Diritto del Lavoro


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22803 - pubb. 11/01/2019

Le norme sulle cessioni delle aziende bancarie derogano alla disciplina di cui all’art. 2112 c.c.

Cassazione civile, sez. IV, lavoro, 02 Marzo 2005, n. 4372. Pres. Mattone. Est. Vidiri.


Istituto bancario in liquidazione coatta amministrativa - Cessione ad altra banca di attività e passività , ovvero di beni e rapporti - Qualificazione della cessione come trasferimento d'azienda (o di ramo d'azienda) - Valutazione di merito - Trasferimento di ramo d'azienda - Applicabilità dell'art. 2112 cod.civ - Esclusione - Applicazione della disciplina speciale contenuta nell'art. 90 D.Lgs. n. 385 del 1993 - Necessità - Conseguenze - Responsabilità del cessionario limitata alle passività risultanti dallo stato passivo - Crediti maturati dal lavoratore ceduto - Pretesa nei confronti della banca cessionaria nell'ambito di un giudizio ordinario - Ammissibilità - Esclusione - Insinuazione al passivo della liquidazione coatta amministrativa - Ammissibilità



In caso di liquidazione coatta amministrativa di un istituto di credito, qualora si abbia la cessione ad altra banca di attività e passività, beni e rapporti giuridici, spetta al giudice di merito verificare in concreto, in base alla interpretazione della volontà negoziale desumibile dalle clausole contrattuali e da ogni altra circostanza, se siano oggetto di cessione le mere attività e passività o la totalità dei beni (o parte di essi) considerati non nella loro unità funzionale ma in un'ottica atomistica, o se le parti abbiano inteso trasferire elementi patrimoniali aventi un legame funzionale o la totalità (o parte) del personale dipendente,allorquando le attività svolte da detto personale si presentino collegate e caratterizzate da una organizzazione volta ad aggiungere un quid pluris al valore intrinseco della prestazione di ciascun lavoratore; ciò non di meno, al trasferimento di ramo di azienda effettuato da una impresa bancaria assoggettata al procedimento di liquidazione coatta amministrativa ai sensi degli artt. 80 e ss. del D.Lgs. 1° settembre 1993 n.385 non si applica la disciplina generale contenuta nell'art. 2112 cod.civ., ma la disposizione speciale contenuta nell'art. 90 del medesimo decreto, a norma della quale il cessionario risponde soltanto delle passività risultanti dallo stato passivo; ne consegue che non sono azionabili davanti al giudice ordinario nei confronti della banca cessionaria i crediti maturati dal lavoratore del ramo di azienda ceduto al momento del trasferimento, ma essi possono essere fatti valere soltanto davanti ai competenti organi della liquidazione coatta amministrativa, e nel rispetto della procedura di verifica dello stato passivo, disciplinata dall'art. 86 del t.u. in materia bancaria. (massima ufficiale)


 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Sergio MATTONE - Presidente -

Dott. Alberto SPANÒ - Consigliere -

Dott. Guido VIDIRI - Rel. Consigliere -

Dott. Aldo DE MATTEIS - Consigliere -

Dott. Vincenzo DI CERBO - Consigliere -

ha pronunciato la seguente


SENTENZA

 

Svolgimento del processo

Con ricorso al Pretore di Catania F.G., premesso di essere stato assunto in data 2 luglio 1972 dalla Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele per le province Siciliane, poi S.p.A. Sicilcassa, e quindi Edilcassa Divisione del Banco di Sicilia, esponeva che dal 1992 al 1996 gli erano state attribuite le mansioni di responsabile del settore cassa, in precedenza sempre svolte da un funzionario. Dal dicembre 1996 era stato nuovamente addetto alle mansioni di operatore di sportello. Malgrado avesse svolto il proprio lavoro in modo eccellente, non aveva conseguito alcuna promozione o avanzamento. Tanto premesso, chiedeva che il giudice adito volesse dichiarare che esso ricorrente aveva svolto mansioni riconducibili alla categoria di quadro dal 1992 al 1996 e, conseguentemente, volesse condannare l'azienda convenuta al riconoscimento di tale qualifica, a far data dal 1992, ed al pagamento delle relative differenze retributive nonché al risarcimento dei danni per non avere goduto di alcuna promozione o avanzamento di carriera, il tutto con vittoria di spese ed onorari.

Dopo la costituzione del Banco di Sicilia e della S.p.A. Sicilcassa, in liquidazione coatta amministrativa, e dopo che nell'udienza del 29 marzo 1993 il ricorrente aveva dichiarato di volere proseguire il giudizio soltanto nei confronti del Banco di Sicilia, con cui aveva continuato il rapporto successivamente alla liquidazione coatta amministrativa, il Tribunale di Catania con sentenza del 31 gennaio 2000 dichiarava improponibili le domande avanzate dal ricorrente, compensando tra le parti le spese di giudizio.

A seguito di gravame del G. la Corte d'appello di Catania, con sentenza del 15 ottobre 2001, rigettava l'appello e compensava le spese del grado. Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale osservava che nella fattispecie in esame non poteva trovare applicazione il disposto dell'art. 2112 c.c. in materia di trasferimento d'azienda.

Ed invero, sebbene vi fosse stato, con atto per notar Ugo Serio del 6 settembre 1997, tra i Commissari liquidatori della Sicilcassa ed il Banco di Sicilia il trasferimento dell'intero complesso aziendale della prima società alla seconda, tale fattispecie non poteva però essere disciplinata dall'articolo 2112 c.c., dovendo trovare applicazione, invece, la disposizione dell'art. 90, comma 2, del d. lgs. 1° settembre del 1993 n. 385 - che rappresenta una norma speciale, capace di derogare, in ragione della peculiarità dell'impresa creditizia, al regime generale dei commi 1 e 2 della disposizione codicistica ed in base al quale l'impresa cessionaria é tenuta a rispondere "delle sole passività risultanti dallo stato passivo". Un ulteriore motivo dell'esclusione dei summenzionati commi dell'art. 2112 c.c., nel testo novellato dall'art. 47 della legge n. 428 del 1990, era poi rappresentato dalla disciplina dettata dal comma 5 di quest'ultimo articolo, la cui ratio andava individuata in una opportuna flessibilizzazione del rapporto di lavoro "derogatoria" rispetto alla disciplina generale sul trasferimento d'azienda.

Per concludere, il G. poteva far valere le sue ragioni creditorie esclusivamente in via amministrativa davanti ai competenti organi della liquidazione coatta amministrativa nel procedimento di verifica dello stato passivo secondo quanto previsto dagli articoli 86 e seguenti del t.u. in materia bancaria e creditizia, sicché ne derivava l'improponibilità (o improseguibilità) - ai sensi dell'art. 83, comma 3, del suddetto t.u. - della domanda proposta nei confronti della Sicilcassa S.p.A., in liquidazione coatta amministrativa, ed il rigetto della domanda nei confronti del Banco di Sicilia, quale azienda cessionaria, stante la norma sopra citata secondo cui la cessionaria "risponde comunque delle sole passività risultanti dallo stato passivo".

Avverso tale sentenza F.G. propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo.

Resiste con controricorso la S.p.A. Banco di Sicilia, che spiega anche ricorso incidentale condizionato.

 

Motivi della decisione

1. Ai sensi dell'art. 335 c.p.c. il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti perché proposti avverso una stessa sentenza.

2. Con il ricorso principale F.G. denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2112 c.c. e 54 r.d.l. n. 376/1936, così come trasfuso nell'art. 90 della legge bancaria, nonché carenza e contradittorietà della motivazione. In particolare non poteva condividersi l'assunto della sentenza impugnata secondo la quale l'art. 90 del t.u. in materia bancaria e creditizia travolge, quale norma speciale, il disposto dell'art. 2112 c.c., in ragione del pregiudizio ai bilanci dell'impresa bancaria ed ai risparmi dei cittadini che altrimenti ne deriverebbe. Ed invero, l'irrilevanza della conoscenza dei crediti pregressi ai fini dell'insorgere della responsabilità solidale dell'acquirente in caso di trasferimento d'azienda, prevista dalla direttiva n. 77/187/Cee, é stata sancita nel nostro ordinamento con l'emanazione della legge n. 428 del 1990, il cui art. 47 aveva dato attuazione alla suddetta direttiva. Ne conseguiva, giusta quanto risultante anche dalla sentenza della Corte di Giustizia del 7 dicembre 1995, Spano, causa C-472/93, che l'obiettivo economico e sociale perseguito con il trasferimento d'azienda non poteva in alcun modo giustificare il fatto che i lavoratori vengano privati dei diritti che la direttiva conferisce loro, con la conseguenza che l'attuazione di tali diritti non poteva essere subordinata al consenso né del cedente né del cessionario né dei rappresentanti dei lavoratori medesimi, né infine di questi ultimi. Aggiunge ancora il ricorrente che i Commissari liquidatori hanno - in base a quanto previsto dall'art. 75 del r.d.l. 12 marzo 1936 n. 375, cui corrisponde sostanzialmente l'art. 90, comma 2, del d. lgs. n. 385 del 1993 - il potere di procedere alla cessione dell'intera azienda o di un ramo di essa della banca sottoposta a liquidazione coatta amministrativa. L'accertamento in concreto di tale evento, spettante esclusivamente al giudice di merito, non si sottrae ai criteri che presiedono alla individuazione della cessione di azienda in generale, dovendosi verificare se vi sia stata cessione non di singoli beni ma di tutto il complesso dei beni aziendali che, organizzati dall'imprenditore, per le loro caratteristiche ed il loro collegamento funzionale rendono possibile lo svolgimento di quella specifica impresa. In tale caso non é consentito soffermarsi al solo dato legislativo dell'art. 90, comma 2, d. lgs. n. 385 del 1993, per escludere l'applicabilità della disposizione normativa dell'art. 2112 c.c. Né sotto altro versante può dubitarsi che l'apertura della procedura concorsuale non importa la disgregazione dell'impresa e la cessazione del rapporto lavorativo dei dipendenti di detta impresa, con l'effetto che anche in sede di sua cessione vanno tutelati i diritti dei lavoratori alla stregua del dettato dell'art. 2112 c.c.

Con il ricorso condizionato il Banco di Sicilia deduce violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 2555, 2112 c.c. e degli artt. 1362 e ss. c.c., nonché dell'art. 2697 c.c. ed ancora omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 3609 nn. 3 e 5 c.p.c.). Sostiene in particolare il Banco di Sicilia che nel caso di specie, come emergeva anche dal contenuto dell'atto di cessione del 6 settembre 1997 - perfezionatosi tra gli organi liquidatori della Sicilcassa S.p.A. e la rappresentanza dello stesso Banco di Sicilia - si era in presenza non di un trasferimento d'azienda ma di una mera cessione di tutte le attività e passività nonché dei rapporti di lavoro dei dipendenti della Sicilcassa, ancora in essere alla suddetta data del 6 settembre 1997. Si era, in altri termini, inteso procedere ad una vera e propria cessione del contratto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1406 c.c., che richiedeva il previo consenso di tutti gli interessati e la sottoscrizione, con le organizzazioni di categoria, di specifici protocolli all'atto della cessione stessa. Aggiunge ancora il Banco che il G., pur incombendo su di esso il relativo onere probatorio, non aveva dimostrato che vi era stato un trasferimento di un complesso di beni organizzati dall'imprenditore che, per le loro caratteristiche ed il loro collegamento funzionale, rendevano possibile lo svolgimento di una attività imprenditoriale; condizione questa richiesta, alla stregua dell'art. 2112 c.c., per il trasferimento d'azienda.

3. Per evidenti motivi di antecedenza logica va per primo esaminato il ricorso incidentale.

3.1. Va premesso che il d. lgs. 1° settembre 1993 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), all'art. 90, - sub Sezione III riguardante la "liquidazione coatta amministrativa" delle banche - statuisce che , aggiungendo inoltre che (art. 90, comma 2).

Dal testo della suddetta norma, che ricalca a grandi linee il contenuto dell'art. 71 del r.d.l. 12 marzo 1936 n. 375, emerge che é lasciata, dunque, ai Commissari - a seguito del prescritto parere e del conseguimento della prevista autorizzazione - il potere di scegliere tra diversi negozi aventi finalità di liquidazione dell'attivo, cui essi sono istituzionalmente preposti, anche la cessione d'azienda o di un suo ramo, che può importare il passaggio diretto ed immediato ad altra banca dell'intero personale (o di una suo parte), in precedenza alle dipendenze della soggetto posto in liquidazione. Ciò porta a configurare un negozio, ontologicamente inquadrabile nel trasferimento d'azienda di cui all'art. 2112 c.c. - con continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario e con la conservazione da parte del lavoratore di tutti i diritti maturati (comma 1) - avendo più volte evidenziato la giurisprudenza di legittimità che l'apertura di una procedura concorsuale (quale appunto la liquidazione coatta amministrativa), anche qualora non si abbia la prosecuzione neppure temporanea dell'attività imprenditoriale precedentemente esercitata, non implica di per sé il venir meno dell'organizzazione aziendale né preclude il trasferimento d'azienda o di un suo ramo, essendo anzi tale trasferimento, attuato nell'ambito della procedura-concorsuale, un modo per evitare la disgregazione del patrimonio aziendale (cfr. in tali sensi: Cass. 23 aprile 2004 n. 7731 cui adde Cass. 23 giugno 2001 n. 8617 che, in una fattispecie relativa propria alla liquidazione coatta amministrativa, ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva accertato l'avvenuto trasferimento dell'azienda e non dei singoli beni).

Alla stregua di quanto detto, nell'ipotesi di liquidazione coatta amministrativa di un istituto bancario ed in un contesto in cui l'art. 90 del t.u. ha introdotto, come visto, la possibilità che i trasferimenti operati possano avvenire sotto varie forme e dar luogo a vicende traslative di differente natura, spetta al giudice di merito verificare in concreto, in base alla interpretazione della volontà negoziale desumibile dalle clausole contrattuali e da ogni altra circostanza, se siano state oggetto della cessione le mere attività e passività o la totalità dei beni (o parte di essi) considerati non nella loro unità funzionale ma in una ottica atomistica, o, ancora, specifici rapporti contrattuali, o se, invece, le parti abbiano inteso trasferire elementi patrimoniali aventi un legame funzionale o la totalità (o parte) del personale dipendente, allorquando le attività da detto personale prestate si presentino collegate e caratterizzate da una organizzazione volta ad aggiungere un quid pluris al valore intrinseco della prestazione di ciascun lavoratore, avendo anche in queste ultime fattispecie la giurisprudenza di legittimità, in conformità di quella comunitaria, ravvisato gli estremi integranti il negozio di cui all'art. 2112 c.c. (cfr. tra le altre: Cass. 4 dicembre 2002 n. 17207; Cass. 23 luglio 2002 n. 10761).

3.2. Di questi principi ha fatto corretta applicazione la Corte territoriale che, esaminando il contenuto dell'atto di cessione del 6 settembre 1997 per notar Ugo Serio, ha con una motivazione adeguata e priva di salti logici - e pertanto non censurabile in questa sede di legittimità - affermato che si fosse in presenza di un trasferimento d'azienda per essere stato ceduto dalla Sicilcassa in liquidazione al Banco di Sicilia un complesso funzionale di beni, strutture nonché lo stesso personale in modo da consentire la prosecuzione presso la nuova impresa bancaria della medesima attività già svolta dalla società cedente.

3.3. Il ricorso incidentale del Banco di Sicilia - con il quale é stata patrocinata la tesi volta a riconoscere nell'atto per notar Serio (anche in ragione della qualificazione data ad esso dalle parti contrattuali) una cessione di mere attività e passività della S.p.A. Sicilcassa - va, quindi, rigettato essendo privo di fondamento.

4. Una volta riconosciuta l'astratta configurabilità nel caso di specie di un trasferimento d'azienda ex art. 2112 c.c., passaggio obbligato per la decisione della presente controversia é costituito dalla problematica attinente all'integrale applicabilità in concreto della suddetta disposizione codicistica nel caso in cui il trasferimento di azienda (o di un suo ramo) riguardi una impresa bancaria assoggettata al procedimento di liquidazione coatta amministrativa ai sensi degli artt. 80 e ss. del d. lgs. 1° settembre 1993 n. 385.

4.1. Questa Corte ritiene che, nonostante le censure mosse sul punto alla sentenza della Corte d'appello di Catania, vada condivisa la statuizione della decisione impugnata secondo cui nella fattispecie in esame debba applicarsi la disposizione di cui all'art. 90, comma 2, del d. lgs. 385/1993 in quanto norma speciale rispetto all'art. 2112 c.c.

4.2. La Corte territoriale, dopo avere evidenziato che nella formulazione letterale del citato art. 90 la proposizione "il cessionario risponde comunque delle sole passività risultanti dallo stato passivo", si trova collocata dopo la previsione di tutte le forme di cessione contemplate nello stesso comma (compresa quindi la cessione d'azienda) per cui va riferita indistintamente alla totalità di esse, aggiunge poi in maniera puntuale che la ratio della disposizione va individuata nella necessità per il cessionario di avere un quadro esatto della situazione patrimoniale dell'azienda ceduta, rispondendo tutto ciò a prevalenti esigenze di ordine pubblico dell'economia, dovendo assolutamente evitarsi che dalla posteriore rivendicazione di crediti non riportati nello stato passivo possa derivare grave pregiudizio ai bilanci dell'impresa bancaria e, quindi, ai risparmi dei cittadini ed all'affidamento delle imprese.

Orbene, l'assunto dei giudici d'appello va pienamente condiviso non potendosi dubitare della specificità della disciplina dettata dal d. lgs. 385/1993 che, anche per quanto riguarda la regolamentazione della liquidazione coatta amministrativa delle imprese bancarie, tutela esigenze di incisiva portata sul piano economico-sociale, perché volta a garantire - nei momenti di liquidazione e di acquisizione dei patrimoni da parte di imprese bancarie - finalità, come la tutela del risparmio ed il controllo del credito, che per gli interessi coinvolti non possono non assumere una rilevanza costituzionale (art. 47 Cost.).

4.4. Nel delineato assetto ordinamentale risulta, dunque, privo di giuridico fondamento l'assunto secondo cui, anche nella fattispecie in esame debba trovare applicazione il disposto dell'art. 2112 c.c., e specificamente i commi 1 e 2 della ora menzionata norma, con una conseguenziale azionabilità davanti al giudice ordinario dei crediti, maturati dal lavoratore al momento del trasferimento, nei confronti della banca cessionaria, in ragione di una responsabilità solidale del cedente e cessionario per detti crediti.

5. La tesi del ricorrente, fondata sul presupposto della dichiarata inderogabilità dei diritti del lavoratore trasferito, trascura,  da un lato, di considerare la portata della revisione operata al disposto dell'art. 2112 c.c. dall'art. 47 della legge 29 dicembre 1990 n. 428 con riferimento alle imprese in crisi, e, dall'altro, non tiene nel dovuto conto gli approdi dottrinari e quelli della stessa giurisprudenza comunitaria, pur da esso ricorrente richiamata.

5.1. Sotto il primo versante si é osservato dalla Corte d'appello di Catania, ancora una volta in maniera puntuale e con argomentazioni giuridicamente ineccepibili, che a seguito della specialità della disposizione di cui al comma 5 del predetto art. 47 si é realizzata una sorta di sistema normativo, nato e sviluppato per soddisfare finalità diverse rispetto a quelle originarie dell'art. 2112 c.c., e rispondente ad una logica di "flessibilizzazione" del rapporto di lavoro, "derogatoria" rispetto alla disciplina generale contenuta nella norma codicistica.

Come é stato rimarcato in dottrina la in tutto o solo in parte dell'art. 2112 c.c. appare all'evidenza finalizzata ad agevolare la commerciabilità dell'azienda, nella convinzione - che é a fondamento di tutta la legislazione in materia di trasferimento di una azienda in crisi - che in una situazione di patologia dell'impresa la salvaguardia anche non integrale dei livelli occupazionali mal si coniughi con il mantenimento inalterato di tutte le garanzie offerte dall'art. 2112 c.c.

Del resto, le deroghe alla normativa in materia di circolazione del complesso aziendale non sono di certo limitate a quelle di cui all'art. 90 del d. lgs. 385/1993, come é attestato tra l'altro dalla disciplina dei rapporti di lavoro nel caso della liquidazione coatta amministrativa delle imprese esercenti l'attività di assicurazione (cfr. art. 10 d. l. 23 dicembre 1976 n. 857; art. 5 d.l. 26 settembre 1978 n. 576, convertito nella legge 24 novembre 1978 n. 738, che é stata vista da alcuni come un vero e proprio scardinamento di istituti e principi fondamentali del diritto del lavoro).

Tra l'altro non é irrilevante osservare che, a ben vedere, la flessibilità della regolamentazione del rapporto di lavoro - con conseguente modificabilità delle regole generali dettate dall'art. 2112 c.c. - non si riscontra soltanto in presenza di crisi aziendale, come é dato tra l'altro evincere dalla legge 29 gennaio 1992 n. 58, che nel riformare il settore telecomunicazioni ha dettato - per i rapporti di lavoro dei dipendenti della azienda di stato per i servizi telefonici nel passaggio dei servizi di telefonia dal settore pubblico a quello privato - una speciale ed autonoma regolamentazione, comportante l'inapplicabilità dell'art. 2112 c.c. (cfr. in tali sensi: Cass. 21 maggio 2002 n. 7449).

5.2. Sotto un distinto versante va segnalato, poi, che, contrariamente a quanto si é asserito in ricorso, la dottrina e la giurisprudenza comunitaria hanno da tempo risalente operato una netta distinzione tra procedimenti amministrativi volti alla salvaguardia del patrimonio aziendale - ed, eventualmente, alla prosecuzione dell'attività economica, secondo un progetto di risanamento che restituisca all'impresa - e procedimenti volti, invece, alla liquidazione dei beni del debitore ed alla soddisfazione collettiva dei creditori. Per i primi é stata, infatti, ribadita la disciplina generale in ragione del fatto che l'impresa, seppure in difficoltà finanziaria, é stata giudicata sana ed idonea alla ripresa economica e produttiva (cfr. Corte Giust. 25 luglio 1991, D'Urso, causa C-362/89; Corte Giust. 7 dicembre 1995, Spano, causa C-472/93), mentre per i secondi (tra i quali vanno di certo inclusi il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa) é stata ammessa la possibilità di disapplicare la disciplina protettiva in considerazione degli interessi pubblici investiti da tali procedure e della contestuale finalità di tutelare i livelli occupazionali attraverso un' utile modulazione della flessibilità del rapporto lavorativo (cfr. al riguardo Corte Giust. 25 luglio 1991, D'Urso, causa C-362/89 cit.).

6. Corollario di quanto sinora detto é che la sentenza impugnata va interamente confermata, essendo pervenuta a conclusioni non suscettibili di alcuna censura sia per quanto attiene alla derogabilità dell'art. 2112 c.c., ribadita sul piano negoziale dal richiamo nell'atto di trasferimento al comma 5 dell'art. 47 della legge 482 del 1990, sia per quanto riguarda la tutelabilità delle ragioni creditorie del G. (differenze retributive e risarcimento danni aventi titolo nel disconoscimento di avanzamenti di carriere rivendicati come dovuti) che potevano essere fatte valere dal dipendente esclusivamente nei confronti della S.p.A. Sicilcassa in via amministrativa, davanti ai competenti organi della liquidazione coatta amministrativa, e nel rispetto della procedura di verifica dello stato passivo, disciplinata dall'art. 86 del t.u. in materia bancaria (e con successiva competenza del giudice ordinario ex art. 87 in sede di opposizioni allo stato passivo, ed ex art. 88 in sede di impugnazioni), e non certo nei riguardi del Banco di Sicilia che, quale azienda cessionaria, era tenuta a rispondere, alla stregua del disposto dell'art. 90, 2 comma, del suddetto t.u. - in ragione della specialità di detta norma rispetto a quella codicistica sul trasferimento d'azienda - .

7. Va, infine, ritenuta manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dal ricorrente secondo cui una interpretazione dell'art. 90, comma 2, t.u. in materia bancaria, quale quella seguita nella sentenza impugnata, si pone in contrasto con numerose disposizioni della Costituzione. Ed invero, a disvelare l'inconsistenza sul piano giuridico di un simile assunto é sufficiente considerare come la disciplina di cui al d. lgs. 385/1993 trovi la sua ratio, come si é innanzi sottolineato, nella necessità di procedere ad un bilanciamento di diritti, di pari dignità costituzionale, quale quello alla tutela dei diritti dei lavoratori e quello della garanzia del risparmio. Ed inoltre, il lavoratore che deduce di essere titolare di un credito prededucibile non ammesso al passivo non perde il proprio diritto soggettivo né la tutela giurisdizionale potendo, al pari di ogni altro creditore, fare opposizione e rivolgersi al giudice ordinario, il quale é chiamato ad accertare l'esistenza e l'importo della pretesa nell'ambito di un ordinario procedimento contenzioso.

8. Per concludere il ricorso principale e quello incidentale vanno rigettati e la impugnata sentenza integralmente confermata.

Ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

la Corte riunisce il ricorso principale e quello incidentale e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma l'8 febbraio 2005.

Depositata in cancelleria il 2 marzo 2005.