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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 9457 - pubb. 23/09/2013.

L'attività di liquidazione è attività di impresa svolta in modo funzionale alla stessa liquidazione; interpretazione dei requisiti dimensionali della dichiarazione di fallimento


Appello di Catanzaro, 22 Luglio 2013. Pres., est. Rita Majore.

Società di capitali – Liquidazione volontaria – Criteri della liquidazione deliberati dall’assemblea di cui all’art. 2487 cod. civ. – Sussistenza.

Società di capitali – Liquidazione volontaria – Obblighi degli amministratori di rendiconto e di consegna ai liquidatori di cui all’art. 2487 bis cod. civ. – Sussistenza.

Società di capitali – Liquidazione volontaria – Obblighi di rendicontazione sulle attività di liquidazione e di redazione bilancio da parte dei liquidatori di cui all’art. 2490 cod. civ. – Sussistenza.

Ricorso di fallimento – Requisiti dimensionali art. 1 l. fall. – Interpretazione – Sussistenza.

Ricorso di fallimento – Società in liquidazione – Stato d’insolvenza – Sussistenza – Fondamento.

Ricorso di fallimento – Accertamento dei presupposti e onere probatorio a carico del debitore di cui all’art. 15 l. fall. – Mancata allegazione e conseguenze – Potere di indagine del Tribunale – Sussistenza.


Lo stato di liquidazione non determina di per sé la cessazione dell’attività di impresa, perché la liquidazione stessa è attività d’impresa sebbene svolta in modo funzionale alla liquidazione: l’assemblea dei soci, chiamata a deliberare sui criteri in base al quale deve svolgersi la liquidazione, decide anche sugli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, eventualmente anche di singoli rami in funzione del suo migliore realizzo (art. 2487 cod. civ.). Inoltre va ricordata la previsione, di cui all’art. 2487 bis, terzo comma, cod. civ., secondo cui gli amministratori che cessano dalla carica devono consegnare ai liquidatori i libri sociali, una situazione dei conti alla data di effetto dello scioglimento ed un rendiconto sulla loro gestione relativo al periodo successivo all’ultimo bilancio approvato, nonché quella di cui all’art. 2490 cod. civ. circa l’obbligo dei liquidatori di redigere il bilancio e di presentarlo, alle scadenze previste per il bilancio di esercizio della società, per l’approvazione dell’assemblea. (Francesco Fimmanò) (riproduzione riservata)

Il nuovo testo dell’art. 1 l. fall., dopo il decreto correttivo del 2007, ha tra l’altro previsto, in primo luogo, che i ricavi lordi vengano considerati nel loro valore assoluto e non quale media degli “ultimi tre anni”; inoltre, diversamente dal testo precedente, il nuovo testo fa riferimento ai “tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento”. La norma individua espressamente, il momento dal quale far decorrere a ritroso i tre anni di esercizio, nella data di deposito dell’istanza di fallimento. A seguito del correttivo, la norma non opera alcun distinguo per cui i tre anni di esercizio vadano computati a ritroso dalla data di presentazione dell’istanza di fallimento anche con riferimento alle società che abbiano cessato l’attività o siano state poste in liquidazione e non dal precedente momento di conclusione di fatto dell’attività. Relativamente al requisito dell’ammontare dei debiti di cui alla lettera c) dell’attuale art. 1 l. fall., non è stata prevista dal legislatore la limitazione a ritroso di un periodo di limitazione dell’indagine, essendo l’indebitamento un dato che prescinde da qualsiasi periodicità. (Francesco Fimmanò) (riproduzione riservata)

Lo stato di liquidazione della società impone di valutare, secondo i principi imposti dalla Suprema Corte, se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e quindi di tutti i creditori sociali. (Francesco Fimmanò) (riproduzione riservata)

Permane un ampio potere di indagine officioso in capo allo stesso organo giudicante (v. Corte cost. 1° luglio 2009, n. 198), atteso che “significative parti della complessiva normativa in materia” valgono a smentire l’assunto secondo il quale “la vigente disciplina attribuirebbe in via esclusiva al fallendo la prova della sua non assoggettabilità al fallimento, vietando al giudice la possibilità di acquisire aliunde, o tramite l’apporto probatorio delle altre parti del procedimento gli elementi necessari per verificare la sussistenza dei requisiti richiesti” (v. Cass. 5 novembre 2010, n. 22546). (Francesco Fimmanò) (riproduzione riservata)

L’onere del ricorrente circa la dimostrazione del presupposto oggettivo per la dichiarazione di fallimento deve essere indubbiamente valutato sempre alla luce del disposto di cui all’art. 15 l.f. là dove prevede che il debitore deve depositare i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi nonché atti da cui risulti una situazione economica aggiornata, e, conferendo un ampio potere di indagine officioso allo stesso organo giudicante, che il tribunale può comunque chiedere informazioni urgenti, potendosi a tal fine avvalere, evidentemente, di ogni organo pubblico a ciò competente. (Francesco Fimmanò) (riproduzione riservata)

Depone in senso sfavorevole alla società debitrice il mancato deposito presso il registro delle imprese, prima da parte dell’amministratore e poi da parte dei liquidatori, dei bilanci d’esercizio, la cui circostanza è invero altamente sintomatica del superamento in negativo, per la società in liquidazione circa il rapporto tra l’attivo e il passivo. La mancata produzione dei bilanci stessi, non può che risolversi in danno al debitore, salvo che la prova dell’inammissibilità del fallimento non possa desumersi da documenti altrettanto significativi (v. Cass. 28 giugno 2012, n. 11007; Cass. 31 maggio 2012, n. 8769). (Francesco Fimmanò) (riproduzione riservata)

Segnalazione del Prof. Avv. Francesco Fimmanò



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