CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 09/03/2019 Scarica PDF

La governace delle società nel Codice della Crisi di Impresa

Rolandino Guidotti, Professore di diritto commerciale nell'Università di Bologna


A livello giornalistico è merito di Angelo Busani l’aver avviato su Il Sole 24 Ore (19 febbraio 2019) il dibattito sulle novità introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa sulla governace delle società di capitali.

All’opinione di Angelo Busani è seguita quella di Domenico Damascelli e Federico Tassinari (2 marzo 2019); gli autori citati si sono occupati solo di s.r.l. e non hanno esaminato il tema con riferimento alle società di persone.

I termini della questione sono i seguenti. Con norme che entreranno in vigore il 16 marzo p.v. il Codice della Crisi d’Impresa è intervenuto - forse con eccesso di delega – su varie norme del codice civile relative alla governance dell’impresa e delle società sia di persone sia di capitali.

Nel Codice della Crisi d’Impresa sono state inserite alcune disposizioni relative agli assetti organizzativi dell’impresa (art. 375) e agli assetti organizzativi societari (art. 377) della cui opportunità mi pare lecito dubitare e che è ben possibile diventino fonte di gravi incertezze interpretative.

La legge delega aveva affermato il principio secondo il quale l’imprenditore e gli organi sociali hanno il dovere di: (a) «istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale»; (b) «nonché di attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale» [art. art. 14, comma 1°, lett. b), l. 19 ottobre 2017, n. 155].

Si noti: l’imprenditore e gli organi sociali hanno il dovere di istituire assetti organizzativi; l’imprenditore e gli organi sociali hanno il dovere di occuparsi – in via esclusiva – degli assetti organizzativi; dettame probabilmente già immanente nel nostro ordinamento.

La legge delega non parlava della gestione dell’impresa in generale, si limitava a creare una competenza esclusiva con riferimento ad un particolare ambito dell’amministrazione relativo all’organizzazione interna dell’ente stesso.

Il legislatore delegato è invece intervenuto sulla gestione dell’ente nel suo complesso; sia con riferimento all’impresa in generale sia con riferimento alle società di persone sia con riferimento alla s.r.l.

Le disposizioni della legge delega infatti hanno trovato collocazione nel decreto delegato: (a) nell’art. 2086, comma 2°, c.c., norma che cambia rubrica da “Direzione e gerarchia dell’impresa” a “Gestione dell’impresa” e che prevede per il futuro che «l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita di continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale»; (b) nella sostituzione dell’art. 2257, comma 1°, c.c. – dettato com’è noto in tema di società di persone e relativo all’amministrazione disgiuntiva - che prevede per il futuro che «la gestione dell’impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all’art. 2086, comma 2°, c.c. e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale»; (c) in formula analoga da inserire – con riferimento alla società a responsabilità limitata – nell’art. 2475, comma 1°, c.c. che reciterà d’ora in poi appunto che la gestione dell’impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all’art. 2086, comma 2°, c.c. e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale.

Secondo Angelo Busani le norme sulle s.r.l. andrebbero lette nel senso che tutti coloro i quali concorrono a formare le decisioni gestorie hanno il dovere di prestare la loro opera al fine di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa.

Domenico Damascelli e Federico Tassinari propongono di attribuire alla parole «gestione» e «amministrazione» due significati diversi: la «gestione» riguarderebbe solo l’assunzione dell’assetto imposto dal già citato art. 2086 c.c.; l’«amministrazione» riguarderebbe d’ora in poi solo il compimento delle operazioni (e degli atti negoziali) necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale.

Mi pare che le opinioni sopra riportate tentino semplicemente di ridurre il contenuto e l’impatto reale delle nuove disposizioni e implicitamente ne riconoscano – ma è una deduzione mia – l’ ”asistematicità”.

La verità è che le nuove norme sono del tutto inopportune e non funzionali allo scopo che si prefiggevano e cioè semplicemente quello di garantire assetti organizzativi idonei anche a riuscire ad “intercettare” tempestivamente la crisi dell’impresa.

L’estensione del principio dettato per la società per azioni alle società di persone e alla s.r.l, lo si è già detto, è inopportuno e non convince. Inoltre non ha ragion d’essere nella legge delega.

Non è quindi chiaro perché il legislatore abbia voluto riprodurre in tipi sociali diversi dalla s.p.a. una disposizione normativa che mal si adatta – o forse è addirittura incompatibile – con il tessuto normativo delle società di persone e con quello della s.r.l.: solo con il “sistema s.p.a.” sembra compatibile una norma che preveda (è l’art. 2380 bis c.c.) che la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori: norma, come noto, ispirata alle tesi manageriali più estreme che tendono ad escludere qualsiasi interferenza dei soci che possa porre vincoli all’operato degli amministratori nella conduzione dell’impresa (V. Calandra Buonaura, 2019).

In estrema sintesi l’impressione è semplicemente che nelle nuove norme vi sia un equivoco concettuale.

Il problema che il legislatore avrebbe dovuto risolvere non è quello relativo alla gestione dell’impresa nel suo complesso, ma quello diverso dell’individuazione dell’organo responsabile della creazione degli assetti organizzativi adeguati. Il ché ovviamente è altra cosa e probabilmente era già ricavabile da norme preesistenti nel nostro ordinamento (si pensi, ad esempio, all’art. 2381, commi 3° e 5°, c.c.).

L’idea che tutti gli imprenditori - che operino in forma societaria o collettiva indipendentemente dalle loro dimensioni – debbano istituire assetti organizzativi anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi ha connotazioni singolari. E’ difficile immaginare quale possa essere l’assetto organizzativo adeguato di società di persone di piccole dimensioni, per esempio, di natura famigliare (di un fruttivendolo o di un droghiere).

Ma anche a prescindere da questa osservazione – e cioè dal fatto che gli assetti organizzativi trovano la loro ragione logica in società di determinate dimensioni –, sotto il profilo strettamente normativo l’idea che anche nelle società di persone la gestione dell’impresa spetti esclusivamente agli amministratori rischia di entrare in contrasto con la disciplina generale delle stesse:

(a) pare difficile conciliarla con il tendenziale principio di responsabilità illimitata dei soci;

(b) pare difficile conciliarla con le caratteristiche tipologiche di queste società nelle quali è quasi impossibile immaginare l’istituzionalizzazione della netta separazione della posizione dei soci da quella dei gestori; e tanto ovviamente anche partendo dal presupposto che l’amministrazione non compete ai soci in quanto tali;

(c) pare difficile conciliarla con una disciplina dell’amministrazione che prevede l’intervento dei soci, anche non amministratori, in decisioni relative alla gestione della società per esempio in caso di contrasto tra gli amministratori stessi nel regime di amministrazione disgiuntiva (a meno di non pensare che la decisione sull’opposizione non ha ad oggetto l’operazione sociale da compiere ma solo il merito dell’opposizione stessa; e che quindi non ha oggetto strettamente gestorio).

Con riferimento alla s.r.l. la devoluzione della gestione dell’impresa esclusivamente in capo agli amministratori sembra cozzare invece con i dati testuali di cui all’art. 2479, comma 1°, c.c. che prevede espressamente la possibilità che le decisioni dei soci si occupino di scelte gestionali e, forse, con la disciplina della responsabilità dei soci che hanno deciso o autorizzato atti di gestione (art. 2476, comma 7°, c.c.). E’ quindi ben possibile che nella s.r.l. di atti di gestione si occupino anche i soci rimettendo loro alcune decisioni (o forse anche tutte); le competenze esclusive degli amministratori di s.r.l. sono limitate ex art. 2475, comma 5°, c.c. alla redazione del progetto di bilancio e dei progetti di fusione e di scissione, oltre all’aumento di capitale sociale delegato ex art. 2481c.c..

Come si fa a pensare ad una responsabilità dei soci che hanno deciso o autorizzato – è ipotesi diversa dall’amministratore di fatto – se la gestione spetterà esclusivamente agli amministratori?

Sono quindi semplicemente inopportune le norme che nelle società di persone e nella s.r.l. devolvono la gestione dell’impresa esclusivamente agli amministratori.

Le norme riformate saranno oggetto quindi di problemi interpretativi e avrebbero dovuto essere declinate semplicemente prevedendo che la predisposizione degli assetti organizzativi adeguati spetta agli amministratori (e non ai soci) e avrebbero dovuto trovare applicazione solo con riferimento ad imprese di una certa dimensione.

Allo stato non si può che auspicare un intervento correttivo del legislatore che prenda atto dell’equivoco in cui è incorso correggendo le disposizioni in forza della delega in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.


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