CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 04/05/2020 Scarica PDF

Il rischio di "insolvenza diffusa". Spunti di riflessione per la "fase 2" (e una proposta operativa)

Vittorio Minervini, Avvocato in Roma


1-. Secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, nel corso del 2020 si avrà la peggior recessione dalla Crisi del 1929. A pagarne le conseguenze più gravi dovrebbe essere l’Italia, per la quale si ipotizza una contrazione nella produttività del 9,1%[1].

Anche le analisi di Banca d’Italia confermano la grave caduta del PIL, non solo nel primo trimestre, ma pure nei mesi a venire[2]. D’altra parte, è empiricamente evidente che anche la c.d. fase 2[3], di progressivo allentamento dei divieti, rappresenterà un periodo lungo e difficile: non solo perché occorrerà rimettere in piedi realtà aziendali che, pur gravate dei costi, sono rimaste per quasi due mesi prive di tutti i ricavi, o quasi; ma anche perché le perduranti prescrizioni di cautela e distanziamento sociale pregiudicheranno le attività al punto da renderne, in molti casi, non sostenibile e profittevole la riapertura[4].

È dunque inevitabile che, in questa situazione senza precedenti, un numero elevatissimo di imprese possa trovarsi, a causa di fattori “esogeni e straordinari[5], in una situazione di crisi o di vera e propria insolvenza (almeno secondo i canoni ermeneutici tradizionali: c’è chi sostiene che si tratterà di quasi due terzi delle imprese italiane)[6].

   

2-. Secondo molte voci autorevoli, italiane e straniere, l’attuale patrimonio normativo e concettuale non offre una risposta idonea alla crisi sistemica. Il punto è che “extraordinary times require extraordinary measures”: e dunque, adapting the rules on insolvency law to the specific needs of businesses in the current crisis is a key measure for all Member States. Some already acted, all others should follow soon[7].

Nondimeno, è noto che nella fase “acuta” dell’emergenza il Governo ha preferito assumere un atteggiamento prudente, finalizzato soprattutto a “evitare una possibile ‘corsa al fallimento’ di imprese in temporanea difficoltà[8]. Larga parte della dottrina si è professata contraria a un simile approccio (incarnatosi anzitutto nella provvisoria improcedibilità delle istanze di fallimento) che, non offrendo alcuna concreta soluzione alle criticità rilevate, rimanda al domani i problemi di oggi[9]. Ed obiettivamente è innegabile che a un simile espediente dilatorio, per quanto comprensibile nel pieno dell’emergenza, non potrà farsi ricorso per l’intera durata della fase 2.

Occorre dunque pensare ad altre risposte, più concettualmente strutturate: e lo si deve fare partendo dalla ovvia considerazione che la pandemia e le misure di contenimento, facendo venir meno i flussi di cassa delle imprese (e rendendo imprevedibile l’andamento di quelli futuri), hanno generato una condizione di “insolvenza diffusa” che interessa tanto imprese “strutturalmente” sane, quanto quelle che si trovavano quantomeno in una situazione di difficoltà già da prima del dilagare dell’epidemia.

Per “scongiurare il rischio di una progressiva ‘desertificazione’ industriale e della conseguente perdita di milioni di posti di lavoro, nonché il pericolo che molte attività imprenditoriali finiscano preda della criminalità organizzata[10], numerose e autorevoli voci hanno suggerito approcci variegati, volti a impedire un’applicazione automatica e indifferenziata dei meccanismi concorsuali attuali, pensati per un mercato in normali condizioni di salute[11]. Ne è sorto un vivace dibattito, nell’ambito del quale sono state avanzate varie proposte per riadattare interpretativamente (in modo più acconcio alla fase che stiamo attraversando) anche il concetto di “insolvenza”, primo pilastro del diritto concorsuale[12].

Personalmente ritengo che non possa seguirsi la via della inapplicabilità dell’insolvenza per causa di forza maggiore[13] (soprattutto nella prospettiva di una lunga fase 2) e che sia necessario affrontare la realtà con un piglio più coraggioso e, insieme, strutturato.

   

3-. A mio avviso, il primo passo da compiere nella ricerca di una soluzione  sta nel riconoscere che, nell’attuale condizione di “insolvenza diffusa”, lo stesso concetto di insolvenza risulti temporaneamente inidoneo a “distinguere” realtà che, invece, devono essere trattate dal diritto in modo diversificato (l’impresa dissestata  che non può sopravvivere e deve essere liquidata, rispetto a quella che, pur tecnicamente “insolvente” a causa del COVID-19, è in sostanza sana – o almeno risanabile – e dunque non merita di essere estromessa dal mercato).

Per tale pregnante ragione, nell’attuale fase di transizione, al concetto di insolvenza dovrebbe essere affiancato un parametro diverso e ulteriore, che sia in grado di leggere e filtrare adeguatamente le varie fattispecie, in modo da evitare il rischio già evidenziato di desertificazione del tessuto produttivo nazionale e di agevolare (e accelerare) così anche la ripresa economica e la creazione di valore.

In quest’ottica, ritengo che il concetto di “risanabilità” sia il più adatto ad affiancare quello “tradizionale” di insolvenza.

Una prognosi sulla risanabilità permetterebbe infatti di individuare e “proteggere” in via temporanea le imprese che, nonostante la manifestazione attuale dell’insolvenza, hanno una seria chance di sopravvivere (evitando al contempo di mantenere in vita con sussidi pubblici zombie firms, che bruciano ricchezza, invece di crearne)[14].

Il concetto di “risanabilità”, quale postulato del progressivo consolidamento – e anzi ormai dell’affermato “primato” – della filosofia del “business rescue”, rappresenta peraltro un tratto comune a molteplici ordinamenti continentali ed extraeuropei, secondo un percorso ben osservabile a livello globale[15]  che, attraverso linee di ragionamento fondate in particolare sul modello concettuale del Chapter 11 nordamericano, risulta ormai positivamente accolto sia nelle fonti euro-unitarie che regolano la materia[16], sia nelle disorganiche leggi di riforma che a partire dal 2005 hanno caratterizzato il diritto fallimentare nazionale[17], sia (in modo ancor più netto, ancorché non esente da qualche incertezza e contraddizione) nell’impostazione di fondo seguita dal nuovo Codice[18].

La necessità di distinguere tra imprese in crisi a causa della pandemia e imprese dissestate prima e a prescindere dal COVID-19 è peraltro anche la base della logica che presidia, all’interno del cd. Temporary Framework, l’erogazione di aiuti di Stato avallati in via emergenziale dalla Commissione Europea [19], ai quali ha fatto (e ulteriormente sta facendo) ampio ricorso il Governo italiano[20]; sicché anche per questo verso la distinzione appare opportuna, se non anche necessaria (posto che solo il primo tipo di imprese può essere destinatario di un sostegno pubblico per agevolare il superamento della fase recessiva pandemica).

Ciò detto, non è tuttavia agevole rispondere alle domande su come, da chi e secondo quali parametri tale giudizio di risanabilità possa essere condotto.

Nel nuovo Codice il giudizio sulla risanabilità dell’impresa in crisi assume un ruolo centrale[21] e tuttavia sembra ancora mancare, in seno alle nostre sezioni fallimentari, una classe “professionale” adeguatamente formata ed esperta (secondo i dettami della nuova direttiva europea), cui una tale valutazione possa essere rimessa[22].

Peraltro il giudizio di “risanabilità” si fonda su un concetto tecnico proprio delle scienze aziendalistiche, che risulta di per sé sfuggente, essendo non assoluto ma relativo e pertanto intrinsecamente opinabile (in quanto variabile in funzione delle assunzioni di base), e spesso anche indeterminabile con certezza a priori. Infatti, un’impresa che qualcuno potrebbe giudicare “da liquidare”, potrebbe diventare invece “risanabile” (e anzi profittevole) su presupposti diversi, modificando o diversamente combinando i fattori della produzione (ad es. attraverso la riconversione di impianti e/o della forza lavoro), in funzione della realizzazione di un’attività economica anche diversa, in tutto o in parte, da quella precedentemente svolta (è solo in funzione di un’idea e di un programma imprenditoriale che può significativamente esprimersi un giudizio attendibile e soprattutto verificabile sulla risanabilità e su quale possa o debba dunque essere il destino dell’impresa in crisi).

Si richiede dunque, a fortiori di fronte alle tante incognite di questo inedito scenario emergenziale, grande competenza, saggezza e professionalità, in tutte le categorie coinvolte.

   

4-. Pur nella consapevolezza di tali rilevanti problematiche, si vuol comunque provare a trasformare le riflessioni sin qui svolte in uno “schizzo” che cerchi di tratteggiare, almeno a grandi linee, un possibile modello procedimentale utilizzabile in via transitoria in funzione “anti-COVID”, auspicando che ciò possa servire quanto meno di spunto per suscitare ulteriori riflessioni in altri Autori e operatori delle discipline fallimentari.

Per come si diceva, ciò che allo stato sappiamo è che occorre prepararsi a una lunga fase di convivenza con il virus, anche da un punto di vista economico e sociale, di cui nessuno è in grado di prevedere oggi la fine: mi sembra dunque necessaria (e anzi indifferibile) l’adozione di strumenti in grado di bilanciare adeguatamente le esigenze di “protezione” dell’impresa in crisi con l’interesse dei creditori a non veder ulteriormente sospesi o pregiudicati i propri diritti[23].

Ritengo che l’obiettivo più realistico e praticabile da prefiggersi possa essere in questo senso la messa a punto di un procedimento snello, costruito appunto intorno al concetto “supplente” di risanabilità.

In via generale ritengo che tale “modello procedimentale” temporaneo dovrebbe mimare e ricalcare, per quanto possibile, uno schema concettuale e normativo già noto, in modo da permettere a tutti gli operatori di metabolizzarne i contenuti in tempi brevi.

Personalmente convengo con chi ritiene che un procedimento “anti-COVID” possa essere utilmente ricavato, per differenza, dal concordato con riserva (modello ideale, sia per la sua duttilità, sia perché avrebbe presupposti e obiettivi coerenti a quelli qui evidenziati)[24].

Il procedimento potrebbe articolarsi in due fasi essenziali. La prima, solo in parte di nuova matrice, dovrebbe essere finalizzata all’ottenimento in tempi brevi di una protezione dalle azioni esecutive dei creditori individuali, in forma di standstill, per l’impresa che abbia dichiarato e documentato, nella propria istanza, di essere – nonostante la transitoria situazione di crisi o insolvenza – economicamente sana, o risanabile (si noti che l’istanza non dovrebbe contenere alcun piano o proposta, né riserva di successiva presentazione). La seconda, solo eventuale, permetterebbe l’attivazione delle ordinarie procedure di fallimento o concordato preventivo per il caso in cui, al termine del periodo di osservazione e protezione, l’impresa non sia stata in grado di tornare alla normale operatività[25].

Il procedimento, almeno nella prima fase, avrebbe dunque una struttura ma non una finalità “concorsualizzante”[26], essendo volto primariamente a verificare i presupposti di risanabilità indicati dall’impresa attraverso una “pre-relazione”, che potrebbe essere demandata al commissario giudiziale, il quale potrebbe essere coadiuvato nelle valutazioni anche dagli esperti nominati dall’impresa istante[27].

Una tale relazione preliminare (non dissimile a quella rimessa al commissario nella procedura di amministrazione straordinaria delle grandi e grandissime imprese in crisi in ordine alla sussistenza di concrete e realistiche prospettive di recupero dell’equilibrio economico-finanziario) dovrebbe essere sottoposta ai creditori, i quali potrebbero far pervenire al commissario e al Tribunale eventuali osservazioni.

La relazione dovrebbe costituire il principale elemento di convincimento del Tribunale e ad essa sarebbero legati i possibili esiti alternativi della procedura. In particolare, nel caso in cui il Tribunale, all’esito del contraddittorio fra le parti interessate, confermasse la prognosi positiva della relazione, l’impresa godrebbe dello standstill per il termine stabilito ex lege (secondo quanto si dirà subito infra); viceversa, nel caso in cui la relazione accertasse (e il Tribunale dichiarasse) la “non risanabilità” dell’impresa in una prospettiva anche di medio-periodo, la procedura dovrebbe arrestarsi e la valutazione della fattispecie dovrebbe proseguire secondo i binari ordinari (per es. attraverso la concessione, a richiesta, di un termine per presentare un piano concordatario e una proposta di esdebitazione ai creditori, da sottoporre poi al voto, secondo le regole ordinarie; o, alternativamente, laddove sia stato richiesto, con l’avvio del procedimento per la dichiarazione di fallimento).

Fra gli adattamenti che occorrerebbe apportare al modello del concordato ex art. 161, comma 6 L.F. vi sarebbe, anzitutto, l’estensione  dell’intervallo temporale entro il quale possa essere concesso lo standstill, dovendosi a mio avviso prevedere un blocco di più lunga durata delle azioni dei creditori, in pendenza del quale il beneficiario possa tuttavia liberamente - sia pur con la vigilanza del commissario giudiziale e del Tribunale onde evitare il compimento di atti fraudolenti[28] - continuare regolarmente a gestire l’impresa, effettuando anche pagamenti e atti di straordinaria amministrazione[29]. In tal senso, la prima fase “di osservazione” e protezione potrebbe durare verosimilmente almeno 9-12 mesi (per es., fino a una data prefissata ex lege, che potrebbe essere plausibilmente almeno il 31 dicembre 2020; il legislatore potrebbe agevolmente disporne, all’occorrenza, la proroga, in funzione dell’evolversi della pandemia e dei possibili rimedi).

Tali essendo i tratti salienti del procedimento, proviamo a delinearne i contenuti operativi, tenendo a mente che il percorso dovrà esser quanto più rapido e lineare possibile, a pena di frustrare la ratio di pronto intervento ad esso sottesa. Si dovrebbero dunque evitare udienze non strettamente necessarie, favorire l’utilizzo di strumenti telematici e adottare tutti gli accorgimenti utili a superare possibili impasse, sbloccando eventuali stalli nel senso più favorevole al debitore (sarebbe ragionevole in questo senso attribuire valore di assenso al silenzio dei creditori).

Quanto all’autorità competente, pur essendo suggestiva la proposta di chi riterrebbe possibile devolvere un simile sindacato a un’autorità amministrativa[30], ritengo inevitabile (per superare rilievi di carattere costituzionale e incertezze nella tutela dei diritti contrapposti, ciò che propriamente richiede l’intervento del giudice), che il procedimento resti appunto affidato a un Tribunale.

Il Tribunale sarebbe coadiuvato da un organo commissariale (che nei casi più rilevanti potrebbe essere formato da almeno due commissari, un avvocato e un dottore commercialista), cui dovrebbero essere affidati anche i compiti di vigilanza sulla procedura. In particolare, il commissario dovrebbe vigilare sul (ed essere garante del) corretto bilanciamento dei contrapposti interessi (con un occhio anche a quelli di carattere più generale, per preservare il tessuto economico e produttivo della nazione e salvaguardare per quanto possibile posti di lavoro).

Quanto all’introduzione del procedimento, non penso possa escludersi a priori, oltre all’istanza di parte, anche la domanda dei creditori, che ben potrebbero avere interesse a mettere il proprio debitore al riparo dalle iniziative egoistiche e “miopi” di altri creditori, ovvero a una vigilanza del Tribunale sulla corretta conservazione della garanzia patrimoniale[31].

L’istanza dovrebbe essere corredata da adeguate evidenze che permettano di accertare secondo criteri di “prova liquida” e in coerenza con i canoni della scienza aziendalistica, la natura appunto solo transitoria della condizione di insolvenza[32] (e dunque la solidità e sostenibilità nel medio-lungo periodo dell’equilibrio economico, nonostante le condizioni di squilibrio finanziario)[33].

Secondo le regole comuni, l’istanza dovrebbe essere altresì corredata da un elenco analitico dei creditori, con indicazione precisa dell’ammontare dei rispettivi crediti, nonché delle ragioni di privilegio[34].

Al deposito di un’istanza valutata come conforme ai requisiti di legge dovrebbe fare seguito, de plano,un provvedimento del Tribunale che, oltre a dichiarare l’automatic stay in via provvisoria e a nominare l’organo commissariale, fissi una serie di termini, volti a istituire un contraddittorio (telematico) fra i controinteressati:

- uno per la notifica del provvedimento a tutti i creditori (preferibilmente a cura dell’istante, in modo da velocizzare la procedura);

- uno per la produzione da parte del commissario della pre-relazione sulla risanabilità dell’impresa, che costituisce l’asse portante di questa prima fase. La relazione potrebbe essere predisposta sulla base di modelli telematici – possibilmente con una guida o griglia econometrica – prestabiliti dal Ministero della Giustizia, analogamente a quanto oggi avviene per diversi atti del procedimento fallimentare (come le relazioni ex art. 33 c. 5 L.F.), in modo da uniformarne i contenuti e favorirne una lettura e un’analisi tabellare e, dunque, quanto più spedita possibile (fatta salva naturalmente la possibilità di argomentare la risanabilità, o meno, anche al di fuori dei parametri bilancistici prestabiliti);

- uno per i creditori, per eventuali osservazioni alla relazione[35];

- uno, assai breve, per eventuali rettifiche e integrazioni alla relazione da parte del commissario.

Dal deposito dell’istanza all’ultimo dei termini stabiliti dal Tribunale non dovrebbero decorrere più di due (o massimo tre) mesi. Così come avviene ai fini della relazione ex art. 172 L.F. il commissario dovrebbe esprimere il proprio parere sulle ragioni che rendono più conveniente, anche per i creditori, la via prospettata della risanabilità rispetto a quella alternativa del fallimento.

Decorsi questi termini, il Tribunale dovrebbe decidere celermente sulla conferma dell’automatic stay, se del caso (ad es. per l’ipotesi di rilievi da parte di una determinata percentuale di creditori) previa fissazione di un’udienza telematica (o meglio ancora, previa assegnazione di termini per la produzione di note sui rilievi indicati dal medesimo Tribunale). Nel caso in cui il Tribunale ritenesse invece l’impresa non risanabile, neppure in una prospettiva di medio-periodo, troverebbero applicazione le regole comuni, per reinstradare il procedimento nell’alveo delle procedure ordinarie.

Vale la pena anche di osservare che, per meglio garantire il raggiungimento dell’interesse generale alla conservazione del tessuto economico e produttivo, potrebbe essere opportuno istituire anche uno strumento (ad es. un fondo pubblico o anche pubblico/privato) che consenta, in caso di decisioni dei creditori che appaiano inefficienti o disutili in un’ottica generale e macroeconomica (e fors’anche miopi in quella dei creditori stessi), di intervenire sulla sistemazione della crisi, rimettendo in discussione l’esito “indesiderato” attraverso innesti di capitale di rischio, concessione di prestiti garantiti (o garanzie sui prestiti già conseguiti), ovvero offerte concorrenti “di mercato”, per la fase di instaurazione del concordato “pieno”. Da questo punto di vista mi permetto di ricordare che il fondo che era stato prefigurato dal legislatore nell’art. 7, comma 9 della legge delega per il nuovo Codice ben potrebbe a questo punto essere attivato, al fine di assolvere a questi compiti d’interesse generale[36].

In conclusione, si tratterebbe di adattare e conformare, in via transitoria e con i minimi accorgimenti necessari, uno strumento già noto e collaudato, al fine di renderlo idoneo a poter svolgere i compiti almeno in parte diversi (o quanto meno, con diversi tempi e modalità) che la eccezionale situazione richiede, garantendo al contempo un adeguato bilanciamento degli interessi contrapposti (il giudice dovendo restare a mio avviso l’ultimo decisore, in caso di contrasto).  

Laddove dovesse dar buona prova di sé lo strumento potrebbe naturalmente essere anche mantenuto, con gli accorgimenti del caso , andando ad arricchire il già ampio strumentario che il nostro diritto concorsuale mette a disposizione di debitori e creditori per affrontare le situazioni di crisi di carattere ordinario.



(*) L’articolo costituisce la sintesi ragionata di un più ampio contributo destinato al volume a cura di S. Ambrosini e S. Pacchi, Crisi d’impresa ed emergenza sanitaria, di prossima pubblicazione per i tipi dell’Editrice Zanichelli.

[1] Cfr. il sito istituzionale del Fondo Monetario Internazionale (https://www.imf.org/en/), nonché l’edizione di aprile 2020 del World Economic Outlook.

[2] Cfr. Banca d’Italia, Bollettino Economico 2/2020, p. 26, disponibile sul sito https://www.bancaditalia.it/.

[3] Nel presente articolo ogni riferimento alla “fase 2” è effettuato in senso atecnico; tale locuzione sarà utilizzata, breviter, per riferirsi all’intero arco temporale successivo al superamento del cd. lockdown in cui si protrarranno gli effetti (sanitari ed economici) della pandemia.

[4] Per fare solo un esempio: se in un ristorante possono cenare, rispettando le prescrizioni sanitarie emergenziali, al massimo dieci persone a sera, opportunamente distanziate, i ricavi conseguibili potrebbero non essere sufficienti a coprire i costi fissi; ma lo stesso discorso potrebbe farsi per innumerevoli altre attività (si pensi ad es. ad aerei, treni, stabilimenti balneari, teatri, cinema, spa, circoli sportivi, palestre, ecc.).

[5] Il riferimento è alla terminologia adottata nella Relazione Illustrativa al D.L. 23/2020.

[6] Cfr. R. Scannavini, Imprese e COVID-19, più liquidità rispetto al passato. Ma rischia di bruciarsi in fretta, pubblicato il 31 marzo scorso sul sito della società di consulenza Prometeia, alla pagina cfr. https://www.prometeia.it/prometeiamio/int/nostra-visione/imprese-covid-19-piu-elevata-liquidita-iniziale-bruciata-fretta-da-crisi).

[7] Cfr. anzitutto CERIL – Conference on European Restructuring and Insolvency Law, COVID-19 urges legislators to adapt insolvency legislation pubblicato il 20 marzo 2020 dall’executive committee e reperibile sul sito www.ceril.eu, da cui è tratta la citazione riportata nel testo; l’idea è ribadita anche da N. Abriani, G. Palomba, Strumenti e procedure di allerta: una sfida culturale (con una postilla sul Codice della crisi dopo la pandemia da Coronavirus), in www.osservatorio-oci.org.  Per un’approfondita disamina che muove proprio dal rapporto CERIL cfr. G. Corno, L. Panzani, I prevedibili effetti del Coronavirus sulla disciplina delle procedure concorsuali, in IL CASO.it del 25/03/2020. Degli stessi Autori cfr. anche La disciplina dell’insolvenza durante la pandemia da Covid-19. Spunti di diritto comparato, con qualche riflessione sulla possibile evoluzione della normativa italiana, in IL CASO.it del 27/04/2020. V. anche R. Della Santina, Le discipline dell’insolvenza e della crisi d’impresa ai tempi della pandemia Covid-19. Impressioni e spunti di riflessione, in IL CASO.it del 1/04/2020.

[8] Così, da ultimo, l’audizione di F. Balassone, Capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia, tenutasi il 27/94/2020 dinanzi le commissioni riunite VI (Finanze) e X (attività produttive) della Camera dei Deputati. L’approccio seguito è analogo a quello assunto anche in altri ordinamenti europei; per un più approfondito quadro comparatistico cfr. G. Corno – L. Panzani, La disciplina dell’insolvenza durante la pandemia da Covid-19. Spunti di diritto comparato, con qualche riflessione sulla possibile evoluzione della normativa italiana, cit..

[9] Cfr. ad es. M. Fabiani, Introduzione al volume collettaneo Dalla crisi all’emergenza: strumenti e proposte anti-Covid al servizio della continuità d’impresa, a cura del Centro Studi Diritto della Crisi e dell’Insolvenza, Mantova, 2020, p. v ss..; M. Ferro, La sopravvivenza della legge fallimentare al Coronavirus: il limbo della giustizia concorsuale dopo il D.L. 23/2020, in www.quotidianogiuridico.it; R. Brogi, Diritto emergenziale della crisi d’impresa all’epoca del Covid-19, in www.osservatorio-oci.org; C. Bianco, In attesa dell’attuazione del decreto legge 8 aprile 2020 n. 23, altre riflessioni sulla qualificazione e quantificazione della misura dei prestiti Covid 19, in IL CASO.it del 10/04/2020.

[10] Le parole sono prese in prestito da S. Ambrosini, La “falsa partenza” del Codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell’insolvenza incolpevole, in IL CASO.it del 21/04/2020, p. 8.

[11] Cfr. M. Fabiani, Introduzione, cit., p. viii e F. Benassi, Brevi spunti per un’agile procedura di sostegno alle imprese in crisi da coronavirus, in IL CASO.it del 20/04/2020.

[12] In tale ottica, oltre ai rilievi di G. Corno, L. Panzani, I prevedibili effetti del Coronavirus sulla disciplina delle procedure concorsuali, cit., interessanti appaiono le soluzioni prospettate da A. Pezzano – M. Ratti, Il downgrade del codice della crisi e il “nuovo” codice dell’emergenza: “vecchi” strumenti a supporto del concordato con riserva “di massa”, in Dalla crisi all’emergenza: strumenti e proposte anti-Covid al servizio della continuità d’impresa, cit., p. 52 ss.

[13] È la suggestiva proposta avanzata da G. Limitone, La forza maggiore nel giudizio sull’insolvenza, in IL CASO.it del 02/04/2020 (che, tuttavia, non può essere condivisa per le ragioni già individuate da S. Ambrosini, La “falsa partenza” del codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell’insolvenza incolpevole, cit., pp. 20-21).

[14] In senso conforme cfr. anche P. Filippi, Come ci si salva dalla crisi economica da pandemia: il rinvio del codice della crisi e altri rimedi, in www.giustiziainsieme.it.

[15] Per ulteriori approfondimenti sul punto si rinvia a V. Minervini, Insolvenza e mercato. Itinerari per la modernizzazione delle discipline sulla crisi d’impresa,Editoriale Scientifica, Napoli, 2018).

[16] Si vedano ad es. i documenti preparatori e i considerando della nuova Direttiva di armonizzazione della disciplina della ristrutturazione preventiva e dell’insolvenza all’interno dell’Unione Europea 2019/1023 del Parlamento e del Consiglio del 20 giugno 2019 (pubblicata il 26 giugno 2019 in GU, L 172/18).

[17] Lo spiegano assai chiaramente G. B. Portale, Dalla “pietra del vituperio” al “bail-in”, cit., p. 21 ss. e B. Inzitari, Il nuovo ordinamento della banca secondo la Bank recovery and resolution directive, in Questione Giustizia, 2017, p. 204 ss..

[18] Il punto è più ampiamente trattato in V. Minervini, Disciplina delle crisi e diritto della concorrenza, in Riv. dir. comm., 2019, I, p. 299 ss., cui per brevità si rinvia; in linea mi pare anche S. Ambrosini, La “falsa partenza” del codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell’insolvenza incolpevole, cit..

[19] Cfr. “Quadro temporaneo per le misure di aiuti di Stato a sostegno dell’economica nell’attuale emergenza del COVID-19”del 19 marzo 2020, C(2020) 1863 final (v. in particolare punti 6 e ss., nonché 28 e ss.). Su questi aspetti si consenta il rinvio a V. Minervini, La regolazione delle crisi bancarie dopo la sentenza “Tercas”, in corso di pubblicazione in Mercato, Concorrenza, Regole (2/2020).

[20] Sulla necessità di selezione delle imprese destinatarie di aiuti di Stato cfr. anche M. Fabiani, Introduzione, cit., p. vi e M. Ferro, La sopravvivenza della legge fallimentare al Coronavirus: il limbo della giustizia concorsuale dopo il D.L. 23/2020, cit..

[21] Anzitutto ai fini dell’applicazione dell’una o dell’altra disciplina e dunque della produzione di effetti potenzialmente antitetici: conservazione o liquidazione dell’impresa e delle sue attività.

[22] Invero va segnalato che posizioni piuttosto diversificate è dato ritrovare in dottrina, anche a livello internazionale, in relazione ad alcuni dei principali snodi problematici del “giudizio di risanabilità”: a chi possa o debba essere rimessa, in ultima istanza, la decisione in ordine alla effettiva risanabilità di un’impresa e a chi competa la responsabilità della predisposizione dei piani di risanamento aziendale; su chi debba gestire l’impresa nel periodo di crisi e durante la fase di attuazione del programma di risanamento e con quali cautele; o su quanto tempo possa essere concesso per condurre a termine il tentativo di risanamento aziendale.

[23] Evidentemente non si può pensare che la proroga sine die della improcedibilità sia una risposta valida, se non altro perché collocherebbe sui creditori il costo del mantenimento in vita – o in stasi – dell’impresa, pregiudicandoli gravemente.

[24] Assai istruttiva la disamina offerta al riguardo da G. Corno, L. Panzani, La disciplina dell’insolvenza durante la pandemia da Covid-19. Spunti di diritto comparato, con qualche riflessione sulla possibile evoluzione della normativa italiana, cit.. Riferimenti al possibile utilizzo del concordato in bianco sono presenti anche in M. L. Russotto, G. Russotto, G. Limitone, L’impresa in momentanea difficoltà e l’impresa insolvente: analisi economica e conseguenze giuridiche, in IL CASO.it del 27/04/2020 e in F. BenassiBrevi spunti per un’agile procedura di “sostegno” alle imprese in crisi da coronavirus”, cit..

[25] Ciò che evidentemente potrebbe avvenire già durante la fase protettiva e “di osservazione”, laddove venissero meno i presupposti di risanabilità.

[26] Si condividono, dunque, gli obiettivi di massima già tracciati per es. da M. Fabiani, Introduzione, cit., p. viii, e di F. Benassi, Brevi spunti per un’agile procedura di “sostegno” alle imprese in crisi da coronavirus, cit..

[27] Pur non essendo richiesto, nulla vieta naturalmente che l’impresa (ben assistita) possa corredare l’istanza con la traccia di una sorta di “piano di risanamento”, che possa agevolare e guidare il compito degli organi di procedura sia nella valutazione sulla risanabilità, sia nella fase di vigilanza. In tale piano l’impresa potrebbe anche indicare di quali misure di sostegno pubblico (inclusi gli aiuti di Stato) essa può giovarsi, specificando possibilmente anche come questi sarebbero impiegati per recuperare l’equilibrio economico e la profittabilità.

[28] Fra le modifiche che si potrebbero in questo senso ipotizzare si potrebbe pensare, in funzione dissuasiva, alla previsione di sanzioni - anche economiche e personali - nei confronti degli amministratori per i casi di abuso di questo strumento emergenziale.

[29] Cfr. ancora sul punto M. Fabiani, Introduzione, cit., p. viii.

[31] Ferma rimarrebbe naturalmente la possibilità di domandare nella seconda fase il fallimento, secondo le regole generali.

[32] Cfr. sul punto M. L. Russotto, G. Russotto, G. Limitone, L’impresa in momentanea difficoltà e l’impresa insolvente: analisi economica e conseguenze giuridiche, cit..

[33] V. quanto rilevato al riguardo da M. L. Russotto, G. Russotto, G. Limitone, L’impresa in momentanea difficoltà e l’impresa insolvente: analisi economica e conseguenze giuridiche, cit.

[34] Per le eventuali – e probabilmente del tutto residuali – istanze proposte dai creditori, al deposito di queste informazioni dovrebbe provvedere l’impresa, su ordine del giudice.

[36] Sulla opportunità di sfruttare il rinvio dell’entrata in vigore del Codice per ritoccarne e migliorarne i contenuti cfr. S. Ambrosini, La “falsa partenza” del codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell’insolvenza incolpevole, cit., p. 2.


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