Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 11494 - pubb. 01/07/2010

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Tribunale Monza, 23 Ottobre 2014. .


Concordato preventivo - Credito relativo alle prestazioni professionali per l’assistenza all’accesso alla procedura - Prededuzione - Verifica dei presupposti - Corretto adempimento della prestazione - Criteri



Ai fini del riconoscimento della prededuzione al credito del professionista che abbia assistito l’imprenditore nella procedura di concordato preventivo il primo profilo d’indagine da cui deve partire il giudice è quello della verifica del corretto adempimento della prestazione da parte del professionista, profilo che, ove scrutinato in termini negativi, incide non soltanto sul riconoscimento della prededuzione, ma anche sulla stessa ammissione del credito del professionista. L’adempimento dovrà essere valutato in relazione allo scopo cui tali prestazioni sono finalizzate, per cui l’ammissione potrà e dovrà essere negata ogni qual volta la prestazione non sia conforme al modello legale ed abbia conseguentemente determinato l’inammissibilità della domanda, la revoca dell’ammissione o il diniego di omologa.
Sempre con riferimento ai profili d’inadempimento, nelle ipotesi in cui non vi sia un’immediata e diretta correlazione tra inadeguatezza della singola prestazione professionale ed arresto della procedura, è necessario comunque vagliare l’oggetto del mandato conferito dal debitore. In molti casi, tali mandati, sia per quanto riguarda i profili più propriamente giuridici che per quelli economici ed aziendali, non sono conferiti e diretti esclusivamente al compimento di un singolo atto del procedimento (tranne, naturalmente, quelli per l’attestazione ex art. 161, comma 3, l.fall. o la relazione ex art. 160, comma 2, l.fall. che presuppongono l’indipendenza e la terzietà del professionista incaricato), ma formulati in modo assai generico, comprensivo di tutte le attività propedeutiche e ritenute necessarie per l’analisi ed il superamento della crisi attraverso il ricorso allo strumento del concordato preventivo. Nei casi in cui il professionista accetti di svolgere un’attività definita “attività di consulenza per il superamento della crisi attraverso lo strumento concordatario”, la prestazione oggetto del contratto non costituisce un’obbligazione di mezzi, bensì di risultato, in quanto egli si obbliga ad offrire tutti gli elementi di valutazione necessari ed i suggerimenti opportuni allo scopo di permettere al cliente di adottare una consapevole decisione, a seguito di un ponderato apprezzamento dei rischi che possono impedire la realizzabilità del risultato sperato (Cass., 23 maggio 2012, n. 8014; Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 577; Cass., S.U., 28 luglio 2005, n. 15781 Cass., 14 novembre 2002, n. 16023,con riferimento all’avvocato che accetti di svolgere attività di consulenza, la quale ha affermato espressamente che “nel caso in cui il professionista riceva ed accetti l’incarico di svolgere un’attività di consulenza non si impegna ad eseguire una obbligazione di mezzi, ma a realizzare un << opus >> che soddisfi l’interesse perseguito dal cliente, rivolgendosi al professionista”)
Ma anche volendo considerare le obbligazioni assunte dal professionista, aventi ad oggetto l’assistenza (legale o economico aziendale) propedeutica alla presentazione di una domanda di concordato, pur sempre come obbligazioni di mezzi, bisogna considerare che esse comportano, comunque, alcuni obblighi, come il dovere di informazione, di avviso o di protezione del cliente, definiti accessori ma integrativi dell’obbligo primario della prestazione, ed ancorati a principi di buona fede. (Cass., S.U., 28 luglio 2005, n. 15781).
Il suddetto parametro di diligenza determina la responsabilità del professionista e quindi il diniego dell’ammissione del suo credito al passivo, qualora egli non dimostri di aver prospettato al cliente tutte le problematiche economiche, finanziarie, di diritto e di fatto inerenti quei profili che abbiano poi, in concreto, impedito l’utile esperimento della domanda, del piano o della proposta di concordato.
Appare, quindi, evidente come la responsabilità del professionista sia ben difficilmente ipotizzabile a posteriori ove, a priori, vi sia stato un positivo vaglio giudiziale del concordato. Il corretto adempimento della prestazione deve quindi ritenersi presunto in caso di ammissione del debitore alla procedura con l’emissione del decreto ex art. 163 l.fall e di positivo riscontro della sussistenza dei presupposti di legittimità nel corso della procedura ed in sede di omologa. Il giudizio positivo sulla congruità delle prestazioni dei professionisti “essenziali” è infatti difficilmente scindibile da quello sull’ammissione della domanda, ammissione della domanda che è subordinata, tra l’altro, proprio alla positiva valutazione della legittimità del piano e della proposta, della completezza e razionalità argomentativa della relazione ex art. 161 comma 3 l.fall… etc. Una volta che il tribunale in tutte le fasi del procedimento abbia ritenuto sussistenti tali presupposti, pare ben difficile effettuare una nuova e diversa valutazione, se non per fatti sopravvenuti o non conosciuti e quindi non vagliati dal tribunale. Diversa valutazione che potrà quindi essere operata soltanto qualora, ad esempio, l’ammissione venga revocata ex art. 173 l.fall. o il concordato non omologato per la scoperta di atti di frode che il curatore dimostri essere conosciuti (o conoscibili con l’ordinaria diligenza) dal professionista.
La questione del riconoscimento della prededuzione si pone in termini ancor più delicati e complessi nel caso in cui, pur non essendo in discussione l’esistenza del credito, dopo il fallimento sia riscontrata la manifesta inutilità ed anzi dannosità del concordato per i creditori. La prededuzione potrà, pertanto, essere negata ove la curatela dimostri che il ricorso alla procedura, astrattamente funzionale all’interesse dei creditori concorrenti, si è rivelato, in concreto, dannoso in quanto ha determinato un’erosione del patrimonio a disposizione della massa, causata, ad esempio, dalla rovinosa continuazione dell’attività d’impresa non bilanciata da un’adeguata conservazione dei valori aziendali, oltre che dal peso delle obbligazioni contratte dopo il deposito della domanda, senza che vi sia stato alcun vantaggio concreto dalla retrodatazione del periodo sospetto ai fini dell'esperimento della revocatoria fallimentare.
Interpretazione fondata sul presupposto che, in mancanza di specifiche disposizioni di legge, per principio generale (ricavabile dal combinato disposto degli artt. 3 e 24 della Costituzione), le presunzioni si devono sempre considerare come relative (cfr. ex multis Cass. 6547/2013), e che quindi sia sempre vincibile da prova contraria quella che desume essere sempre e comunque vantaggiosa per i creditori la scelta concordataria.
Fatto impeditivo del fondamento della presunzione che non potrà che essere incentrato sullo stesso elemento posto a fondamento della presunzione medesima: l’utilità della procedura di concordato preventivo per i creditori concorrenti del fallimento.
La prova della concreta dannosità interrompe il nesso funzionale tra prestazione professionale e procedura, vince la presunzione che l'accesso al concordato preventivo costituisca di per sè un vantaggio per i creditori del fallimento.
Fatto salvo naturalmente il diritto del professionista di provare, a sua volta, che la dannosità concreta del concordato non è stata determinata dalla naturale evoluzione della procedura, ma da fattori esterni imprevisti ed imprevedibili intervenuti nel corso della stessa, ovvero nel lasso di tempo intercorso tra la cessazione della procedura e la dichiarazione di fallimento
In definitiva, non può essere riconosciuta la prededuzione ad un credito originato da una prestazione professionale finalizzata all’accesso ad una procedura di concordato preventivo che anziché consentire, abbia impedito una sia pur contenuta realizzazione dei crediti concordatari. Fermo restando, naturalmente, in questo caso il diritto del professionista, all’ammissione in via privilegiata ex art. 2751 bis n. 2 c.c.
Con riferimento ai crediti derivanti dallo svolgimento di tutte le altre prestazioni professionali rese in favore del debitore poi fallito, in assenza quindi di presunzioni di sorta, la prededuzione potrà essere negata ogni qual volta il professionista non dimostri che tali attività ove correttamente eseguite si siano rivelate utili per la tutela dell’interesse dei creditori della società fallita. Quanto ai profili processuali, pare evidente che il riconoscimento della prededuzione, attiene alla qualificazione giuridica (processuale) del credito ed è quindi rilevabile d’ufficio dal giudice delegato (o dal collegio in sede di opposizione allo stato passivo), purché il fatto sia stato allegato dal curatore o dai creditori. (Franco Benassi) (riproduzione riservata) 


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