CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 30/07/2018 Scarica PDF

L'enigma del concordato con riserva nella bozza del Codice della Crisi e dell'Impresa

Giuseppe Bozza, Presidente Emerito del Tribunale di Vicenza


Sommario: 1-Lo scenario attuale; 2-Lo scenario futuro. La domanda di concordato con riserva; 3-Lo scenario futuro. I poteri del tribunale; 4-Alcune conseguenze della nuova costruzione legislativa; 5-Tentativo di ricostruzione del sistema.

 

   

1-Lo scenario attuale

Il concordato con riserva, come è noto, è stato introdotto con d.l. del 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella l. 7 agosto 2012, n. 134 e tale istituto ebbe un immediato enorme successo in quanto attribuiva al debitore il potere di anticipare l'automatic stay alla data di deposito del ricorso, senza che fosse ancora formulata una proposta al ceto creditorio e che fosse esposto il piano di soluzione concordata della crisi, nel mentre contestualmente il debitore continuava a gestire la propria attività senza la presenza e la vigilanza di un commissario; tanto che il legislatore dovette intervenire alla distanza di meno di un anno, con il d.l. 21 giugno 2013, n. 69 convertito dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, per evitare che il concordato in bianco fosse utilizzato non per raggiungere le finalità che il legislatore si prometteva di anticipare la ristrutturazione delle imprese in crisi, ma per ritardare la dichiarazione di insolvenza di imprese già destinatarie di istanze di fallimenti.

Con l’intervento del 2013 il legislatore ha in gran parte sopperito a queste carenze. In primo luogo, infatti, ha rafforzato l’obbligo di imporre al debitore di rendere informazioni periodiche passando dall’evanescente “dispone” rivolto al giudice al ben più stringente “deve disporre” obblighi informativi, il cui contenuto, ovviamente, va modellato caso per caso dal tribunale in relazione alla concreta situazione ma dovrà comunque essere conforme alle indicazioni fornite dal legislatore. Di conseguenza, alla luce dell’attuale normativa, tali obblighi devono avere una cadenza mensile, per cui il tribunale può fissare una periodicità inferiore al mese, ma non superiore, e comprendono non solo le informazioni relative alla gestione finanziaria dell'impresa, ma anche quelle relative “all’attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano; inoltre il debitore deve depositare mensilmente una situazione finanziaria dell'impresa, senza necessità di ampliarla, quindi, ai dati economico patrimoniali, la quale deve essere pubblicata nel registro delle imprese a cura del cancelliere entro il giorno successivo al deposito, indipendentemente da una disposizione del tribunale, in modo da consentire ai creditori- e più in generale a qualunque interessato- di conoscere lo stato attuale della situazione finanziaria dell'impresa e la sua evoluzione periodica, così da poter valutare l'andamento dell'impresa soprattutto nel caso in cui vi sia continuità aziendale.

Sono state previste sanzioni in caso di violazione di tali obblighi. Anche a questo scopo si appalesano utili gli altri strumenti di controllo dati ora al tribunale, quale quello della messa a disposizione del commissario e del giudice delle scritture contabili, attuato con il richiamo e l’estensione anche alla fase del pre concordato del secondo comma dell’art. 170, nonché quello che consente al tribunale di sentire in ogni momento i creditori, ove l’inciso “in ogni momento” fa capire che tale facoltà non è limitata a sanzionare soltanto l’ipotesi di manifesta inidoneità dell'attività svolta dal debitore nella predisposizione del piano e della proposta, ma ha una portata generale di fonte di ulteriore conoscenza e informazione.

Tuttavia, la disposizione che, a giudizio di tutti, ha contribuito, più di altre, a porre un freno all’utilizzo disinvolto, per non dire abusivo, dello concordato in bianco è quella che ha previsto la facoltà della nomina di un commissario[1], attraverso il quale il tribunale può verificare il comportamento del debitore e, in particolare, cosa effettivamente il debitore stia facendo per la finalizzazione del piano e della proposta (ovvero delle trattative funzionali ad un accordo di ristrutturazione) e quante siano le possibilità di esito positivo; e questo spiega perché nella prassi, benchè la nomina non sia obbligatoria, gli uffici facciano ampio uso di tale facoltà, proprio perché avere un collaboratore corrisponde ad effettive esigenze di trasparenza, anche in funzione delle maggiori informazioni acquisibili in vista di autorizzazioni future.

I poteri del commissario, che deve avere i requisiti di cui all’art. 28, infatti, non sono pochi. Egli, invero, ha il compito di:

a- consultare i libri contabili del debitore, giusto il richiamo al secondo comma dell’art. 170;

b-verificare se l’imprenditore ha tenuto o tiene una delle condotte descritte dall’art. 173 (occultamento o dissimulazione di parte dell’attivo, commissione di atti di frode ai creditori, etc.), al fine di riferirne al tribunale, il quale può, sulla base di tale informativa, aprire il procedimento che si svolge nelle forme dell’art. 15, al fine di dichiarare l’improcedibilità della domanda di concordato, ed, eventualmente, il fallimento, se vi è istanza in tal senso da parte di uno dei soggetti legittimati (anche a questo scopo, come si diceva, è stato disposto che il debitore alleghi alla domanda anche l’elenco dei creditori e dei rispettivi crediti);

c- esprimere il proprio parere sul compimento degli atti di straordinaria amministrazione, che l’imprenditore chiede al tribunale di autorizzare;

d-vigilare sull’adempimento da parte del debitore degli obblighi informativi e sull’andamento della predisposizione della proposta e del piano, nel senso che vigila se effettivamente il debitore si sta adoperando per la predisposizione di quanto necessario per presentare nel termine la domanda di concordato, ma non può in alcun modo partecipare direttamente o indirettamente alla formazione del piano o della proposta o sulle trattative con i creditori.

Si capisce, allora, che la domanda di concordato con riserva non si esaurisce in una semplice richiesta di concessione di un termine, ma individua una fase dell’unica procedura concordataria, giacchè il concordato con riserva è, ad ogni effetto, parte integrante della procedura di concordato preventivo, che inizia, come emerge dal tenore letterale dell'art. 161, comma 6, l.f., con la presentazione del “ricorso contenente la domanda di concordato”, ma non anche la proposta, il piano e altra documentazione; tuttavia, già questa domanda iniziale contiene l’espressione della volontà del debitore di voler accedere alla procedura di concordato e, non essendo ancora pronte la proposta e il piano, questi chiede un termine per approntare quanto necessario. Entro tale termine, infatti, il debitore non presenterà un’altra domanda di concordato, ma si limiterà a depositare la proposta, il piano e la relativa documentazione; è vero che alla scadenza del termine può presentare una domanda di ristrutturazione, ma questa è una eventualità alternativa consentita al debitore che ha intrapreso il percorso concordatario, posto che se questi vuole anticipare gli effetti della omologa dell’accordo di ristrutturazione può seguire la procedura di cui ai commi sesto e settimo dell’art. 182bis.

Solo in questo modo si spiegano:

a-il richiamo sia nel comma sesto che nel comma ottavo dell'art. 161 al regime di inammissibilità propri della procedura di concordato preventivo di cui all'art. 162, commi 2 e 3 l.f.. Invero, l’art. 161, nel momento in cui nel comma sesto richiama l’applicazione del secondo e terzo comma dell’art. 162 per sanzionare con la inammissibilità la domanda nel caso che alla scadenza del termine concesso il debitore non presenti la proposta e il piano di concordato né una domanda ai sensi dell’art. 182bis, oppure quando nel comma ottavo fa lo stesso richiamo in caso di violazione degli obblighi informativi, evidenzia che, essendo stata la domanda di concessione del termine già esaudita, la inammissibilità riguarda la domanda di concordato presentata, ma non ancora completata di tutti i suoi elementi, così come viene dichiarata inammissibile la domanda di concordato pieno qualora si accerti che non ricorrono i presupposti di cui agli articoli 160, commi primo e secondo.

b-l’applicazione già in questa fase dell’art. 173, per cui, a seguito della iniziativa del commissario si apre d’ufficio lo stesso procedimento che segue alla medesima iniziativa del commissario nel concordato pieno, che si svolge nelle forme di cui all'art. 15, solo che questo nel concordato pieno può sfociare nella revoca dell’ammissione e nel concordato in bianco nella improcedibilità della domanda di concordato, mancando un provvedimento di ammissione, che può seguire alla presentazione della proposta, del piano e della relativa documentazione. L’effetto è lo stesso della cessazione della procedura e, in entrambi i casi, può essere dichiarato il fallimento su richiesta dei soggetti legittimati ove il tribunale accerti la ricorrenza dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5.

c-l’immediatezza della produzione degli effetti tipici della domanda di concordato pieno fin dalla pubblicazione del ricorso per concordato in bianco nel registro delle imprese: dal blocco delle azioni esecutive e cautelari all’applicazione della normativa fallimentare richiamata dall’art. 169, dalla sospensione delle procedure per la copertura delle perdite del capitale sociale e inoperatività della norma che prevede come causa di scioglimento la perdita del capitale sociale al di sotto del minimo legale alla sospensione o scioglimento dei contratti pendenti, dalla possibilità di contrarre finanziamenti prededucibili a quella di effettuare pagamenti di crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi strategici e funzionali alla continuità aziendale, e così via.

Non a caso, quindi, al ricorso per concordato con riserva il debitore deve allegare l’elenco nominativo dei creditori in modo da consentire al tribunale di avere fin da subito una situazione aggiornata dei debiti dell’imprenditore, non facilmente reperibili nei bilanci, sia perché da questi non sempre è ricavabile l'indicazione nominativa analitica dei creditori, spesso aggregati per categoria e tipologia di credito, sia perché essi, dato che i tempi di riferimento e di approvazione non possono essere attuali. Non a caso, lo stesso debitore è tenuto fin dall’inizio agli obblighi informativi periodici che si giustificano solo in ottica di vigilanza da parte del tribunale prima, ed ora da parte del commissario, e gli atti di straordinaria amministrazione sono soggetti ad autorizzazione in termini addirittura più restrittivi di quelli autorizzabili ex art. 167 l.f., per essere accompagnati dal carattere della “urgenza”.

Questa descrizione, seppur sintetica, del dell’attuale disciplina del concordato con riserva evidenzia con sufficiente chiarezza:

a-che il termine di cui al sesto comma dell’art. 161 l. fall. è concesso su richiesta del debitore, posto che tale norma dispone che “L'imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice, compreso fra …”;

b-che il termine di cui si parla nel sesto comma dell’art. 161 è completamente diverso da quello cui si accenna nel primo comma dell’art. 162, posto che il primo, compreso fra sessanta e centoventi giorni prorogabili, è dato su richiesta del debitore per presentare la proposta, il piano e la documentazione, nel mentre il secondo non superiore a quindici giorni è concesso dal tribunale d’ufficio per consentire al debitore per apportare integrazioni al piano già presentato e produrre nuovi documenti.

   

2-Lo scenario futuro. La domanda di concordato con riserva

Quest’ultima puntualizzazione ci introduce nel mondo costellato di misteriose ambiguità- di norme, cioè, oscure, difficili da spiegare e coordinare- che avvolgono la figura del concordato con riserva nelle bozze del nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza (in seguito CCI), redatte in attuazione della legge delega n. 155 del 2017, al punto da far dubitare del mantenimento di tale istituto, dato che, da un lato, sparisce l’iniziativa del debitore a chiedere il termine per presentare la proposta, il piano e la documentazione e, dall’altro, permane la facoltà[2] per il tribunale di concedere egualmente un termine per depositare tale documentazione; e questo è solo l’inizio di un percorso che man mano che si procede diventa sempre più contorto e costellato di dubbi che non trovano risposte, tanto meno nella Relazione di presentazione della bozza del CCI del 22 dicembre 2017, che tace completamente sulla figura del concordato in bianco.

Ma andiamo per ordine.

In nessuna parte della disciplina generale delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza è contemplata la possibilità che l'imprenditore possa- come prevede l’attuale comma sesto dell’art. 161- depositare un “ricorso contenente la domanda di concordato riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione” entro un termine fissato dal giudice. Invero, il primo comma dell’art. 41 dispone che “La domanda di accesso a una procedura regolatrice della crisi o dell’insolvenza prevista dal presente Codice è proposta con ricorso del debitore” e l’art. 44 che “il ricorso deve indicare l'ufficio giudiziario, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni ed è sottoscritto dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore munito di procura”.

Quest’ultima potrebbe apparentemente consentire una domanda di concordato con riserva, ma è da tenere conto che l’art. 44 tratta del procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, per cui quella riportata è una norma che contiene i dati essenziali e indispensabili (l’organo cui è rivolta, il petitum, la causa petendi, le conclusioni e la sottoscrizione) che qualsiasi domanda deve avere per accedere ad uno degli istituti che la legge prevede, ma non è essa stessa indicativa della previsione della possibilità per il debitore di presentare una domanda di concordato con riserva.

Significativo è l’attuale sistema, nel quale, solo dopo la riforma del 2012 che ha introdotto, con la distinzione e la scissione- fino a quel momento estranea all’ordinamento - tra domanda, proposta e piano, il concordato con riserva, si è posto il problema delle caratteristiche formali che dovesse avere il ricorso introduttivo e, mancando una norma generale del tipo di quella dell’art. 44 del CCI, fu necessaria, dopo i primi momenti di euforica utilizzazione del concordato in bianco, una ricostruzione del meccanismo introduttivo che, muovendo dalla considerazione che si trattava di una domanda giudiziale, dovesse avere tutti i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c., ora elencati nell’art. 44, nonché di tutti quegli altri elementi che permettessero al tribunale di verificare la ricorrenza in capo al richiedente dei requisiti per accedere alla nuova procedura di concordato; e, cioè, la regolarità formale del ricorso, la legittimazione del richiedente e la competenza dell’autorità adita. A nessuno era mai venuto in mente di presentare, prima della modifica legislativa dell’art. 161 l.f. del 2012, una domanda al giudice di concessione di un termine per formulare la proposta, il piano concordatario e mettere insieme la necessaria documentazione, e se qualcuno lo avesse fatto, una tale domanda sarebbe stata dichiarata inammissibile perché la legge non prevedeva la scissione tra domanda proposta e piano.

Intendo dire che, il petitum di una domanda di accesso ad una procedura presuppone che ciò che si chiede al giudice sia previsto dall’ordinamento, per cui è prima necessario stabilire se il CCI prevede la possibilità per il debitore di presentare una domanda dal contenuto simile a quella di cui all’attuale sesto comma dell’art. 161 e poi, in caso affermativo, può dirsi che il debitore può, nel ricorso rivolto al giudice, indicare un petitum che si riconnetta alla previsione normativa, e non il contrario; altrimenti per il fatto che la procedura inizia con un ricorso che deve avere un petitum si ammette la possibilità di colorare questo come si crede presentando qualsiasi domanda.

Né può dirsi che, essendo ormai entrata nel nostro sistema giuridico la distinzione tra domanda, proposta e piano, il legislatore non aveva la necessità di formulare una esplicita previsione simile a quella dell’attuale sesto comma dell’art. 161, rientrando questa in quel procedimento unitario predisposto per l’accesso ad una qualunque delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza di cui agli artt. 41 e segg. Tra queste è sicuramente compreso il concordato preventivo, ma la previsione della domanda di concordato pieno (completa, cioè, della proposta, del piano e della documentazione) non implica la possibilità di presentare anche una domanda di concordato con riserva. Questo, infatti, costituisce una anomalia procedurale in quanto consente al debitore di presentare una domanda di concordato senza contemporaneamente fornire al tribunale e ai creditori elementi idonei ad individuare l’offerta che egli intende fare a questi ultimi, né le modalità attraverso cui realizzare la stessa (ossia la proposta e il piano che, anche nel nuovo concordato, sono elementi indispensabili), ottenendo la sospensione delle procedure esecutive e cautelari, automatica o a seguito di intervento del giudice, come si vedrà. Di conseguenza non può ritenersi tacitamente riprodotta la possibilità per il debitore di depositare la sola domanda di concordato preventivo, con riserva di allegare la proposta, il piano e la restante documentazione entro un termine da fissare, per il fatto che la legge preveda la iniziativa del debitore a proporre un concordato pieno ai propri creditori.

Peraltro, se così non fosse, la eventuale domanda di preconcordato risulterebbe sfornita di qualsiasi documentazione perché non vi è una norma che stabilisca, come fa oggi il sesto comma dell’art. 161, che il debitore debba presentare almeno i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti, né una norma che ponga, come oggi fa il nono comma dell’art. 161, il divieto di ripetere la domanda in un certo arco di tempo.

Per la verità l’art. 43 del CCI, che descrive la documentazione che “il debitore che chiede l’accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza deposita” (rectius, deve depositare[3]) presso il tribunale, elenca, tra l’altro, i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e l’elenco nominativo dei creditori, ma richiede anche la produzione delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti ovvero l'intera esistenza dell'impresa o dell’attività economica o professionale, se questa ha avuto una minore durata, una relazione anche in formato digitale “sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata, uno stato particolareggiato ed estimativo delle sue attività”, l'elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso e l'indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto, un’idonea certificazione sui debiti fiscali, contributivi e per premi assicurativi… “ e “ una relazione riepilogativa degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel biennio anteriore”.

E’ la stessa documentazione, con alcune implementazioni, richiesta dall’attuale secondo comma dell’art.161, per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, ad esclusione del piano e dell’attestazione perché di questi documenti si parla, come si vedrà, nella parte specifica dedicata al concordato. Documentazione sovrabbondante rispetto alla domanda di concordato con riserva e incompatibile, anzi, con la funzione di immediata protezione che chi intende avvalersi di tale strumento si propone di raggiungere, in attesa di approntare, tra l’altro, questa documentazione. Né è ipotizzabile che il debitore, a seconda della domanda che propone, possa, tra i vari documenti indicati dall’art. 43, scegliere quelli che ritiene opportuni e utili al suo caso, sicchè, ove presenti un ricorso per concordato con riserva, possa allegare solo quelli di cui dispone, riservandosi di presentare gli altri nel termine concesso, perché l’art. 43 non è lo scaffale di un super market documentale da dove ciascuno sceglie i documenti che vuole per il suo fabbisogno, ma è la norma che, nel prospettare gli “obblighi del debitore che chiede l’accesso a una procedura regolatrice della crisi o dell’insolvenza”, elenca, tra tali obblighi a carico di chi chiede l’accesso a una di tali procedure, la documentazione da depositare in tribunale. Ossia, per accedere a qualsiasi procedura regolatrice della crisi o dell’insolvenza il debitore è tenuto a presentare l’intera documentazione elencata nell’art. 43, che è incompatibile, come detto, con un ricorso al concordato con riserva.

Né, infine, si rinviene nella disciplina specifica del concordato preventivo (artt 89 e segg.) una qualche norma che accenni alla possibilità per il debitore di proporre una domanda di concordato con richiesta di un termine per presentare la proposta, il piano e la documentazione; anzi, al contrario, l’art. 90, che tratta dei presupposti per l’accesso alla procedura, stabilisce, al secondo comma, che ”la proposta deve fondarsi su un piano che abbia concrete possibilità di realizzazione e presenti i requisiti previsti dall’articolo 92”, e quest’ultimo chiarisce che “il debitore presenta (deve presentare), con la proposta di concordato e unitamente alla documentazione prevista dall’articolo 48 (rectius, art. 43), un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta”, cui seguono altre indicazioni sul contenuto del piano.

In sostanza, il CCI contempla un’unica domanda di accesso al concordato, senza prevedere, come accade oggi, che il debitore possa chiedere un termine in attesa di presentare la proposta, il piano e la documentazione, facendo contestualmente scattare l’automatic stay, per cui è logico dedurne che, come accadeva prima della riforma del 2012- che ha introdotto la figura del concordato con riserva- quell’unica tipologia di domanda di concordato che il debitore può presentare sia quella di concordato pieno, corredata della proposta, del piano e della documentazione.

   

3-Lo scenario futuro. I poteri del tribunale

La omessa previsione di una domanda di preconcordato, per la verità, non evocherebbe alcun mistero se fosse chiaro che corrisponde alla effettiva volontà del legislatore di espungere dal nostro ordinamento la figura del concordato con riserva, ma questa chiarezza, che sarebbe tanto più indispensabile sulle questioni processuali, manca.

Manca, in primo luogo, perché escludere che il debitore possa presentare un ricorso analogo a quello oggi previsto dal sesto comma dell’art. 161 va contro il dettato della legge delega che, seppur in modo indiretto, contempla il mantenimento del ricorso per concordato con riserva, lì dove, nell’art. 6, comma 1, lett. d) prevede sia attribuita la prededuzione, tra l’altro, ai “crediti dei professionisti sorti in funzione del deposito della domanda, anche ai sensi dell’art. 161, sesto comma, del regio decreto 16 marzo 1942 n. 267…”.

Ma, principalmente, la chiarezza manca perché, quando si passa ad esaminare il successivo iter processuale di quell’unica domanda per l’accesso ad una procedura regolatrice della crisi o dell’insolvenza che, come visto, il debitore può presentare, ci si accorge che il tribunale ricupera i poteri tipici della concessione del termine ai sensi del sesto comma dell’art. 161 l.fall.

Invero, l’art. 45 dispone che “il tribunale con decreto convoca le parti non oltre trenta giorni dal deposito del ricorso” cui seguono altre disposizioni, e, a norma dell’art. 48, co. 1 lett. a), “all’udienza il tribunale, sulla domanda del debitore di accedere a una procedura di regolazione concordata, fissa un termine perentorio compreso tra trenta e sessanta giorni, prorogabile su istanza del debitore, in presenza di giustificati motivi e in assenza di domande per l’apertura della liquidazione giudiziale, di non oltre trenta giorni, entro il quale il debitore deposita la proposta, il piano e la documentazione nel concordato preventivo oppure l’accordo di ristrutturazione dei debiti”.

Questo termine che il tribunale “fissa” (e l’utilizzo di verbo fissare, al posto di concede un termine, è indicativo che l’iniziativa è del tribunale che, appunto, fissa un termine e non concede qualcosa che è stato chiesto) a seguito della presentazione da parte del debitore della domanda di concordato, non è, quindi, un termine per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti, come nell'attuale previsione del primo comma dell'art. 162 nel caso in cui il tribunale ritenga che siano incomplete la proposta, il piano o altra documentazione (facoltà, peraltro, non presente nel CCI), ma un termine come quello dell’attuale previsione del sesto comma dell’art. 161, tant’è che l’art. 48 prosegue riprendendo la disciplina di questa norma, dal sesto comma in poi (nomina, obbligatoria, e non più facoltativa, del commissario giudiziale, che deve riferire immediatamente al tribunale su ogni atto di frode ai creditori; disposizione di obblighi informativi periodici, relativi alla gestione economica, patrimoniale e finanziaria, che il debitore deve assolvere mediante relazioni da depositarsi presso la cancelleria del tribunale, la cui violazione può dar luogo, su segnalazione anche del commissario alla revoca del termine, e così via); con l’accentuazione di alcuni poteri di indagine in capo al commissario e riconoscimento a costui del diritto al compenso, dato che, come si vedrà, è previsto il versamento da parte del debitore, entro un termine perentorio, di una somma proprio allo scopo di assicurare il pagamento del compenso del commissario. Inoltre l’art. 50 richiede l’autorizzazione del tribunale per il compimento degli atti urgenti di straordinaria amministrazione, pena, in difetto, la revoca della concessione del termine disposto ai sensi dell’articolo 48 e la inefficacia degli atti compiuti, ed in questo contesto, la norma precisa che la “domanda di autorizzazione contiene (deve contenere) le idonee informazioni sul contenuto del piano o sulle trattative in corso; l’art. 51 chiarisce, poi, che il tribunale decide sull’apertura del concordato “a seguito del deposito del piano e della proposta di concordato”, ecc..

Da quanto esposto, quindi, si ricava che non è previsto che il debitore possa proporre una domanda di concordato con richiesta di concessione di un termine per presentare la proposta, il piano ecc., ma è previsto che il tribunale, sulla domanda di accesso alla procedura di regolamentazione concordata fissi un termine per presentare detta documentazione.

Si potrebbe dire che il potere dato al tribunale comporta l’implicito riconoscimento della legittimazione del debitore a presentare un ricorso corrispondente a quello attualmente previsto dal sesto comma dell’art. 161, di modo che il tribunale, quando riscontra che il debitore, sebbene la legge non lo preveda espressamente, abbia comunque depositato un ricorso per concordato privo della proposta del piano e della documentazione, concede un termine per presentare tali documenti.

Tale spiegazione è, però, poco convincente perché fondata sull’erroneo presupposto che ciò che non è vietato è permesso, nel mentre nel campo processuale è la legge che stabilisce i comportamenti delle parti, con la conseguenza che quelle domande non previste dalla legge non sono consentite, sicchè se egualmente proposte vanno dichiarate inammissibili; anche perché ogni comportamento processuale genera effetti che vanno disciplinati, altrimenti si creano quei vuoti di cui si dirà.

Inoltre, non è privo di significato ermeneutico il fatto che attualmente sia espressamente contemplata l’iniziativa del debitore diretta a chiedere un concordato in bianco, di tal che, se questo potere non viene riproposto nella nuova disciplina, diventa logico presumere che sia stato abolito e, quindi, è una forzatura farlo riemergere implicitamente attraverso il potere dato al tribunale di fissare un termine.

L’equivoco continua nella parte speciale perché nell’art. 104, co. 1 si parla di domanda di accesso di cui all’art. 48, e nell’art. 105 co.1, del “debitore che presenta domanda di concordato ai sensi degli articoli 48 e 92”, come a dire, con il richiamo dell’art. 48, che il debitore possa presentare una domanda analoga a quella oggi prevista dal sesto comma dell’art. 161, e, con il richiamo dell’art. 92 una domanda di concordato pieno; ma, nonostante questi e qualche altro riferimento, il dato inconfutabile è che l’art. 48 stabilisce ciò che fa il tribunale all’udienza fissata a seguito della “domanda del debitore di accedere a una procedura di regolazione concordata” e non quale sia il contenuto della domanda del debitore (che come si è detto non è indicato neanche negli articoli precedenti). L’art. 48, cioè, si pone ex parte judicis e non ex parte debitoris, per cui è concettualmente errato parlare di domanda presentata ai sensi dell’art. 48 per indicare la domanda di concordato con riserva.

 

4-Alcune conseguenze della nuova costruzione legislativa

Coerentemente con la conclusione raggiunta, secondo cui il futuro sistema non prevede un ricorso assimilabile a quello contenuto nell’attuale sesto comma dell’art. 161 ma consente al tribunale di emettere i provvedimenti che tale comma e quelli successivi contemplano, il novello legislatore si è preoccupato principalmente di stabilire quali sono gli effetti derivanti dalla concessione del termine da parte del tribunale (cfr. artt. 48 e 50) e non quelli discendenti da una domanda in tal senso, non essendo questa considerata, nel mentre ha preso in considerazione alcuni effetti collegati alla presentazione della domanda di concordato pieno.

Ed anche sotto questo profilo i misteri non sono pochi.

Prendiamo, ad esempio, il divieto delle azioni esecutive e cautelari previsto dall’attuale primo comma dell’art. 168 l.fall. ed esteso anche al concordato con riserva. Per la verità neanche nell’attuale sistema l’art. 168 è riferito al concordato con riserva in quanto dettato per la domanda di concordato pieno, ma il fatto che questa norma non distingua tra il ricorso per accedere al preconcordato o al concordato, entrambi regolati dall’art. 161, e che, come detto, il ricorso per il concordato in bianco contenga già esso una richiesta di accesso al concordato, comporta l’estensione di tale disposizione anche alla figura del preconcordato. Peraltro non va dimenticato che l’attuale legge fallimentare è frutto di periodici continui e scoordinati interventi legislativi che hanno introdotto figure nuove, come quella del concordato con riserva, in un tessuto preesistente- che, per restare sul tema, già prevedeva l’art. 168 , per cui è inevitabile attuare un coordinamento che, in un nuovo sistema che ha l’ambizione di riscrivere l’intera disciplina della crisi e dell’insolvenza dovrebbe essere effettuato dal legislatore e in modo chiaro.

Ed, invece, mancando nel CCI la previsione di una domanda equiparabile a quella di cui al sesto comma dell’art. 161 ora vigente, diventa difficile estendere alla domanda non contemplata dalla legge gli effetti collegati alla domanda di concordato pieno; bisogna prima superare l’ostacolo della omessa previsione per poi argomentare che l’effetto protettivo per il patrimonio del debitore è un aspetto tipico della concorsualità che non consente, a tutela dell’interesse comune da perseguire, che ciascun creditore possa conservare l’iniziativa di agire sui beni del debitore che, nel momento in cui chiede ai creditori un sacrificio già specificandone i contorni o riservandosi di specificarli ha necessità di attuare l’automatic stay completo, allo scopo di evitare la disgregazione del patrimonio e assicurare la realizzazione del piano futuro o già presentato.

Ma il fatto è che nel CCI non vi è una norma corrispondente all’attuale primo comma dell’art. 168, né nella parte generale né nella parte specifica dedicata al concordato, a differenza della liquidazione giudiziale ove l’art. 155 riproduce l’attuale art. 51.

Nella prima parte, invero, si trova solo l’art. 58 che prevede che, nel corso del procedimento unitario di cui all’art. 45, il tribunale, su richiesta del debitore o di coloro che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull’impresa o dei creditori “può disporre anche il divieto di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore e dell’impresa, indicandone la durata”. Si tratta, come si vede, di misure protettive disposte dal giudice e non operanti automaticamente, sicchè, fin quando non interviene un apposito provvedimento del giudice, i creditori, nel corso del procedimento per la decisione sulla domanda di concordato, sia esso pieno che con riserva, potranno agire sul patrimonio del debitore. Non solo, ma il provvedimento del tribunale ha una durata prestabilita dallo stesso, salvo successiva conferma in occasione del giudizio di omologazione o successiva revoca, ove emergano atti di frode (art. 59 co. 4 e 5).

E’ pur vero che quando non ci sono istanze per l’apertura della liquidazione giudiziale, il tribunale può concedere il termine di cui all’art. 48 anche fuori udienza (art. 48, co. 3), dal che comprensibilmente si può ritenere che anche le misure protettive possano essere emesse con una certa urgenza, ma quello che interessa sottolineare è che non essendo prevista l’automatica sospensione delle procedure esecutive e cautelari alla data di presentazione del ricorso, viene frustrato lo scopo primario del concordato con riserva, che è quello di venire incontro alla giusta esigenza di attuare l’automatic stay quando l’imprenditore, in grado di trovare una soluzione concordata della crisi, non riesce a predisporre tempestivamente misure di superamento della stessa per la pressione a cui è assoggettato da parte dei creditori più aggressivi; e proprio in presenza di istanze per l’apertura della liquidazione giudiziale, che è la situazione che più evidenzia la gravità della crisi, il tribunale, come visto, non può emettere una misura protettiva prima della convocazione delle parti.

Né si rinviene una norma simile a quella di cui al primo comma dell’art. 168 nella parte specifica destinata al concordato (artt. 89 e segg.). Probabilmente il principio del divieto delle azioni esecutive e cautelari può dedursi dall’art. 105, per il quale “Il debitore che presenta domanda di concordato ai sensi degli articoli 48 (questa dovrebbe essere la domanda di preconcordato non contemplata nell’articolo richiamato) e 92 può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista indipendente attesta ….”. Se il debitore per pagare alcuni creditori anteriori deve chiedere l’autorizzazione al tribunale, vuol dire che i creditori concorsuali non posso essere soddisfatti se non in sede concorsuale e, quindi, non possono neanche agire in via esecutiva o cautelare per ottenere il pagamento[4].

Se, però, questa deduzione è esatta, la regola tratta si porrebbe in contrasto con il richiamato disposto dell’art. 45 che, come detto, contempla misure protettive disposte dal giudice ed, in ogni caso, la domanda che viene spontanea è: posto che non avrebbe senso lasciare ai creditori la libertà di agire in via esecutiva e cautelare in pendenza di una procedura concorsuale, sia nella fase della pendenza del termine per presentare la proposta, il piano e quant’altro necessario, sia dopo l’apertura del concordato, perché non riprodurre una norma simile a quella dell’attuale art. 168, prevedendo interventi del giudice correttivi per limitare gli effetti nel tempo, come richiesto dalla legge delega?

In ogni caso si nota un recupero di sovranità giudiziaria, che raggiunge poi effetti sconcertanti quando si prevede, nel primo comma dell’art. 58, che “nel corso del procedimento previsto dall’articolo 45 (ossia in quel “procedimento unitario” di accesso ad una procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza), su istanza di parte, il tribunale può emettere i provvedimenti cautelari, inclusa la nomina di un custode dell’azienda o del patrimonio, che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente l’attuazione della sentenza che dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale o che omologa il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione dei debiti”. In tal modo il giudice può, su istanza (non si capisce bene di chi), privare il debitore, anche quello che ha presentato un piano per la continuità diretta, della gestione della sua azienda, che nel piano era evidentemente lo strumento per realizzare l’accordo concordatario, sulla base di criteri molto vaghi.

Un intervento così invasivo è concepibile nel caso delle proposte alternative per fronteggiare l’inerzia o addirittura l’ostruzionismo del debitore alla attuazione della proposta altrui (attuale art. 185 e futuro art. 123), ma non può essere permesso per realizzare la proposta dello stesso debitore dal momento che la sua inadempienza è già sanzionata con la risoluzione e senza, peraltro collegarlo a precise circostanze. Secondo la norma citata è, infatti, sufficiente una istanza di parte perché il tribunale possa emettere provvedimenti cautelari, compresa la nomina di un custode, che, a sua piena discrezionalità, appaiano i più idonei ad assicurare provvisoriamente l’attuazione della sentenza che omologa il concordato preventivo, da cui si può dedurre che il tribunale ha la più ampia libertà di stabilire quando un comportamento del debitore sia censurabile, quando incida sulla realizzazione del piano, ecc.; sanzioni così gravi richiederebbero, invece, una indicazione specifica e circostanziata delle condizioni in presenza delle quali possono essere emessi.

Le disposizioni dell’attuale art. 169 sono, invece richiamate dall’art. 101 del CCI (che amplia il richiamo anche all’art. 54 oggi vigente), per cui dovrebbe essere più agevole collegare al concordato con riserva (ove se ne riconosca l’ammissibilità) non solo gli effetti che il futuro art. 101 attribuisce alla domanda di accesso al concordato pieno, ma anche tutti quegli altri effetti (normativa sulle perdite del capitale sociale, scioglimento dei contratti pendenti, finanziamenti prededucibili, pagamenti di crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi strategici e funzionali alla continuità aziendale, ecc.) che oggi, per espressa disposizione o per deduzione, sono fatti conseguire al concordato in bianco, benchè dettati per il concordato pieno; resta comunque la difficoltà di far risalire ad una domanda non espressamente contemplata gli effetti dettati per una figura diversa.

In altri casi si nota un contrasto normativo difficilmente risolvibile. Invero l’art. 50, rubricato “Effetti del decreto di concessione dei termini per l’accesso al concordato preventivo o al giudizio per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione” dispone, al primo comma, che “Dopo il deposito della domanda di accesso e fino all’omologazione il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale”.

Come si vede, il periodo entro il quale è richiesta l’autorizzazione del tribunale per gli atti urgenti di straordinaria amministrazione va dalla data del deposito della domanda di accesso al concordato fino a quella della omologa, ma poi si trova nell’art. 99 una norma- sostanzialmente analoga a quella di cui all’attuale art. 167- per la quale dalla presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo e sino all’omologazione, il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale e tutti gli atti analiticamente indicati, nonchè “in genere gli atti eccedenti la ordinaria amministrazione, compiuti senza l'autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato”.

Si si dovrebbe ritenere che quest’ultima norma si riferisca alla fase concordataria successiva all’apertura della procedura, come l’attuale art. 167, nel mentre quella di cui all’art. 50 regoli il compimento di atti straordinari durante la pendenza del termine, come l’attuale comma settimo dell’art. 161, ma se è così, perché è stato eliminato il ricorso di cui all’attuale art. 161 comma sesto? perché nell’art. 50 si richiede l’autorizzazione per gli atti urgenti straordinari “fino alla omologa”, invece che fino al decreto di apertura del concordato pieno, come correttamente dispone l’attuale comma settimo dell’art. 161? Qual è il senso del richiamo nell’art. 50 agli atti urgenti, se questi possono essere autorizzati dal tribunale fino all’omologa?[5] Chi deve autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione dopo l’apertura del concordato e fino all’omologa: il tribunale, come prevede l’art. 50 o il giudice delegato, come prevede l’art. 99?

Alcuni di questi dubbi potrebbero essere risolti ritenendo che i nuovi conditores volessero riferire nell’art. 50 il termine dell’omologa alla domanda di accesso all’accordo di ristrutturazione e non al concordato, ma tale disposizione, che, secondo la rubrica, tratta degli effetti della concessione dei termini in entrambe queste procedure, nel corpo della norma non distingue tra domanda di accesso al concordato e domanda di accesso al giudizio di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, sicchè quando richiede l’autorizzazione del tribunale per gli atti urgenti di straordinaria amministrazione “fino alla omologa”, questo termine finale va riferito anche al concordato; di conseguenza, il regime di cui all’art. 50 vige fino alla omologa del concordato e non fino alla apertura del concordato pieno, come sarebbe stato logico ove fosse stata contemplata la possibilità per il debitore di presentare un ricorso contenente la domanda di concordato riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione entro il termine fissato dal giudice.

A ben vedere è proprio la mancata previsione di tale possibilità che genera i tanti interrogativi di cui si è parlato e le accennate incongruenze perché si è costruito uno scenario privo del suo iniziale e necessario presupposto, ed allora ritorna la domanda: volendo mantenere un sistema che consente la concessione di un termine per presentare proposta, piano e documentazione, perché non è stata riprodotta una disposizione simile a quella di cui all’attuale art. 161 comma sesto?

   

5-Tentativo di ricostruzione del sistema

Queste le critiche, ma a fronte di un nuovo testo normativo ancora in fieri è opportuno (e augurabilmente utile) che la pars destruens sia seguita da una pars construens che, abbandonate le obiezioni svolte e allargando le maglie del rigore interpretativo, cerchi di ricostruire un sistema che abbia una qualche coerenza.

Il dato imprescindibile da cui muovere nel fare questo tentativo è che, sebbene non sia prevista la facoltà per il debitore di chiederlo, il tribunale può concedere un termine per presentare la proposta, il piano o altra documentazione, con le conseguenze grosso modo corrispondenti a quelle previste dal sesto comma in poi dell’attuale art. 161 (nomina di un commissario, imposizione di obblighi informativi, autorizzazione atti straordinari urgenti, ecc.), per poi passare, al momento della presentazione di questi documenti, alla verifica delle condizioni per l’ammissione.

Questa potere dato al giudice non può che implicare, al di là delle pur fondate osservazioni mosse in precedenza, l’implicito riconoscimento della possibilità per il debitore di presentare un ricorso per concordato con riserva, altrimenti si arriverebbe al paradosso che il tribunale concede un termine per dar modo al debitore di presentare quella proposta, quel piano e quella documentazione che dovrebbero già fare parte del ricorso qualora si escluda che questi possa avanzare una richiesta di concordato con riserva.

Ed, infatti, l’art. 51 stabilisce che “A seguito del deposito del piano e della proposta di concordato, il tribunale, verificate le condizioni di cui agli articoli da 89 a 93, anche con riferimento alla fattibilità del piano e tenuto conto dei rilievi del commissario giudiziale, con decreto … “, segue la descrizione del contenuto del provvedimento di apertura[6].

Questa disposizione sembrerebbe risolutiva giacchè essa, quando dice che il tribunale decide sulla sussistenza dei requisiti per l’ammissione al concordato ”a seguito del deposito del piano e della proposta di concordato”, porta a ritenere che, ove il debitore presenti una domanda corrispondente a quella di cui all’attuale sesto comma dell’art. 161, il tribunale conceda il termine per presentare la proposta, il piano e quant’altro necessario, nel mentre, ove questi documenti siano già allegati al ricorso, il tribunale possa decidere direttamente sull’apertura o meno della procedura, senza concedere il termine di cui si discute; insomma l’art. 51 si riferirebbe alla sola ipotesi in cui sia stato concesso il termine di cui all’art. 48 e il tribunale decida a seguito del deposito del piano e della proposta di concordato.

Questa lettura, tuttavia, sarebbe corretta ove esistesse altra norma che indicasse i poteri del giudice quando è chiamato a decidere su una domanda completa di proposta, piano e documentazione, tale da non richiedere la concessione di un termine per produrli. Il fatto è, però, che la norma di cui all’art. 51 è l’unica che disponga cosa debba fare il tribunale al momento dell’apertura della procedura concordataria; ossia deve verificare la ricorrenza delle condizioni di cui agli articoli da 89 a 93 (norme che descrivono le caratteristiche del concordato liquidatorio e con continuità, i presupposti per l’accesso alla procedura, il contenuto del piano e la transazione fiscale), anche con riferimento alla fattibilità, e sarebbe illogico ritenere che il tribunale debba appurare la presenza delle condizioni di ammissibilità richiesta dalla legge e, in particolare, debba valutare la fattibilità del piano solo ove questo sia depositato a seguito della concessione del termine e non anche ove lo stesso documento sia presentato unitamente alla domanda e alla proposta e alla documentazione necessaria.

E’ chiaro, allora, che il primo comma dell’art. 51 non può avere il significato ipotizzato di conferma della previsione di un procedimento che si snoda attraverso una domanda di concordato con riserva, sebbene non prevista, concessione di un termine per consentire la presentazione della proposta, del piano e altri documenti e, infine decisione sull’apertura all’atto della presentazione di tale documentazione, dal momento che tale norma deve necessariamente trovare applicazione in ogni ipotesi in cui venga presentata una domanda di accesso al concordato, anche se questa sia completa della proposta, del piano e della documentazione. Di conseguenza, tale norma va letta come se dicesse “A seguito del deposito della domanda di concordato, corredata del piano e della proposta di concordato, il tribunale, verificate le condizioni di cui agli articoli da 89 a 93, anche con riferimento alla fattibilità del piano e tenuto conto dei rilievi del commissario giudiziale, con decreto…”, in modo da comprendere nella previsione normativa sia l’ipotesi che la proposta e il piano siano stati presentati alla scadenza del termine appositamente concesso, che contestualmente all’iniziale ricorso.

In entrambi i casi solo dopo la positiva valutazione della ricorrenza dei requisiti di legge e della fattibilità del concordato, il tribunale, sempre a norma dell’art. 51, emette tutti gli altri provvedimenti necessari per l’avvio della procedura, dalla nomina del giudice delegato alla fissazione della data del voto (non è più prevista l’adunanza dei creditori) alla concessione del termine per la comunicazione ai creditori e così via, esplicitando in modo inequivoco che la norma attiene al momento della apertura della procedura di concordato pieno.

Tra questi provvedimenti che emette il tribunale all’atto dell’apertura della procedura non è contemplata la nomina del commissario, né è contemplata dalla disciplina specifica al concordato ove l’art. 97 (corrispondente all’attuale art. 165) si limita a richiamare la normativa applicabile al commissario. Ciò perché la sua nomina è prevista all’atto della concessione del termine ai sensi dell’art. 48, co. 1 lett. b), e il commissario nominato in questa occasione è considerato dal nuovo legislatore l’organo che opera per l’intera procedura, tanto che la lett. d) del primo comma dell’art. 48 dispone che il tribunale , “in caso di nomina del commissario giudiziale, ordina al debitore il versamento, entro un termine perentorio non superiore a dieci giorni, di una somma per le spese della procedura, nella misura necessaria fino alla approvazione da parte dei creditori della proposta di concordato….”.

Come si vede, la norma condiziona il deposito per le spese al solo caso della nomina del commissario[7], il che fa capire come questo deposito sia destinato a pagare il suo compenso (ed infatti per le altre spese l’art. 51 dispone che il tribunale, all’atto dell’apertura della procedura, disponga altro deposito) ed il fatto che nell’art. 48 il deposito per il pagamento del commissario sia parametrato sulle spese fino alla approvazione da parte dei creditori della proposta di concordato induce a ritenere che non è previsto un precommissario per la fase fino all’apertura della procedura e un commissario per la fase successiva (rimane, invece, inspiegabile perché si sia fatto riferimento all’approvazione del concordato e non alla omologa, che costituisce l’atto finale della procedura).

Questo dato di per sé sarebbe poco significativo in quanto spiegabile anche con motivi di economia processuale, ma l’art. 51 prevede anche che il tribunale, per decidere, deve tenere conto “dei rilievi del commissario giudiziale” che, come appena visto, non viene nominato con il decreto di apertura della procedura ex art. 51, ma con quello di concessione del termine ex art. 48.

Orbene, è facile dedurne che se il tribunale, prima di aprire la procedura di concordato, deve tenere conto dei rilievi del commissario e questo è nominato con il provvedimento che concede il termine per presentare proposta, piano e documenti, la concessione del termine di cui all’art. 48 diventa obbligatoria, pur quando il ricorso è corredato da proposta, piano e documentazione, per dar modo al commissario nominato di svolgere i rilievi di cui parla la norma.

Anche questa impasse potrebbe essere superata ove il tribunale potesse, in presenza di domanda di concordato pieno, concedere un termine per consentire al commissario di svolgere la sua attività o, comunque, un termine equiparabile a quello di cui all’attuale primo comma dell’art. 162 l.fall. per integrare il piano e produrre nuovi documenti, ma il nuovo CCI non prevede queste possibilità e l’unico termine che prende in considerazione è quello di cui all’art. 48, entro il quale il debitore deve depositare la proposta, il piano e la documentazione nel concordato preventivo oppure l’accordo di ristrutturazione dei debiti, per cui è questa unica possibilità che può essere adottata dal tribunale.

A questo punto, anche ammessa la possibilità che il debitore possa presentare un ricorso per concordato con riserva, dal quadro giuridico raffigurato emerge che:

a-l’unico termine che il tribunale può concedere è quello di cui all’art. 48 per dar modo al debitore di presentare proposta, piano e documenti;

b-con lo stesso provvedimento di concessione del termine il tribunale, tra gli altri provvedimenti che può emettere, nomina il commissario che rimane in carica per l’intera procedura;

c-al momento della decisione sull’ammissione alla procedura di concordato, il tribunale decide “tenuto conto dei rilievi del commissario giudiziale” (art. 51).

La chiave per cercare di coordinare queste risultanze e per spiegare gran parte dei dubbi che abbiamo finora incontrato, è valorizzare quel filo conduttore che si coglie nella nuova normativa, e cioè l’intento del novello legislatore di riattribuire al tribunale quei poteri che aveva perduto con le riforme degli anni scorsi[8]; ossia sembra di capire che per i nuovi legislatori sia del tutto indifferente cosa possa chiedere il debitore; l’importante è che egli proponga una domanda di accesso al concordato, sotto qualsiasi forma (con riserva o pieno), sulla quale il tribunale, verificata la regolarità della domanda ed, eventualmente, anche senza convocazione all’udienza quando non vi è una domanda di liquidazione giudiziale (art. 48, co. 3):

a-fissa (nel senso che deve concedere) un termine perentorio compreso tra trenta e sessanta giorni entro il quale il debitore deve depositare la proposta, il piano e la documentazione, quando questi documenti manchino. Nomina, inoltre, il commissario ed emette gli altri provvedimenti di cui agli artt. 48 e segg., tra cui, l’ordine al debitore del versamento, entro un termine perentorio non superiore a dieci giorni, di una somma per le spese della procedura, nella misura necessaria fino all’approvazione da parte dei creditori della proposta di concordato

b-quando la proposta, il piano e la necessaria documentazione sono presentati unitamente al ricorso introduttivo, deve emettere gli stessi provvedimenti previsti dall’art. 48 (concessione del temine, nomina del commissario, ordine del versamento della somma per la relativa spesa, obblighi informativi ecc.) anche se, in tal caso, la concessione del termine ha principalmente lo scopo di consentire al commissario di svolgere le sue indagini e riferire al tribunale in modo da dare all’organo giudiziario gli elementi per verificare la ricorrenza delle condizioni di cui agli articoli da 89 a 93, anche con riferimento alla fattibilità del piano.

Ovviamente il tribunale potrà modulare il termine di cui all’art. 48 tra il minimo e il massimo a seconda delle esigenze (è presumibile che nell’ipotesi sub a) sarà più lungo che nell’altra), emanando per intanto le misure protettive, ma, quello che va sottolineato è che, anche nell’ipotesi sub b), il tribunale non può astenersi dal concedere detto termine per dare al commissario nominato il tempo di svolgere le sue indagini, dal momento che, come detto, non vi è altra norma che consenta al tribunale di dare il termine nel caso che siano già presentati, in una con la domanda, anche la proposta, il piano e quant’altro necessario per la decisione. Rimane l’anomalia che, anche nel caso di domanda di accesso al concordato pieno, con produzione della proposta del piano e della relativa documentazione, il tribunale deve concedere un termine che è previsto allo scopo di presentare proprio questi documenti che già sono agli atti.

E’ chiaro, quindi, che il nuovo CCI prevede un’unica domanda di accesso al concordato, il cui contenuto è irrilevante, nel senso che essa può essere o non corredata dalla proposta, dal piano e dalla documentazione. Su questa domanda il tribunale deve, in ogni caso, concedere il termine di cui all’art. 48 e nominare il commissario per dar modo di presentare questa documentazione ove manchi o, comunque, per consentire al commissario di riferire, dopo di che, a seguito della presentazione della proposta, del piano , ecc. quando mancavano, e comunque a seguito dei rilievi (eventualmente tradotti in una relazione) fatti dal commissario nominato, il tribunale verifica se ricorrono le condizioni di cui agli artt. 89 a 93, anche con riferimento alla fattibilità del piano.

Conclusione avvalorata dal fatto che il tribunale dovrà valutare la fattibilità non solo giuridica ma anche economica del piano, come espressamente prevede l’art. 51, in perfetta attuazione del disposto della lett. f), comma 1 dell’art. 6 della legge delega n. 155 del 2017, (principio che trova il correlativo nell’art. 90, che, al secondo comma, richiede che “la proposta deve fondarsi su un piano che abbia concrete possibilità di realizzazione…”), ed a questo scopo l’apporto del commissario diventa indispensabile, tanto più che, quanto meno nei concordati liquidatori, la presentazione, insieme alla domanda, della relazione di un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano diventa facoltativa, giusto il disposto del secondo comma dell’art. 92; non a caso, infatti, la citata norma della legge delega dispone di attribuire al tribunale “poteri di verifica in ordine alla fattibilità anche economica dello stesso (del piano), tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale”.

Per la verità è abbastanza incongruo che, nel momento in cui si riattribuisce al tribunale il potere di valutare la fattibilità, anche economica, del piano concordatario, superando la nota linea tracciata dalle sezioni unite, si renda facoltativa la presentazione della relazione dell’attestatore che, dopo i primi anni di rodaggio, ha raggiunto un assetto standardizzato di buon livello e la cui funzione nell’attuale comma terzo dell’art. 161, è proprio quella di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; ma è così e questo dato spiega, più di ogni altra considerazione, l’obbligatorietà della presenza del commissario, quale unica fonte professionale di ausilio per il giudice nel valutare la fattibilità e, di conseguenza, la obbligatorietà della concessione del termine, anche se la domanda è già corredata della proposta, del piano e di completa documentazione, proprio per permettere la nomina del commissario e dare a questi il tempo di svolgere le sue indagini per adempiere a questo nuovo ruolo consultivo indispensabile per il giudice[9].

Il tribunale, come si vede, si riappropria del potere di valutare la fattibilità economica del concordato in modo addirittura più penetrante di quanto potesse fare prima delle riforme del 2005 e seguenti, perché non deve effettuare una valutazione basata solo sulle indicazioni del debitore, ma può servirsi dell’ausilio e della competenza del commissario, il quale, a sua volta, assume, nella fase dell’apertura della procedura, il ruolo di ausiliario del giudice che decide alla luce delle conoscenze che egli avrà acquisito durante la concessione del termine, alla stregua di un consulente tecnico con poteri invasivi. Ruolo che il commissario conserva anche nel concordato con continuità, ove il secondo comma dell’art. 92 richiede (con espressione non molto felice[10]) come obbligatoria la relazione dell’attestatore, perché qui si tratta di effettuare una valutazione, oltre che della fattibilità, di situazioni complesse, tra cui stabilire se la soluzione prospettata risponde al miglior interesse dei creditori; ed a questo fine l’apporto del commissario, pur in presenza della relazione, mantiene tutta la sua importanza.

In conclusione si può, quindi, dire che, se è vero che è indifferente per il legislatore il tipo di domanda formulata dovendo comunque il tribunale nominare il commissario e fissare un termine per presentare la proposta, il piano e la documentazione o per consentire all’organo nominato di riferire al tribunale, è chiaro che la procedura concordataria si veste di unitarietà che prende le mosse dalla domanda di concordato, qualunque essa sia, tanto che fin dall’inizio è nominato il commissario e all’atto della valutazione della ricorrenza delle condizioni di cui agli artt. da 89 a 93 e della fattibilità del piano non è previsto un autonomo provvedimento di apertura o di ammissione al concordato; e questa unitarietà della procedura permette il recupero nella fase della pendenza del termine di quella disciplina dettata per il concordato pieno in modo da superare il vuoto normativo che diversamente vi sarebbe.

Rimane però un ultimo enigma da risolvere: se lo scopo della riforma era questo, perché non lo si è tradotto in una disciplina più chiara e meno contorta?



[1] In precedenza alcuni Uffici provvedevano a nominare un ausiliario del giudice ai sensi dell'art. 68 c.p.c. il quale, tuttavia, non poteva svolgere indagini presso l’impresa beneficiaria del termine come una specie di pre commissario, né svolgere un controllo o una vigilanza sull’operato del debitore concordatario, ma poteva solo coadiuvare il giudice nella lettura e interpretazione tecnica dei relativi prospetti e dati informativi.

[2] Per ora e anche in seguito si parla di facoltà e non di obbligo del tribunale alla concessione del termine, salvo poi a verificare nella parte finale in che termini vada inteso il potere attribuito all’organo giudiziario.

[3] Nell’intero testo del codice i verbi servili sono quasi mai utilizzati, anche lì dove sarebbero quanto mai necessari (cfr ult. comma art. 89). Tuttavia proprio nell’art. 43, mentre nel primo comma viene utilizzata l’espressione richiamata, nel secondo si dice “Deve inoltre depositare, anche in formato digitale, una relazione….”,

[4] Poco probante, sotto questo profilo sembrano i richiami normativi contenuti nell’art. 101, che, oltre a caratterizzarsi per il rinvio all’inesistente quarto comma dell’art. 148, contiene un unico richiamo di qualche rilievo incidente sulle azioni esecutive; ossia quello all’art. 150, corrispondente all’attuale art. 45, per cui almeno i pignoramenti immobiliari trascritti successivamente alla presentazione della domanda non dovrebbero essere opponibili, nel mentre potrebbero continuare le esecuzioni, anche immobiliari, con pignoramento trascritto prima e iniziare e continuare tutte quelle mobiliari.

[5] L’urgenza, nell’attuale sistema, si spiega col fatto che se l’atto da autorizzare non presenta questa caratteristica, potrà, anzi dovrà essere rinviato all’apertura della procedura e all’autorizzazione del giudice delegato a norma dell’art. 167.

[6] Per la verità di apertura del concordato si parla solo nella rubrica della norma, ma nel testo non è prevista poi una pronuncia di apertura o di ammissione, non si sa perché.

[7]Nomina che nel concordato è obbligatoria nel mentre nell’accordo di ristrutturazione è facoltativa, e questo spiega perché essa venga prevista come ipotetica.

[8] Basti pensare al recupero della possibilità di valutare la fattibilità del concordato o agli effetti protettivi non più automatici ma dettati dal giudice, alla possibilità di privare il debitore della gestione della sua impresa, ecc..

[9] Del resto, seppur non fosse obbligatoria la concessione del termine, è agevole prevedere che i tribunali ne faranno larghissimo uso proprio allo scopo di avere l’ausilio delle valutazioni del commissario, così come è accaduto con la nomina del commissario nel concordato con riserva a seguito della modifica dell’art. 161 nel 2013, che, benchè non obbligatoria, viene utilizzata costantemente, proprio perché avere un collaboratore corrisponde ad effettive esigenze di trasparenza ed efficienza.

[10] La norma dopo aver previsto come facoltativa la presentazione della relazione di un professionista che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, aggiunge “Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano, nonché, in caso di prevista continuità aziendale, avendo riguardo al miglior soddisfacimento dei creditori”, ove è è alquanto strano che debba essere presentata una relazione “analoga” a quella che può non essere prodotta.


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