CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 03/01/2019 Scarica PDF

Concordato preventivo ed IVA di rivalsa

Mauro Contin, Avvocato in Vicenza


SOMMARIO 1. L’orientamento sull’IVA di rivalsa espresso dalla Cassazione nel 2013. - 2. La dinamicità del patrimonio fallimentare ed i confini negoziali dell’attivo concordatario. 3 - Il privilegio speciale e l’esistenza del bene. - 4. L’art. 169 L.F. ed il mancato richiamo all’art. 54 L.F. - 5. Applicazione dell’art. 160, secondo comma, L.F. - 6. La giurisprudenza coeva di Cassazione e quella successiva di merito. Rilievi conclusivi


     

1. L’orientamento sull’IVA di rivalsa espresso dalla Cassazione nel 2013

La Corte di Cassazione con due arresti (sent. n. 24970 del 06 Novembre 2013 e sent. n. 12064 del 17 Maggio 2013) ha precisato il proprio orientamento riconoscendo nella procedura di concordato preventivo il privilegio speciale al credito per IVA di rivalsa, ex art. 2758, secondo comma, e 2772, terzo comma, Cod. Civ., indipendentemente dal rinvenimento fisico del bene presso il debitore istante.

Le due pronunce, sostanzialmente coincidenti nelle motivazioni, si differenziano poiché quella più recente (sentenza n. 24970) interviene su un procedimento pendente in vigenza dell’art. 160, secondo comma, L.F., modificato dal D.lgs 169/2007, ammettendo la possibilità di limitare il soddisfacimento del privilegio solo a seguito dell’esperimento di una relazione giurata ex art. 160, secondo comma, che stimi il valore di mercato del bene su cui si concentra il privilegio in misura inferiore all’IVA dovuta, pertanto, in assenza di tale perizia, l’importo per IVA di rivalsa andrebbe pagato integralmente, indipendentemente dall’esistenza del bene su cui grava il privilegio.

I passaggi motivazionali delle due decisioni sono sovrapponibili e possono così sintetizzarsi:

a. la natura del privilegio (sia esso generale o speciale) rappresenta una qualità del credito riconosciuta dall’ordinamento in ragione della propria causa ed in applicazione dell’art. 2745 Cod. Civ., conseguentemente il privilegio risulta indifferente al rinvenimento del bene;

b. inapplicabilità al concordato preventivo dell’art. 54 L.F., poiché non richiamato espressamente dall’art. 169 L.F., in particolare laddove stabilisce che i creditori privilegiati non soddisfatti integralmente concorrano, per quanto è ancora loro dovuto, con i creditori chirografari;

c. conseguente impossibilità di concepire una proposta concordataria statuente un soddisfacimento solo parziale dei crediti privilegiati, al di fuori dei limiti previsti dall’art. 160, secondo comma, L.F. (riformato ex D.lgs 169/2007), una diversa soluzione risulterebbe consentita solo se si concludono accordi tra creditori e debitore, con rinuncia dei primi al privilegio IVA.

Gli arresti rimandano ad un precedente specifico delle SS.UU.[1] del 2001 che, soffermandosi sulla procedura fallimentare, precisò come il riconoscimento del privilegio speciale, poiché ancorato alla causa generatrice del credito,[2] rimanesse indifferente all’individuazione del bene e spettasse al G.D. distinguere nettamente la fase di ricognizione del privilegio, da esaurirsi nell’ambito dell’accertamento del passivo, rispetto alla successiva verifica circa l’effettiva esistenza fisica del bene, attività da espletarsi in sede di riparto, unico momento deputato a garantire l’effettivo soddisfacimento del credito privilegiato speciale, e pertanto, idoneo a consentire il concorso effettivo tra le domande dei creditori.

Le conseguenze si concretizzerebbero nel dover ammettere, sempre e comunque, il privilegio speciale in sede di verifica del passivo, anche in ipotesi di crediti derivanti da prestazioni intellettuali o di servizi, benchè non suscettibili di alcun collegamento ad uno specifico bene, rimandando alla successiva fase liquidativa e di riparto la verifica fisica circa la sussistenza del bene su cui si concentra il privilegio.

I distinguo operati dalle SS.UU. tra momento cognitivo del credito e successiva attività di riparto, si giustificherebbero in virtù del dinamismo del patrimonio fallimentare, ben potendo i beni inventariati dal Curatore al momento dell’apertura del fallimento differenziarsi rispetto al compendio effettivamente liquidato, entità, quest’ultima, incrementabile all’esito del positivo espletamento di azioni revocatorie / recuperatorie.

L’arresto delle SS.UU. del 2001[3], è stato confermato successivamente da ulteriori decisioni di legittimità, destinate, in numerosi casi a scontrarsi con le evidenze di fatto dell’attivo rinvenuto nel fallimento[4]: e così, ove paia manifesto che l'oggetto materiale della prestazione su cui gravava il privilegio speciale non esista o vi sia la sicurezza che il bene è andato distrutto o non è stato identificato, né risulta identificabile, ecc., diventa del tutto inutile riconoscere il privilegio nella fase ricognitiva, poichè nella successiva fase di riparto la causa di prelazione non potrà concretamente mai operare.

Il principio espresso dalle SS.UU., con il portato di perplessità applicative che poneva in ipotesi di certa inesistenza del bene sin dalla fase di verifica del passivo, sembrerebbe definitivamente superato in ambito fallimentare[5], con l’intervenuta riforma dell’art. 93, comma terzo n°4, ex D.lgs 169/2007, risultando ora il creditore onerato di indicare analiticamente i beni sui quali si concentra il privilegio dovendoli descrivere nella domanda di insinuazione al passivo, pena la perdita del privilegio speciale sul ricavato del bene[6], lo stesso valga in ipotesi di mancanza od insufficiente descrizione del bene: ovviamente la verifica risulta svolta “allo stato degli atti”, con l’effetto che qualora successivamente alla verifica, e comunque fino all’esecuzione del riparto, il bene dovesse rientrare nel patrimonio fallimentare, al creditore istante verrebbe riconosciuto il privilegio.

La modifica dell’art. 93, comma terzo, anticiperebbe il momento della verifica in ordine alla sussistenza del bene e quindi l’accertamento dell’effettiva, o solo illusoria, possibilità di realizzo del privilegio speciale, legittimando il Curatore ad escludere il titolo di prelazione qualora il bene non fosse rinvenuto nell’attivo fallimentare sin dalla fase di accertamento del passivo[7].

Quest’ultima conclusione interpretativa risulta tutt’altro che pacifica, tant’è che, secondo una parte della dottrina, la modifica dell’art. 93, terzo comma, n°4, L.F. ben lungi dal superare il predetto orientamento delle SS.UU., ne costituirebbe un rafforzativo, ritenuto che la descrizione del bene, introdotta nell’art. 93, comma terzo n°4, risulterebbe: “evocativa di un’attività meramente rappresentativa e figurativa degli elementi di identificazione del bene senza alcun riferimento alla localizzazione dello stesso[8]

I parallelismi e le conclusioni a cui perviene la Corte di Cassazione si prestano a riflessioni critiche sul trattamento dei privilegi speciali nell’ambito della procedura concordataria rispetto a quella fallimentare.

   

2. La dinamicità del patrimonio fallimentare ed i confini negoziali dell’attivo concordatario

I principi su cui si fondano i precitati arresti del 2013, non paiono persuasivi.

La procedura di concordato preventivo muove, sempre e comunque, da una proposta del debitore che delimita i confini entro i quali si dichiara disposto a definire convenzionalmente la risoluzione della crisi della propria impresa, riservando al Tribunale il giudizio sulla legittimità della proposta (e non sulla convenienza economica, fatta salva la verifica circa il rispetto della “causa concreta” dell’accordo concordatario[9]), nel rispetto di norme imperative, tra cui certamente rientra il divieto di pagamento parziale dei crediti privilegiati (con l’eccezione prevista dall’art. 160, secondo comma) ed il divieto di alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione.

Nel concordato non sussiste (o meglio non sussiste di regola) il dinamismo evolutivo proprio del patrimonio fallimentare, è, infatti, il debitore che, descrivendo contenuti e limiti della proposta concordataria, indica l’attivo (anche futuro) messo a disposizione dei propri creditori, nè si potrà ritenere che l’attivo concordatario possa subire modifiche in corso di procedura, a meno che non sia il debitore a prevedere nel piano l’esperibilità di azioni risarcitorie o recuperatorie, altrimenti non promovibili autonomamente dagli organi della procedura.

L’autonomia riconosciuta al debitore nel fissare i contenuti della proposta di risoluzione della crisi di impresa, definendo con essa i limiti dell’attivo (presente e futuro) dovrà necessariamente coordinarsi con il principio di responsabilità patrimoniale fissato dall’art. 2740 C.C., dovendosi accertare se, ed a quali condizioni, l’imprenditore in concordato possa limitare la proposta concordataria alla liquidazione di una parte solamente del proprio patrimonio.

La derogabilità dell’art. 2740 Cod. Civ. da parte del debitore in concordato risulta molto dibattuta in dottrina, la giurisprudenza di merito formatasi post-riforma si è espressa per l’inammissibilità di una proposta concordataria liquidatoria che non preveda la messa a disposizione di tutto il proprio patrimonio, presente e futuro[10], del debitore.

Senza alcun spirito di completezza, si ritiene che il dinamismo dell’attivo fallimentare, traducentesti nella possibilità che il patrimonio iniziale del fallimento possa incrementarsi ai sensi dell’art. 42 L.F. per gli effetti dell’attività recuperatoria svolta dal Curatore, non sia replicabile in sede concordataria, mantenendo ildebitore l’esclusiva decisione sui limiti della proposta concordataria che potrebbe anche derogare al principio di responsabilità generale fissato dall’art. 2740 Cod. Civ.

Tale affermazione, se condivisa, si concretizza nell’impossibilità di procedere, in ambito concordatario, alla recuperabilità alla massa attiva di beni o crediti che non vengano già contemplati nell’attivo della proposta concordataria, con evidenti differenze dai principi che governano la determinazione dell’attivo fallimentare.

A ben vedere, è proprio il concordato con continuità aziendale ex art. 186 bis L.F. a rappresentare una prima deroga espressa al principio di responsabilità generale ed illimitata del patrimonio del debitore: la proposta concordataria “in continuità aziendale” dovrà, infatti, prevede che l’azienda non venga posta in liquidazione ma vada ristrutturata, implementata, differenziata in modo funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, il debitore non pone necessariamente a disposizione dei creditori tutti i propri beni, presenti e futuri, ben potendo non far rientrare nell’attivo tutto il surplus (utile) che deriva dalla continuazione dell’attività di impresa, in definitiva, ricorrerebbe una delle ipotesi derogatorie previste dall’art. 2740, secondo comma, c.c., che delimita le eccezioni alla responsabilità patrimoniale “nei casi stabiliti dalla legge”, tra i quali, per l’appunto, vi rientrerebbe l’art. 186 bis L.F.[11]

Gli argomenti a sostegno dell’ammissibilità alla deroga dell’art. 2740 Cod. Civ., e quindi posti a fondamento della sostanziale staticità del patrimonio attivo concordatario, possono così sintetizzarsi:

a. anzitutto si dovrà prendere atto che nel concordato preventivo non esiste alcun riferimento testuale alla messa a disposizione da parte dell’imprenditore di “tutti i propri beni”, come invece prevedeva l’art. 160, secondo comma, n°2, L.F., ante riforma 2005, non rinvenendosi alcun obbligo per il debitore di porre a disposizione dei propri creditori, “tutti i beni esistenti nel patrimonio alla data della proposta di concordato”[12], a ciò si aggiunga che l’art. 169 L.F. non richiama la disciplina prevista dall’art. 42, secondo comma, L.F. che ricomprende nell’attivo concordatario i beni che pervengono successivamente all’apertura della procedura concordataria. La proposta liquidatoria parziale, ovviamente, non va confusa con le situazioni in cui il debitore, non dichiari, o peggio occulti o distragga, una parte del proprio patrimonio, in tale ipotesi non si discute di messa a disposizione di parte del patrimonio liquidabile bensì di frode ex art. 173 L.F; 

b. non risulta risolutivo il richiamo alla natura imperativa ed inderogabile dell’art. 2740 Cod. Civ. ed al principio di universalità della responsabilità, qualificato presidio per evitare abusi a danno dei creditori dissenzienti. Si rammenti che qualora la proposta di concordato liquidatorio parziale (cd concordato a risparmio) venga approvata dalle maggioranze previste e non vi siano opposizioni nella fase di omologa, l’accordo risulterebbe di per sé meritevole di tutela in quanto espressione di autonomia negoziale[13], proprio applicando i meccanismi di approvazione a maggioranza caratteristici della procedura concorsuale. E’ proprio la disciplina concordataria, tuttavia, a contemplare meccanismi derogatori della responsabilità patrimoniale generica ex art. 2740 Cod. Civ., prova ne sia la facoltà per il debitore di stabilire autonomamente la porzione del patrimonio da destinare esclusivamente ad alcune classi di creditori rispetto ad altre, con l’unico limite dell’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici delle classi. Il potere del debitore di differenziare il trattamento economico per ciascuna classe, ed ancor più di destinare esclusivamente ad una classe la liquidazione di alcuni beni e non altri (con i relativi rischi di realizzo), rappresenta una deroga significativa al principio di garanzia generica previsto dall’art. 2740. Nell’applicazione pratica sarebbe agevole ipotizzare una proposta liquidatoria di concordato cd. “a risparmio”, privo di classi, che riservi indistintamente ai creditori chirografari una percentuale superiore a quella attribuita ad una o più classi di creditori in ipotesi di proposta di liquidazione dell’intero patrimonio. Prevedendo trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse, non solo quantitativamente ma anche qualitativamente (si pensi ad un soddisfacimento mediante datio in solutum), si ammette la legittimità di accordi parziali tra il debitore ed i creditori di ciascuna classe che rappresentano manifesta eccezione normativa al principio di universalità della responsabilità patrimoniale che imporrebbe –al contrario- di dover rispondere, nei confronti di tutti i creditori, con tutti i propri beni presenti e futuri, con inevitabile deroga al principio di parità di trattamento tra creditori previsto dall’art. 2741 c.c.[14].

c. Si dovrà ulteriormente constatare che ogni proposta di concordato preventivo liquidatorio riserva un diverso trattamento ai creditori ante e post omologa; l’omologazione del concordato preventivo dà luogo, infatti, alla formazione di due patrimoni[15], quello definibile ante omologa vincolato esclusivamente al soddisfacimento dei creditori anteriori alla pubblicazione nel registro imprese del ricorso, nonché dei creditilegalmente sorti durante la procedura, un secondo patrimonio destinato esclusivamente ai creditori successivi ed ai creditori aventi pretesa non opponibile al concordato. Allo stesso modo, la procedura di concordato preventivo determina una separazione tra creditori anteriori e posteriori rispetto alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso, giusta il disposto di cui all’art. 184 l.fall., comma 1, l.fall. Come chiaramente riferito: “Ciò che caratterizza il “concordato con cessione parziale dei beni” rispetto all’ordinario “concordato con cessione dei beni” non è, quindi, la deroga al principio di universalità della responsabilità patrimoniale (che vi è in ogni concordato, come visto), quanto la perimetrazione del patrimonio separato, destinato al soddisfacimento dei creditori anteriori: non tutto il patrimonio esistente è destinato ai creditori anteriori, ma solo una parte dello stesso, mentre la residua parte rimane destinata ai creditori posteriori. In mancanza di una norma che imponga espressamente che tutta la massa attiva anteriore sia messa a servizio della massa passiva anteriore, il mero richiamo al principio di responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. non pare, quindi, costituire un ostacolo insuperabile all’ammissibilità di proposte di destinazione ai creditori concorsuali di solo parte del patrimonio anteriore[16];

In posizione eclettica, rispetto a quelle sinora esposte, si pone altra dottrina che conclude per l’inammissibilità del concordato liquidatorio parziale non per violazione dell’art. 2740 Cod. Civ. (che anzi ritiene derogabile da una proposta liquidatoria) bensì per violazione dell’art. 160, secondo comma.

Secondo tale assunto, una volta espunto il passivo dal bilancio finale di liquidazione ed ottenuto l’effetto esdebitatorio ex art. 184 nei confronti di tutti i creditori, verrebbe riservato ai soci (titolari di un credito postergato rispetto agli altri creditori) il rimborso dei finanziamenti e del capitale, proprio quale conseguenza della liquidazione dei beni rimasti estranei al concordato preventivo, con violazione del principio di non alterazione delle cause legittime di prelazione e di graduazione nel soddisfacimento dei creditori, l’unica possibilità concessa all’imprenditore per poter conseguire l’ammissibilità della proposta, sarebbe, pertanto, quella di corredare la proposta con finanza di terzi per un valorequantomeno pari ai beni del patrimonio che non intende mettere a disposizione dei propri creditori[17].

Recentissimamente è intervenuta sul punto la Corte di Cassazione[18] che ha riferito che il concordato con cessione solo parziale dei beni realizza una violazione dell’art. 2740 Cod. Civ. in quanto “l’effetto esdebitatorio presuppone la messa a disposizione dei creditori di tutte le attività del debitore. Proprio la presenza di tale effetto spiegherebbe l’inapplicabilità della disciplina dettata dall’art. 1977 Cod. Civ., che consente al debitore di cedere “tutto o alcune sue attività”; in realtà la cessione dei beni di fonte contrattuale non ha un effetto esdebitatorio, a differenza di quanto avviene nel concordato e consente ai creditori cessionari di agire esecutivamente anche sulle attività non cedute”[19].

Pur consapevoli del dibattito tutt’ora in corso, si dovrà comunque pervenire alla conclusione che il patrimonio concordatario, quantomeno relativamente ai beni non presenti al momento del deposito della domanda di concordato, non possa subire modifiche nell’attivo se tale evenienza non risulti espressamente contenuta nella proposta concordataria, il patrimonio concordatario risulta, pertanto, quello definito dal debitore, non necessariamente coincidente con tutto il proprio patrimonio anche solo potenziale, comunque estraneo all’inevitabile dinamismo che caratterizza la massa attiva fallimentare.

   

3. Il privilegio speciale e l’esistenza del bene

Il privilegio speciale viene riconosciuto, secondo gli arresti della Cassazione del 2013, indifferentemente dal rinvenimento fisico del bene muovendo dalla causa del credito.

La causa (ma sarebbe meglio riferirsi alla genesi) del privilegio non ha nulla di accomunabile alla causa contrattuale, essa si rinviene esclusivamente in una scelta legislativa, non quale derivazione indiretta (a cui ricondurre qualsiasi diritto), bensì diretta, poiché causa produttiva dello stesso privilegio[20].

E’ noto che l’art. 2746 C.C. introduce una distinzione categoriale tra privilegi generali e speciali, a seconda che il credito possa trovare soddisfazione su tutti i beni mobili o solamente su determinati beni, mobili od immobili, del debitore.

Il privilegio speciale che assiste un credito si manifesta e si realizza quindi nel concorso con altri crediti, l’antergazione si giustifica poichè: “Esso (ndr. privilegio) pertanto postula, fin dal suo sorgere, un rapporto diretto con il bene, vincolato alla soddisfazione del credito assistito dalla prelazione speciale[21], tanto da vedersi riconosciuto un vero e proprio diritto di seguito nei confronti dei titolari di diritti reali di godimento sul bene sorti successivamente al privilegio (art. 2747, primo comma, C.C.), fatta salva la buona fede (che peraltro si presume) di colui che acquista secondo la regola generale di circolazione dei beni mobili stabilita dall’art. 1153 C.C.

In taluni casi, la sussistenza del rapporto materiale con il bene oggetto del privilegio speciale è talmente stretta che il bene ne diviene elemento costitutivo, in tali casi la permanenza del privilegio viene condizionata dalla detenzione della res da parte del creditore (trattasi dei privilegi possessuali cfr art. 2756, spese di conservazione e miglioramento del bene, art. 2761 crediti del vettore, del mandatario, del depositario e del sequestratario) ovvero dalla collocazione della cosa presso il creditore, benchè non ne abbia il possesso immediato ma per il tramite di un detentore qualificato (privilegi quasi possessuali, art. 2760, crediti dell’albergatore, 2763, canoni enfiteuci, 2764, commi quarto e sesto, crediti del locatore), consentendo il diritto di ritenzione del bene per i creditori con privilegi possessuali (art. 2756, terzo comma Cod. Civ.) od il diritto a conseguire un sequestro conservativo per i creditori titolari di privilegi quasi possessuali, onde evitare che la rimozione/spostamento del bene, estingua il privilegio[22].

La dipendenza del privilegio speciale dall’esistenza del bene su cui si concentra, presuppone il mantenimento del rapporto tra il creditore e la res sin dal suo sorgere e non soltanto nel momento di escussione del credito, sicchè il collegamento andrà mantenuto per l’intera durata del rapporto di credito[23]: ovviamente, tale relazione andrà valutata anche con rifermento alle vicende estintive del privilegio.

In definitiva, ed a differenza di quanto accade per i privilegi generali, che estendono la loro preferenza sull’intero patrimonio mobiliare, che potrà variare nel corso del tempo, divenendo quindi irrilevante il rapporto con una cosa specifica, le vicende relative alla natura giuridica od alla condizione fisica dei beni mobili su cui si concentra il privilegio speciale inevitabilmente incidono sull’esistenza dello stesso privilegio.

Gli eventi che comportano la distruzione od il perimento materiale del bene vincolato o la cessazione della sua appartenenza al patrimonio del debitore, od ancora la trasformazione del bene che comporti un mutamento nella specie della res od una sua variazione giuridica, provocano inevitabilmente l’estinzione del privilegio: trattasi di giustificazione che muove dalla natura concretamente reale del privilegio speciale che presuppone la conservazione del bene, giuridica e materiale, fino al momento della realizzazione del credito[24].

Se tale è il rapporto con la cosa, non si potrà ritenere che il privilegio speciale per Iva di rivalsa vada sempre e comunque riconosciuto indipendentemente dal rinvenimento del bene su cui si concentra la preferenza accordata, come peraltro già riportato in Dottrina, proprio con riguardo all’Iva di Rivalsa: “non potendo il creditore confidare in alcuna soddisfazione sulla liquidazione di un cespite non appreso nell’attivo concordatario[25].

Ma nemmeno l’irrecuperabilità attuale del bene, determinando l’impossibilità di soddisfazione del privilegio speciale, potrà qualificarsi alla stregua di un incidente di esecuzione nella fase liquidativa del concordato, come pure autorevolmente sostenuto[26]: quest’ultima ricostruzione, torna a collocare l’accertamento del privilegio speciale nel momento liquidativo della procedura concordataria, alla stregua di quanto avviene nella procedura fallimentare, riconoscendone comunque l’esistenza a prescindere dalla rinvenibilità del bene.

Si rivela inconciliabile il parallellismo tra Fallimento e concordato, per la diversa struttura che caratterizza le due procedure, in particolare per l’assenza nella procedura concordataria di un momento di verifica dei crediti.

La liquidazione di un credito dotato di privilegio speciale non potrà, pertanto, riconoscersi solo in funzione della causa del credito, che, come riferito, trova fondamento e giustificazione esclusivamente nella volontà politica del legislatore, dovendosi, proprio in ragione della scelta legislativa, fare i conti con la rinvenibilità del bene nel patrimonio del debitore, secondo principi di realità del tutto assimilabili a quelli dei diritti reali di garanzia.

   

4. L’art. 169 L.F. ed il mancato richiamo all’art. 54 L.F.

Nella motivazione di Cassazione 12064 (antecedentemente alla modifica dell’art. 160 ex Dlgs 169/2007) risulta centrale il mancato richiamo all’art. 54 L.F., da parte dell’art. 169 L.F., in particolare nella parte in cui stabilisce che “I creditori garantiti da ipoteca, pegno o privilegio fanno valere il loro diritto di prelazione sul prezzo dei beni vincolati per il capitale, gli interessi e le spese; se non sono soddisfatti integralmente, concorrono, per quanto è ancora loro dovuto, con i creditori chirografari nelle ripartizioni del resto dell'attivo”.

L’intenzionale omesso richiamo all’art. 54 costituirebbe, per i giudici di legittimità, ragione sufficiente[27] per concludere che i crediti assistiti da privilegio speciale vadano sempre e comunque pagati per intero in ambito concordatario, indipendentemente dal rinvenimento del bene, e ciò sulla scorta del principio che il privilegio attiene alla causa del credito, ovvero alla giustificazione di preferenza operata dal legislatore dell’un credito rispetto ad altri.

Tale conclusione, ad avviso di chi scrive, non è conciliabile con le regole generali in materia di estinzione dei privilegi speciali ponendosi, se applicata generalmente, quale potenziale soverchiamento dei principi che regolano la materia dei privilegi.

Se il privilegio speciale per Iva di rivalsa venisse riconosciuto a prescindere dal rinvenimento del bene su cui si concentra, il credito privilegiato graverebbe indistintamente e genericamente sul ricavato della liquidazione di tutti i beni dell’attivo concordatario, con l’effetto che il credito, dotato di privilegio speciale su un bene non liquidabile (poiché inesistente o non rinvenuto), concorrerebbe con gli altri privilegi generali (cfr art. 2758 Cod. Civ.)[28].

La conclusione di fatto a cui costringerebbero gli arresti della Corte di Cassazione si tradurrebbe in una riviviscenza dell’art. 18 DPR 633/72, ante riforma in materia dei privilegi, e viene contraddetta dall’interpretazione fornita dalla stessa Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale.

Va rammentato, infatti, come l’art. 18 DPR 26 Ottobre 1972, n°633 (modificato dall’art. 1 DPR 23 Dicembre 1974, n 687) [29], prevedesse che il privilegio speciale per iva di rivalsa, in assenza del bene su cui si concentrava, si estendesse, esclusivamente in ipotesi di beni mobili, alla generalità dei mobili del debitore, con lo stesso grado del privilegio speciale previsto per le imposte dall’art. 2752 Cod. Civ.; tale norma è stata superata a seguito della modifica dell’intera materia dei privilegi dettata dalla L. 426/1975, come riconosciuto dalla Corte di Cassazione (Cass. Civ. 21/01/1985, n°205) e confermato dalla Corte Costituzionale con ben due pronunce che riconoscono la legittimità costituzionale dell’art. 2758, secondo comma, Cod. Civ., nella parte in cui esclude l’estensione del privilegio per IVA di rivalsa nei confronti dell’intero patrimonio mobiliare del debitore, in ipotesi di mancanza del bene su cui si concentra la prelazione del credito[30].

A rafforzare la non condivisione degli argomenti addotti dalle decisioni della Cassazione qui criticate, soccorre la recente modifica dell’art. 2751 bis, n°2, Cod. Civ., da parte della L. 27 Dicembre 2017, n°205, laddove prevede il riconoscimento del privilegio generale sui mobili per le retribuzioni dei professionisti, ivi ricomprendendo il credito per iva di rivalsa.

Con tale modifica il privilegio muta la propria natura, da speciale a generale sui beni mobili, solo ed esclusivamente nei riguardi dei crediti vantati dai professionisti, circostanza che, a contrariis, consente di ritenerne immutata in assenza di espressa disposizione legislativa la natura speciale del privilegio relativamente a crediti per iva di rivalsa non derivanti da crediti professionali: la modifica così introdotta dalla L. 205/2017, è stata peraltro già sottoposta a critiche di costituzionalità, come dimostra la recente ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale del Tribunale di Udine, per violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza [31].

In definitiva, voler riconoscere, sempre e comunque, il privilegio per iva di rivalsa, indipendentemente dal rinvenimento del bene su cui si concentra, sol perché ci si ponga nell’ambito di una procedura concordataria, porta come illegittima conseguenza la modifica ex facto della natura e dello statuto del credito, in manifesta contraddizione con il dato normativo e con le predette pronunce (di rigetto e di inammissibilità) rese dalla Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi proprio sulla legittimità costituzionale dell’art. 2758 cc 

Né dal mancato richiamo dell’art. 49, che, secondo le pronunce qui commentate, fonda il principio dell’integrale soddisfazione dei crediti privilegiati in ambito concordatario, potrà dedursi il riconoscimento incondizionato del credito per Iva di rivalsa: l’effettività del principio di integrale soddisfacimento dei crediti privilegiati, si declina anzitutto nell’osservanza dell’”ordine delle clausole cause legittime di prelazione”, e potrà correttamente operare solo se viene salvaguardata la natura speciale della prelazione, ovverosia l’esistenza ed il rinvenimento del bene su cui si concentra il privilegio speciale.

   

5. Applicazione dell’art. 160, secondo comma, L.F.

La richiamata sentenza n°24970/13 fa salvo il principio di onorare il privilegio per Iva di rivalsa indipendentemente dal rinvenimento del bene, ad eccezione dell’ipotesi prevista dall’art. 160, secondo comma, L.F., rinvenibile qualora il piano concordatario ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella ricavabile in caso di liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste il privilegio, avuto riguardo al valore di mercato di tali beni che andrà attestato mediante la relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d) L.F.

Il testo della disposizione non consente dubbi sul fatto che la relazione giurata del professionista abbia ad oggetto un bene da stimare, individuabile fisicamente e che si trovi nella disponibilità giuridica del debitore di cui si dovrà descrivere natura, consistenza economica e riferibilità dello stesso ad uno specifico creditore, circostanza affatto certa rammentando l’ipotesi, ricorrente nella prassi, in cui vi siano più rivenditori di prodotti, non identificati da codici di produzione o di messa in commercio, da marchi od altri segni distintivi che ne consentano la riferibilità ad un fornitore specifico.

La relazione illustrativa al D.lgs 169/07, con riferimento all’eccezione introdotta dall’art. 160, secondo comma, L.F., precisa che: “La normativa precedentemente in vigore non consentiva, in sede di concordato preventivo, ed a differenza di quanto poteva invece accadere nell’ambito di un concordato fallimentare, di offrire un pagamento in percentuale dei creditori privilegiati, neppure con riferimento a quella parte del loro credito destinata a rimanere comunque insoddisfatta  avuto riguardo al presumibile valore di realizzo dei beni sui quali il privilegio cade. Si è quindi voluto, al fine di incentivare ulteriormente il ricorso allo strumento del concordato preventivo, e di eliminare una illogica diversità di disciplina rispetto al concordato fallimentare, prevedere che anche la proposta di concordato preventivo possa contemplare il pagamento in percentuale dei creditori privilegiati, semprechè la misura del soddisfacimento proposta non sia inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di vendita dei beni sui quali il privilegio cade”.

Risulta sinanco banale osservare come il Legislatore riferendosi al valore di realizzo del bene su cui dovrà concentrarsi la relazione del professionista o, come previsto dalla norma, al “ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste al causa di prelazione” (cfr art. 160, secondo comma LF), si riferisca ad un bene esistente al momento della stima, tanto da poter essere liquidato ipotizzando un valore di realizzo, volto a stabilire il pronosticabile ammontare del possibile soddisfacimento del credito privilegiato.

Né si potrà attribuire all’esperto il compito di ricercare se sussistano nel patrimonio del debitore beni sui quali si possa concentrare la preferenza concessa all’Iva di rivalsa, trattandosi di attività del tutto estranea a quella descritta dall’art. 160, secondo comma, L.F., ed al mandato che l’esperto riceve da parte del debitore, tanto più che si giungerebbe ad una manifesta contraddizione: se il bene oggetto di privilegio, pur presente nel patrimonio del debitore, venisse stimato per un valore inferiore a quello dell’Iva di rivalsa verrebbe consentita l’appostazione nel piano di un minor valore rispetto al credito per Iva di rivalsa; qualora, invece, il bene non fosse rivenuto nel patrimonio del debitore, andrebbe automaticamente appostato al passivo in privilegio l’intera somma per Iva di rivalsa[32].

A ben vedere la ricerca, l’individuazione e la dichiarazione sull’esistenza del bene su cui insiste il privilegio, non rientrando nei compiti dell’esperto di cui all’art. 160, secondo comma, L.F., andrà rimessa al debitore che dovrà dichiarare nel ricorso ex art. 161, secondo comma, L.F., il bene su cui insiste il privilegio per iva di rivalsa, con relativa attestazione circa la veridicità del dato aziendale dichiarato da parte del professionista attestatore ex art. 161, terzo comma, L.F.

Qualora il bene sia uscito dalla disponibilità del debitore non sussisterà alcun privilegio per Iva di rivalsa ed il debitore non dovrà appostare in piano tale voce, non sussistendo –ovvio- il bene da liquidare.

Né si potrebbe ovviare al meccanismo sopra indicato, calcolando matematicamente il credito per iva di rivalsa in una percentuale sul valore del magazzino accertato al momento del deposito della domanda, scelta che finisce per calpestare i principi posti a salvaguardia della natura del credito dotato di privilegio speciale, che, per l’appunto, pretende, ante omnia, l’individuazione del bene su cui si concentra il privilegio[33].

   

6. La giurisprudenza coeva di Cassazione e quella successiva di merito. Rilievi conclusivi

Nel panorama di una giurisprudenza che pressoché nella sua totalità si è conformata ai principi richiamati dalla Cassazione, preme dar conto di alcune pronunce di merito che, sposando le argomentazioni sopra esposte e sviluppandone di ulteriori, ritengono essenziale riconoscere l’Iva di rivalsa solo in presenza del bene.

Si rammenta la decisione del Tribunale di Milano del 2 maggio 2016, Giudice dott. D’Aquino[34], resa in un giudizio instaurato nei confronti del concordato S. Raffaele (liquidatorio, con previsione di pagamento integrale del privilegio e omologato), vertente sulla richiesta del privilegio iva di rivalsa (per oltre 1,4 milioni di euro) da parte di un fornitore di servizio pasti.

La sentenza si rivela particolarmente interessante poiché riconosce che il principio di degradazione del credito privilegiato per incapienza/ assenza dei beni offerti in garanzia costituisce principio generale di diritto sostanziale dell’ordinamento giuridico, che non può trovare deroga nel procedimento di concordato preventivo, né in tal senso risulterebbe idoneo il mancato rimando dall’art. 169 L.F. all’art. 54 L.F., posto che la natura privilegiata del credito va valutata in concreto e non in astratto e non prescinde dall’esistenza, capienza e liquidazione del bene; così si esprime il Giudice milanese: “il mancato richiamo nel c.p. dell’art. 54 L.F. non muta la circostanza secondo cui nel concordato preventivo con cessione dei beni la liquidazione debba seguire le regole di soddisfacimento in concreto (e non in astratto) dei crediti concorsuali e del concorso sostanziale.

La Corte di appello di Venezia[35], esprimendosi sul privilegio speciale per crediti derivanti da dazi doganali (credito dotato di privilegio speciale sui beni mobili a cui si riferisce il dazio), ha ritenuto non necessaria la relazione ex art. 160 L.F. confermando la sentenza di prime cure con la seguente motivazione: “Orbene ritiene il Collegio giudicante che nel caso in cui il bene su cui insiste il privilegio non sia presente nel patrimonio del debito, o perché mai esistito (come nel caso delle prestazioni professionali relativamente alle quali non è possibile individuare un bene di riferimento dato che oggetto della prestazione è per lo più un’attività immateriale), o perché consumato, utilizzato, trasformato nel processo produttivo (come nel caso delle energie, dei carburanti) oppure non vendibile in quanto privo di valore economico), ecc…, e non vi è quindi alcuna possibilità che vi rientri in futuro, la necessità della relazione dell’attestatore  di cui all’art. 160, comma 2, L.F. al fine della degradazione del credito a chirografo non trova alcuna giustificazione. Infatti tale attestazione dovrebbe riguardare beni che per definizione non possono essere valutati economicamente (perché mai esistiti o perché non sussistono né sussisteranno mai nel patrimonio del debitore) ed inoltre qualsiasi percentuale di soddisfazione attribuita al credito chirografario sarebbe più elevata rispetto a quella ottenibile dalla liquidazione di un cespite inesistente o di valore nullo”. Risulta interessante la decisione poichè, nell’esonerare dal deposito della relazione del professionista ex art. 160, secondo comma, L.F., ne definisce indirettamente il contenuto che non può estendersi a ricercare e certificare l’inesistenza dei beni su cui insiste il privilegio.

La Corte di appello di Bologna nel 2015[36], confermando il decreto di omologa del Tribunale di Ravenna, ritenne corretta la condotta del ricorrente che non aveva valorizzato l’iva di rivalsa su beni mobili (pneumatici), in particolare rilevando la non corrispondenza tra i beni indicati sulle fatture e le rimanenze rinvenute in magazzino.

Da ultimo, dovrà annoverarsi tra le pronunce di contenuto diametralmente opposto a quelle qui richiamate (Cass. sent. n°24970 del 06 Novembre 2013 e sent. n° 12064 del 17 Maggio 2013) il coevo arresto della Cassazione[37] che riconosce il privilegio per iva di rivalsa solo se sussiste il bene su cui insiste il privilegio. La massima pubblicata risulta diametralmente opposta all’orientamento qui criticato, e così: «il privilegio speciale per il credito di rivalsa iva spetta sul bene (nella specie, prodotti petroliferi) che ha formato oggetto della cessione o al quale si riferisce il servizio, senza che rilevi che esso sia fungibile, ove permanga nella sua individualità — la cui prova incombe sul cedente — perché non consumato o confuso con altri beni omologhi».

***

Coerentemente ai rilievi argomentativi sin qui esposti, si dovrà pervenire alla conclusione che il riconoscimento del privilegio speciale previsto dagli artt. 2758, comma 2 e 2772 terzo comma Cod. Civ. dipenderà dall'accertata esistenza del bene ceduto o del bene al quale si riferisce il servizio, laddove il bene non venga rinvenuto od individuato con precisione, il creditore perderà il diritto di soddisfarsi con preferenza rispetto agli altri creditori. La dichiarazione circa l’esistenza del bene spetta al debitore che ne risponderà, anche ai sensi dell’art. 173 L.F., qualora ometta di riferire circa la riconducibilità dei beni rinvenuti a specifiche forniture o servizi. Non sarà, per contro, necessario depositare la relazione attestata ex art. 160, secondo comma, L.F. finalizzata alla sola dichiarazione di non rinvenibilità del bene su cui dovrebbe gravare il privilegio per iva di rivalsa, trattandosi di finalità del tutto estranea allo scopo della relazione.



[1] La decisione delle SS.UU. (Cass. SS.UU. 16060/2001) compone un contrasto giurisprudenziale tra alcune pronunce che sostenevano il limite del Giudice delegato all’accertabilità dell'esistenza del credito e della natura prelatizia (In tal senso, Cass. 18/6/1982, n. 3728; Cass. S.U. 9/4/1984 n. 2255 in via incidentale; Cass 9/8/1991, n. 8685; Cass. 26/1/1985, n. 391; Cass. 3/12/1996, n. 10786; ecc.) ed altre che invece consentivano tale verifica sin dalla fase di accertamento con conseguente possibile disconoscimento del privilegio per l’assenza del bene Cass. 2/2/1995, n. 1227; Cass. 15/11/1976, n. 4218; Cass. 25/7/1975 n. 2901; Cass. 20/3/1972, n. 843; ecc.).

[2] PATTI, I privilegi, in trattato Cicu Messineo, Milano, 2003 pag. 24

[3] Cass. 2288/2012, 11259/2012, 6849/2011, 20550/2005.                   

[4] FABBRO: “Il pagamento del credito per l’IVA di Rivalsa nel concordato preventivo” in Fallimenti & Societa, 2014

[5] In questi termini, Trib. Milano 29 Maggio in  causa Immobiliare Algi S.a.s. c. Fall. Mixer Packaging S.r.l., inedita, richiamata in QUATRARO-DIMUNDO, “La verifica dei crediti nelle procedure concorsuali”, Milano, 2014, pag. 272

[6] Cassazione, Sez. I, 19 giugno 2014, n. 13978, nega il privilegio speciale al credito IVA di rivalsa ove manchi la prova - oggetto di onere a carico del creditore in sede di domanda di ammissione al passivo - di un collegamento tra l’attività professionale stessa ed uno specifico bene del fallimento, la mancata precisa indicazione del bene trasformerebbe il privilegio speciale (peraltro escluso) in un privilegio generale.

[7] In tal senso si veda M. FERRO, La legge Fallimentare, Milano, 2014 pag. 1204 ss (aggiungere autori)

[8] In questo senso Trib. Catanzaro 15/10/2008, GUGLIELMUCCI, Diritto Fallimentare, 2012, Torino;

[9] Cassazione Sez. Un. Civili 23 gennaio 2013, n. 1521 - Pres. Preden - Est. Piccininni, si veda anche Cassazione Civile, Sez. I, 17 ottobre 2014, n. 22045 - Pres. Rordorf - Rel. Mercolino - P.M. Salvato, in Fallimento n°4/15, pag. 435 con nota di Paola Vella; sussistono evidenti tentativi della giurisprudenza di merito a reintrodurre nel proprio giudizio, mediante un procedimento revisionista, anche l’analisi sul merito economico della proposta concordataria richiamandosi all’ultimo comma dell’art. 160 L.F. ed al verbo “assicurare” ivi utilizzato, si veda sul punto Carlo Trentini, “Il Controllo Del Tribunale Sulla Fattibilità Economica - Del Concordato: Un “Ritorno” Legittimo? Nota a sentenza Tribunale di Belluno, 17 febbraio 2017 - Pres. Coniglio - Rel. Travìa, Il Fallimento n. 11/2017, pag. 1217

[10] Per l’orientamento contrario alla cessione parziale dei beni successivo alla riforma cfr. App. Roma, 5 marzo 2013, in ilcaso.it; Trib. Roma, 25 luglio 2012, in Fall. 2013, 748; Trib. Arezzo, 8 novembre 2011, in ilFallimentarista.it, con nota di M. VITIELLO, Ammissibilita' di una proposta di concordato con cessione parziale dei beni del debitore con e senza continuazione d'impresa; Trib. Torino, 23 dicembre 2010, ivi, con nota di N. BOTTERO, Condizioni di ammissibilità della proposta concordataria e concordato con parziale cessione dei beni; Trib. Roma, 29 luglio 2010, in Fall., 2011, 225, con nota di N. NISIVOCCIA. Per la giurisprudenza anteriore alla riforma: cfr. Trib. Bari, 22 luglio 1975, in Giur. comm., 1976, II, 864 e Trib. Bari, 14 luglio 1975, in Giur. it., 1976, I, 2, 435. Tribunale di Milano 15/12/2016 per l’inderogabilità del principio anche in ipotesi di concordato con continuità aziendale, contra limitatamente al concordato in continuità  Tribunale di Firenze 02/11/20116; Per una lucida ricostruzione delle tesi a favore e contro l’inderogabilità in materia dell’art. 2740 cod. civ. si veda D’ATTORRE, L’impresa e il diritto commerciale: innovazione, creazione di valore, salvaguardia del valore nella crisi. V convegno annuale dell’associazione italiana dei professori universitari di diritto commerciale “Orizzonti del diritto commerciale”, Roma, 21-22 febbraio 2014; e v. anche C. TRENTINI Cessione parziale dei beni nel concordato preventivo, in Fall.2013, 751

[11] Per il parallelismo tra cd. quid pluris prodotto dal piano concordatario e finanza esterna, vedi AMBROSINI, Il concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali diretto da Vassalli, Luiso e Gabrielli, IV, Giappichelli, Torino, 2014, 178: «nulla sembra vietare che la differenza tra l'attivo concordatario e quello fallimentare sia utilizzata per soddisfare i chirografari (inclusa la quota di privilegiati scaduta al chirografo), senza necessità di un quid pluris esterno»; in senso dubitativo, vedi BONFATTI, (nt. 6), 3000: «può essere dubbio riservare la stessa conclusione [di qualificazione come finanza esterna, n.d.r.] — come peraltro a chi scrive parrebbe sostenibile e preferibile — agli apporti rappresentati dall'assicurazione di un ricavato dalla liquidazione di beni pur facenti parte del patrimonio del debitore maggiore del presumibile valore di mercato (quindi maggiore di quanto sarebbe presumibilmente ricavabile senza l'esecuzione del concordato)». In giurisprudenza, per la qualificazione di finanza esterna del quid pluris concordatario, vedi Trib. Monza, 22 dicembre 2011, in Il Caso.it. In senso contrario vedi VATTERMOLI,  secondo cui la versione forte dell'ordine delle cause di prelazione «dovrebbe poi trovare applicazione non soltanto rispetto al presumibile valore di realizzo che il patrimonio del debitore avrebbe in caso di apertura del fallimento, ma anche sull'eventuale surplus, rispetto a quel valore, generato dalla soluzione concordataria». Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 16299 - pubb. 01/07/2010. In Giurisprudenza, nel senso della derogabilità Tribunale di Firenze, 02 Novembre 2016, in senso opposto Tribunale di Milano, 15 Dicembre 2016.

[12] Nel sistema previgente, in ordine alla inammissibilità di una proposta concordataria che prevedesse la cessione parziale dei beni si veda Trib. Bari 22/07/1975 in Giur. Comm. 1976, II, 864.

[13] AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, nel Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, Padova, Cedam, 2008, vol. XI.1, Bonfatti, La disciplina dei crediti privilegiati nel concordato preventivo con continuità aziendale, doc. del 28 ottobre 2013 nel sito www.ilcaso.it, 38, nota 51

[14]  CARLO TRENTINI I Concordati Preventivi, Milano, 2014

[15] A. JORIO, La riforma fallimentare: pregi e difetti delle nuove regole, in Giur. Comm., 2013, (nt. 1), p. 706., (nt. 11), p. 473, il quale osserva che «partendo dalla disposizione del primo comma del presente articolo, secondo la quale il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al decreto di apertura, si possono distinguere quattro categorie di soggetti: a) quelli vincolati dal concordato stesso; b) i titolari a un diritto a collocazione preferenziale verso la massa, se siano state rilasciate le prescritte autorizzazioni, o comunque siano state osservate le disposizioni dell’art. 167 l.fall.; c) i creditori per un titolo successivo all’emanazione del decreto di ammissione alla procedura, ma anteriore al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione per un credito inopponibile agli altri creditori, perché contratto senza le prescritte autorizzazioni, e, infine, d) i creditori successivi all’apertura del procedimento di concordato preventivo».

[16] D’ATTORRE, cfr nota 9; nel senso di non considerare parte dell’attivo concordatario l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società in concordato liquidatorio,  Tribunale Bologna sentenza 16/08/2016 n°2121/2016 in “ilcaso.it”, nello stesso senso GIUSEPPE GIANDIGIACOMO, “Le azioni di responsabilità nel piano di concordato preventivo”, in Il Fallimentarista Focus del 16/11/2012;

[17] ANTONIO ROSSI, LE PROPOSTE “INDECENTI” NEL CONCORDATO PREVENTIVO. Giurisprudenza Commerciale, fasc.2, 2015, pag. 331

[18] Cass. Civ. 26005/2018 in Fallimenti & Società

[19] Sulla non attualità del credito risarcitorio per mala gestio dell’amministratore e sulla inammissibilità della relativa azione cfr Trib. Bologna sent. 2121/2016 del 16/08/2016

[20] PATTI, I Privilegi, Trattato di diritto Civile e Commerciale, Cicu Messineo, Milano, 2003, pag. 17

[21] Ibidem Patti, pag. 47

[22] Cfr SEMIANI BIGNARDI, La ritenzione nell’esecuzione individuale e nel fallimento, Padova, 1960, 52; TUCCI, I privilegi, in Tratt. Rescigno, 19, I, 2° edizione Torino, 1997, 631.

[23] CICCARELLO, Dir. Priv., in Enciclopedia del Diritto, XXXV, Milano, 1986, 726; PATTI, op. ci, pag. 43)

[24] PARENTE, Comm. Cod. Civ. Cendon, Milano 2009, pag. 161; RUSCELLO, CORDIANO, in Comm. Perlingieri, art. 2746 Cod. Civ., Napoli-Roma, 2010, pag. 52,53; TUCCI op. cit. I privilegi, 6; Patti, I privilegi, op cit. 62.-

[25] AMBROSINI, in Vassalli-Luiso-Gabrielli, TRATTATO DI DIRITTO FALLIMENTARE E DELLE ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI, Torino, 2014, vol. IV, pag. 176

[26]  LO CASCIO, Il Concordato Preventivo, Milano, 2008, pag. 673.-

[27] ragion sufficiente, principio identificato da Leibniz per portare alla luce il fondamento delle ‘verità di fatto’ o contingenti (a posteriori) e il loro statuto rispetto alle cosiddette ‘verità di ragione’, cioè le verità necessarie o ‘identiche’ (a priori). La ragione non può attingere un livello di conoscenza tale da determinare a priori lo svolgimento, ossia la successione e il coordinamento logico e causale, delle verità di fatto, diversamente da quanto avviene per gli enti matematici che rispondono alle sole ‘verità identiche’ e le cui proprietà sono quindi conoscibili e deducibili al di qua dell’esperienza.

[28] GIULIANO BUFFELLI, IL FALLIMENTARISTA, Il Credito di rivalsa IVA nel concordato preventivo, Focus del 23/04/2013: “Senza peraltro sottovalutare l'ulteriore rilievo che, opinando come la Corte, al privilegio speciale assicurato dalla legge al credito di rivalsa IVA finiscono per essere attribuiti in via di interpretazione, per quanto autorevole, gli effetti di un privilegio generale, probabilmente lesivo, tra l'altro, dei diritti dei creditori che il privilegio generale vantano ab origine ex lege. Se prendesse piede la soluzione del Supremo i crediti di rivalsa IVA, nel concordato preventivo, non potrebbero non avere trattamento privilegiato, a prescindere dall'esistenza dei beni. E ciò avrebbe certamente un impatto di rilievo su tutti i concordati preventivi, dal momento che fino ad oggi i crediti per rivalsa IVA sono stati sempre degradati al rango chirografario in assenza dei beni sui quali esercitare il privilegio, mentre ora, nella determinazione del fabbisogno dei piani, andrà tenuto conto della loro diversa collocazione

[29] Si riporta il testo dell’art. 18 DPR 633/72, in vigore dal 10/08/1995 - modificato da: Decreto-legge del 23/02/1995 n. 41 Articolo 16 bis “Il soggetto che effettua la cessione di beni o prestazione di servizi imponibile deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente. Per le operazioni per le quali non e' prescritta l'emissione della fattura il prezzo o il corrispettivo si intende comprensivo dell'imposta. Se la fattura e' emessa su richiesta del cliente il prezzo o il corrispettivo deve essere diminuito della percentuale indicata nel quarto comma dell'art. 27. La rivalsa non e' obbligatoria per le cessioni di cui ai numeri 4) e 5) dell'articolo 2 e per le prestazioni di servizi di cui al terzo comma, primo periodo, dell'articolo 3. E' nullo ogni patto contrario alle disposizioni dei commi precedenti. Il credito di rivalsa ha privilegio speciale sui beni immobili oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio ai sensi degli artt. 2758 e 2772 del codice civile e, se relativo alla cessione di beni mobili, ha privilegio sulla generalita' dei mobili del debitore con lo stesso grado del privilegio generale stabilito nell'art. 2752 del codice civile, cui tuttavia e' posposto

[30] Corte Cost. 15/02/1984 n°25, FI, 1984, I, 1803; Corte Cost. 23 Luglio 2002, n°391, GIC, 2002, 2871), si veda anche Cassazione civile, sez. I 12 giugno 2008, n. 15690

[31] Ordinanza del Tribunale di Udine, del 19 giugno 2018, dott. Andrea Zuliani: “il credito per rivalsa di tutti i c.d. "soggetti I.V.A." "verso il cessionario ed il committente" gode già di un privilegio che, in coerenza con la natura del credito, è collocato tra (ed equiparato a) "i crediti dello Stato per i tributi indiretti" (art. 2758 c.c.); si tratta di un privilegio speciale "sui beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio", il che lo rende di fatto inoperante in tutti i casi in cui non vi siano e non vi possano essere, nel patrimonio del debitore, beni in siffatto rapporto diretto con la prestazione del creditore; tra i soggetti che normalmente subiscono tale inoperatività del privilegio speciale vi sono anche (ma non solo) alcune categorie di professionisti ed è probabilmente questo il motivo che ha indotto il legislatore ad aggirare l'ostacolo estendendo al credito per rivalsa I.V.A. dei professionisti il privilegio generale già attribuito al credito per il corrispettivo della prestazione; sennonché, in tal modo, per porre parziale rimedio ad una diseguaglianza di fatto (parziale, perché tale disuguaglianza non riguarda tutti i professionisti e non riguarda solo i professionisti), si è introdotta una disuguaglianza di diritto (tra professionisti e altre categorie di "lavoratori" il cui privilegio non si estende alla rivalsa I.V.A.) e si è violato il canone di ragionevolezza (estendendo un privilegio giustificato dalla particolare causa del credito ad un altro credito che ha causa del tutto diversa);

[32] nel senso ora espresso LUIGI BALESTRA, RICCARDO CAMPIONE “Un privilegio in cerca di oggetto: l'art. 2758, comma 2, c.c. e il concordato preventivo” Giurisprudenza Commerciale, fasc.3, 2015, pag. 538

In tal senso è stata dichiarata ammissibile una domanda di concordato preventivo da parte del Tribunale di Monza, sul presupposto che il credito per iva di rivalsa vada onorato indipendentemente dall’individuazione specifica del bene su cui grava (Tribunale Monza, 03 Dicembre 2014)

[34] sentenza pubblicata il 2 maggio 2016 dal Tribunale di Milano G.U. dott. D’Aquino nella causa RG 7153/15 in www.associazioneconcorsualistimilano.it

[35] Corte Appello Venezia, decr. 1420/2015 del 30/11/2014

[36] Corte Appello Bologna, sentenza depositata in data 24 Dicembre 2015

[37]Cass. 8683/2013, nello stesso senso, Luigi Balestra, Riccardo Campione, “Un Privilegio in cerca di oggetto: L'art. 2758, Comma 2, C.C. e il concordato preventivo” Giurisprudenza Commerciale, Fasc.3, 2015, pag. 538.


Scarica Articolo PDF