Diritto Bancario e Finanziario


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 80 - pubb. 01/07/2007

Anatocismo e natura del debito per interessi

Tribunale Pescara, 07 Aprile 2005. Est. Falco.


Contratto di conto corrente bancario - Interessi anatocistici trimestrali pattuiti in violazione dell’art. 1283 c.c. - Nullità - Sussistenza - Conseguenze della nullità - Capitalizzazione ex lege degli interessi con periodicità ultrasemestrale pur in mancanza delle condizioni di cui all’art. 1283 c.c. - Esclusione - Capitalizzazione semplice degli interessi - Sussistenza - Fondamento - Natura speciale ed inderogabile dell’art. 1283 c.c. - Natura peculiare del debito per interessi rispetto alle comuni obbligazioni pecuniarie.



La clausola anatocistica, pattuita in un contratto di conto corrente bancario, con la quale sia stata convenuta una capitalizzazione degli interessi a condizioni diverse da quelle di cui all’art. 1283 c.c., va dichiarata nulla per contrasto con tale norma, da ritenersi imperativa e non derogabile dalla volontà delle parti.
Dalla predetta nullità della clausola anatocistica, che involge l’intero contenuto della clausola e non solo la parte di essa relativa alla periodicità della capitalizzazione, deriva la nullità della pattuizione dell’anatocismo concordata nel contratto, il quale di conseguenza deve ritenersi ab origine privo di qualsivoglia accordo negoziale di capitalizzazione degli interessi.
Non vi è possibilità di sostituzione legale di una clausola anatocistica nulla, perché pattuita in contrasto con l’art. 1283 c.c., con meccanismi di capitalizzazione ex lege degli interessi ad una diversa periodicità, ancorché ultrasemestrale, in quanto da un lato l’anatocismo è consentito dal sistema, con norma eccezionale e protettiva del debitore pecuniario, soltanto in presenza delle condizioni di cui all’art. 1283 c.c., e dall’altro perché il debito di interessi non si configura, per la sua peculiare natura genetica e funzionale, come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla cui scadenza possa derivare il diritto del creditore agli ulteriori interessi di mora ovvero al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 comma II c.c..



FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 2.1.2001 ritualmente notificato in pari data M. D. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1196/2000 con il quale il Tribunale di Pescara l’aveva condannato a pagare in solido con la Ditta K. S.P.A e con M. FRANCA MARIA ed in favore della Società CASSA DI RISPARMIO DI PESCARA e LORETO APRUTINO S.P.A la somma complessiva di £. 55.193.376, oltre interessi e spese,quale importo dei saldi debitori dei conti correnti bancari affidati nn. 18786 e 17674 del 1995 intestati alla Società K. S.P.A., assistiti da fideiussione dell’esponente  e revocati con comunicazione del 19.1.1998.

A sostegno dell’opposizione M. assumeva:
- La carenza dei presupposti di legge per la valida instaurazione del procedimento monitorio, avendo la Banca ingiungente ottenuto il decreto ingiuntivo sulla base di un mero “certificato di saldaconto” e non dell’estratto integrale di conto corrente di cui all’art. 50 D.lgs. n. 385/1993.

- L’infondatezza della pretesa pecuniaria azionata dall’ingiungente in sede monitoria, in quanto pretesa connotata dalla illegittima applicazione di anatocismi trimestrali, di tassi di interessi ultralegali indeterminati perchè pattuiti “uso piazza”,  nonché usurari ex L. n. 108/96.

L’illegittimità della pretesa pecuniaria monitoria di conteggiare gli interessi ultralegali di cui ai due contratti anche per il periodo successivo alla chiusura dei rapporti bancari.

- La nullità delle pattuizioni poste a fondamento della pretesa creditoria della Banca, in ragione sia del difetto di prova della forma scritta dei contratti bancari azionati da controparte in sede monitoria, sia della qualificabilità giuridica della fideiussione prestata dall’esponente in favore della Banca nell’alveo delle fideiussioni omnibus  da ritenersi inoperanti per le obbligazioni sorte- come nella specie- successivamente all’entrata in vigore del novellato art. 1956 c.c.

Tanto premesso la parte opponente concludeva chiedendo la declaratoria della nullità ed inefficacia dei due contratti di apertura di credito relativi ai c/c intestati alla Società K. S.r.l. presso l’Istituto di Credito opposto, la declaratoria della nullità ed inefficacia delle clausole negoziali di essi relative agli interessi sia per indeterminatezza, sia per usurarietà e per illegittimo anatocismo trimestrale, sia per illegittimo computo delle valute, la declaratoria della nullità ed inefficacia della garanzia fideiussoria prestata con riferimento alla parte del credito costituita dai predetti illegittimi addebiti ovvero da altri addebiti non autorizzati dal garante, con conseguente determinazione giudiziale del giusto ed esatto saldo dei due conti correnti “garantiti” e  della misura dell’obbligazione fideiussoria.Con vittoria di spese ed onorari di giudizio.

Con comparsa di risposta depositata in data 15.2.2001 si costituiva in giudizio la Società CASSA DI RISPARMIO DI PESCARA e LORETO APRUTINO S.P.A., in persona del Presidente e Legale Rappresentante pro tempore Dott. Nicola Mattoscio (di seguito BANCA) la quale, contestando la fondatezza della proposta opposizione e chiedendone il rigetto, insisteva nella propria pretesa pecuniaria già accolta in sede monitoria ed assumeva la pretestuosità delle avverse difese ed eccezioni, in particolare deducendo:

- La legittimità dell’anatocismo trimestrale applicato sugli interessi passivi del correntista, esistendo un conforme uso normativo ex art. 1283 c.c.;

- L’operatività, in ogni caso, della soluti retentio ex art. 2034 c.c. in favore della esponente con riferimento agli interessi composti già percepiti nel corso del rapporto;

- In ogni caso, la ripetibilità nei limiti della prescrizione decennale degli interessi composti ad essa eventualmente non dovuti; la piena determinatezza numerica e non usurarietà dei tassi di interessi pattuiti nei contratti in questione nonché la sussitenza di una regolare forma scritta dei medesimi, come da documentazione versata in atti.

Acquisita la documentazione prodotta dalle parti, espletata la trattazione della causa, rigettata la richiesta di provvisoria esecuzione del D.I. per le motivazioni di cui alla relativa ordinanza, espletata una CTU contabile al fine della verifica dei rapporti di dare ed avere in essere tra le parti in relazione ai contratti oggetto della controversia, eseguiti su accordo delle parti alcuni differimenti del giudizio prima per pendenza di trattative di bonario componimento della vertenza e dopo per la sopravvenuta rinunzia del difensore dell’opponente al mandato difensivo, le parti medesime precisavano le rispettive conclusioni all’udienza del 7.10.2004, all’esito della quale il Giudice tratteneva la causa in decisione.

 

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

L’opposizione proposta da M. D. avverso il Decreto Ingiuntivo n. 1196/2000 risulta parzialmente fondata nella misura e per le considerazioni che di seguito vengono esposte.

In primo luogo deve sottolinearsi come la preliminare eccezione, sollevata dall’opponente, di “illegittimità dell’emissione del decreto ingiuntivo per carenza dei presupposti per la valida instaurazione del procedimento monitorio”,  fondata sulla insufficienza probatoria del mero certificato di saldaconto ( ossia della documentazione allegata a sostegno della domanda monitoria), debba considerarsi irrilevante ai fini del presente giudizio in quanto:

- Trattasi di eccezione con la quale l’opponente deduce in via espressa che il decreto ingiuntivo sarebbe stato emesso “in assenza di un requisito formale indispensabile espressamente previsto dalla normativa” di cui all’art. 50 T.U.B. (cfr. l’atto di citazione in opposizione).

- È noto tuttavia che il  giudizio  di  opposizione  a decreto ingiuntivo, nel sistema delineato  dal  codice  di  procedura  civile,  si  atteggia  come  un procedimento  il  cui  oggetto  non  è ristretto alla verifica delle condizioni  di  ammissibilità  e di validità del decreto stesso, ma si estende  all'accertamento,  con  riferimento  alla  situazione di fatto  esistente  al momento della pronuncia della sentenza-  dei  fatti  costitutivi del diritto in contestazione (cfr. ex multis Cass. N. 5186/2003). Ne consegue che il  giudice  dell'opposizione è  investito del potere-dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere  con  la  domanda  di  ingiunzione  e  sulle  eccezioni proposte  "ex  adverso"  ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso (come nella specie dedotto dall’opponente)   fuori   delle  condizioni  stabilite  dalla  legge  per  il procedimento  monitorio  e  non  puo'  limitarsi  ad  accertare  e dichiarare la nullità del decreto emesso all'esito dello stesso (cfr. ex multis Cass. N. 7188/2003).

- Di conseguenza, il presente giudizio di opposizione, non essendo mera impugnazione del  decreto,  volta a farne valere vizi ovvero originarie ragioni di invalidità,  ma  costituendo un ordinario giudizio di cognizione di merito,  teso  all'accertamento dell'esistenza del diritto di credito azionato  dal  creditore  con  il  ricorso  "ex" artt. 633 e 638 cod. proc.  civ. (cfr. Cass. N. 6421/2003) deve procedere alla verifica- sulla base della documentazione contabile versata in atti- della fondatezza o meno della pretesa sostanziale azionata dall’ingiungente in sede monitoria, ed ove il credito risulti fondato, deve accogliere la domanda indipendentemente dalla circostanza della regolarità, sufficienza e validità degli elementi probatori alla stregua dei quali l’ingiunzione fu emessa, rimanendo irrilevanti, ai fini di tale accertamento, eventuali vizi della procedura monitoria che non importino (come nella specie) l’insussistenza del diritto fatto valere con tale procedura (Cass. N. 6663/2002).

Fatta questa necessaria premessa in ordine alla irrilevanza  “nel merito” della summenzionata eccezione, si deve quindi a questo punto procedere alla verifica- sulla base delle risultanze processuali acquisite nel presente giudizio “a cognizione piena” ed in primis della esperita CTU contabile- della fondatezza o meno della pretesa sostanziale pecuniaria azionata dall’ingiungente in sede monitoria.

Orbene, l’esame della documentazione bancaria allegata agli atti rileva che nei contratti di apertura di c/c di cui è causa le parti hanno inizialmente pattuito per iscritto i tassi  di interesse ( 18,75% per utilizzo S.B.F., per apertura di credito, per apertura di credito temporanea; 21,75% per scoperto di conto), la periodicità di capitalizzazione ( annuale per gli interessi creditori; trimestrale per gli interessi debitori), le spese unitarie per operazione, le modalità di computo delle valute. Quindi- in pendenza del rapporto- la Banca ha modificato ex art. 118 T.U.B. i tassi di interesse in senso favorevole al cliente e nei limiti dei tassi soglia di cui alla Legge. n. 108/96 nel frattempo sopravvenuta (cfr. la documentazione contrattuale; cfr. gli estratti conto). Ne consegue l’infondatezza della eccezione di indeterminatezza dei “costi” dei due contratti sollevata dall’opponente.

Parimenti assolutamente pretestuosa risulta la pretesa di parte opponente di qualificabilità giuridica della fideiussione prestata dall’esponente in favore della Banca nell’alveo delle fideiussioni omnibus  ( ad avviso dell’esponente da ritenersi inoperanti per le obbligazioni sorte successivamente all’entrata in vigore del novellato art. 1956 c.c.) posto che nella specie si è trattato di fideiussioni prestate per importi determinati (rispettivamente di £. 70.000.000 e di £. 50.000.000: cfr. la documetazione agli atti).

Inoltre, dall’esame delle risultanze della esperita CTU ed  a prescindere dalla legittimità o meno della capitalizzazione applicata, non sono ravvisabili nella contabilità dei contratti di conto corrente di cui è causa né anomalie contabili di altra natura rispetto alle pattuizioni negoziali (neanche in ordine al computo della valute avvenuto in conformità alle previsioni contrattuali: cfr. gli analitici allegati della CTU) né il superamento del tasso soglia ex L. n.108/96.

Al riguardo, l’addebito da parte della Banca- nelle more del rapporto di cui è causa ed in variazione del tasso d’interessi originariamente pattuito ex art.118 TUB-  di un interesse convenzionale pari al prime rate ABI e come tale rispettoso dei nuovi tassi soglia ex L. n. 108/96 sopravvenuti all’instaurazione del rapporto è stato riscontrato dal CTU nella documentazione contabile in atti.

Inoltre, prescindendo in tale fase dal profilo della legittimità o meno  del sistema di capitalizzazione pattuito in contratto ed affrontando in tale sede  il diverso aspetto relativo alla legittimità o meno dell’applicazione in concreto operata dalla banca medesima, successivamente alla revoca del fido, dei tassi debitori fido ed extra fido convenzionali, come originariamente pattuiti, deve riconoscersi la piena  legittimità di siffatta applicazione sulla base delle considerazioni che seguono.

La Cassazione costante afferma che “quando il contratto di conto corrente bancario prevede, sulle esposizioni debitorie del cliente- come nella specie- la corresponsione di interessi ultralegali, l’obbligo dei maggiori interessi contrattualmente pattuiti continua anche per il periodo successivo al recesso della banca ed alla revoca dei fidi, in virtù dell’art.1224, comma I, c.c. per il quale, se prima della mora sono dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi  moratori vanno corrisposti anche successivamente nella stessa misura convenzionalmente concordata ( cfr. Cass. N. 5438/97; Cass. N.9791/94; Cass. N. 7571/92; Cass. N.3760/85).

Inoltre, nel caso in cui il tasso d’interesse ultralegale sia pattuito in misura variabile, gli interessi moratori successivamente alla revoca dei fidi vanno corrisposti anche successivamente nella stessa misura variabile, in quanto l’art.1224 I comma c.c. si riferisce alla disciplina contrattuale dell’obbligazione, che così si perpetua anche dopo la scadenza ( cd.principio della “perpetuatio obligationis” ), e non al tasso di interesse ultralegale dovuto all’atto della scadenza dell’obbligazione; ne consegue che la disciplina di cui all’art. 1224 I comma c.c. è comprensiva delle variazioni del tasso d’interesse che, pur sopravvenendo durante la mora debendi, siano ricollegabili all’originario patto di quantificazione degli interessi oltre la misura legale ( cfr. Cass. N. 5438/97; Cass. N.9791/94; Cass. N. 7571/92; Cass. N.3760/85; Trib. Roma 20.9.1996).

Peraltro, sotto diverso profilo, si deve puntualizzare che la revoca del fido e la chiusura del conto non vanno confuse con l’estinzione del rapporto contrattuale, in quanto il conto corrente di corrispondenza si estingue non già al momento della chiusura contabile del conto, con successivo passaggio a sofferenza, ma soltanto nel momento del pagamento delle somme utilizzate. Infatti, la chiusura del conto è un’operazione soltanto contabile, a fronte della quale il saldo viene “girato” a sofferenza, confluendo così in un altro conto  soltanto per ragioni di gestione contabile e non già quale effetto di estinzione del rapporto. Lo stesso recesso della banca che precede questa operazione, se da un lato comporta  il venir meno del potere di disporre dell’accreditato, non determina l’estinzione del rapporto che avverrà, invece,  soltanto a restituzione avvenuta.

Orbene, una volta riconosciuta, per le precedenti considerazioni, la legittimità dell’applicazione al saldo passivo di chiusura da parte della banca del tasso degli interessi convenzionali e delle altre competenze di cui si discute, deve a questo punto essere affrontata la diversa questione della legittimità o meno della capitalizzazione degli interessi passivi operata dalla banca durante il rapporto nella misura analiticamente ricostruita dal CTU.

Si è già detto che nel rapporto bancario di cui è causa la capitalizzazione degli interessi debitori è avvenuta trimestralmente.

Al riguardo questo Giudice condivide l’arresto interpretativo della costante giurisprudenza di legittimità, ormai consacrato anche dalle S.U. della Cassazione (sentenza n. 21095 del 7.10/4.11.2004) e, quindi da ritenersi definitivamente consolidatosi sul punto, il quale- com’è noto- ha statuito l’illegittimità del fenomeno della capitalizzazione trimestrale degli interessi in materia bancaria, in quanto prassi contraria alla norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. e non trasfusa in un uso normativo, con conseguente nullità ex tunc ex artt. 1283/1284/1419 c.c. delle clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi anche in relazione ai periodi anteriori al noto mutamento giurisprudenziale avvenuto nel 1999 ( cfr. Cass. S.U. n. 21095/2004; Cass. N. 2593/2003; Cass. N. 17813/2002; Cass. N. 8442/2002; Cass. N. 4490/2002; C.Cost. n. 425/2000; per la giurisprudenza di merito cfr. Trib Torino 7.1.2003; Trib. Napoli 27.11.2002; Trib Roma 8.11.2002; Corte App. L’Aquila 11.6.2002).

Inoltre, tale conclusione appare legittima anche con riferimento al contratto di conto corrente bancario, non condividendosi le argomentazioni talvolta utilizzate da una giurisprudenza minoritaria ( cfr. Trib. Roma 27.1.2003; Trib. Palermo 6.9.2002)  a sostegno dell’applicabilità a tale “tipo” negoziale  dell’anatocismo cd “indiretto” ( in quanto mediato dal meccanismo di chiusura del conto) ex art. 1831 c.c. previsto per il conto corrente ordinario: in particolare si contesta l’applicabilità della norma appena menzionata al conto corrente bancario, sia per l’insuperabilità del dato testuale dell’art. 1857 c.c. (che non richiama tale norma per il conto corrente bancario), sia in quanto l’interpretazione analogica non può essere richiamata in ragione della profonda diversità di ratio tra il conto corrente ordinario-che prevede l’esigibilità a vista del saldo ex art. 1852 c.c., e conto corrente bancario, che prevede l’inesigibilità delle prestazioni ex art. 1823 c.c.. Per cui, se il saldo del conto corrente bancario è esigibile in ogni momento, non ha senso applicare l’art. 1831 c.c., in quanto tale norma ha la funzione di rendere esigibile il saldo per il conto corrente ordinario (per la indiscutibile applicazione della disciplina di cui all’art.1283 c.c. anche ai contratti bancari in c/c si veda la sentenza delle S.U. Cass. n. 21095/04  più volte citata; cfr. Cass. N. 6558/1997; C. App. Lecce n. 598/2001).

La capitalizzazione trimestrale applicata dalla banca nei rapporti di conto corrente garantiti di cui è causa deve pertanto essere dichiarata illegittima.

Né una tale declaratoria di illegittimità è inibita -come invece sostenuto da parte opposta (peraltro soltanto in sede di comparsa conclusionale)-  dalla mancata contestazione da parte degli opponenti degli estratti conto in pendenza di rapporto; infatti è noto che la mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli addebiti  soltanto sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto i profili della validità e dell’efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano: in tal caso, infatti, l’impugnabilità investe direttamente il titolo ed è regolata dalle norme generali sui contratti ( cfr. Cass. N. 12507/1999; Cass. N. 1978/1996; Trib. Genova sent. 5.5.2002; C.App. Lecce n. 598/2001).

A questo punto, va affrontata la questione relativa agli effetti della illegittimità della capitalizzazione degli interessi: in particolare, occorre stabilire se, al di là della sicura impossibilità di capitalizzare gli interessi con frequenza trimestrale, debba essere esclusa qualsiasi capitalizzazione ovvero possa individuarsi una diversa frequenza di legittima capitalizzazione degli interessi (a favore di entrambe le parti del rapporto).

Al riguardo una parte della giurisprudenza di merito, seguita anche da alcuni Giudici di questo Tribunale, si è più volte espressa in favore del riconoscimento, pur in presenza di una clausola anatocistica nulla ex art. 1283 c.c., di una capitalizzazione annuale degli interessi comunque ricavabile dal sistema normativo codicistico dettato per le obbligazioni pecuniarie, nel cui alveo e nella cui disciplina sarebbero pienamente riconducibili- secondo la tesi in discorso- anche le obbligazioni di interessi.

In particolare, questa posizione ermeneutica, partendo dalla premessa che “l’art.1283 c.c. non vieta il fenomeno dell’anatocismo in sé ( consentendo, pur nel concorso delle condizioni della convenzione posteriore ovvero della domanda giudiziale, l’applicazione del meccanismo anatocistico agli interessi maturati per almeno sei mesi) bensì vieta soltanto in assoluto una frequenza infrasemestrale di applicazione dell’anatocismo ed in mancanza di determinati requisiti l’anatocismo semestrale”, conclude sostenendo che la medesima norma permetterebbe un “fenomeno anatocistico con cadenza ultrasemestrale”. Al riguardo, si osserva che “sarebbe possibile individuare nell’art.1284 comma I c.c. la fonte di un fenomeno legale di anatocismo annuale ( ovvero di risarcimento forfettario, con cadenza annuale, del danno da inadempimento dell’obbligazione pecuniaria di interessi)”.

Infatti- si osserva-  tale norma, nel prevedere che “ il saggio degli interessi legali è determinato […] in ragione di anno”, individuerebbe, oltre ad un criterio di determinazione del tasso degli interessi dovuti, anche un principio generale di naturale scadenza ed esigibilità annuale degli interessi. Da tale scadenza conseguirebbe anche l’effetto, proprio della scadenza di ogni obbligazione, del risarcimento del danno da inadempimento, regolato, per le obbligazioni pecuniarie come quella di interessi, dall’art.1224 c.c.. Da tutto ciò dovrebbe quindi  desumersi che “ex lege ( in mancanza di convenzione contraria nei limiti consentiti dall’ordinamento) gli interessi producono interessi con cadenza annuale”.

Orbene, a parere di questo Giudice una siffatta tesi non appare condivisibile  in quanto non sembra rispettosa di due fondamentali principi di diritto: da un lato della natura imperativa e non derogabile della disciplina codicistica dettata dall’aret. 1283 c.c. per regolare il fenomeno dell’anatocismo, e dall’altro della “specialità” dell’obbligazione di interessi  rispetto al “genus”  delle obbligazioni pecuniarie.

Al riguardo assume assoluto rilievo quanto le stesse Sezioni Unite della Cassazione hanno chiaramente affermato nella sentenza  n. 9653 del 17.7.2001 in relazione sia all’anatocismo sia alla natura dell’obbligazione di interessi.

In particolare le Sezioni Unite- chiamate a dirimere un contrasto giurisprudenziale sorto sulla questione della configurabilità o meno dell’obbligazione di interessi (anche quando sia stata adempiuta l’obbligazione principale) come una qualsiasi obbligazione pecuniaria dalla quale derivi quindi anche il diritto agli ulteriori interessi di mora nonché al risarcimento del maggior danno (ex art. 1224 comma II c.c.) ovvero come una obbligazione sui generis soggetta soltanto alla regola dell’anatocismo, ha affermato i seguenti principi di diritto:

- Il debito  di interessi pur  concretandosi  nel pagamento  di  una somma di denaro, non si configura  come  una obbligazione  pecuniaria qualsiasi, ma presenta connotati  specifici, sia  per  il  carattere  di  accessorietà rispetto  all'obbligazione relativa   al   capitale,   sia   per  la   funzione   (genericamente remuneratoria)  che gli interessi rivestono, sia  per  la  disciplina prevista dalla legge proprio in relazione agli interessi scaduti.

- In  contrario non varrebbe opporre che il connotato di accessorietà concerne  il  momento genetico dell'obbligazione di  pagamento  degli interessi, destinata invece ad assumere nella c.d. fase dinamica  una propria autonomia, palesata dall'apposita previsione di un termine di prescrizione  (art.  2948, n. 4, cod. civ.),  dalla  possibilità  di disporre separatamente del credito per interessi rispetto a quello di capitale,  dalla  possibilità di agire in giudizio indipendentemente dalla  proposizione  della domanda per il credito principale.  Questi rilievi  sono  esatti  ma,  non  incidono sull'obbligazione  de  qua in guisa tale da trasformarne  la  natura, perché non  alterano la già segnalata funzione degli interessi  e, soprattutto, non valgono a rimuovere le implicazioni desumibili dalla specifica disciplina degli interessi scaduti.

- E lo stesso deve  dirsi in   relazione   all'argomento  secondo  cui,  quando  l'obbligazione principale  sia già estinta per adempimento da parte  del  debitore, l'obbligazione  per  interessi dovrebbe comunque  assumere  carattere autonomo. Pur postulando tale autonomia (che pero' non puo' portare a considerare  irrilevante il momento genetico di  quell'obbligazione), essa    non   è   idonea   a   trasformare   la   causa   (funzione) dell'obbligazione medesima fino a rendere il debito per gli interessi scaduti una obbligazione pecuniaria come tutte le altre.

- Invero  gli interessi scaduti, se equiparati in toto ad una qualsiasi obbligazione pecuniaria (credito liquido ed esigibile di una somma di denaro),  sarebbero stati automaticamente produttivi  d'interessi  di pieno  diritto,  ai sensi dell'art. 1282 cod. civile.

- Tale  effetto, invece,  è  escluso dal successivo art. 1283 (dettato a  tutela  del debitore ed applicabile per ogni specie d'interessi, quindi anche per gli  interessi moratori), alla stregua del quale, in mancanza di  usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi  solo  dal giorno   della  domanda  giudiziale  o  per  effetto  di  convenzione posteriore  alla loro scadenza, e sempre che si tratti  di  interessi dovuti almeno per sei mesi (c.d. anatocismo o interessi composti).

- La  citata  disposizione non comporta soltanto un limite al principio generale di cui all'art. 1282 cod. civ., ma vale anche a rimarcare la particolare natura che, nel quadro delle obbligazioni pecuniarie,  la legge  attribuisce al debito per interessi, con la previsione di  una disciplina specifica, che si pone come derogatoria rispetto a  quella generale  in  tema di danni nelle  obbligazioni pecuniarie,  stabilita dall'art.  1224  cod. civile, e che proprio per il suo  carattere  di specialità deve prevalere su quest'ultima norma. (sulla natura “eccezionale” della norma di cui all’art. 1283 c.c., cfr. ex multis anche Cass. N. 14912/2001).

- Se  così  non  fosse, del resto, l'art. 1224 c.c. verrebbe  ad  assorbire tutto   il   campo   applicativo  dell'art.  1283,   che   resterebbe circoscritto  ai casi in  cui il debito per interessi è  quantificato all'atto  della proposizione della domanda. Ma una simile limitazione dell'ambito applicativo del citato art. 1283 cod. civ. non emerge  da tale  norma  e  viene  anzi a porsi con essa  in  contrasto,  perché trascura la peculiare natura del debito per interessi sopra segnalata ed  elude,  almeno in parte, la finalità di tutela per la  posizione del  debitore che la norma ha previsto stabilendo in quali casi e con quali presupposti gli interessi scaduti possono essere produttivi  di altri interessi.

- D'altro   canto,  non  sarebbe  neppure  conforme  al  principio   di ragionevolezza   un   approdo  ermeneutico  che,   in   presenza   di obbligazioni   di  pagamento  aventi  natura  e  contenuto   identici (interessi), rendesse applicabile al debitore che ha già  pagato  il debito  principale  l'art. 1224 cod. civ. ed al  debitore  totalmente inadempiente,  e  quindi convenuto per il pagamento  del  capitale  e degli interessi, l'art. 1283 in relazione a questi ultimi.

- Conclusivamente, il  debito per interessi  (anche  quando  sia  stata adempiuta  l'obbligazione  principale)  non  si  configura  come  una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori  interessi dalla mora nonché al risarcimento  del  maggior danno  ex art. 1224 comma II cod. civ., ma resta soggetto alla regola dell'anatocismo  di cui all'art. 1283 cod. civ., derogabile  soltanto dagli  usi contrari ed applicabile a tutte le obbligazioni aventi  ad oggetto  originario il pagamento di una somma di denaro  sulla  quale spettino  interessi di qualsiasi natura” (per il conseguente corollario per cui gli interessi non perdono la loro natura, ai fini della loro eventuale capitalizzazione, per effetto della loro inclusione nei ratei di ammortamento dei mutui, cfr. ex multis Cass. N. 2593/2003).

L’attualità e l’autorità di siffatto precedente ha orientato nello stesso senso la giurisprudenza di legittimità successiva (cfr. Cass n. 2439/2002; Cass. N. 2771/2002; Cass. N. 4133/2003).

Orbene, dai predetti chiari e generali principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite della Cassazione, da coordinarsi con gli altri definitivi arresti ermeneutici effettuati dalla Giurisprudenza di Legittimità nella materia bancaria di cui quivi si discute e con una debita considerazione della ratio dell’art. 1283 c.c., derivano- ad avviso di questo Giudice e pur nella consapevolezza di discostarsi dall’orientamento più volte accolto anche da altri Giudici di questo Tribunale- le seguenti obbligate conclusioni:

- L’art. 1283 c.c- norma espressamente dettata dal legislatore per disciplinare il fenomeno dell’anatocismo- è norma imperativa e di natura eccezionale che ammette la capitalizzazione degli interessi soltanto a determinate condizioni, prevedendo che gli interessi scaduti possono produrre a loro volta interessi solo dal giorno della domanda giudiziale (purché questa sia in modo specifico rivolta ad ottenere il pagamento degli interessi sugli interessi scaduti, non essendo a ciò sufficiente la domanda dei soli interessi principali: cfr. ex multis Cass. N. 22565/2004 in motivazione; Cass. nn. 5271/2002; 15838 e 7407/2001; 8377/2000; 5035/1999;Cass. N. 2381/1994; Cass. N. 9311/1990; Cass. N. 4088/1988) o per effetto di una convenzione fra le parti successiva alla scadenza degli stessi, e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno un semestre, salvo usi contrari ( per le ragioni per cui il codice vigente, con l'art. 1283, mentre ha conservato il requisito della domanda giudiziale ha  ridotto, rispetto alla disciplina del codice civile abrogato, l'entità degli interessi scaduti- sui quali si applicano gli interessi anatocistici- a sei mesi, si veda  il  rilievo risultante dalla relazione sul progetto ministeriale per cui" il valore odierno della moneta consente di ritenere che con l'importo di un semestre di interessi si può costituire una somma rilevante che il creditore potrebbe utilizzare come capitale", rilievo debitamente sottolineato da Cass. N. 9311/1990).

- Ciò - come più volte ribadito dalla stessa Giurisprudenza di Legittimità - onde prevenire fenomeni usurari e consentire al debitore di conoscere i maggiori costi comportati dal suo inadempimento (onere della domanda giudiziale) e comunque di calcolare, al momento della stipula della convenzione, l’esatto ammontare del suo debito. Richiedendo che l’apposita convenzione sia successiva alla scadenza degli interessi, il legislatore mira anche ad evitare che l’accettazione della clausola anatocistica possa essere utilizzata come condizione che il debitore deve necessariamente accettare per poter accedere al credito (così Cass. N. 2593/2003; Corte d’Appello Milano, sent. del 28.1.2003).
- Infatti, la disposizione limitativa di cui all'art. 1283 cod. civ. trova la propria ragione nella natura del debito di interessi e nel particolare sfavore con cui il legislatore- nel solco di una tradizione di avversità ad un fenomeno percepito quale forma di esercizio dell'usura -  ha inteso considerare la capitalizzazione degli interessi, in coerenza con le altre restrizioni previste per gli interessi superiori a quelli legali (così testualmente Cass. N. 2381/1994).

- Il tenore letterale e la ratio dell'art. 1283 c.c. consentono di ravvisare nella norma in esame un principio di carattere generale, derogabile soltanto dagli usi contrari (configurati come usi normativi) (così Cass. N. 2381/1994 in motivazione).

- Gli usi contrari di cui all’art. 1283 c.c. sono usi normativi, inesistenti nella specifica materia bancaria di cui si tratta.

- In mancanza di usi contrari e delle condizioni imperative alla cui effettiva sussistenza la norma di cui all’art. 1283 c.c. consente l’anatocismo, la clausola anatocistica pattuita (non per effetto di una “convenzione fra le parti successiva alla scadenza degli interessi” ex art. 1283 c.c. ma) in via anticipata e (non in relazione a “interessi dovuti per almeno un semestre ex art. 1283 c.c.“ ma)  prima della scadenza di qualsivoglia interesse, va dichiarata nulla per contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. (cfr. negli stessi termini Corte d’Appello Milano, sent. del 28.1.2003 citata; cfr. Trib. Mantova sentenza 16.1.2004; cfr. App. Torino 21.1.2002).

- Atteso che la contrarietà alla norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. involge- ovviamente- l’intero contenuto della clausola (e non solo, quindi, la parte di essa relativa alla periodicità della capitalizzazione), è la pattuizione in contratto dell’anatocismo ad essere nulla, onde secondo i principi generali, trattasi di contratto ab origine privo di qualsivoglia pattuizione di capitalizzazione, trimestrale come annuale come di diversa periodicità.

- Non vi è possibilità di sostituzione legale o di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità, in quanto l’anatocismo è consentito dal sistema – con norma eccezionale e derogatoria (cfr. le citate Sezioni Unite della Cassazione) - soltanto in presenza di deteminate condizioni (quelle di cui all’art. 1283 c.c.), in mancanza delle quali esso rimane giuridicamente non pattuito tra le stesse.

- Ricavare dal sistema - pur in presenza di pattuizione di anatocismo violativa delle condizioni imperative di cui all’art. 1283 c.c. - una capitalizzazione con periodicità più lenta quale quella annuale “rinvenuta” nel “sistema di cui agli artt. 1282/1284/1224 c.c. vorrebbe dire sia derogare alla natura imperativa ed inderogabile di cui all’art. 1283 c.c., norma dettata “ad hoc” per prevedere a quali condizioni l’interesse semplice può diventare interesse composto, sia “frustrare” la citata ratio di tutela del debitore pecuniario ad essa sottesa (per la quale l’art. 1283 c.c. ha dettato le precise condizioni della capitalizzazione), sia “immaginare” un anatocismo generale e “di sistema” ulteriore e “di riserva” (residuale)  rispetto all’anatocismo  “di cui all’art. 1283 c.c. (così degradato da anatocismo “esclusivo”, ossia il solo previsto dal sistema, ad anatocismo speciale rispetto a quello “generale” annuale), sia privare  di senso e di funzioni la stessa previsione della disciplina di cui all’art. 1283 c.c., sia ed in definitiva assimilare in toto l’obbligazione di interessi alla “remuneratività” delle comuni obbligazioni  pecuniarie pur nella riferita differenza ontologica delle stesse.

- Solo in mancanza della previsione legislativa della norma speciale di cui all’art. 1283 c.c., gli interessi scaduti, in quanto costituenti a loro volta un credito liquido ed esigibile di una somma di danaro avrebbero potuto ritenersi in ogni caso produttivi automaticamente di interessi legali di pieno diritto ai sensi dell'art. 1282 (così Cass. N. 9311/1990 in motivazione, la quale ha affrontato per la prima volta la questione del saggio degli interessi anatocistici ).

- La disciplina dell'art. 1283 c.c. ha inciso sulla stessa natura degli interessi anatocistici: essi non solo sono previsti dalla legge per ogni specie di interessi e quindi anche per gli interessi moratori (sent. n. 3500/86), ma a loro volta, proprio perché la norma esplica una funzione sostanzialmente protettiva della sfera giuridica del debitore, essi non sono ammessi in ogni caso, ma soltanto alle due condizioni di cui alla norma citata (cosi ancora Cass. N. 9311/1990 citata).

- L’unica forma di legittimo collegamento e coordinamento tra l'art. 1283 c.c. ed il successivo art. 1284 c.c. è quella per cui sugli interessi scaduti almeno per un semestre (art. 1283 c.c.) sono dovuti dalla domanda giudiziale gli interessi anatocistici al tasso legale (art. 1284 comma 1 c.c.), a meno che le parti abbiano convenuto per iscritto un saggio di interessi extralegali posteriormente alla loro scadenza (artt. 1224/1284 c.c.) (cfr. Cass. N. 9311/1990): in altri termini, dall’art. 1284 (e dall’art.1224 c.c.) c.c. si può ricavare soltanto il saggio degli interessi anatocistici, qualora questi siano dovuti ex art. 1283 c.c., non anche una debenza degli stessi pur in mancanza delle condizioni di cui all’art. 1283 c.c..

- Che questo, e questo soltanto, sia il coordinamento tra le due norme trova piena conferma dal raffronto tra l'art. 1283 c.c.  ed il corrispondente art. 1232 del codice abrogato.

- L'art. 1232 comma 1 c.c. 1865 così statuiva: "Gli interessi scaduti possono produrre altri interessi o nella tassa legale in forza di giudiziale domanda e dal giorno di questa, o nella misura che verrà pattuita in forza di una convenzione posteriore alla scadenza dei medesimi".

- L'art. 1283 c.c. vigente è così concepito: "In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi".

- La Cassazione al riguardo ha già osservato (cfr. Cass. N. 9311/1990 citata) come la ragione per la quale il codice vigente non ha riprodotto letteralmente la locuzione "interessi al tasso legale" del codice abrogato non risiede in una esigenza di innovazione della disciplina anteriore, ma nella circostanza che mentre l'art. 1232 aveva distinto gli interessi anatocistici in interessi al tasso legale dalla domanda giudiziale o nella misura pattuita con convenzione posteriore alla loro scadenza, il nuovo testo, nel riprodurre sostanzialmente la precedente disciplina (con la sola riduzione da un anno, di cui al 3 comma dell'art. 1232 a sei mesi degli interessi scaduti), non ha più fatto riferimento al tasso degli interessi, ritenendo che questi trovassero la loro disciplina nel successivo art. 1284.

- L'art. 1283, in realtà, nella nuova formulazione, sintetizzando il concetto già espresso dal corrispondente art. 1232, lungi dal voler modificare il tasso degli interessi anatocistici, l'ha del tutto confermato secondo la disciplina anteriore. La norma, con la nuova formulazione non poteva più fare riferimento agli interessi anatocistici come interessi al tasso legale sugli interessi scaduti perché nel contesto dello stesso periodo ha fatto anche riferimento agli interessi anatocistici convenzionali per i quali non è estensibile il tasso degli interessi legali che può valere soltanto per gli interessi anatocistici legali (cfr. Cass. N. 9311/1990 citata). 

Ne deriva quindi ed in definitiva, che in mancanza, come nella specie, di una valida pattuizione anatocistica, nessuna capitalizzazione, né annuale, né semestrale, può essere riconosciuta alla BANCA.

Nessun adempimento spontaneo di un’obbligazione naturale (con conseguente irrepetibilità di quanto pagato) può infine ed ovviamente rinvenirsi nel comportamento del correntista che abbia versato somme maggiori in pagamento di anatocismi pattuiti in contratto, quindi in adempimento di un’obbligazione giuridica, ancorché in forma invalida e non già di un mero dovere \morale o sociale.

Infine, nessuna prescrizione (decennale) del diritto di ripetizione di somme versate in eccedenza- prescrizione peraltro dedotta dalla opposta in modo assolutamente generico-  può rinvenirsi nella specie, posto che i rapporti bancari di cui è processo sono sorti nel 1995 e la domanda giudiziale di parte opponente è stata presentata nel 2001.

Pertanto, nella rideterminazione del saldo debitore dei conti correnti depurati di qualsivoglia capitalizzazione degli interessi convenzionali, detto saldo va individuato, alla data della domanda monitoria, nella misura di € 22.840,66. a debito del correntista e quindi anche del fideiussore.

Pertanto, essendo di tale entità l’ammontare del debito di cui deve rispondere l’ingiunto, deve essere revocato il decreto ingiuntivo impugnato, essendo il medesimo stato emesso per una somma di denaro (£. 55.193.376 pari ad € 28.504,99)  superiore a quella oggetto dell’effettivo credito esistente in capo alla banca ingiungente.

La considerazione sia del fatto che il credito di parte opponente come giudizialmente accertato è inferiore in misura non irrilevante rispetto al credito azionato in sede monitoria, sia della novità della soluzione quivi accolta anche rispetto alla giurisprudenza di questo Tribunale, legittima la compensazione integrale delle spese processuali, mentre le spese vive di CTU devono porsi definitivamente a carico di entrambe le parti in solido, nella misurea del 50%, in ragione della loro soccombenza reciproca, con i conseguenti conguagli in favore di quella che ne abbia anticipato gli importi durante il giudizio.

Si precisa infine che il deposito della presente sentenza oltre i termini di cui  all’art. 281 quinquies c.p.c. è dipeso dal congedo temporaneo giustificato dal lavoro del Giudicante  nel periodo dicembre 2004/febbraio 2005.


P.Q.M.


il Tribunale, in persona del Giudice Unico, definitivamente pronunciando nel giudizio di opposizione iscritto al R.G. N. 85/2001 promosso da M. D. con atto di citazione notificato in data 2.1.2001 nei confronti della Società CASSA DI RISPARMIO DI PESCARA e LORETO APRUTINO S.P.A., in persona del Presidente e Legale Rappresentante pro tempore Dott. Nicola Mattoscio, con sede in Pescara, avverso il decreto ingiuntivo n.1196/2000 emesso dal Tribunale di Pescara, così decide :
in parziale accoglimento dell’opposizione proposta dall’opponente

DICHIARA

Che il debito che parte opponente ha nella veste di fideiussore nei confronti di parte opposta relativamente al saldo debitore dei due contratti di conto corrente bancario nn. 18786/95 e 17674/95  meglio indicati in motivazione, depurato delle capitalizzazioni d’interessi vietate, alla data del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, era  pari ad € 22.840,66.

Per l’effetto

REVOCA

Il decreto ingiuntivo impugnato

CONDANNA

Parte opponente al pagamento in favore di parte opposta della somma di €  22.840,66, oltre interessi convenzionali di mora, nella misura del prime rate Abi tempo per tempo vigente , dalla data del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo sino al saldo effettivo.

RIGETTA

Tutte le altre domande ed eccezioni.

 

COMPENSA

Integralmente le spese del giudizio, salvo le spese della esperita CTU che pone definitivamente a carico di entrambe le parti in solido, nella misura del 50% per ciascuna, con i conseguenti conguagli in favore di quella che ne abbia anticipato gli importi durante il giudizio.