295/97-Piaggio; 1.12.1998 in causa 200/97- Ecotrade) che l'applicazione ad un'impresa di un regime come quello istituito dalla Legge 95/79, derogatorio alle regole normalmente vigenti in materia di fallimento, da luogo alla concessione di un aiuto ai sensi dell'art. 92 n. 1 del Trattato (poi divenuto art. 87) allorché sia dimostrato che questa impresa:
- è stata autorizzata a continuare la sua attività economica in circostanze in cui tale eventualità sarebbe stata esclusa nell'ambito della applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento, o - ha beneficiato di uno o più vantaggi, quali una garanzia di Stato, un'aliquota d'imposta ridotta, un'esenzione dall'obbligo di pagamento di ammende e altre sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti pubblici, dei quali non avrebbe potuto usufruire un'altra impresa insolvente nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento.
Da tale enunciazione di principio, riaffermata anche dalla Commissione delle Comunità Europee (16.5.2000), si ricava il convincimento che non già la legge in se nella sua totalità, è incompatibile con le disposizioni comunitarie ma solo laddove preveda un regime di aiuto nei termini testè precisati. In breve, non si configura invariabilmente un aiuto di Stato, ma è solo possibile che nei congrui casi una tale conseguenza si verifichi.
In particolare, per quanto riguarda il problema in esame della proponibilità dell'azione revocatoria fallimentare nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria di cui alla Legge 95/79, nè la Corte di Giustizia ne' la Commissione si sono occupate in modo specifico del problema che comunque può essere risolto dal giudice nazionale alla luce del richiamato principio.
Orbene, in relazione alla prima proposizione che fa riferimento all'ipotesi della continuazione da parte dell'impresa dell'attività economica in situazioni in cui normalmente sarebbe stata esclusa, la Corte d'Appello, a seguito di un accertamento di merito non sindacabile in questa sede, ha rilevato la mancanza di qualsiasi collegamento della proposta azione revocatoria con la continuazione della impresa, essendo stata esercitata nella fase liquidatoria, apertasi peraltro subito dopo l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria. È evidente pertanto come in tale contesto, essendosi l'azione inserita nell'ambito delle norme generali previste in materia fallimentare, non sia ipotizzabile alcuna deroga configurabile come aiuto di Stato.
Del pari in nessuno dei "vantaggi" elencati, sia pure in via esemplificativa, nella seconda proposizione può rientrare l'azione revocatoria.
Nè può essere condivisa la tesi della ricorrente, secondo cui l'esercizio di tale azione nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria si tradurrebbe in un "finanziamento forzoso" dell'impresa in crisi, essendo compatibile una tale affermazione solo con la fase conservativa e non già con quella liquidatoria in cui, ripetesi, l'impresa versava all'atto della sua proposizione.
Conseguentemente, nessuna rilevanza può assumere ai fini in esame anche la mancata notifica della legge alla Commissione ai sensi dell'art. 92 n. 1 del Trattato, essendo questa necessaria solo in presenza di una situazione inquadrabile come aiuto. Peraltro una tale notifica è richiesta per gli aiuti "nuovi" e non anche per quelli "esistenti" (che possono essere erogati finché la Commissione non li dichiari incompatibili), fra i quali la Commissione (16.5.2000 paragrafi 71 e 72), sia pure in contrasto con la decisione della Corte di Giustizia del 17.6,1999, ha previsto anche quelli individuati nella legge in esame, almeno dal 30.7.1992 in considerazione della legittima aspettativa che la stessa Commissione aveva creato con la presa di posizione assunta con la lettera in pari data con cui era stato precisato che "le misure in questione sarebbero state trattate come "aiuto esistente".
Le esposte conclusioni trovano peraltro conferma nella più volte citata decisione della Commissione (16.5.2000), nella cui competenza esclusiva rientra la valutazione in ordine alla compatibilità dei provvedimenti di aiuto con il mercato comune.
Al paragrafo 50 infatti detta decisione, dopo aver rilevato che la Legge 95/79 rinvia per vari aspetti alla legge italiana sul fallimento, distingue le ipotesi in cui ne "prevede l'applicazione in condizioni non derogatorie ai meccanismi di quest'ultima" da quelle invece per le quali prevede "applicazioni particolari che comportano la concessione di taluni vantaggi specifici e che implicano risorse pubbliche", sottolineando come nel primo caso tali meccanismi "si configurano come misure generali prive di qualsiasi carattere selettivo" e, nel secondo invece, come un regime di aiuto di Stato ai sensi dell'art. 87 paragrafo 1 del Trattato CE.
È evidente pertanto da tale passaggio della motivazione che il rinvio alla legge italiana sul fallimento da parte della normativa in esame non si configura automaticamente come regime di aiuto, dovendosi escludere una tale ipotesi allorché l'istituto da applicare non si ponga come derogatorio alla procedura fallimentare ma sia esercitabile nelle stesse condizioni previste per la generalità delle imprese, senza alcuna discriminazione. Conseguentemente, essendo la revocatoria fallimentare normalmente esercitabile nel corso delle procedure fallimentari, nessun carattere selettivo, configurabile come aiuto, può essere ravvisato allorché, nell'ambito della amministrazione straordinaria, venga fatta valere nella fase liquidatoria all'unico fine di tutelare la "par condicio creditorum" al pari di quanto avviene nel fallimento. Ciò trova riscontro, del resto, nelle conclusioni (paragrafo 74 lett. b) in cui la Commissione non afferma che la Legge 95/79 costituisce un regime di aiuti di Stato ma solo che "introduce" un tale regime, sintetizzando e rendendo evidente con tale espressione, da coordinarsi con la richiamata motivazione, che non ha inteso considerare incompatibile l'intera normativa ma solo quelle parti che abbiano appunto carattere selettivo e non generale e come tali idonee a configurare la presenza di aiuti di Stato.
Tutto ciò anche senza voler considerare che la Corte di Giustizia nella citata decisione 17.6.1999, al paragrafo 35, come in altre precedenti (24.5.1978 causa 82/77; 17.3.1993 cause riunite C-72/91 e C-73/91; 30.11.1993 causa C-189/91; 1.12.1998 causa C-200/97 Ecotrade paragrafo 36), ha precisato che un sistema di aiuti non è individuabile in mancanza di un trasferimento di risorse, diretto od indiretto, alle imprese da parte dello Stato o di altri enti a tal fine designati od istituiti.
Ma ulteriori riferimenti normativi e giurisprudenziali confermano la tesi accolta.
Il regolamento comunitario n. 1346 del 2000, riguardante le procedure d'insolvenza, prevede infatti all'art. 2 lett. a) che per tali devono intendersi, ai fini del regolamento medesimo, le procedure concorsuali contenute nell'allegato A) in cui è espressamente indicata, per quanto riguarda l'Italia, anche la procedura di amministrazione straordinaria.
Nè rileva che al momento dell'emanazione di detto regolamento fosse già entrata in vigore la Legge 270/99 in quanto, prevedendo quest'ultima che alle procedure in corso dovessero continuare ad applicarsi le disposizioni della Legge 95/79, anche tale legge deve considerarsi richiamata dal regolamento 1346/2000 e di conseguenza riconosciuta implicitamente, sia pure ovviamente con la esclusione degli aiuti contrari alla normativa comunitaria.
Tali conclusioni non trovano ostacolo nella ordinanza della Corte di Giustizia 24.7.2003 (causa C-297/01) che si è pronunciata sull'art. 106 del D.L.vo 270/99 il quale, nell'abrogare la Legge 95/79, ne ha tuttavia mantenuto in vigore, come testè si è evidenziato, le disposizioni relative ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore. Tale ordinanza infatti si è limitata a confermare le precedenti decisioni della Corte di Giustizia e della Commissione, affermando testualmente che "un regime transitorio, quale quello previsto dall'art. 106 del D.L.vo 270/99, che proroga l'efficacia di un regime nuovo di aiuti di Stato non notificato alla Commissione e dichiarato incompatibile con il diritto comunitario, costituisce esso stesso un regime nuovo di aiuti di Stato ai sensi degli artt. 87 e 88 CE".
Trattasi in altri termini di un'ulteriore affermazione sull'incompatibilità con la normativa comunitaria del regime di aiuti introdotto con la Legge 95/79 e prorogato con il D.L.vo 270/99, senza che nulla risulti innovato rispetto alle precedenti decisioni, essendo il riferimento limitato anche in tale ordinanza non già all'intero sistema normativo ma al regime di aiuti, vale a dire a quelle disposizioni che possano costituire benefici concessi dallo Stato alle imprese in amministrazione straordinaria. Alla luce di tali principi deve essere quindi interpretato l'art. 7 della Legge 273/02 il quale ribadisce che alle procedure all'epoca instaurate continuano ad applicarsi le disposizioni transitorie di cui all'art. 106 del D.L.vo 270/99 e cioè le disposizioni della Legge 95/79, di cui vanno escluse pertanto solo quelle che costituiscono aiuti di Stato.
Del resto la citata ordinanza della Corte di Giustizia del 24.7.2003 ha precisato al riguardo che "spetta al giudice di rinvio determinare la portata dell'art. 106 del D.Lvo 270/99, se del caso alla luce dell'art. 7 della Legge 279/02, avendo cura di dare
un'interpretazione quanto più conforme possibile al diritto comunitario, tenuto conto della sentenza Piaggio citata e della decisione 2001/212, vale a dire un'interpretazione che non consenta di concedere nuovi aiuti di Stato sul fondamento di tale art. 106 successivamente all'entrata in vigore del D.Lvo 270/99". Dovendo quindi ritenersi ancora applicabili le norme che non prevedano degli aiuti di Stato, in virtù delle richiamate disposizioni transitorie e dell'effettivo contenuto delle decisioni della Corte di Giustizia e della Commissione come sopra evidenziate, correttamente la Corte d'Appello ha escluso che l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria, consentita dalla Legge 95/79, sia incompatibile con la normativa comunitaria.
Nè a diverse conclusioni può pervenirsi per essere stata applicata la tassa di registrazione nella misura fissa di L. 1.000.000 ai sensi dell'art. 5 della stessa legge, in relazione al contratto di cessione di azienda, anziché nella misura del 3% normalmente applicabile in tal caso.
Sebbene tale modalità di imposizione costituisca certamente, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d'Appello, un aiuto di Stato, secondo la definizione testè richiamata degli organi comunitari, la sua incompatibilità non può estendersi fino a comprendere anche l'azione revocatoria, mancando con questa qualsiasi collegamento.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al convincimento espresso dalla Corte d'Appello sulla conoscenza dello stato d'insolvenza, essendo emerso che alla data del 12.3.1993 la Ferdofin non presentava sintomi di insolvenza in quanto non aveva subito ne' esecuzioni ne' protesti e non potendosi desumere il contrario ne' dalla richiesta di consolidamento dei debiti bancari, la quale evidenzia solo l'esistenza di una temporanea crisi di liquidità ne' dall'adesione a tale richiesta, la quale denota anzi la fiducia nell'attività dell'impresa. Deduce altresì che la crisi finanziaria era stata causata dalla crisi congiunturale dell'intero settore siderurgico e dai costi per le differenze di cambio e che era in progetto la fusione con altre società del gruppo. Sostiene ancora che la richiesta di rientro formulata nel 1992 dalla Banca Manusardi doveva ricondursi all'avvenuta fusione di detta Banca con la Banca Fideuram ed alla conseguente nuova operatività nel campo della gestione e della raccolta del risparmio.
In linea di principio l'esame in ordine alla conoscenza da parte del creditore dello stato d'insolvenza del debitore comporta una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità se logicamente motivata.
Al riguardo la Corte d'Appello ha sottolineato come la consegna alla Banca del progetto di ristrutturazione dell'11.3.1993, predisposto dalla Amministrazione Straordinaria della Ferdofin, avesse consentito alla Banca medesima, per il suo contenuto, di venire a conoscenza delle notevoli difficoltà finanziarie in cui versava la società. A fronte di tale affermazione, certamente rilevante ai fini in esame, la ricorrente si limita a prospettare sostanzialmente una diversa valutazione della situazione, evidenziando la mancanza di protesti e la presenza di una crisi solo temporanea di liquidità, dovuta alla congiuntura negativa dell'intero settore siderurgico. Nè rilevano le eventuali ragioni che avrebbero giustificato la richiesta di "rientro" e che sarebbero riconducibili, a seguito della fusione della Fideuram con la Banca Manusardi, all'iniziativa di quest'ultima cui erano state affidate la gestione e la raccolta del risparmio, dovendosi ritenere tutt'altro che decisiva una tale circostanza, non valutata dalla Corte d'Appello, alla luce dell'assorbente considerazione esposta dalla stessa Corte a sostegno del proprio convincimento.
Il ricorso va pertanto rigettato. La natura e la novità delle questioni trattate in questa sede e la sostanziale infondatezza anche del ricorso incidentale giustificano la totale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa totalmente fra le parti le spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 maggio 2004.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2004