Diritto del Lavoro


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22492 - pubb. 11/10/2019

Prescrizione quinquennale per i contributi previdenziali da versarsi alle casse professionali

Tribunale Cassino, 10 Gennaio 2019. Est. Giuditta Di Cristinzi.


Previdenza e assistenza obbligatorie – Contributi a cassa professionale – Prescrizione quinquennale – Sussiste



Tutti i contributi di previdenza e assistenza sociale obbligatoria si prescrivono, e di conseguenza non possono più essere versati, con il decorso di cinque anni.

In ogni caso, le pretese della pubblica amministrazione si prescrivono nel termine “breve” di cinque anni, eccetto nei casi in cui la sussistenza del credito non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o a mezzo di decreto ingiuntivo.

[Nella fattispecie, il Tribunale ha dichiarato prescritta l’azione di recupero dei contributi Inarcassa a carico del ricorrente, risalenti a oltre cinque anni prima della scadenza dell’invio della comunicazione del reddito professionale e del volume d’affari prodotto.] (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 20.03.2018, il sig. CC RR si rivolgeva al Tribunale di Cassino, in funzione di Giudice del Lavoro, esponendo di aver ricevuto, in data 8.2.2018, dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione, documento PDF a mezzo PEC contenente cartella di pagamento relativa alle annualità Inarcassa, emessa in ragione di un presunto mancato versamento di contributi pari ad € 25.941,29.

Tanto premesso chiedeva, in via preliminare, disporre la sospensiva dell’atto impugnato; nel merito, annullare l’imposta intimazione di pagamento per inesistenza della notifica; in subordine, dichiarare prescritto il diritto a riscuotere le somme indicate nell’intimazione di pagamento opposta, per avvenuta prescrizione del credito e del diritto a riscuotere le predette somme. Il tutto con vittoria di spese e competenze di giudizio, con attribuzione al procuratore per averne fatto anticipazione.

Si costituiva in giudizio l’Inarcassa, contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

Alla prima udienza, il Giudice dichiarava la contumacia dell’Agenzia delle Entrate e concedeva termine per note. Successivamente si costituiva telematicamente l’Agenzia delle Entrate.

All’udienza del 10 giugno 2019, udita la discussione delle parti, il Giudice decideva la causa come da dispositivo in calce, di cui dava lettura in aula.

Motivi della decisione

Il ricorso merita di essere accolto parzialmente per i motivi in fatto e in diritto che saranno di seguito illustrati.

L’Agenzia delle Entrate - Riscossione, in data 8.2.2018 notificava al sig. CCC, a mezzo PEC, cartella di pagamento per la complessiva somma di € 25.941,29 afferente un presunto mancato versamento di contributi.

Il ricorrente, pertanto, eccepiva l’inesistenza della notifica della cartella (per essere stata allegata come documento PDF privo di firma certificata del responsabile del procedimento di notificazione indicato nell’atto) nonché l’intervenuta prescrizione ex art. 3, comma 9, della L. 335/1995.

E’ necessario esaminare separatamente i vari punti.

Per quanto riguarda l’eccezione sollevata dal ricorrente circa l’illegittimità della notificazione di tale sollecito in via telematica, si ritiene che tale eccezione non possa trovare accoglimento.

Al riguardo, l’art. 14 del D. Lgs. n. 159 /2015 ha introdotto l’obbligo, a partire dal 1 giugno 2016, della notifica di atti della riscossione, destinati ad imprese individuali, società e professionisti iscritti in albi o elenchi, esclusivamente tramite posta certificata – PEC.

Tale norma, infatti, al comma 1, ha previsto che “Al fine di potenziare la diffusione dell'utilizzo della posta elettronica certificata nell'ambito delle procedure di notifica, nell'ottica del massimo efficientamento operativo, della riduzione dei costi amministrativi e della tempestiva conoscibilità degli atti da parte del contribuente, all'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, il secondo comma è sostituito dal seguente: “La notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all'indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. Nel caso di imprese individuali o costituite in forma societaria, nonché di professionisti iscritti in albi o elenchi, la notifica avviene esclusivamente con tali modalità, all'indirizzo risultante dall'indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC). All'Agente della riscossione e' consentita la consultazione telematica e l'estrazione, anche in forma massiva, di tali indirizzi. Non si applica l'articolo 149-bis del codice di procedura civile. (…)”.

A seguito dell’entrata in vigore di questa forma obbligatoria di notificazione, però, vi è stato un intenso ricorso al Giudice Tributario da parte di contribuenti i quali avevano ricevuto a mezzo pec la notifica di cartelle di pagamento dove, nella gran parte dei casi, il documento allegato al messaggio era in formato PDF, come nel caso in esame.

L’orientamento prevalente della giurisprudenza tributaria è stato nel senso di considerare nulle le cartelle di pagamento notificate via PEC ma non firmate digitalmente (estensione .p7m) e senza l’attestazione di conformità all’originale. La CTP di Catania, con la sentenza n. 968/18 ha affermato che “la notifica via pec non è valida se avviene tramite messaggio di posta elettronica certificata contenente il file della cartella con estensione “PDF” anziché “.p7m”. Infatti, con la notifica via PEC in formato “pdf” non viene prodotto l’originale della cartella, ma solo una copia elettronica senza valore perché priva di attestato di conformità da parte di un pubblico ufficiale. Solo l’estensione “.p7m” del file notificato, estensione che rappresenta la cosiddetta busta crittografica contenente al suo interno il documento originale, l’evidenza informatica della firma e la chiave per la sua verifica, può attestare la certificazione della firma.” E in modo pressoché analogo si sono pronunciate gran parte delle commissioni tributarie.

Di diverso parere, invece, è la Corte di Cassazione. La Corte, con la pronuncia a Sezioni Unite n. 7655 del 2016, ha escluso che la non conformità al formato pdf possa comportarne la nullità, ove la parte si sia, comunque, difesa e non abbia addotto alcuno specifico pregiudizio. Di conseguenza, non può essere dichiarata la nullità della notificazione, malgrado l’irritualità della stessa, se il destinatario è venuto a conoscenza dell’atto.

Dello stesso tenore altre sentenze pronunciate sempre su tale materia dalla Cassazione, anche se la questione è stata risolta una volta per tutte con la sentenza pronunciata a Sezioni Unite n. 10266/2018 nella quale la Corte ha equiparato il file PDF al file formato .p7m (relativamente alla validità della trasmissione del file tramite PEC stabilendo che “secondo il diritto dell’UE e le norme, anche tecniche, di diritto interno, le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES, sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni .p7m e PDF, e devono, quindi, essere riconosciute valide ed efficaci, anche nel processo civile di cassazione, senza eccezione alcuna”. Ciò porta a ritenere che la notifica a mezzo pec della cartella di pagamento, mediante l’uso del file in formato PDF, sia idonea a garantire l’autenticità del documento trasmesso.

Per quanto riguarda invece l’eccezione di intervenuta prescrizione per il credito richiesto, si osserva quanto segue.

La cartella di pagamento notificata al ricorrente in data 8.2.2018 aveva ad oggetto un debito previdenziale e, in particolare, l’asserito mancato versamento dei contributi per gli anni dal 2009 al 2017. L’Inarcassa sosteneva l’intervenuta interruzione della prescrizione avvenuta con lettera raccomandata del 22.09.2015. Al riguardo depositava tale raccomandata tornata al mittente per “compiuta giacenza”. In effetti, tale missiva veniva inoltrata al vecchio indirizzo di residenza del ricorrente, giusta certificato di residenza storico allegato alla produzione di parte ricorrente e, quindi, non perveniva allo stesso.

Per quanto riguarda il regime della prescrizione, essendo questa in esame una cartella avente ad oggetto contributi dovuti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per Ingegneri ed Architetti liberi professionisti, è applicabile la L. 335/95 di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare la quale, all’art. 3 (commi 9 e 10), ha previsto che tutti i contributi di previdenza e assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e, di conseguenza, non possono più essere versati con il decorso di 5 anni.

In ogni caso, già il regolamento Inarcassa del 2012, all’art. 11 (prescrizione dei contributi) prevede che la prescrizione dei contributi dovuti ad INARCASSA e di ogni relativo accessorio, ivi comprese le sanzioni per ritardi e inadempimenti, si compie con il decorso di cinque anni. Analogamente, l’art. 38 dello Statuto prevede la prescrizione quinquennale di tali contributi.

La Corte di Cassazione, in diverse occasioni ha affrontato il problema della prescrizione, fino ad affermare che il termine di prescrizione è divenuto quinquennale anche per le gestioni dei liberi professionisti (Cass. 9.4.2003 n. 5522; Cass. 13.12.2006 n. 2662) e, con riferimento ai crediti contributivi dell’Inarcassa, con la sentenza n. 4050/2014 ha condiviso il principio della prescrizione quinquennale di tali contributi (già espresso da altre pronunce).

Inoltre, con la sentenza n. 20343 del 2006, ha affermato in modo chiaro che “la prescrizione quinquennale di cui all’art. 3, commi 9 e 10, L. 8 agosto 1995 n. 335, riguarda anche i crediti contributivi degli enti previdenziali privatizzati (…) e si estende agli accessori e alle sanzioni per le omissioni contributive”.

Sempre in merito a tale argomento, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la recentissima sentenza n. 23397 depositata in data 17.11.2016, ha definitivamente stabilito che le pretese della Pubblica Amministrazione (Agenzia delle Entrate, Inps, Inail, Comuni, Regioni etc.) si prescrivono nel termine “breve” di cinque anni, eccetto nei casi in cui la sussistenza del credito non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o a mezzo di decreto ingiuntivo.

In ogni caso, la Corte di Cassazione, in più occasioni ha avuto modi di osservare che, sotto il profilo del principio di difesa, non è “consentito lasciare il contribuente assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato e comunque, se corrispondente a quello ordinario di prescrizione”; inoltre, l’arco temporale di potenziale riscossione del credito erariale non può e non deve apparire “certamente eccessivo e irragionevole”.

Tanto per quanto riguarda il termine prescrizionale.

Per quanto riguarda la decorrenza del termine, l’art. 36.1 dello Statuto prevede il 31 agosto dell’anno successivo a quello di riferimento (in caso di invio tramite raccomandata) ovvero il 31 ottobre dell’anno successivo a quello di riferimento (nel caso di trasmissione telematica) il termine entro il quale comunicare l’ammontare del reddito professionale di cui all’art. 22 dichiarato ai fini IRPEF per l’anno precedente nonché il volume d’affari complessivo di cui all’art. 23 ai fini dell’IVA per il medesimo anno.

L’art. 38, dopo aver stabilito la prescrizione quinquennale dei contributi dovuti ad Inarcassa, precisa che la prescrizione per i contributi, gli accessori, le sanzioni e la comunicazione di cui all’art. 36 decorre dal momento in cui nascono le rispettive obbligazioni.

Nel caso che ci riguarda, l’importo richiesto afferisce a contributi previdenziali dovuti, dall’anno 2009 all’anno 2017.

Dunque, per l’omesso versamento del contributo dovuto per gli anni 2009-2010-2011, risulta essere ampiamente decorso il termine di prescrizione quinquennale, non essendo intervenuto, fino alla notifica delle cartelle (avvenuta 08.02.2018), alcun atto interruttivo della prescrizione. Si ritiene, infatti, che la comunicazione di Inarcassa del 22.09.2015, mai pervenuta al destinatario per cambio residenza, pur se tornata al mittente con la dicitura “compiuta giacenza”, non valga ad interrompere il termine prescrizionale.

Per quanto riguarda, invece, i contributi dovuti per gli anni dal 2012 al 2017, questi non risultano prescritti, con tutte le conseguenze di legge.

In ragione di ciò le spese legali liquidate nella misura di € 2.500,00 oltre rimborso spese, IVA e CAP, vengono compensate per un mezzo e poste a carico dell’AGENZIA.

 

P.Q.M.

Il Tribunale di Cassino, in persona del Giudice del Lavoro avv. Giuditta Di Cristinzi, definitivamente pronunciando, così provvede:

1.      Accoglie parzialmente il ricorso;

2.      Dichiara la prescrizione per i contributi dovuti per gli anni 2009-2010-2011;

3.      Conferma il residuo credito azionato dalla INARCASSA;

4.      Liquida le spese legali in complessivi € 2.500,00 che compensa per un mezzo e pone per il residuo mezzo a carico dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, oltre rimborso spese forfettario, IVA e CPA come per legge.

Cassino, 10 giugno 2019.