Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 695 - pubb. 01/01/2007

Cessione dello stipendio, usura e truffa

Tribunale Mantova, 13 Ottobre 2004. Est. Aliprandi.


Contratto di finanziamento – Mandato alla riscossione – Azione di annullamento – Legittimazione passiva.

Chiamata in causa del terzo – Omissione – Conseguenze – Estinzione del processo.

Usura – Tasso soglia – Applicazione della legge nel tempo.



Il mandato a riscuotere un credito non trasferisce la titolarità del diritto al mandatario, neppure quando il mandato sia conferito nel suo esclusivo interesse. (Nella specie si è ritenuto che non fosse legittimato passivo dell'azione di annullamento e rescissione di contratti di finanziamento la compagnia di assicurazione che aveva stipulato tali contratti quale mandante di vari istituti di credito e ciò nonostante la mandataria fosse legittimata ad agire per la riscossione).

Nel rito vigente ante la novella del 1990, l'omessa chiamata in causa del terzo autorizzata dal giudice a' sensi dell'art. 269 c.p.c. - quando non imposta dalla necessità di integrare il contraddittorio - non comportava l'estinzione del giudizio ma solo la impossibilità giuridica di emettere la pronuncia richiesta.

Prima della entrata in vigore della legge n. 108/1996 sull'usura, priva di qualsiasi efficacia retroattiva, non poteva considerarsi usurario il tasso del 22-23% (TAEG).
Devono considerarsi conformi alla normativa all'epoca vigente i contratti di cessione di quote di stipendio stipulati nel periodo 1988-1992 a' sensi dell'art. 5 del D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, ove il debitore cedente si impegnava a restituire in 84 rate mensili un importo quasi doppio di quello ricevuto, comprensivo di interessi scalari all'8,5%, di commissioni, oneri assicurativi e provvigioni.


 


omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

       Con atto di citazione ritualmente notificato in date 16 e 17 novembre 1994, C. R. + 23 convenivano in giudizio S. B. e la Reale Mutua Assicurazioni s.p.a. esponendo:

- che nel periodo intercorrente tra il 1988 e il 1992 presso l’ufficio A. di Mantova era impiegato tale S. B. il quale, oltre che delle proprie mansioni, si occupava di procacciare prestiti ai dipendenti dell’azienda;

- che, in tempi diversi, i deducenti ed altri colleghi necessitanti di somme di danaro si erano rivolti al convenuto il quale aveva assicurato che avrebbe loro procurato il prestito ad un tasso annuo pari all’8 o 8,5%;

- che, atteso il rapporto fiduciario con il collega, erano stati firmati dei moduli in bianco e, solo nel 1992, i sottoscrittori avevano preteso di controllare copia dei contratti sino ad allora custoditi negli armadi dell’ufficio personale dell’A.;

- che, infine, i comparenti avevano verificato l’applicazione di un tasso scalare anticipato, sicché ad es. a fronte di un prestito di £. 11.040.309 erano stati restituiti £. 18.000.000 con un tasso di gran lunga superiore rispetto a quello concordato.

Fatta tale premessa in fatto, gli attori asserivano che il modulo di adesione era strutturato in modo poco comprensibile ad un soggetto medio e che gli stessi avrebbero potuto ottenere mutui rivolgendosi agli istituti di credito ad un tasso non superiore al 12%; chiedevano pertanto l’annullamento dei contratti per errore o dolo o, in via subordinata, la declaratoria di rescissione per lesione ultra dimidium.

       Si costituiva con comparsa S. B., il quale resisteva ed eccepiva:

- che l’azione di annullamento era prescritta con riferimento ad alcuni dei contratti stipulati dagli attori nel 1987, 1988 e 1989;

- che i contratti in oggetto (rectius: i conti di liquidazione) erano sempre stati a disposizione degli interessati e mai il deducente aveva nascosto le condizioni contrattuali necessarie per ottenere il mutuo con cessione del quinto dello stipendio, regolata dal D.P.R. 180/1950;

- che tutti gli oneri gravanti sull’operazione, previsti ex lege, erano chiaramente evincibili dal conto di liquidazione e il dipendente, solo dopo aver analizzato il conteggio, poteva sottoscrivere il contratto, sicché solo da quel momento era operata la ritenuta dallo stipendio mensile;

- che dunque era esclusa la possibilità di dolo o di errore ed anche a voler ipotizzare un interesse al 23%, come asserito da controparte, non sussistevano i presupposti per l’azione di rescissione.

       Si costituiva con comparsa la Reale Mutua di Assicurazioni, la quale resisteva e rilevava:

- che il tribunale adito non era competente per territorio in quanto nel contratto era previsto il foro esclusivo di Torino, il negozio si era perfezionato a Torino e le quote cedute avrebbero dovuto essere pagate a Torino;

- che, nell’operazione in discussione, la deducente aveva agito quale rappresentante dell’istituto di credito, circostanza chiaramente evincibile dai singoli contratti, sicché era carente di legittimazione passiva;

- che, nel merito, le domande attoree erano infondate poiché l’operazione si era svolta regolarmente e il cd. TAEG era conforme agli standard dell’epoca.

       Fallito il tentativo di conciliazione, in data 16.01.1998 il giudice riservava al merito la questione relativa all’incompetenza per territorio ed  autorizzava la chiamata in giudizio dei terzi, ossia gli istituti di credito indicati dalla Reale Mutua, ma l’incombente non era espletato da parte attrice; assegnato il termine perentorio per le deduzioni istruttorie, la controversia era assegnata alla sezione stralcio; all’udienza del 19.06.2000 l’avv. F. eccepiva l’estinzione del processo e, dopo una serie di rinvii assolutamente inconcludenti, il g.o.a. ammetteva le prove dedotte con ordinanza del 7.06.2001.

La lite era istruita mediante l’escussione dei testi L. P., P. U., S. Z., S. G., L. M. e con prova delegata a Torino per l’escussione della teste D. C.. Dopo altri (inutili) differimenti, il g.o.a. disattendeva la richiesta di C.T.U. e i procuratori delle parti precisavano le rispettive conclusioni all’udienza del 25.02.2004, trascritte in epigrafe ed era rimessa in decisione all’odierna udienza, previa sostituzione del giudice, giusta decreto emesso dal presidente del tribunale in data 10.09.2004 allegato al fascicolo d’ufficio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

       La domanda attorea non merita accoglimento.

In via preliminare, va disattesa l’eccezione di incompetenza per territorio, mentre va accolta quella di difetto di legittimazione passiva svolta dalla convenuta Reale Mutua Assicurazioni s.p.a.

Con riguardo alla prima eccezione, si rileva che nei contratti di cessione di quota di stipendio o salario, prodotti da parte attrice ai documenti 1 - 24, al punto 8, è previsto che “Per ogni controversia derivante dal presente contratto sarà competente l’Autorità Giudiziaria di Torino”, ma tale clausola nella sostanza non designa un foro esclusivo, in quanto non si evince dalla comune volontà delle parti l’esclusione degli altri fori ordinari e, in rito, è inefficace poiché non sottoscritta espressamente come imposto dall’art. 1341 c.c.

Dall’esame dei predetti contratti non vi è dubbio che le clausole uniformi siano state predisposte dall’istituto di credito cessionario e pertanto eventuali deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, aventi natura di clausola vessatoria, avrebbero necessitato della specifica approvazione.

A tali assorbenti rilievi, si aggiunga che il convenuto B. risiede nella circoscrizione del tribunale di Mantova.

Pare di converso fondata l’altra eccezione preliminare sollevata dalla Reale Mutua Assicurazioni s.p.a., ovvero la sua carenza di legittimazione passiva, attesa la sua veste di mera rappresentante di diversi istituti di credito, almeno con specifico riguardo alle azioni di annullamento dei contratti di finanziamento o di loro rescissione per lesione.

Nei contratti prodotti, infatti, si legge “Con la presente scrittura fra … - cessionario - istituto rappresentato dalla società Reale Mutua Assicurazioni e il sig … - cedente  … si conviene quanto segue…”; è quindi pacifico che l’odierna convenuta non sia parte sostanziale del contratto, ma una mera rappresentante dell’istituto bancario cessionario con poteri di riscossione delle rate prelevate dallo stipendio mensile del dipendente. Il cedente acconsentiva che l’Amministrazione o l’Azienda di lavoro prelevasse mensilmente sulla retribuzione la quota concordata e per il numero di mensilità fissato ed autorizzava la datrice a versare l’importo alla Reale Mutua, quale mandataria del cessionario. Alcuni contratti sono stati sottoscritti anche dalla banca mandante (Cassa di Risparmio di Asti, Banco di Sicilia, Cassa di Risparmio di Gorizia, Cassa di Risparmio di Lucca e Cassa di Risparmio di Alessandria) e dunque gli effetti negoziali non si sono prodotti in capo alla convenuta, nonostante la sussistenza di un interesse economico nell’operazione, ma in capo all’istituto bancario mandante e cessionario della rata di stipendio dei dipendenti odierni attori, unico legittimato passivo per le azioni di natura contrattuale.

Il mandato a riscuotere un credito, infatti, attribuisce al mandatario la legittimazione ad agire per la riscossione, ma non trasferisce la titolarità del diritto al mandatario, neppure quando il mandato sia conferito nel suo esclusivo interesse e solo il procuratore generale ad negotia, cui siano conferiti anche poteri di rappresentanza processuale, diviene titolare anche di una legittimazione processuale, peraltro non esclusiva rispetto a quella originaria del rappresentato (cfr. Cass. 11.01.2002 n. 314 e Cass. 9.07.1994 n. 6524).

In altri termini, le azioni di annullamento e/o di rescissione per lesione ultra dimidium dei contratti di finanziamento stipulati dagli attori dovevano necessariamente essere proposte nei confronti degli istituti di credito sopra menzionati, effettivi contraenti e parti sostanziali, e non già nei riguardi degli odierni convenuti, ai quali poterebbe essere imputata solo una responsabilità di natura extracontrattuale.

Accertata la carenza di legittimazione passiva con riguardo alle azioni contrattuali, ogni ulteriore questione, ad es. l’eccezione di prescrizione con riferimento ad otto contratti o l’estinzione del giudizio per la mancata chiamata degli effettivi contraenti risulta assorbita. Su tale ultimo aspetto, va rammentato tuttavia che il giudice aveva opportunamente autorizzato la chiamata in giudizio delle parti effettive, ma il procuratore dell’attrice non aveva dato corso all’incombente, adducendo l’onerosità dei costi; tale omissione, invero, non ha comportato l’estinzione del processo, come asserito dal procuratore della compagnia assicuratrice, ma solo l’impossibilità giuridica di emettere la pronuncia richiesta, posto che, nel vecchio rito, la chiamata in causa autorizzata dal giudice ai sensi dell’art. 269 c.p.c., purché non imposta dalla necessità di integrare il contraddittorio, restava nella libera disponibilità della parte interessata (cfr. Cass. 18.01.1995 n. 512). 

       Resta da vagliare la domanda risarcitoria, ad onor del vero piuttosto generica nei suoi presupposti fondanti e se il B. abbia in qualche modo posto in essere artifici o raggiri per indurre gli attori a stipulare i contratti in oggetto, percependo in tal modo un profitto rappresentato dalla provvigione. Invero, i contratti di cessione di quota appaiono del tutto conformi con la normativa vigente, ossia il D.P.R. 5.01.1950 n. 180. Il dipendente, per ottenere immediatamente una somma di danaro, si obbligava a cedere una quota del proprio stipendio ad un istituto bancario, rappresentato dalla Reale Mutua, per un numero di mensilità concordate. La presenza di una compagnia assicuratrice trova poi la sua giustificazione nell’art. 54 del citato decreto a mente del quale: Le  cessioni  di quote di stipendio o di salario consentite a norma del presente titolo devono avere la garanzia dell'assicurazione sulla vita  e  contro  i  rischi  di  impiego  od  altre  malleverie che ne assicurino  il ricupero nei casi in cui per cessazione o riduzione di stipendio o  salario o  per  liquidazione  di  un  trattamento  di quiescenza   insufficiente   non   sia   possibile  la  continuazione dell'ammortamento o il ricupero del residuo credito…..

A mero titolo esemplificativo, si consideri la posizione di I. T. (doc. 13 di parte attrice): questi si riconosceva debitore del cessionario della somma di       £. 33.600.000 e si impegnava a restituire l’importo, in cui erano compresi gli interessi scalari anticipati nella misura del 8,5%, mediante cessione pro solvendo, di parte della sua retribuzione mensile netta, e più in particolare mediante cessione di ottantaquattro quote mensili di £. 400.000 ciascuna. Al dipendente era quindi inoltrato il cd. conto di liquidazione (doc. 9 di parte convenuta) in cui a fronte del debito di £. 33.660.000, detratti gli interessi scalari pattuiti, la commissione bancaria, la rivalsa, gli oneri di assicurazione e la provvigione, erano anticipate solo £. 17.798.195. A ciascun conto di liquidazione era allegato il piano di ammortamento e, per le singole rate, era indicata la quota relativa agli interessi e quella per la sorte capitale.

A fronte del divario tra somma immediatamente percepita e quanto rimborsato, gli attori lamentavano di aver dovuto sostenuto costi ed interessi di gran lunga superiori a quelli che le banche avrebbero all’epoca praticati e che non erano stati informati degli oneri e del tasso particolarmente gravoso, per aver riposto fiducia nel B..

In merito all’ammontare degli interessi, le affermazioni degli attori sono invero rimaste prive di riscontro e non consta affatto che all’epoca dell’elargizione del finanziamento, le banche praticassero condizioni di gran lunga più favorevoli. In ogni caso, lo stesso art. 26 del citato D.P.R. dispone che gli interessi sono liquidati con metodo a scalare a tasso modificabile con apposito decreto presidenziale, da emanare su proposta del Ministero del Tesoro, e che sull’importo complessivo erogato andavano detratti le ritenute per spese di amministrazione e il premio rischi, in conformità all’art. 27. In definitiva, il T.A.E.G. applicato si aggirava attorno al 22, 23%, importo che al tempo di stipula degli atti - prima dell’entrata in vigore L. 108/96 priva di qualsiasi efficacia retroattiva - non poteva essere valutato quale usurario.

I contratti, appaiono, quindi formalmente rispettosi della normativa vigente e certamente non può essere questa la sede per vagliare la bontà o l’opportunità dell’operazione economica.

       Quanto alla condotta del B., va detto che lo stesso è stato  condannato dal Pretore di Mantova, con sentenza n. 408/99 depositata in data 28.09.99, del delitto di truffa per aver indotto i dipendenti della A. odierni attori, a stipulare i contratti de quibus con artifici e raggiri consistiti nella prospettazione di un interesse vantaggioso del 8, 8.5%, mentre in realtà era del 23%, percependo in tal modo la provvigione (doc. 25 di parte attrice) quale ingiusto profitto. Tale sentenza è stata impugnata e quindi l’accertamento in essa contenuto non può essere utilizzato in questa sede.

Quanto ad eventuali condotte fraudolente poste in esser dal convenuto, il teste L. P. si limitava a riferire di aver ricevuto due prestiti per il tramite del B., ma nulla riferiva in merito alle modalità di stipula del contratto; la teste P. U., segretaria dell’A., confermava che il B., anche nella qualità di presidente della Cassa di Mutuo Soccorso, era il punto di riferimento del personale, il quale era solito rivolgersi al convenuto per l’erogazione dei prestiti; il teste S. Z. confermava la veridicità del capitolato di parte convenuta; il teste S. G. riferiva di aver sottoscritto i moduli in bianco con la previsione che il B. li avrebbe poi compilati con calma, ma aggiungeva che la sottoscrizione avveniva dopo che era stata concordata l’entità del prestito e che comunque con il convenuto vi era sempre stato un rapporto fiduciario; il teste L. M. narrava che il B. aveva fatto firmare a qualche attore il modulo firmato in bianco impegnandosi a compilarlo secondo gli accordi (cap. 10). La teste D. C., escussa per rogatoria, dichiarava che era prassi della Reale Mutua inoltrare ai produttori, tra cui il convenuto e di lui figli, tutta la modulistica necessaria ed in particolare la proposta di contratto, e che poi tali moduli dovevano ritornare completi nei loro elementi essenziali, ossia con l’indicazione della quota di stipendio ceduta e il numero delle quote per poter calcolare l’entità del finanziamento erogabile; aggiungeva la teste che al limite la compagnia completava i dati mancanti, ossia l’indicazione del tasso di interesse e il nome della banca cessionaria.

       Data sommaria contezza delle emergenze di lite, invero, a parere di questo giudice, non è possibile individuare specifiche condotte illecite ascrivibili a S. B., da cui poter desumere l’esistenza di un danno ingiusto per gli odierni attori.

Non consta in primis che il B. abbia indotto gli attori a stipulare i contratti di finanziamento in assenza di qualsiasi loro volontà, ma anzi dall’istruttoria  emerge l’esatto contrario, e comunque la normale pubblicità al proprio prodotto, anche con l’aspettativa di percepire un guadagno da provvigione, appare del tutto lecita. La misura del tasso di interesse calcolata con metodo a scalare è predeterminata dalla legge, così come gli oneri e le spese di gestione e non è verosimile pensare che gli attori non conoscessero le condizioni del contratto ed anche, a voler ipotizzare la sottoscrizione di moduli in bianco, non risulta neppure che vi sia stato un riempimento dei contratti in oggetto sine pactis o contra pacta.

In conclusione, a parere dell’odierno decidente, l’istruttoria non consente di enucleare specifiche condotte fraudolente del B. tali da indurre in errore un numero così elevato di colleghi sulla bontà dell’operazione economica: da un lato, infatti nessuno degli attori contesta di aver voluto accedere a tale forma di prestito e di aver concordato esattamente il numero di rate e di quota di stipendio ceduta e, dall’altro, come sopra visto, e a prescindere dall’iter di formazione del contratto su cui la prospettazione delle parti diverge, il contenuto dell’accordo è in gran parte predeterminato dalla legge.

       La domanda attorea va quindi disattesa, dando atto che R. A., costituitasi nel processo penale, non ha coltivato le domande per aver trasferito l’azione civile nel processo penale; conseguentemente il processo civile deve essere dichiarato estinto nei suoi confronti anche in via officiosa (cfr. Cass. 14.05.2003 n. 7396).

       Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.