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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22809 - pubb. 03/12/2019.

Alle Sezioni Unite tre questioni in tema Condominio


Cassazione civile, sez. II, 01 Ottobre 2019. Pres. Manna. Est. Scarpa.

Regime di invalidità delle delibere sulle spese - Rilevabilità d'ufficio della nullità nell'opposizione a decreto ingiuntivo emesso ex art. 63 disp. att. c.c. - Rigetto di tale opposizione e formazione di giudicato sulla validità della delibera - Contrasti


La Seconda Sezione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di tre questioni, oggetto di contrasto, e precisamente:
a) quale sia il regime dell’invalidità afferente la delibera con cui l’assemblea ripartisca gli oneri condominiali in violazione dei criteri normativi o regolamentari di suddivisione delle spese;
b) se, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità, anche d’ufficio, dell’invalidità delle sottostanti delibere debba, o meno, operare, allorché si tratti di vizi implicanti la loro nullità;
c) se il rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo per la riscossione di contributi condominiali sia idoneo alla formazione del giudicato implicito sull’assenza di cause di nullità delibera sottostante. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

 

Fatto e diritto

I. P.G. ha proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 22/2015 della Corte d'Appello di Messina, depositata il 20 gennaio 2015.

Il Condominio (*) resiste con controricorso, mentre l'altro intimato S.P. non ha svolto attività difensive.

Il giudizio ebbe inizio con domanda di decreto ingiuntivo del 31 marzo 2000 proposta dal Condominio (*), nei confronti del condomino avvocato P.G., per la somma di Euro 6.569,58 (lire 12.720.485), inerente alla quota di contribuzione pari ad un terzo dei lavori di riparazione di un terrazzo di copertura del fabbricato. La domanda monitoria fondava sulle deliberazioni assembleari del 14 aprile 1999, 30 settembre 1999 e 14 dicembre 1999. Venne proposta opposizione da P.G. ed il giudizio fu riunito all'opposizione a decreto ingiuntivo formulata dall'avvocato S.P.. Con sentenza del 7 dicembre 2007 il Tribunale di Messina respinse entrambe le opposizioni. Proposto gravame da P.G., lo stesso venne rigettato dalla Corte d'Appello di Messina con sentenza del 20 gennaio 2015. La Corte d'Appello, dopo aver riscontrato la cessazione della materia del contendere nei rapporti tra S.P. ed il Condominio, negò dapprima la sussistenza di un vizio di nullità del giudizio di primo grado correlato alla mancata comunicazione dell'ordinanza del 31 maggio 2006, resa fuori udienza, atteso che all'udienza successiva, fissata per la precisazione delle conclusioni, era risultato comunque presente il difensore dell'opponente P.G., il quale si era rifiutato però di svolgere attività e si era allontanato dall'aula. Quanto alle doglianze sul merito della lite, la Corte di Messina evidenziò come soltanto la deliberazione assembleare del 30 settembre 1999 era stata impugnata dal condomino S. (con esito negativo). Non era stata, invece, impugnata la delibera del 14 dicembre 1999, e, ad avviso dei giudici di secondo grado, la contestazione del P. circa l'uso del terrazzo, che avrebbe giustificato l'imposizione della quota di un terzo delle spese ai sensi dell'art. 1126 c.c., doveva intendersi preclusa nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (al quale sono estranee le questioni relative alla invalidità della delibera di approvazione della spesa intimata), con conseguente inammissibilità delle prove articolate al riguardo. Sempre non contestabile con l'opposizione a decreto ingiuntivo fu reputata dalla Corte d'Appello la questione della inclusione nell'importo azionato in sede monitoria delle spese per scarpe di piombo e torrini della terrazza. Da ultimo, la sentenza impugnata rimarcò come il profilo dell'applicabilità del criterio di riparto di cui all'art. 1126 c.c. era stato espressamente affrontato dall'assemblea del 14 dicembre 1999, concludendosi appunto per la necessaria imposizione della quota di un terzo dei lavori ai due proprietari esclusivi della terrazza.

Le parti hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c. in data 2 e 4 settembre 2019

II.1 Al primo motivo di ricorso dell'avvocato P.G. deduce la violazione degli artt. 136,156,161,170 e 176 c.p.c. per la mancata comunicazione ai procuratori Natale Previti ed E. Stefania Previti dell'ordinanza resa fuori udienza il 31 maggio 2006, con cui erano state dichiarate inammissibili le deduzioni istruttorie e la causa era stata rinviata per la precisazione delle conclusioni.

II.2. Il secondo motivo di ricorso di P.G. denuncia la violazione dell'art. 633 c.p.c., art. 63 disp. att. c.c., artt. 1135,1136 e 1137 c.c., nonchè l'insufficiente e/o incongrua o incoerente motivazione, avendo la Corte d'Appello fatto riferimento ad una deliberazione assembleare (quella del 14 settembre 1999) che non aveva affatto approvato la ripartizione delle spese per la terrazza sulla base dell'art. 1126 c.c..

II.3. Transitando all'esame del quinto motivo di ricorso di P.G., esso deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in combinato con l'art. 633 c.p.c. e art. 63 disp. att. c.c., nonchè degli artt. 1137 e 2697 c.c.. La censura espone che la deliberazione dell'assemblea condominiale del 14 settembre 1999 era stata annullata dal Tribunale di Messina con sentenza del 17 marzo 2004. Ciò avrebbe determinato la perdita di efficacia del titolo posto a base della pretesa monitoria e quindi a fondatezza della spiegata opposizione.

II.4. Il terzo motivo di ricorso di P.G. denuncia la violazione degli artt. 1117,1123 e 1126 c.c., per aver la Corte di Messina disatteso il disposto dell'ultima norma richiamata, la quale disciplina la ripartizione in base all'uso esclusivo, e non alla proprietà, nonchè omesso l'esame del contratto di acquisto dell'unità immobiliare del ricorrente, che, pur comprendendo la proprietà della terrazza di copertura del fabbricato, stabiliva "la limitazione però dell'uso da parte dei condomini del fabbricato, ad una porzione di 150 metri quadrati di terrazza". Non avendo perciò il P. l'uso esclusivo della terrazza, non doveva trovare applicazione il criterio di riparto dell'art. 1126 c.c..

Invero, la disciplina dell'art. 1126 c.c. prevede, ai fini del riparto delle spese di riparazione e ricostruzione, il presupposto applicativo della possibilità di uso esclusivo del lastrico solare (o della terrazza a livello), senza specificare la natura giuridica del relativo diritto, il quale può avere carattere reale o personale ed è comunque quello che risulta dal titolo (Cass. 9 agosto 1999, n. 8532; Cass. 21 maggio 1974, n. 1501; cfr. anche Cass. 12 marzo 1993, n. 2988). Se, pertanto, l'uso del lastrico o del terrazzo, anche se di proprietà esclusiva, non sia limitato ad uno o più titolari, ma sia comune a tutti i condomini (come si assume nella specie dal ricorrente), l'art. 1126 c.c. non dovrebbe operare.

A tale deduzione la Corte d'Appello ha tuttavia risposto che la contestazione in ordine all'uso del terrazzo avrebbe dovuto essere oggetto di impugnativa avverso la deliberazione dell'assemblea e non poteva allegarsi nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Il quarto motivo di ricorso di P.G. denuncia poi la violazione degli artt. 1117,1123 e 1126 c.c., in combinato con l'art. 633 c.p.c. e art. 63 disp. att. c.c., avendo la Corte di Messina disatteso la doglianza secondo cui nella somma ingiunta erano state ricomprese, in base al riparto operato secondo l'art. 1126 c.c., anche le spese per la riparazione delle scarpe di piombo e dei torrini, che dovevano invece suddividersi alla stregua dell'art. 1123 c.c..

L'indice di ripartizione fissato dall'art. 1126 c.c. concerne propriamente, in effetti, gli oneri per il rifacimento del manto impermeabilizzato, nonchè gli interventi accessori che si rendono necessari in via consequenziale e strumentale, restando a carico dell'utente (o proprietario) esclusivo del lastrico solare le spese attinenti ai parapetti, o alle ringhiere, ovvero comunque collegate alla sicurezza del calpestio, mentre tutte le altre spese, ordinarie o straordinarie, correlate alla funzione di copertura, vanno suddivise con i condomini sottostanti (cfr. Cass. 28 settembre 2012, n. 16583; Cass. 25 febbraio 2002, n. 2726). Esulerebbe, così, dalle spese di riparazione del lastrico o della terrazza di copertura quelle attinenti ad opere che siano dotate di autonoma consistenza e abbiano una specifica destinazione al servizio delle parti comuni, quali, indicativamente, quelle per i torrini della gabbia scale (cfr. Cass. 13 dicembre 2013, n. 27942) o per le pluviali di scarico delle acque meteoriche, costituendo essi distinti e autonomi manufatti di proprietà condominiale.

Al riguardo, la Corte d'Appello di Messina ha analogamente affermato che non fosse contestabile nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la questione della inclusione delle spese per scarpe di piombo e torrini.

III. Terzo e quarto motivo di ricorso, ad avviso del Collegio, presentano a monte questioni di diritto decise in senso difforme dalle sezioni semplici, ovvero investono questioni di massima di particolare importanza, anche alla luce di principi di diritto già enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte.

III.1. La prima di tali questioni è se debba ritenersi comunque nulla (ed in quanto tale non soggetta al termine di impugnazione di trenta giorni, nè riservata alla legittimazione dei soli condomini assenti, dissenzienti o astenuti, ex art. 1137 c.c.) la deliberazione dell'assemblea con la quale comunque siano ripartite spese per la conservazione, la manutenzione, il godimento, la riparazione o la ricostruzione delle parti comuni o delle parti di utilità comune dell'edificio, spese per le innovazioni o, ancora, spese per la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in violazione dei criteri legali dettati negli artt. 1123 c.c. e ss., oppure stabiliti in apposita convenzione; o se debba, piuttosto, ritenersi che sono nulle le sole delibere con cui l'assemblea espressamente e stabilmente modifichi a maggioranza i criteri di riparto stabiliti dalla legge o dalla unanime convenzione, mentre sono soltanto annullabili, e perciò soggette alla disciplina dell'art. 1137 c.c., le delibere in cui tali criteri vengano meramente ed episodicamente disattesi. La soluzione di tale prima questione involge anche il principio di diritto enunciato da Cass. sez. un. 7 marzo 2005, n. 4806.

III.2. La seconda questione, che eventualmente può essere implicata dalla decisione sul terzo e sul quarto motivo di ricorso, è se nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., il giudice possa sindacare o rilevare le eventuali ragioni di nullità della deliberazione assembleare di ripartizione delle spese su cui è fondata l'ingiunzione di pagamento, o se invece anche la delibazione della nullità della delibera presupposta debba restare riservata al giudice davanti al quale detta delibera sia stata in via immediata impugnata nelle forme dell'art. 1137 c.c.. La soluzione di questa seconda questione di diritto può interferire col principio di diritto enunciato da Cass. sez. un. 18 dicembre 2009, n. 26629.

III.3. La terza questione, che in via di progressione logica dovrebbe affrontarsi, è se alla statuizione di rigetto dell'opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi condominiali sulla base dello stato di ripartizione approvato dall'assemblea, come a qualsiasi pronuncia di accoglimento della domanda di adempimento di un negozio, non debba riconoscersi l'idoneità alla formazione del giudicato implicito sulla assenza di cause di nullità della delibera, alla stregua dei principi fondamentali affermati da Cass. sez. un. 12 dicembre 2004, n. 26242. La decisione di questa terza questione va rapportata anche al principio a suo tempo enunciato da Cass. sez. un. 27 febbraio 2007, n. 4421, secondo cui la regola generale della inesecutività del titolo di cui sia allegata l'originaria invalidità (regola che comporta la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. del giudizio promosso per il riconoscimento di diritti derivanti dal titolo, allorchè in un diverso giudizio tra le stesse parti si controverta dell'inesistenza o della nullità assoluta del titolo stesso, al fine di evitare contrastanti giudicati di nullità del negozio e di condanna a darvi esecuzione) troverebbe una eccezione di ius singulare nella disciplina del condominio, lì dove il sistema normativo anteporrebbe l'immediata esecutività del titolo, pur in pendenza di controversia sulla sua nullità, a tutela di interessi generali ritenuti prevalenti e meritevoli d'autonoma considerazione, dovendosi poi risolvere il possibile contrasto di giudicati in sede di esecuzione forzata, oppure sperimentando una autonoma successiva azione di ripetizione dell'indebito.

IV.1. La prima delle evidenziate questioni è oggetto di un mai sopito contrasto di decisioni nelle pronunce di questa Corte.

Come si accennava, il punto di partenza del ragionamento dovrebbe trarsi dalla summa divisio che era alla base dell'insegnamento contenuto nella prima parte del principio enunciato da Cass. sez. un. 7 marzo 2005, n. 4806, pronuncia peraltro risolutiva del contrasto giurisprudenziale in ordine al vizio conseguente alla mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell'avviso di convocazione dell'assemblea:

"In tema di condominio negli edifici, debbono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto".

Nella sua articolata motivazione, Cass. sez. un. 7 marzo 2005, n. 4806 (dopo aver ricordato le tesi dottrinali che tacciano di nullità le delibere affette da un vizio sostanziale, oppure aventi ad oggetto materie sottratte alla competenza dell'assemblea, essendo per contro annullabili quelle inficiate da un vizio di forma) spiegava che i vizi dell'oggetto, come causa di nullità, devono intendersi ricollegati con i confini posti in materia di condominio all'ambito del metodo collegiale e del principio di maggioranza. In tale ottica, le cause di nullità delle delibere raffigurerebbero le invalidità riconducibili alla "sostanza", e cioè all'oggetto degli atti, e non invece connesse con le regole procedimentali relative alla formazione delle decisioni del collegio, presidiate dalla sanzione dell'annullabilità.

Pur muovendosi da tali nitide premesse assiologiche, Cass. sez. un. 7 marzo 2005, n. 4806, ritenne tuttavia infondato il terzo motivo di ricorso, osservando che la delibera oggetto di lite non aveva riguardato "la determinazione e fissazione dei criteri legali ovvero convenzionali per la ripartizione delle spese, ma, nell'ambito di tali prefissati criteri, la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative a lavori straordinari ritenuti afferenti a beni comuni"; veniva così prestata adesione all'interpretazione secondo cui "la delibera, assunta nell'esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall'art. 1135 c.c., nn. 2 e 3, relativa alla ripartizione in concreto delle spese condominiali, ove adottata in violazione dei criteri già stabiliti, deve considerarsi annullabile, non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 c.c., e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza (trenta giorni) previsto dall'art. 1137 c.c.".

Nel senso dell'annullabilità della delibera di ripartizione delle spese condominiali che, senza mostrare di voler modificare, in via generale ed astratta, i criteri stabiliti dalla legge o dalla convenzione, si limiti a violarli o disattenderli "in concreto", possono elencarsi, indicativamente, Cass. 16 aprile 2019, n. 10586; Cass. 10 maggio 2018, n. 11289; Cass. 15 dicembre 2011, n. 27016; Cass. 15 febbraio 2011, n. 3704; Cass. 19 marzo 2010, n. 6714; Cass. 29 marzo 2007, n. 7708; Cass. 21 luglio 2006, n. 16793.

Il contrapposto orientamento sostiene che sono da considerare nulle per impossibilità dell'oggetto, e non meramente annullabili, e perciò impugnabili indipendentemente dall'osservanza del termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137 c.c., comma 2, trattandosi di invalidità da ricondursi alla "sostanza" dell'atto e non connesse con le regole procedimentali relative alla formazione delle decisioni del collegio, tutte le deliberazioni dell'assemblea comunque adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell'organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, il che vale ad incidere altresì sui diritti individuali del partecipante attraverso un mutamento del proporzionale valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell'autonomia negoziale (Cass. 23 luglio 2019, n. 19832; Cass. 10 gennaio 2019, n. 470; Cass. 20 dicembre 2018, n. 33039; Cass. 13 novembre 2018, n. 29220; Cass. 13 novembre 2018, n. 29217; Cass. 4 agosto 2017, n. 19651; Cass. 9 marzo 2017, n. 6128; Cass. 4 dicembre 2013, n. 27233; Cass. 27 luglio 2006, n. 17101; Cass. 16 febbraio 2001, n. 2301; Cass. 3 maggio 1993, n. 5125).

Quest'ultima interpretazione evidenzia come i poteri dell'assemblea sono circoscritti alle materie - che si compendiano nel concetto di gestione - definite dall'art. 1135 c.c. e dagli articoli precedenti: l'assemblea non ha, invero, una competenza generalizzata in materia di spese (Cass. 19 maggio 2004, n. 9463), sicchè essa rimane nell'ambito delle sue attribuzioni sempre che ripartisca gli oneri sulla base della misura determinata in forza di precise disposizioni di legge (o, altrimenti, pattiziamente stimata in via negoziale mediante la "diversa convenzione" contemplata dall'art. 1123 c.c., comma 1). Perciò, stando anche all'esemplare insegnamento contenuto in Cass., sez. un., 9 agosto 2010, n. 18477, la suddivisione dei contributi, che l'assemblea provveda ad operare, o rispecchia fedelmente tale rapporto di valori, nel qual caso è valida, o quantifica gli obblighi di alcuno o alcuni in misura difforme dalle proporzioni di legge o di contratto, nel qual caso, però, è immancabilmente nulla. Alla contrapposta tesi, che ravvisa la nullità delle sole delibere di distribuzione delle spese in cui l'assemblea stabilisca autonomi criteri di ripartizione, mentre reputa annullabile quelle che violino malaccortamente i preesistenti criteri edittali, senza avere alcuna intenzione di modificarli, si replica che tanto la prima ipotesi di decisione, come la seconda, finiscono per incidere negativamente sui diritti individuali del singolo condomino. Non si ravviserebbe il significato di inibire all'organo assembleare con la più grave sanzione invalidante unicamente l'adozione di deliberazioni "normative" in materia di ripartizione delle spese, aventi, cioè, ad oggetto la disciplina di esborsi eventuali e futuri, dei quali vengano fissate preventivamente le modalità di distribuzione in difformità della preesistente disciplina legale o regolamentare. D'altro canto, l'avversato distinguo tra ripartizioni di spesa errate annullabili e nulle imporrebbe una malsicura ricostruzione dell'effettivo contenuto della dichiarazione di volontà dell'assemblea, se ed in quanto limitata alla ripartizione di quella determinata spesa, mentre apparirebbe comunque indispensabile prescegliere un metodo tipologico che dia rilievo unicamente agli oggettivi effetti pregiudizievoli della delibera sulle sfere patrimoniali individuali. Nè potrebbe scongiurarsi che una serie di deliberazioni, che pur disattendano in concreto, senza dichiarate finalità modificative, i criteri stabiliti dalla legge o dalla convenzione, possa poi assurgere alla dignità di comportamento univocamente concludente, protrattosi nel tempo, dal quale si ricavi l'accettazione da parte di tutti i condomini di metodi convenzionali di distribuzione delle spese, come supponeva ammissibile un risalente orientamento giurisprudenziale (Cass. 15 ottobre 2004, n. 20318; Cass. 12 ottobre 2000, n. 13592; Cass., 27 marzo 1998, n. 3251; Cass., 17 maggio 1994, n. 4814; Cass., 16 luglio 1991, n. 7884).

IV.2. La seconda questione che si dovrebbe affrontare nell'esame del terzo e quarto motivo di ricorso può essere così sintetizzata.

E' certo che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla annullabilità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione (ad esempio, Cass. 7 novembre 2016, n. 22573; Cass. 1 agosto 2006, n. 17486). Tale delibera costituisce, infatti, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. sez. un. 18 dicembre 2009, n. 26629; Cass. 23 febbraio 2017, n. 4672). Il giudice deve quindi accogliere l'opposizione solo qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l'esecuzione sospesa dal giudice dell'impugnazione, ex art. 1137 c.c., o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorchè non passata in giudicato, annullato la deliberazione (Cass. 14 novembre 2012, n. 19938; Cass. 24 marzo 2017, n. 7741).

La decadenza del potere di reazione rispetto ad una delibera annullabile dovrebbe rilevare, d'altro canto, quando la stessa annullabilità venga fatta valere sia in via di azione che in via di eccezione, atteso che il principio "quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum", operante in materia contrattuale in forza dell'art. 1442 c.c., u.c., non trova applicazione in materia di deliberazioni assembleari, il cui annullamento può essere conseguito attraverso un'impugnazione soggetta ad un termine di decadenza e non di prescrizione (arg. da Cass. 5 dicembre 2011, n. 25945; Cass. 10 gennaio 2018, n. 384).

E' tuttavia oggetto di permanente contrasto nella giurisprudenza della Corte, e in ogni caso rileva come questione di massima di particolare importanza, il seguente interrogativo: se, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità, anche d'ufficio, dell'invalidità delle sottostanti delibere debba, o meno, operare allorchè si tratti di vizi implicanti la loro nullità (e non annullabilità), trattandosi dell'applicazione di atti la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda (nel senso della rilevabilità della nullità della delibera, Cass. 12 gennaio 2016, n. 305; Cass. 12 settembre 2018, n. 22157; Cass. 20 dicembre 2018, n. 33039; Cass. 27 settembre 2018, n. 23223; Cass. 23 luglio 2019, n. 19832. Nel senso che ogni forma di invalidità della delibera sarebbe sottratta alla cognizione del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo, Cass. 9 agosto 2019, n. 21240; Cass. 28 marzo 2019, n. 8685; Cass. 23 febbraio 2017, n. 4672; Cass. 19 febbraio 2016, n. 3354).

Potrebbe considerarsi che la nullità di una deliberazione dell'assemblea condominiale comporta che la stessa, a differenza delle ipotesi di annullabilità, non implica la necessità di tempestiva impugnazione nel termine di trenta giorni previsto dall'art. 1137 c.c.. Una deliberazione nulla, secondo i principi generali degli organi collegiali, non può, pertanto, finchè (o perchè) non impugnata nel termine di legge, ritenersi valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio, come si afferma per le deliberazioni soltanto annullabili. Alle deliberazioni prese dall'assemblea condominiale si applica, del resto, il principio dettato in materia di contratti dall'art. 1421 c.c., secondo cui è comunque attribuito al giudice, anche d'appello, il potere di rilevarne pure d'ufficio la nullità, ogni qual volta la validità (o l'invalidità) dell'atto collegiale rientri, appunto, tra gli elementi costitutivi della domanda su cui egli debba decidere (Cass. 17 giugno 2015, n. 12582; Cass. 15 marzo 2017, n. 6652).

Si oppone l'obiezione per cui presupposto del provvedimento monitorio richiesto dall'amministratore è soltanto l'efficacia esecutiva della delibera condominiale, così come oggetto del giudizio davanti al giudice dell'opposizione è unicamente il pagamento delle spese dovute da ciascun condomino sulla base della ripartizione approvata dall'assemblea, mentre la nullità della delibera può essere oggetto del solo giudizio di impugnazione ex art. 1137 c.c.. Esula, però, dai contorni tipici dell'impugnazione di cui all'art. 1137 c.c., di per sè soggetta al termine perentorio di trenta giorni, la domanda intesa a far valere una nullità della deliberazione, la quale è azione di mero accertamento, perciò sottratta a qualsiasi termine di decadenza ed esperibile da chiunque vi abbia interesse (Cass. sez. un. 7 marzo 2005, n. 4806).

IV.3. La terza questione implicata dall'esame del terzo e del quarto motivo di ricorso, ed in realtà diretta derivazione della seconda questione appena illustrata, e se la statuizione di rigetto dell'opposizione a decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi condominiali, come qualsiasi pronuncia di accoglimento della domanda di adempimento di un negozio, deve ritenersi idonea alla formazione del giudicato implicito sulla assenza di cause di nullità del negozio stesso, alla stregua dell'insegnamento di Cass. sez. un. 12 dicembre 2014, n. 26242.

Atteso, del resto, che la giurisprudenza intende ormai costantemente che, quanto meno per le spese inerenti alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, la delibera condominiale che dispone l'esecuzione degli interventi assume valore costitutivo della relativa obbligazione in capo a ciascun condomino (Cass. 3 dicembre 2010, n. 24654; Cass. 22 giugno 2017, n. 15547), la verifica negativa della nullità del titolo non dovrebbe potersi sganciare da quella di sussistenza del diritto del condominio di pretendere la contribuzione. Se l'obbligo di contribuire alle spese straordinarie discende direttamente dalla delibera dell'assemblea, il giudicato che consacra il diritto del condominio di pretendere da quel condomino quella determinata spesa insorta a seguito di quella delibera dell'assemblea non potrebbe consentire di rimettere in discussione in un altro processo l'invalidità della medesima delibera.

A giustificare, altrimenti, l'esonero del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo per spese condominiali dalla regola generale del giudicato implicito sulla "non nullità" negoziale, che ha definitivamente enucleato Cass. sez. un. 12 dicembre 2014, n. 26242, dovrebbe tuttora valere l'eccezionalità della disciplina della riscossione dei contributi del condominio edilizio, evidenziata dalla precedente Cass. sez. un. 27 febbraio 2007, n. 4421. Tale supposta eccezionalità della disciplina condominiale ha infatti indotto a negare che sussista un rapporto di continenza ex art. 39 c.p.c., comma 2, come di pregiudizialità necessaria ex art. 295 c.p.c., fra la causa di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., comma 1, e la causa instaurata innanzi ad altro giudice impugnando ex art. 1137 c.c. la relativa delibera condominiale di approvazione e ripartizione di quella stessa spesa oggetto di ingiunzione. L'unico temperamento, già considerato, è dato dalla necessità di accogliere, invece, l'opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l'esecuzione sospesa dal giudice dell'impugnazione, ex art. 1137 c.c., o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorchè non passata in giudicato, annullato la deliberazione (Cass. 14 novembre 2012, n. 19938; Cass. 24 marzo 2017, n. 7741).

Come anche già accennato, al rischio del contrasto di giudicati, correlato alla negazione della pregiudizialità tra l'opposizione a decreto ingiuntivo e l'impugnazione della delibera, si poneva rimedio, nell'originario disegno di Cass. sez. un. 27 febbraio 2007, n. 4421, o in sede esecutiva o con l'allestimento di un'azione di ripetizione dell'indebito. Si tratta, allora, alla luce del complessivo assetto delineato da Cass. sez. un. 12 dicembre 2014, n. 26242, di ponderare se le esigenze di rapidità e di incisività della riscossione coattiva dei contributi condominiali, perseguite dell'art. 63 disp. att. c.c., appaiono tuttora tali da far pretermettere le altrettanto impellenti esigenze di economia processuale e di non contraddittorietà delle pronunce, che animano l'intero processo civile e che sono alla base della generale ammissione del rapporto di continenza o di pregiudizialità tra la domanda fondata su un titolo negoziale, azionata nelle forme del procedimento monitorio, e la causa di cognizione ordinaria volta a far dichiarare l'invalidità del negozio. Se la sopravvenuta declaratoria di nullità della delibera di approvazione e ripartizione della spesa deve farsi valere davanti al giudice dell'esecuzione adito a seguito del rigetto dell'opposizione all'ingiunzione, o sperimentando un giudizio ordinario di ripetizione di indebito per le conseguenti pretese restitutorie, ne risulterebbe evidentemente moltiplicato il numero dei processi e dei giudici chiamati a conoscerne, ed anche probabilmente leso l'auspicio di certezza, tipico delle gestioni condominiali.

V. Attese, in definitiva, le difformità di pronunce delle sezioni semplici, nonchè la particolare importanza delle questioni di massima da decidere, anche alla luce di principi di diritto già enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte, il Collegio ritiene opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

 

 

P.Q.M.

La Corte dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2019.