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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 13/11/2018 Scarica PDF

L'ammortamento alla francese. Matematica e diritto: quando la scienza vien piegata a negar sé stessa

Roberto Marcelli, Consulente Finanziario


1. Premessa

L’ammortamento alla francese (o a rata costante), con il frazionamento in più periodi del rimborso del capitale e del pagamento degli interessi, nelle modalità ricorrentemente impiegate dagli intermediari creditizi, utilizza un processo di interesse composto, accelerato rispetto ad una crescita proporzionale, che realizza, nella successione di scadenze, una spirale ascendente del monte interessi.

Autorevoli cattedratici ed esperti finanziari, con circostanziate e tecnicamente ineludibili argomentazioni, hanno ribadito l’impiego della capitalizzazione composta nei piani di ammortamento adottati dagli intermediari finanziari nei prestiti a rimborso graduale. Da tale evidenza si è fatto discendere con automatico giudizio un implicito anatocismo, ‘frettolosomante’ assimilato al regime composto dell’interesse, la cui natura, tuttavia, appare prima facie propriamente più finanziaria che giuridica.[2]

Nel mutuo, qualunque sia la tipologia di piano di ammortamento e/o il regime finanziario adottato, una problematicità anatocistica, nel senso strettamente letterale di produzione di interessi su interessi scaduti, nel senso di maturati ed esigibili, ex art. 1283 c.c., si pone esclusivamente in caso di insolvenza alla scadenza della rata e attiene precipuamente agli interessi di mora, non certo agli interessi corrispettivi che risultino regolarmente pagati alla scadenza della rata.[3]

Nei finanziamenti a rimborso graduale, ancorché la rata dell’ammortamento sia convenuta e determinata nel regime finanziario composto, gli interessi, maturati sul capitale residuo, risultando sistematicamente pagati ad ogni scadenza, rimangono esclusivamente ‘primari’ (interessi su capitale), non ricorrendo produzione alcuna di interessi ‘secondari’ (interessi su interessi).

Con questa intuitiva, significativa e consistente argomentazione, buona parte della giurisprudenza di merito ha reiteratamente negato ogni forma di anatocismo riscontrabile nell’ammortamento alla francese dei mutui, arrivando finanche a ravvisare la temerarietà della domanda.[4]

Tuttavia, in rapporto sia all’art. 1283 c.c., sia all’art. 120 TUB, 2° comma, una sostanziale criticità ermeneutica può insorgere nella pattuizione, ancor prima della scadenza, del regime composto dell’interesse, tanto più se la frequenza della riproduzione è inferiore a sei mesi.

Per l’ammortamento alla francese (altrimenti detto a rata costante), che rappresenta, in somma prevalenza, il piano usualmente adottato dagli intermediari nei finanziamenti a rimborso graduale, le numerose sentenze che si sono succedute negli ultimi anni hanno per lo più appuntato l’attenzione sulla tematica dell’anatocismo ma, pur riconoscendo, in taluni sporadici casi, l’impiego del regime dell’interesse composto, non sembra abbiano compiutamente scandagliato e sciolto le criticità che tale regime dal piano tecnico riversa sul piano giuridico, sia per gli aspetti propri alla legittimità del calcolo, sia per quelli relativi alla trasparenza, diligenza e buona fede.

Infatti, nell’ammortamento alla francese al medesimo TAN pattuito in contratto, a seconda del regime impiegato, corrispondono costi per interessi diversi, più alti nel regime composto, più bassi nel regime semplice: nella differenza si palesa la componente anatocistica dell’obbligazione accessoria implicitamente inclusa nel valore della rata riportata in contratto.[5] L’intermediario non indica i criteri di determinazione della rata, né quelli relativi alla sua composizione, bensì fornisce direttamente il valore della rata e, in allegato, i valori della quota capitale e quota interessi; come pervenga a tali valori rimane un’omissione che lede i più elementari principi di trasparenza.

Volendo evitare pronunciamenti ispirati al semplicismo o informati al pregiudizio, quando non deviati da valutazioni tecniche espresse da ‘sedicenti consulenti accademici’, l’attenzione e riflessione del discrimine giuridico vengono sollecitate da criticità che coinvolgono due distinti fronti:

- quello attinente alla coerenza e compatibilità dell’impiego del regime composto degli interessi con il presidio all’anatocismo, nei contorni giuridici dettati dall’art. 1283 c.c. e integrati dal nuovo art. 120 TUB, comma 2, lettera b), oltre che con il principio di proporzionalità dei frutti civili prescritto dall’art. 821 c.c.;

- quello attinente ai principi di buona fede, correttezza e trasparenza che, soprattutto nei rapporti creditizi regolati da contratti predisposti unilateralmente dall’intermediario, assumono risvolti di pregnanza sostanziale, per i rigorosi presidi che l’ordinamento pone a protezione e garanzia dell’equilibrio, dell’informazione e, in particolare, della consapevolezza degli impegni assunti dal prenditore di fondi.  

   

2. Il regime dell’interesse composto: aspetti di legittimità

L’anatocismo richiamato dall’art. 1283 c.c. attiene esclusivamente agli interessi, in qualunque forma prodotti, ma giuridicamente configurabili come scaduti: di tali interessi, in quanto esigibili, il creditore può pretendere l’immediato pagamento ancorché non possa pretendere l’automatica fruttuosità’ nell’insolvenza.

Nei piani di rimborso graduale, la criticità dell’anatocismo con l’art. 1283 c.c. e, dopo la recente rivisitazione legislativa, anche con l’art. 120 TUB, appare insorgere nella convenzione pattizia che regola la determinazione del monte interessi attribuita al piano di ammortamento.[6]

L’impiego del TAN in regime composto nella determinazione dell’importo della rata riportato in contratto configura l’espressione di una convenzione anatocistica, in quanto matematicamente stabilisce l’equivalenza fra 100 oggi e 100*(1+i)k fra k periodi, contraria al divieto di pattuizione anatocistica espresso dall’art. 1283 c.c. e implicito nell’art. 120 TUB. In altro dire, con la determinazione della rata in regime composto [...] si conviene un rimborso, distinto nella duplice obbligazione, quella relativa al debito principale espresso dal finanziamento iniziale e quella relativa al debito accessorio relativa al monte interessi, che già ricomprende l’anatocismo, corrispondente alla maggiorazione apportata rispetto al monte interessi del regime semplice [...].

Come reiteratamente precisato dalla Cassazione (Cass. n. 11400/14 e nn. 3479/71, 1724/77, 2593/03, 28663/13, 603/13, 2072/13), nel contratto di finanziamento a rimborso graduale si configurano distintamente ‘due obbligazioni poste a carico del mutuatario  – aventi ad oggetto l’una la restituzione della somma ricevuta in prestito e l’altra la corresponsione degli interessi per il suo godimento – che sono ontologicamente distinte e rispondono a finalità diverse’. Pertanto, separando nelle rate la quota capitale dalla quota interessi, emerge chiaramente che l’obbligazione accessoria, espressa dal monte interessi, è ottenuta attraverso il calcolo ‘composto’ degli stessi.  

La convenzione anatocistica rimane inclusa nel valore stesso della rata pattuita, determinata con la formula dell’interesse composto, nella quale si esprime la volontà, questa sì giuridica oltre che matematica, di equiparare al capitale finanziato C, il corrispondente valore futuro, espresso da M = C*(1+i)k, comprensivo di interessi anatocistici, anziché il valore futuro, espresso da M = C*(1+k*i), che lascerebbe improduttivi gli interessi maturati.

Rimane assodato sul piano matematico-finanziario che, ancor prima dello specifico calcolo degli interessi pagati nella rata, il monte complessivo degli stessi, prodromicamente convenuto nella rata, include la maggiorazione anatocistica. Su questo aspetto si appunta la criticità giuridica, anche se poi, la scelta di pagare a ciascuna scadenza tutti gli interessi maturati sul capitale in essere consegue i medesi effetti economici ma non palesa alcuna produzione di interessi su interessi.[7]

L’anatocismo sta nel valore della rata pattuita, ancor prima della produzione degli interessi; grazie alla determinazione della rata maggiorata – con un’alchimia matematica (principio di scindibilità) che può stupire i non iniziati – calcolando gli interessi sul debito residuo anziché sul capitale in scadenza, è possibile sostituire alla produzione di interessi su interessi la produzione di interessi sul capitale[8]. Tuttavia l’interesse in formula semplice calcolato sul debito residuo non è indicatore del regime finanziario del piano e della connessa presenza (o meno) dell’anatocismo: solo dal monte interessi che riviene dalla somma delle rate (montante), in rapporto al capitale finanziato, è possibile evincere il regime impiegato semplice o composto). Quale che sia la modalità di calcolo prescelta nella partizione della rata (quota capitale e quota interessi), il monte interessi del piano di ammortamento rimane quello maggiorato dell’anatocismo, fissato con la rata determinata in regime composto. Ogni matematico di buon senso non può negare questa evidenza che si riscontra nel modello di ammortamento alla francese, come in altri modelli, usualmente adottati dagli intermediari finanziari.

D’altra parte, non è affatto scontato che gli interessi debbano essere pagati sull’intero capitale residuo. Anche nel rispetto del principio che ‘il pagamento fatto in conto capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi’ (art. 1194, 2° comma c.c.) possono darsi modalità diverse, tutte finanziariamente equivalenti e legittime, di comporre la rata in quota capitale e quota interessi, evitando che il pagamento del capitale preceda il pagamento degli interessi. In assenza di una legittima pattuizione appare conseguente il pagamento degli interessi riferiti al capitale in scadenza che risulta liquido ed esigibile: nella circostanza l’operatività del criterio di imputazione legale dell’art. 1194 c.c. viene dalla giurisprudenza circoscritta alla contemporanea sussistenza dei requisiti di liquidità e di esigibilità, sia del capitale che degli interessi.

Naturalmente l’impiego del regime semplice, in luogo di quello composto, conduce ad un valore della rata inferiore ed ad un sistema di calcolo degli interessi effettuato esclusivamente sulla quota capitale in scadenza, in luogo del debito residuo: è questa una connotazione che definisce il regime semplice. Diversamente dal regime finanziario semplice, in quello composto si rileva che, fissati tasso, importo del finanziamento, nonché durata e scadenze, il piano a rata costante risulta univocamente determinato esclusivamente nella rata (piano di rimborso), mentre la composizione della rata stessa costituisce una scelta ulteriore (piano di ammortamento), anch’essa rimessa alla discrezionalità dell’intermediario che predispone il contratto.

[omissis]

Nell’ammortamento a rata costante, se si impiega il regime di capitalizzazione composta, la semplice indicazione della rata costante non individua, da sola, in maniera univoca la composizione della rata del piano di ammortamento: a parità di rata costante, si può pagare l’interesse calcolato in regime composto sulla quota parte del capitale che viene a scadenza (Tav. 3a), o, alternativamente, si può pagare con la rata, ad ogni scadenza, tutti gli interessi maturati nel periodo, sia sul capitale in scadenza sia sul capitale che residua (Tav. 3b). O ancora, sempre a parità di rata, scegliere vie intermedie fra le due estreme, con quote capitale decrescenti o crescenti e interessi via via crescenti o decrescenti (Cfr. Allegato 1).

Si ottengono nelle diverse circostanze, situazioni finanziarie equivalenti - tutte assimilate sotto la definizione rigorosa di ammortamento a rata costante - di pari rata e pari esborso complessivo di capitale ed interessi: il debito residuo ad ogni scadenza risulterà identico, seppur diverso nella composizione di capitale ed interesse in funzione del criterio di composizione della rata adottato.

Considerando un’esemplificazione elementare (capitale € 1.000, tasso nominale 10%, rata annuale posticipata, durata 4 anni), nella Tavola seguente è riportato il piano di ammortamento alla francese, in capitalizzazione composta, nelle due distinte modalità di calcolo sopra indicate.

[omissis]

Secondo le due alternative modalità di calcolo degli interessi sopra descritte, si ha:

i) nel riquadro di sinistra (Tav. 3.a), a ciascuna scadenza, gli interesse sono riferiti esclusivamente alla quota capitale in scadenza, calcolati in regime composto [Ik=Ck*(1+i)k], per il periodo da to a tk;

ii) nel riquadro di destra (Tav. 3.b), a ciascuna scadenza, gli interessi sono riferiti all’intero debito residuo, ovviamente nella forma semplice: D*i.[9]

Entrambi i piani sono sviluppati in capitalizzazione composta, presentano la medesima rata, il medesimo monte interessi, il medesimo debito residuo ad ogni scadenza, con la differenza che nel piano di sinistra tale debito è composto di capitale ed interessi, mentre nel piano di destra è composto di solo capitale.

Come detto, dalla Tavola sopra riportata si evince una peculiare coincidenza:

[omissis]

Il piano di ammortamento in regime composto, riportato nella Tav. 3.b con il calcolo degli interessi sul debito residuo, risulta – rispetto alla composizione - simmetricamente invertito nell’ordine delle rate di ammortamento rispetto a quello di Tav. 3.a con il calcolo degli interessi sul capitale in scadenza.

Sul piano finanziario, i due piani di ammortamento a rata costante (alla francese) considerati sono del tutto intercambiabili in quanto equivalenti: stessa rata, stesso ammontare complessivo del capitale e degli interessi, stesso debito residuo, stessa composizione delle rate, invertite tuttavia nell’ordine temporale: la 1° eguale alla 4°, la 2° alla 3°, ecc..; con il debito residuo ad ogni scadenza, in un caso ricomprende anche gli interessi maturati che verranno saldati in uno con la scadenza delle future quote capitale, nell’altro non presenta interessi maturati e ‘sterilizzati’ in quanto questi vengono a ciascuna scadenza interamente pagati.

Può sembrare il gioco delle tre carte: cambiando l’ordine delle rate costanti, si ottiene un risultato che giuridicamente appare diverso. Determinando la rata in regime di capitalizzazione composta risulta già formalizzato nell’obbligazione accessoria l’anatocismo, espresso nel monte interessi maggiorato. Calcolando per ogni rata la quota capitale attraverso la formula di attualizzazione, si ottiene il piano riportato nel riquadro di sinistra (Tav. 3.a), che palesa, nell’esplicito computo dell’interesse composto, la produzione di interessi su interessi; capovolgendo, invece, l’ordine di successione delle rate, si ottiene, non più l’interesse calcolato in regime composto sulla quota capitale come riportato nel riquadro di sinistra, bensì l’interesse calcolato su tutto il capitale residuo, come riportato nel riquadro di destra (Tav. 3.b), che a questo punto coincide con l’interesse semplice.[10]

Risulterebbe singolare e alquanto paradossale far derivare da due piani che sviluppano i medesimi costi, sin anche la medesima composizione delle rate, riflessi giuridici diversi solo perché viene riportato in allegato al contratto un ordine temporale della composizione della rata stessa simmetricamente invertito.[11] Se si legittimasse, per giunta, un tale distinguo in assenza di un’esplicita convenzione del regime finanziario composto e del sistema di calcolo degli interessi, risulterebbe spianata la via ad una facile disapplicazione del precetto di legge, nella completa inconsapevolezza del mutuatario che, a meno di un expertise professionale, rimarrebbe ignaro dell’arbitrio subito.

Nulla impedisce all’intermediario di convenire il pagamento degli interessi maturati sul capitale in essere ad ogni scadenza, evitando la convenzione anatocistica implicita nell’impiego del regime composto per la determinazione della rata. Determinando la rata attraverso il regime semplice e ricavando, dai vincoli di chiusura del piano, il calcolo degli interessi sul capitale residuo, si eviterebbe, al tempo stesso, la formale convenzione anatocistica e la produzione di interessi su interessi.[12]

Di fatto, il TAN viene impiegato in capitalizzazione composta per determinare la rata riportata in contratto, senza alcuna esplicita menzione al regime finanziario applicato. Per evitare la convenzione anatocistica, l’intermediario dovrebbe determinare la rata attraverso la formula inversa ottenuta dal regime semplice, C*(1+k*i), rimanendo pur libero di convenire – chiaramente espresso in contratto - il sistema di calcolo degli interessi riferito al debito residuo, anziché alla quota capitale in scadenza, nel tasso equivalente che riviene matematicamente dalla formula di chiusura del piano. In tal modo verrebbe rispettata la libera determinazione delle parti nella periodicità e nel calcolo degli interessi, senza per questo impiegare alcuna convenzione anatocistica.[13]

   

3. Il regime dell’interesse composto: aspetti di trasparenza, buonafede e correttezza

Nei contratti di finanziamento a rimborso graduale, l’impiego diffuso della capitalizzazione composta, attraverso forme negoziali che sollevano apprezzabili perplessità sul piano della legittimità, non sembra accompagnarsi ad un adeguato bilanciamento con una idonea e compiuta trasparenza delle scelte adottate dagli intermediari nella costruzione dei piani di ammortamento sottoposti all’adesione dell’operatore retail: frequentemente condizioni di rilievo vengono omesse o, come le dizioni ‘alla francese’ e ‘all’italiana’, rimangono fraintesi alla comprensione, configurando aspetti sostanziali di indeterminatezza e vizio del consenso.[14]Pur fornendo, talvolta ma non sempre[15], i valori del capitale ed interessi che compongono la rata, si omette sia il regime finanziario che presiede la costruzione del piano di ammortamento, sia l’esplicitazione del criterio di calcolo degli interessi, adottato nell’ambito del regime composto. In tal modo si lascia l’operatore retail nell’assoluta impossibilità, in via ordinaria, di acquisire consapevolezza delle scelte imposte dall’intermediario. Anche l’art. 117 TUB e la Direttiva sul credito al consumo 2008/48/CE menziona, nelle informazioni da inserire nei contratti, ‘il tasso debitore, le condizioni che ne disciplinano l’applicazione, ...’. Tra queste ultime non sembra si possa ‘tacere’ il regime di capitalizzazione composta, né tanto meno il criterio di calcolo degli interessi.[16]

In matematica finanziaria le tipologie di ammortamento (francese, italiana, ecc.) si combinano con i regimi finanziari di regolamentazione del piano di rimborso (regime finanziario semplice o composto). Per la tipologia di ammortamento alla francese (o rata costante), ad esempio, accanto all’usuale regolamentazione in capitalizzazione composta, se ne riscontra una seconda, ancorché teorica e desueta, che sviluppa il piano di ammortamento in capitalizzazione semplice.[17] La prima forma di ammortamento ha incontrato nel tempo una generale ed uniforme diffusione fra gli intermediari, favorita dalla rimarchevole asimmetria contrattuale ed informativa che presiede i rapporti di credito, accompagnata, come detto, da una significativa opacità delle condizioni contrattuali, in una sostanziale inconsapevolezza della clientela.[18]

I manuali di matematica finanziaria, adeguandosi agli usi uniformemente impiegati sul mercato finanziario, prestano attenzione prevalentemente all’ammortamento a rata costante (alla francese) in capitalizzazione composta e con gli interessi della rata calcolati sul debito residuo. Ma questa non è l’unica alternativa che la scienza finanziaria offre per i piani a rata costante, è solo un uso e consuetudine negoziale, convenuto nel mercato finanziario, trasposto ed ‘imposto’ nel mercato del credito.[19] Né un uso, pur radicato nel tempo – che investe, oltre all’ammortamento alla francese o ‘a rata costante’, buona parte dei finanziamenti a rimborso graduale – può assumere una qualche pregnanza normativa e/o di legittimità negoziale.[20]

Non sembra ricorrano clausole d’uso ex art. 1340 c.c., né si ravvisa un’adesione ad un precetto di diritto che, al contrario, si fonda, invece, sulla proporzionalità lineare degli interessi al tempo, oltre che al capitale. Si configurano nella circostanza, come descritto dalla Cassazione S.U. n. 21095/04, ‘clausole non negoziate e non negoziabili, perché già predisposte dagli istituti di credito, in conformità a direttive delle associazioni di categoria, (…) sottoscritte dalla parte che aveva necessità di usufruire del credito bancario e non aveva, quindi, altra alternativa per accedere ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare’.

Una sorta di pudore nel palesare la contraddizione implicita nell’impiego del regime composto ha suggerito l’utilizzo dell’equivoca dizione ‘ammortamento alla francese’. Infatti, ancorché anche nei manuali si riscontri un uso promiscuo del termine, in una lettura prettamente ortodossa della scienza finanziaria, la dizione ‘alla francese’ e ‘all’italiana’ viene, dai padri storici (Bonferroni, De Finetti, Santoboni), attribuita ai piani – con rata, o rispettivamente quota capitale, costante - sviluppati in capitalizzazione composta, con ammortamento progressivo, implicante gli interessi calcolati sul debito residuo. Tuttavia, nell’accezione corrente, anche fra gli addetti al credito, le dizioni ‘alla francese’ e ‘all’italiana’ vengono intese semplicemente come sinonimi di ‘a rata costante’ e ‘a quota capitale costante’; non è infrequente, infatti, riscontrare nei contratti, l’impiego alternativo di questa seconda dizione, o il termine parimente dirimente ‘alla francese o a rata costante’. Ancor più generica risulta la dizione riportata nelle Disposizioni di Trasparenza della Banca d’Italia.[21] Anche l’ABF ha avuto modo di rilevare l’uso promiscuo del termine ‘alla francese’, valutando: ‘Tale piano non risulta espressamente definito ‘alla francese’, né ciò invero potrebbe assumere decisa rilevanza, atteso che non pare esistere nella prassi un unico tipo di ammortamento ‘alla francese’ (come parrebbe ritenere la parte ricorrente)’.[22]

Il riferimento in contratto all’ammortamento alla francese, così come espresso, indica solamente la costanza della rata: come illustrato, non implica necessariamente un calcolo degli interessi in regime composto, visto e considerato che il piano può anche essere sviluppato nel regime semplice, né implica il riferimento al debito residuo per il calcolo degli interessi, potendo la composizione della rata essere suddivisa in variegati modi, tutti rispettosi dei vincoli del piano; i distinti valori del piano, quando viene allegato al contratto, non colmano propriamente tali lacune, fornendo solo le risultanze numeriche di principi finanziari non convenuti nel corpo del contratto e che rimarrebbero accessibili, solo per via implicita, previo calcoli non elementari, a coloro che di tali principi hanno specifica conoscenza e competenza.[23]

Nel contratto di finanziamento a rimborso graduale, frequentemente, al di là del nomen che individua esclusivamente la tipologia di rata, non risulta alcuna univoca indicazione sui due menzionati aspetti che maggiormente qualificano l’ammortamento impiegato. Il glossario o legenda che, a norma delle Disposizioni di Trasparenza, deve essere riportato in contratto, si limita al più a replicare la dizione suggerita dalla Banca d’Italia: ‘La rata prevede una quota capitale crescente e una quota interessi decrescente. All’inizio si pagano soprattutto interessi; a mano a mano che il capitale viene restituito, l'ammontare degli interessi diminuisce e la quota di capitale aumenta’.[24] Il piano di ammortamento è predisposto dall’intermediario e il mutuatario rimane completamente ignaro delle peculiarità che contraddistinguono il criterio di rimborso prescelto: dai valori numerici che gli vengono prospettati in allegato al contratto, non può trarsi alcuna adesione ai criteri impiegati per pervenire a tali valori.

Se la banca, nel predisporre il contratto, si limita a prevedere ‘ammortamento alla francese o a rata costante’, risulta scontato che voglia identificare nella costanza della rata, in termini esaustivi, la caratterizzazione del piano di ammortamento. L’operatore retail non è tenuto né potrebbe arguire dal testo del contratto che, oltre alla rata costante, tra le varianti possibili si utilizza il regime composto, nonché il calcolo degli interessi su tutto il capitale in essere a ciascuna scadenza: per giunta, con l’unica indicazione in contratto del valore della rata costante è indotto a ritenere che non vi siano alternative e sia univocamente determinato il piano di ammortamento. Come osserva A.A. Dolmetta, la presenza di una disciplina della trasparenza per definizione suppone il riconoscimento della disparità strutturale delle relative posizioni e della diversità funzionale tra chi il prodotto crea, o assembla, e chi il prodotto, invece, consuma.

Risulta oltremodo negletta la disciplina di correttezza e trasparenza che, in più aspetti, sia l’ordinamento generale che quello specifico bancario dispongono a tutela della parte debole. Non si può desumere alcuna volontà, condivisione e consapevolezza da parte del mutuatario, se la sua partecipazione al negozio è esclusivamente ridotta ad un elenco delle partizioni degli ammontari riconosciuti con il pagamento delle rate (a titolo di capitale e interesse, Cfr. Tavola 3 a, b), per di più relegato in allegato e nel quale l’impiego del regime composto rimane celato nell’inversione dell’ordine delle rate stesse. L’allegato è sì parte del contratto, nel senso che specifica e qualifica gli accordi già esaustivamente definiti compiutamente nel contratto stesso.[25]

L’indeterminatezza contrattuale investe il regime finanziario impiegato e, distintamente, il sistema di calcolo degli interessi. Il primo, nella scelta fra le due varianti: regime semplice e regime composto; il secondo nelle variegate alternative nelle quali il regime composto può essere realizzato: interessi calcolati sulla quota capitale in scadenza o interessi calcolati su tutto il capitale in essere o ancora criteri intermedi di calcolo.

La circostanza che, discostandosi dal principio generale sancito dall’art. 821 c.c., non venga mai richiamato il regime finanziario composto degli interessi, alternativo al regime finanziario semplice, né venga specificato il riferimento di calcolo degli interessi, induce un’indeterminatezza del prezzo stesso dell’operazione, con una pregnante opacità nella comprensione e consapevolezza dell’impegno assunto dal cliente, che non può certo essere colmata dall’ermetico riferimento terminologico all’ammortamento alla francese e dallo sviluppo numerico i cui criteri rimangono ignoti, ‘oscurati’ sia nel testo contrattuale che nell’allegato. Il dovere di informazione discende direttamente dall’art. 1337 c.c. che sancisce la responsabilità del creditore reticente, tanto più che, trattandosi di contratti predisposti, si deve applicare la regola di semplice conoscibilità dell’art. 1341, comma 1, c.c. Né si possono trascurare gli obblighi di trasparenza che - nell’enforcement impresso da dottrina e giurisprudenza - si sostanziano, travalicando il dovere di far conoscere, nel dovere di far comprendere.

D’altra parte l’art. 6 della Delibera CICR 9 febbraio ’00, prima dei mutamenti introdotti dal legislatore nell’art. 120 TUB, prevedeva che le clausole relative alla capitalizzazione infrannuale degli interessi non avessero effetto se non fossero specificatamente approvate.[26] Ma prima ancora di essere specificatamente approvate, devono essere specificatamente riportate nel testo del contratto.

Risulta assai palese che l’accettazione delle descritte modalità di predisposizione del piano di ammortamento rimane viziata da rilevanti omissioni del consenso, non riflettendo alcuna negoziazione delle condizioni di contratto, men che meno una chiara e trasparente informazione del regime e modalità che presiedono gli impegni imposti al cliente: ogni residua volontà di consapevolezza che possa essere raggiunta decifrando, in via induttiva, i criteri di computo dei valori riportati in allegato al contratto, scema nell’ignavia del cliente, indotta dalla scontata posizione di debolezza nel dover subire le regole dettate dalla banca per poter fruire del servizio di credito, che gli sarebbe precluso se non accettasse passivamente le clausole predisposte dalla banca, espresse o solo implicite.[27]

Non si può trascurare che nei contratti di adesione, ogni autonomia rimessa alle parti si traduce in una piena discrezionalità dell’intermediario che predispone il contratto.

Risulterebbe alquanto più significativa l’indicazione in contratto del regime finanziario e del criterio di calcolo degli interessi, rispetto ad una mera elencazione in allegato di importi che, noto l’importo della rata, da soli, poco o nulla aggiungono all’acquisizione della consapevolezza sulla natura dell’impegno assunto. Il prezzo del finanziamento è dato dagli interessi, misurati dal tasso nel rapporto al capitale finanziato ma il TAN, da solo, non esaurisce, né determina il costo del finanziamento: il tasso espresso dal TAN, se impiegato in capitalizzazione composta, fornisce una misura distorta, sottostimata, del prezzo. Mentre il tasso semplice esprime il corretto rapporto proporzionale al capitale per unità di tempo, il medesimo tasso, impiegato in regime composto, induce un effetto esponenziale sugli interessi che rimane celato, non trovando espressione alcuna nel tasso stesso.[28] La forma composta di produzione di interessi su interessi non è compresa nel tasso espresso dal TAN ma nel regime impiegato e per questo rimane facilmente sottratta all’attenzione dell’operatore retail. Affinché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell’art. 1284 c.c., terzo comma c.c. (norma imperativa), la stessa deve avere nel contenuto la specifica ed univoca indicazione del tasso di interesse: per le modalità ordinaria di calcolo, l’articolo fa riferimento all’interesse semplice.[29]

Frequentemente si riscontra lo stupore e la ‘sorpresa’ della clientela retail che, dopo aver pagato per più anni le rate del mutuo, realizza di aver pagato prevalentemente interessi e costata un debito residuo ancora elevato: questa ‘sorpresa’ palesa una modesta emancipazione finanziaria ma, al tempo stesso, denuncia un sostanziale vizio del consenso, riconducibile all’originaria carenza di informazione sull’effetto anatocistico implicito nel regime finanziario composto convenuto in contratto.

Senza una puntuale e circostanziata illustrazione in contratto del regime finanziario e del calcolo degli interessi, la rilevante deroga alla proporzionalità degli interessi al capitale e al tempo, che induce un ricarico degli interessi non più su una funzione proporzionale ma esponenziale, può ben configurare una significativa e sostanziale ‘sorpresa’ del debitore, come vizio negoziale ex art. 1195 c.c.[30]

Con una labile adesione e irraggiungibile consapevolezza si vorrebbero impiegare criteri di imputazione dell’art. 1194 c.c. informati ad una convenzione formalmente inespressa, orientando, alle distinte scadenze, i pagamenti delle rate prioritariamente al pagamento di tutti gli interessi maturati, a prescindere dall’esigibilità o meno del capitale di riferimento. L’operatore retail, sia consumatore che imprenditore, rimane per lo più ignaro di tale peculiare convenzione: nella celata espressione di condizioni di dubbia liceità rimane viziato il consenso e pregiudicata la stessa possibilità di contestazione. Senza un’esplicita espressione della volontà del mutuatario sul rilevante quanto sfavorevole criterio di imputazione della rata, il principio di applicabilità dell’art. 1194 c.c. rimane circoscritto al capitale liquido ed esigibile (quota capitale).[31]

I pregnanti dubbi e perplessità, in tema di elusione ‘sostanziale’ del divieto posto dall’art. 1283 c.c. e dall’art. 120 TUB, che emergono dalle evidenze accertate in sede tecnico-finanziaria, congiunti con le carenze ed omissioni riscontrabili negli accordi pattizi, accostate forse dalla giurisprudenza con un improprio pregiudizio, sono state sinora frettolosamente liquidate senza un compiuto approfondimento, pervenendo talvolta ad apprezzamenti che, come sostiene G. Colangelo, sembrano voler ‘piegare la scienza a negare se stessa’.[32]

Le contestazioni e i ricorsi in materia di finanziamenti a rimborso graduale non risultano affatto sopiti e la stessa giurisprudenza non sembra aver trovato al riguardo un approdo unanime e definitivo. Nel corso dell’anno la tematica è riemersa: nella sentenza del Tribunale di Napoli n. 1558 del 13 febbraio ’18, con riferimento al piano di ammortamento, si è ritenuto che la ‘capitalizzazione composta non dichiarata in contratto, ma risultante solo dal piano di ammortamento, integra un anatocismo vietato dall’art. 1283 c.c. e non legittimato neanche dalla Delibera CICR 9/02/00’.[33]

Si trae l’impressione che l’evoluzione normativa di maggiore rigore nell’equilibrio e diligenza informativa dei contratti di adesione non abbia indotto mutamenti di rilievo nella stesura dei contratti relativi ai finanziamenti a rimborso graduale: reiterando modelli pattizi ormai obsoleti, è mancata una revisione critica e, altresì, un’attenta riflessione sui nessi fra la scienza finanziaria e i principi di diritto che vengono gradualmente riformandosi, per cogliere una sintesi che meglio riconcili sponde diverse ma non opposte. Permangono apprezzabili dubbi e perplessità che, oltre ad investire la legittimità e coerenza dell’utilizzo della capitalizzazione composta con gli artt. 820, 821 e 1283 c.c. e l’art. 120, 2° comma, lettera b) del TUB, coinvolgono la buona fede, correttezza e trasparenza, direttamente e indirettamente implicanti gli artt. 1195, 1284, 1337, 1341, 1370, nonché il Titolo VI del TUB e gli artt. 21, 33, 34, 35 e 36 del Codice del Consumo.[34]


 

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