Bancario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 31/08/2020 Scarica PDF

Il sostegno alle PMI per l'emergenza Covid-19 e la concessione abusiva del credito

Marco Pellegrino, Avvocato in Cuneo


Sommario: 1. Uno sguardo sulla struttura finanziaria delle PMI. - 2. Le misure di supporto alle PMI nel Decreto “Cura – Italia” e nel Decreto “Liquidità”. - 3. La concessione abusiva del credito. - 4. La valorizzazione del merito creditizio.

 

 

1. E’ chiaro che, almeno nel contesto economico italiano, gli Istituti di credito svolgano un ruolo preponderante, e che il fabbisogno finanziario occorrente al sostegno ed allo sviluppo delle imprese sia per lo più di matrice bancaria. Per vero, storicamente, hanno altresì operato soggetti pubblici, principalmente finanziarie regionali e, in epoca più recente, si sono affacciati alcuni fondi di investimento (anche se si tratta di operazioni piuttosto marginali avuto riguardo ai volumi complessivi del finanziamento alle imprese) [1].

Venuto meno il principio di netta separazione tra il settore finanziario e quello industriale[2], occorre non di meno constatare che il legislatore domestico, nell’attività di recepimento delle regole di matrice comunitaria, abbia progressivamente stratificato un nucleo di norme volte a favorire l’accesso al mercato del capitale di rischio anche da parte delle imprese non organizzate come società quotate, promuovendo la raccolta del risparmio anonimo come fonte di supporto allo sviluppo delle PMI[3].

La produzione normativa è davvero notevole, e sono poderosi gli strumenti che l’ordinamento ha allestito per favorire (attraverso la definizione di regole allineate a quelle dei più avanzati Paesi europei) la creazione di un autentico ed efficiente mercato dei capitali fruibile anche da parte delle imprese di piccole e medie dimensioni [4]. Sullo sfondo di questa tendenza, inaugurata con la riforma del diritto societario del 2003, non vi è solo l’esigenza di soddisfare la richiesta manifestata dal mondo delle imprese di procurarsi direttamente sul mercato, e quindi con costi di raccolta minori, i capitali, ma anche, e soprattutto, quella di rimuovere gli ostacoli alla raccolta e all’investimento di capitali nel nostro Paese, e dunque di renderlo contendibile al pari dei più avanzati Paesi industrializzati europei.

In questo quadro, in cui si è assistito ad un crescente ampliamento della capacità di autofinanziamento delle PMI, avendo le stesse in dotazione una gamma sempre più variegata di titoli e di strumenti finanziari, si iscrivono i provvedimenti normativi che hanno acconsentito - in prima battuta - alle c.d. start- up innovative e - in seguito - a tutte alle PMI costituite in forma di S.r.l., di offrire al pubblico le proprie quote ai sensi dell’art. 26 comma 5 del D.lgs. 179/2012 (come modificato dal D.L. 50/2017 convertito in legge 96/2017)[5].

Tuttavia l’impressione che ancora oggi nitidamente si ritrae è che, nonostante i vari tentativi volti alla promozione di fonti alternative di finanziamento all’impresa rispetto al credito bancario, i volumi ed i flussi finanziari siano ancora modesti rispetto a quelli che si registrano nei mercati di altri Paesi del continente europeo[6], e che la tensione verso la creazione e l’implementazione di un mercato “artificiale” degli strumenti finanziari emettibili dalle PMI non si sia evoluto in un dinamico e vivace “mercato reale” volto a favorire la raccolta e l’investimento nel capitale di rischio delle imprese[7].

I recenti provvedimenti governativi volti a fronteggiare l’emergenza Coronavirus riflettono questo stato. Il legislatore dell’emergenza sanitaria, stante la sostanziale carenza delle casse pubbliche, ha costruito una serie di interventi di sostegno che fanno perno proprio sulla centralità del sistema bancario. A questi interventi, attuati attraverso il c.d. Decreto Cura Italia (D.L. 17 marzo 2020 n. 18 convertito in L. 24 aprile 2020 n. 27) ed il c.d. Decreto Liquidità (D.L. 8 aprile 2020 n. 23, convertito in L. 5 giugno 2020 n. 40) si è più recentemente affiancato il c.d. Decreto Rilancio[8] (D.L. 19 maggio 2020, n. 34, pubblicato in G.U. n. 128 del 19 maggio) il quale ultimo, dopo aver potenziato alcune misure di sostegno previste nei precedenti provvedimenti, ha previsto (accanto ad aiuti sotto forma di sovvenzioni dirette, anticipi rimborsabili, agevolazioni fiscali e tassi d'interesse agevolati) un’ articolata disciplina volta a rafforzare il patrimonio delle imprese che, negli auspici, dovrebbe favorire l’accesso a fonti alternative di finanziamento[9].

L’attenzione verrà posta sul contesto normativo e giurisprudenziale nel quale vengono a calarsi le innovative discipline sui finanziamenti bancari e sulla sospensione dei pagamenti per l’emergenza epidemiologica Coronavirus.

   

2. Come si è anticipato, il Governo ha innanzitutto contrastato gli effetti economici negativi correlati all'emergenza sanitaria introducendo alcune misure di sostegno della liquidità delle piccole e medie imprese, utilizzando il canale di finanziamento più tradizionale[10].

Prima di passare brevemente in rassegna i mezzi con i quali si è concretato l’intervento, conviene richiamare l’attenzione sul fatto che il legislatore abbia mancato di precisare, in modo analitico, le regole di condotta che gli intermediari creditizi devono osservare in occasione della valutazione delle richieste da parte dei clienti. Tale opzione, che non può valutarsi positivamente, costringe allora l’interprete a rinvenire tali regole dai principi generali e dalle discipline speciali di settore.

Con l’art. 56 del D.L. n 18 del 2020 (c.d. decreto “Cura – Italia”, rubricato “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di Covid 19”) è stato prefigurato un meccanismo volto a cristallizzare gli affidamenti in corso, vietando da un lato alle banche di recedere da mutui ed affidamenti sino al 30 settembre 2020 e, dall’altro, permettendo alle imprese che siano dotate di determinati requisiti soggettivi di ottenere la sospensione e la moratoria dei mutui e dei leasing sino al 30 settembre 2020. Tali termini sono stati successivamente prorogati dal c.d. Decreto “Agosto” sino al 31 gennaio 2021[11].

Quanto ai requisiti soggettivi, l’art. 56 del D.L. n. 18 cit. prevede che possano trarne beneficio “le microimprese e le piccole e medie imprese come definite dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003[12], aventi sede in Italia” (cfr. art. 56 comma 5 D.L. 18/2020) e sempre che si tratti di imprese “le cui esposizioni debitorie non siano, alla data di pubblicazione del presente decreto, classificate come esposizioni creditizie deteriorate” (cfr. art. 56 comma 6 D.L. 18/2020).

Dunque, sono escluse dal novero delle misure protettive le grandi imprese e quelle non aventi sede legale in Italia, o che presentino posizioni debitorie deteriorate nei confronti del ceto bancario. Se l’impresa presenta i requisiti soggettivi delineati dalla norma potrà accedere alla sospensione del rimborso del finanziamento, allegando a corredo la dichiarazione “con la quale l’impresa autocertifica ai sensi dell’art. 47 d.p.r. 445/2000 di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da Covid – 19” (cfr. art. 56 comma 3).

Si ritiene prevalentemente[13] che, formulata la richiesta supportata dall’autocertificazione, la banca si trovi in una situazione di “soggezione”[14], e che e sia tenuta ad accordare la sospensione sui finanziamenti a rimborso rateale[15].

Dunque, rispetto alle richieste di moratoria ex art. 56 D.L. 18/2020, la banca è priva di discrezionalità tecnica, ed è tenuta ad assecondare la richiesta senza, peraltro, poter richiedere oneri o interessi aggiuntivi. In tal senso deporrebbe il dato letterale ove, al comma 2 del citato art. 56 si prevede che: “Al fine di sostenere le attività imprenditoriali danneggiate dall’epidemia di COVID – 19 le imprese (…) possono avvalersi dietro comunicazione” delle misure di sostegno enucleate nei commi successivi. Tale soluzione sarebbe confermata dal comma 2 del c.d. Decreto “Agosto” (D.L. 104/2020) che prefigura la proroga automatica al 31 gennaio 2021, salvo rinuncia, della moratoria già concessa sino al 30 settembre 2020[16].

Molto più complesso ed articolato il discorso involgente i finanziamenti previsti dal c.d. Decreto “Liquidità” (D.L. 23/2020), dove l’intreccio tra la previsione di forme di finanziamento agevolato per le imprese con la disciplina di settore è maggiormente pervasivo, ed intercetta (recte: deve intercettare) una serie di interessi pubblici connessi al corretto funzionamento del mercato creditizio

Quanto ai nuovi finanziamenti a beneficio delle imprese colpite dalla pandemia, infatti, deve essere anticipato che l’ampiezza della disciplina di settore non dovrebbe suscitare troppo disagio nell’interpretare le questioni dubbie e non risolte, mediante il ricorso ai principi che governano la sana e prudente gestione del credito. Per vero, vi è la necessità di salvaguardare non solo i singoli creditori dell’impresa sovvenuta, ma l’integrità e la fiducia del mercato del credito, e dunque l’interesse pubblico alla sana e prudente gestione cui si correla quello alla stabilità e corretta operatività degli istituti di credito.

In particolare, attraverso il D.L. n. 23/2020 cit., l’intervento di sostegno all’impresa si è esplicato mediante la previsione di finanziamenti assistiti dalla concessione di garanzie gratuite da parte di SACE (finanziamenti di importo rilevante per la grandi aziende) e del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui alla legge 662/1996 ( cfr. art. 13 D.L. 8 aprile 2020, n. 23, con in L. 5 giugno 2020, n. 40). La nuova disciplina delinea alcuni passaggi del processo di erogazione del credito e del rilascio della garanzia pubblica: non si intende in questa sede analizzare i singoli elementi che vanno a comporre la fattispecie[17], ma si vuole tentare di dare una risposta ad alcuni quesiti che suscita la nuova disciplina, e cioè come debba essere valutato il merito creditizio e se alla ricorrenza dei requisiti enucleati dal decreto Liquidità la banca sia obbligata a concedere i finanziamenti, e cioè se si trovi nello stesso stato di soggezione in cui versa al cospetto della richiesta di moratoria ai sensi del c.d. Decreto “Cura – Italia”.

Per vero, questi interrogativi sono generati dalla operatività automatica della garanzia statale (senza valutazione del merito creditizio) per i finanziamenti sino all’importo di 25.000 euro[18], e dalla previsione di un'istruttoria “semplificata” per l'accesso ai fondi garantiti superiori a 25.000 euro[19]. Inoltre, si è previsto che possano accedere al fondo di garanzia PMI anche le imprese che presentano “alla data della richiesta della garanzia, esposizioni nei confronti del soggetto finanziatore classificate come inadempienze probabili o come esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate (…), purche' la predetta classificazione non sia stata effettuata prima del 31 gennaio 2020(cfr. art. 13 lett. g – bis) D.L. 23/2020 ovvero, se effettuata in data anteriore al 31 gennaio 2020, siano rientrate “in bonis” (cfr. art. 13 , lett g -ter) D.L. 23/2020).

   

3. Fin dai primi commenti è apparsa la necessità di impiegare con prudenza la leva dei finanziamenti garantiti dallo Stato per superare gli effetti negativi della diffusione del Covid – 19, e sono stati richiamati alle proprie responsabilità sia gli imprenditori che gli Istituti di credito[20]. E’ stato, in tal modo, anche prospettato alle banche il rischio di incorrere nella fattispecie della c.d. “abusiva concessione (o conservazione) del credito”[21].

La c.d. “concessione abusiva del credito” è una figura di costruzione dottrinale e giurisprudenziale, e se da un lato i contributi teorici[22] sono davvero vasti, occorre constatare che non sono molte le occasioni nelle quali la giurisprudenza pratica si è cimentata con gli elementi costitutivi della fattispecie.

Il tema è al centro di un ampio e vivace dibattito, in parte alimentato dai tentativi – non sempre riusciti e con esiti talvolta infausti - degli organi fallimentari di coinvolgere i creditori finanziari del fallito nelle responsabilità correlate alla causazione o all’aggravamento del dissesto.

In via approssimativa, la fattispecie può essere descritta come l’erogazione di credito, o il suo mantenimento (riscadenziandolo), ad un imprenditore commerciale non più in grado di rimborsarlo, versante in una situazione di difficoltà finanziaria e senza più la prospettiva di operare sul mercato secondo criteri di economicità. Dunque, sempre in via sintetica, il finanziamento, innestandosi in un contesto in cui l’impresa ha irrimediabilmente perso la continuità aziendale, contribuirebbe a mantenere “artificiosamente” in vita un’attività commerciale che, al contrario, dovrebbe essere espulsa dal mercato, con ciò provocando il ritardo nell’emersione dell’insolvenza. Nelle situazioni più gravi che sono state sottoposte al vaglio della giurisprudenza, l’impresa sovvenzionata versava in una situazione di conclamata insolvenza[23].

Viene in rilievo in particolare, dalla prospettiva della banca finanziatrice, l’erogazione o il mantenimento delle linee di credito in una situazione in cui all'opposto, le regole di sana e prudente gestione, avrebbero invece suggerito un blocco dell'operatività. Donde, la condotta della banca sarebbe dotata di un’efficienza causale nella verificazione o nell’aggravamento del dissesto, e svelerebbe pertanto una sua responsabilità avendo colpevolmente mantenuto in vita un’impresa in stato di decozione.

Gli interpreti che hanno affrontato il tema della responsabilità della banca per abusiva concessione del credito, hanno seguito vari itinerari[24]. Secondo un più risalente orientamento, il fondamento della responsabilità della banca risiederebbe nelle norme penali incriminatrici che hanno ad oggetto la bancarotta semplice (cfr. artt. 217, n. 3 e 4 L. Fall.) ovvero il ricorso abusivo al credito (cfr. art. 218 L. Fall.).

Secondo altra ricostruzione, la responsabilità potrebbe fondarsi sulla lesione, ad opera della banca finanziatrice, dei diritti di credito dei terzi venuti a contatto con l’impresa insolvente, sul presupposto che la condotta del finanziatore, da un lato, sarebbe idonea ad ingenerare un giudizio di apparente solvibilità sull’impresa sovvenuta e, dall’altro, ad incidere negativamente sul patrimonio della stessa precludendo, in tal modo, la possibilità di soddisfacimento da parte degli altri creditori.

Tale impostazione, che riecheggia la c.d. tutela aquiliana del credito, si rinviene ancora nel pronunciamento di Cass. Sez. Un. 28 marzo 2006, n. 7031[25], ed è stata più recentemente sviluppata ponendo in risalto l’apporto causale del finanziatore nell’illecito realizzato dal gestore dell’impresa. Per tale via, ove il finanziatore abusivo risponderebbe come terzo responsabile in solido con i gestori della sovvenuta[26], si è giunti ad una ricostruzione che riconosce natura “plurioffensiva” alla fattispecie[27]: si opina, infatti, che non sarebbero lesi dalla condotta della banca finanziatrice solamente i creditori del soggetto fallito[28], ma financo l’ente finanziato il cui patrimonio sociale sarebbe eroso dalla prosecuzione dell’attività sociale in assenza dei relativi presupposti. Secondo questa prospettiva, l’”artificiosa” prosecuzione dell’attività sociale si rileverebbe produttiva di distruzione di ricchezza e di risorse che potrebbero essere collocate più proficuamente[29].

In questa nuova luce si ipotizza una responsabilità della banca finanziatrice in concorso con gli amministratori della società fallita e, pertanto, alla responsabilità di natura contrattuale verso la società dei suoi amministratori, si aggiungerebbe quella di tipo extracontrattuale[30] imputabile alla banca [31]. Tracce di questa ricostruzione si rinvengono nella giurisprudenza di legittimità successiva[32].

La struttura della fattispecie è composta: dalla condotta colposa o dolosa degli amministratori della società in dissesto che, nonostante la verificazione della causa di scioglimento della società per perdita del capitale sociale[33], non la dichiarano e proseguono nella gestione caratteristica dell’impresa senza improntarla ai doveri "conservativi" ed ai canoni di condotta prefigurati dall’art. 2486 c.c.; dalla condotta colposa[34] (o, raramente, dolosa) della banca che eroga o mantiene le linee di credito in una situazione in cui i segnali provenienti dalla sovvenuta avrebbero dovuto suggerire un atteggiamento opposto[35].

La condotta dei gestori della società ormai insolvente e quella della banca erogatrice si saldano, contribuendo al differimento dell’emersione del dissesto rispetto alla sua manifestazione “naturale” e, quindi al suo aggravamento[36]. Donde ne discende la responsabilità solidale[37] della Banca finanziatrice con l’organo amministrativo per il danno cagionato alla società[38].


4. Certamente non si può pensare che il legislatore dell’emergenza abbia inteso prefigurare finanziamenti non assoggettati alle disposizioni di vigilanza e, in difetto di chiare indicazioni in senso contrario, i “nuovi” finanziamenti assistiti da garanzia statale dovranno essere compatibili con le finalità generali della disciplina prudenziale.

L’attività bancaria è idonea ad intercettare una serie di interessi pubblici connessi al corretto funzionamento del mercato creditizio di modo che, salvaguardando gli obiettivi generali che permeano la disciplina di settore e, anzitutto, la sana e prudente gestione[39] degli intermediari, trovano protezione anche gli interessi di rango costituzionale (art. 47 Cost.), quelli dei depositanti e, in generale, dei clienti delle banche.

Onde, nell’approcciarsi alla disciplina emergenziale che si è sinteticamente descritta, gli interpreti (e gli operatori di mercato) sono costretti a muoversi tra due poli contrapposti. Da un lato non si possono trascurare le esigenze poste a fondamento della pervasiva disciplina del settore creditizio, poichè “le finalità prudenziali e la funzione di vigilanza, che si traducono (anche)nella previsione di sistemi organizzati e procedure attraverso le quali deve articolarsi l’attività di erogazione del credito”[40], non possono essere del tutto trascurate proprio in un momento così delicato per l’economia del nostro Paese[41]. Dall’altro, evidentemente, si deve pur ammettere che il legislatore abbia chiesto agli Istituti di credito di svolgere un ruolo attivo nel sostegno alle PMI e forse, sotto il considerato profilo, sarebbe stato opportuno configurare, accanto alle misure di sostegno, delle esimenti con valenza sistematica sulla falsariga di quanto disposto dall’art. 217 bis L. Fall. attualmente vigente.

Donde, in difetto di indicazioni espresse, si possono solamente ipotizzare alcune soluzioni.

Pur dovendosi ammettere, in accordo con la prevalente dottrina e giurisprudenza, che la dilazione di pagamento possa essere declinata come una facilitazione creditizia atta a configurare, sotto il profilo astratto, la fattispecie di c.d. concessione abusiva di credito, si deve per forza concludere che il meccanismo prevedente la c.d. moratoria, così come disegnato dall’art. 56 del D.L. 18/2020 (ed oggetto di proroga attraverso il D.L. 104 del 14 agosto 2020), debba escludere ogni giudizio di illiceità sull’operato della banca. Il meccanismo, infatti, si incentra sulla richiesta dell’impresa corredata dall’autocertificazione della stessa, traslando pertanto sul gestore di quest’ultima le responsabilità correlate al proseguimento dell’attività di impresa in difetto delle condizioni per un proficuo ed economico esercizio. Onde, ove fosse venuta meno la continuità aziendale e l’impresa si trovasse in una situazione di dissesto, le relative responsabilità dovrebbero essere imputate alla sola “governance” interna. Ed invero, a tali conclusioni si deve logicamente pervenire per ragioni di coerenza dell’ordinamento, poiché la previsione normativa di un dispositivo automatico per la concessione della moratoria, cui si associa il divieto in capo alle banche di revocare le linee di credito operanti, non può che escludere ogni connotato di illiceità al contegno della banca.

Quanto ai nuovi finanziamenti si può ipotizzare che, nel quadro sopra tratteggiato, ove l’attività di sostegno alle imprese viene in larga parte deputata all’operatività bancaria e può rivelarsi, nell’attuale contesto economico, oggettivamente pericolosa, soltanto in ipotesi estreme e nei casi più gravi possano ravvisarsi i presupposti della responsabilità per concessione abusiva del credito. Un’ulteriore conferma in questa direzione si può trarre, oltre che dal favor del legislatore concorsuale verso il finanziamento alle imprese in crisi, proprio dall’art. 13 del D.L. 23/2020 incentivante, sotto diversi profili, l’erogazione di nuova finanza anche alle imprese che hanno presentato posizioni deteriorate verso il sistema bancario o che hanno avviato procedure di composizione della crisi d’impresa di carattere concorsuale (concordato preventivo ove declinato in continuità aziendale ex art. 186 – bis L. Fall. vigente), para -concorsuale (accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 - bis e ss. L. Fall. vigente) e stragiudiziale (piani attestati ex art. 67 L. Fall. vigente).

Certo, la concessione di nuova finanza dovrà essere soppesata con la massima attenzione, tenendo conto della capacità dell’impresa, seppur prospettica, di rimborsarla: in questa luce può essere valorizzata, come clausola generale, la previsione di cui al già citato art. 13 del D.L. 23/2020 che, nel disciplinare l’erogazione della finanza alle imprese con esposizioni deteriorate o che hanno avviato procedure di regolazione della crisi, richiede una prognosi positiva sulle possibilità di rimborso[42].

Dunque, in conclusione, non potrà mai mancare una preventiva ed accurata istruttoria, e cioè una positiva verifica circa le reali condizioni economico patrimoniali della beneficiaria e /o delle strategie industriali per non incorrere nel rischio di contribuire all’artificiale mantenimento in vita di una società irreversibilmente decotta.



[1] Per una panoramica sul mercato del private equity in Italia, tra i tanti si veda Anna Gervasoni - Fabio L. Sattin. Private Equity e Venture Capital. Manuale di investimento nel capitale di rischio. Guerrininext, 2019. Sull’accesso alla quotazione ed ai mercati finanziari delle imprese di medie dimensioni si veda per esempio la recente analisi di Franceso Vella - Valerio Corrente, La quotazione nei mercati e la negoziazione sui sistemi, in Il Testo Unico Finanziario, diretto Mario Cera e Gaetano Presti, Zanichelli, p.. 1036 e ss., ed ivi ampia bibliografia.

[2] E ciò essenzialmente su impulso della BCE che ha promosso l’armonizzazione della disciplina all’interno del Meccanismo di Vigilanza Unico. Cfr. Vittorio Tusini Cottafavi – Diana Capone, Diritto societario e disciplina del settore bancario e finanziario in Le nuove s.p.a., Trattato diretto da Oreste Cagnasso – Luciano Panzani Vol. VIII, Le società bancarie, Zanichelli, p. 1 e ss.

[3] Il contesto normativo risultante dalla riforma del diritto societario del 2003 ha previsto la possibilità di emettere categorie speciali di azioni e strumenti finanziari partecipativi, dotati anche di diritti amministrativi. Infatti, sulla scorta di una tendenza diffusa nei maggiori Paesi industrializzati, e che risponde alle esigenze delle imprese di procurarsi direttamente sul mercato la provvista, il legislatore della riforma ha potenziato in modo significativo la possibilità delle società di capitali di raccogliere le risorse finanziarie attraverso l’emissione di azioni, strumenti finanziari o titoli di debito. Sulle basi create da questo innovativo frammento della riforma societaria, si sono innestati numerosi provvedimenti successivi volti ad implementare gli strumenti di raccolta del capitale sul mercato.

[4] Solo per fare degli esempi, si pensi: all’istituto dei finanziamenti postergati ex art. 2467 cod. civ. e 2497 quinquies cod. civ.; alle modifiche all’art. 2412 cod. civ. in materia di prestito obbligazionario; alla possibilità di emettere strumenti finanziari dotati di diritti amministrativi a fronte di apporti imputabili al patrimonio; alla crescente espansione dell’autonomia statutaria nella configurazione del contenuto della partecipazione azionaria; alla creazione normativa di categorie speciali di azioni, culminata nella possibilità di emettere azioni a voto plurimo (categoria quest’ultima, nonostante anche di recente non siano mancati tentativi di estenderla alle società quotate, che è di esclusivo appannaggio delle società “chiuse”). Per quanto riguarda il comparto delle s.r.l, oltre alla ricordata disposizione di cui all’art. 2497 cod. civ., deve essere segnalata la novità rappresentata dai titoli di debito di cui all’art. 2483 cod. civ. Anche se, come si dirà nel testo, l’esperienza applicativa della flessibilità statutaria in materia di azioni, titoli di debito e strumenti finanziari partecipativi, e la correlata diversificazione degli strumenti per la raccolta, non ha riscosso l’auspicato successo.

[5] L’obiettivo di implementare il volume degli investimenti nelle imprese di piccole e medie dimensioni, ha stimolato negli ultimi anni una pluralità di riforme sia a livello europeo che a livello domestico, che hanno aperto i mercati finanziari anche alle imprese minori attraverso la definizione di sistemi multilaterali e sedi di negoziazione dedicate agli strumenti finanziari emessi dalle PMI. Sui mercati di crescita delle PMI si possono consultare: Filippo Annunziata, Nuovi mercati e ruolo delle società di gestione, in Nuove leggi civ. comm., 2018; Marco Cian, I sistemi multilaterali e i mercati “semiregolamentati”, in Il Testo Unico Finanziario, diretto Mario Cera e Gaetano Presti, Zanichelli, p. 1126 ess.

[6] Al riguardo si è detto, per esempio, “Sebbene l’evoluzione del nostro ordinamento sia stata segnata da numerose misure volte proprio a rendere la cornice regolamentare più funzionale all’accesso ai mercati i risultati non appaiono certo soddisfacenti: il mercato azionario italiano continua ad essere “piccolo non solo in termini di capitalizzazione, ma anche rispetto alle società quotate”. E’ noto che la “modernizzazione delle regole” in termini di tutela degli azionisti e strumenti di trasparenza, realizzata con il testo unico della finanza, ha collocato il nostro ordinamento su un piano di coerenza con i sistemi più evoluti. L’obiettivo di ampliare i canali di accesso delle imprese italiane a risorse esterne, incentivandole all’approccio alla borsa nel tentativo di superare, soprattutto per quelle di ridotte dimensioni, la consolidata e cristallizzata dipendenza dai finanziamenti bancari, non è stato però raggiunto, tanto che, sarcasticamente, si è evocato il linguaggio shakespeariano (“tanto rumore per nulla”) per descrivere il reale impatto di quella felice stagione legislativa”: così Franceso Vella - Valerio Corrente, in La quotazione nei mercati e la negoziazione sui sistemi, in Il Testo Unico Finanziario, diretto Mario Cera e Gaetano Presti, Zanichelli, p.. 1037 e ss..

[7] Franceso Vella - Valerio Corrente, in La quotazione nei mercati e la negoziazione sui sistemi cit., p.. 1040 e ss.

[8] Il 18 luglio è stata pubblicata sulla G.U. n. 180 la legge 17 luglio 2020, n. 77, di conversione del Decreto Rilancio.

[9] Il tema non sarà oggetto del presente contributo, anche se deve essere valutato positivamente l’ampliamento della capacità delle imprese di ricorrere all’autofinanziamento. In linea generale non si può però fare a meno di evidenziare come, sino ai giorni nostri, l’esperienza applicativa abbia dimostrato un’estrema diffidenza da parte del mercato .Per un’analisi del c.d. Decreto “Rilancio” cfr. Martino Liva, Decreto Rilancio: il nuovo patrimonio destinato di CDP a servizio delle imprese, in Il Societario 23 giugno 2020; Fabio Signorelli, Il decreto Rilancio e il rafforzamento patrimoniale delle imprese di medie dimensioni, in Il Societario, 29 giugno 2020; Cfr. Valentina Guerrieri, Gli aiuti dello (rectius: di) Stato alle imprese nel Decreto Rilancio, in Il Societario, 7 luglio 2020.

[10] Cfr. Valentina Guerrieri, Le misure del governo a sostegno delle imprese nell’emergenza Covid – 19, in Il Societario del 8 maggio 2020.

[11] Cfr. art. 65 (“Proroga moratoria per le PMI ex articolo 56 del decreto-legge n. 18 del 2020”) del D.L. 104 del 14 agosto 2020, ove ai sensi del comma 1: ”All'articolo 56, comma 2, lettere a), b) e c), comma 6 lettere a) e c) e comma 8, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, le parole «30 settembre 2020», ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: «31 gennaio 2021». Al momento della stesura del presente scritto, il D.L. 104/2020 che ha complessivamente rinviato il set di sospensioni previste dal Decreto Cura Italia in favore della PMI dal 30 settembre 2020 al 31 gennaio 2021, è in attesa di essere convertito.

[12] Sono “microimprese” quelle che occupano meno di 10 persone e realizzano un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro. Si considerano invece piccole imprese quelle che occupano meno di 50 persone e realizzano un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro. Si definiscono medie imprese quelle che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro.

[13] Cfr. p.e. Valerio Sangiovanni, Coronavirus e sospensione dei pagamenti delle piccole e medie imprese alle banche alla luce dell’art. 56 del decreto Cura – Italia, su www.eclegal.it, edizione del 15 aprile 2020; Cfr. Valentina Guerrieri, Le misure del governo a sostegno delle imprese nell’emergenza Covid – 19, in Il Societario del 8 maggio 2020 ove si legge: “I benefici appena analizzati, come chiarisce la Relazione illustrativa al Decreto Cura Italia, sono destinati a imprese che non presentando posizioni debitorie deteriorate hanno subìto, a causa dell'epidemia, una carenza di liquidità che non incide, tuttavia, sulla capacità di adempiere alle proprie obbligazioni. Proprio per tale motivo, alla moratoria si accede tramite mera comunicazione (da inviare tramite PEC) al soggetto creditore corredata da autocertificazione dell'impresa che attesti la mancanza improvvisa di cassa a seguito dell'emergenza in atto. Dalla sintetica analisi delle linee generali della moratoria straordinaria emerge chiaramente che quest'ultima, per il breve periodo di operatività, non permette alle banche di valutare autonomamente se acconsentire o meno a modifiche alle condizioni contrattuali, tenendo conto della condizione economico-finanziaria dei debitori. Per attenuare gli effetti economici di un possibile peggioramento nella qualità del credito al termine del periodo di moratoria il legislatore del Cura Italia prevede specifiche disposizioni inerenti la garanzia a valere sul Fondo di garanzia per le PMI, introducendo, quindi, una forma di garanzia pubblica – sussidiaria e a titolo gratuito- a parziale copertura delle esposizioni interessate”.

[14] Valerio Sangiovanni, Coronavirus e sospensione dei pagamenti delle piccole e medie imprese alle banche alla luce dell’art. 56 del decreto Cura – Italia cit.

[15] Ci si interroga se il divieto di revoca dei fidi si estenda anche alle variazioni o revisioni dei contratti, precludendo così alla banca l’esercizio dello jus variandi: al quesito occorrerebbe tendenzialmente dare una risposta positiva avuto riguardo alla “ratio” complessiva dell’intervento emergenziale, volto a contenere gli effetti disastrosi dell’emergenza sanitaria sul nostro tessuto economico e imprenditoriale.

[16] Cfr. art. 65, comma 2 D.L. 104/2020 cit.: “Per le imprese gia' ammesse, alla data di entrata in vigore del presente decreto, alle misure di sostegno previste dall'articolo 56, comma 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, la proroga della moratoria opera automaticamente senza alcuna formalita', salva l'ipotesi di rinuncia espressa da parte dell'impresa beneficiaria, da far pervenire al soggetto finanziatore entro il termine del 30 settembre 2020. Le imprese che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, presentino esposizioni che non siano ancora state ammesse alle misure di sostegno di cui al comma 2 del citato articolo, possono essere ammesse, entro il 31 dicembre 2020, alle predette misure di sostegno finanziario secondo le medesime condizioni e modalita' previste dall'articolo 56”.

[17] Cfr. Valentina Guerrieri, Le misure del governo a sostegno delle imprese nell’emergenza Covid – 19, in Il Societario del 8 maggio 2020.

[18] Cfr. Relazione Illustrativa al D.L. 23 del 2020 ove a pag. 12 (art. 13 Fondo Centrale di Garanzia PMI) si reca: “l’accesso senza valutazione per i finanziamenti di importo fino a 25.000 euro concessi a piccole imprese e persone fisiche che esercitano arti o professioni la cui attività sia stata colpita da emergenza da Covid 19”.

[19] Semplificazione attuata attraverso la disapplicazione dei modelli di valutazione del merito creditizio di tipo economico – finanziario ed andamentale. Cfr. Relazione Illustrativa al D.L. 23 del 2020 ove a pag. 12 (art. 13 Fondo Centrale di Garanzia PMI) si legge: “la norma in commento interviene con una serie di misure tese (…) all’ulteriore rafforzamento degli interventi di garanzia relative in particolare a: (…) l’accesso al Fondo senza valutazione, rafforzando, in questo, la precedente previsione che prevedeva l’applicazione, ai fini dell’accesso alla garanzia, del metodo economico- finanziario del vigente modello di valutazione del Fondo”.Cfr. anche art. 13 comma 1 lett. g del D.L. 23 del 2020 ove si reca: ”fermo restando quanto previsto all'articolo 6, comma 2, del decreto del Ministro dello sviluppo economico 6 marzo 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 157 del 7 luglio 2017, e fatto salvo quanto previsto per le operazioni finanziarie di cui alla lettera m) del presente comma, la garanzia e' concessa senza applicazione del modello di valutazione di cui alla parte IX, lettera A, delle condizioni di ammissibilita' e disposizioni di carattere generale per l'amministrazione del Fondo di garanzia allegate al decreto del Ministro dello sviluppo economico 12 febbraio 2019, di cui al comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 49 del 27 febbraio 2019”.

[20] Cfr per esempio Angela Petrosillo, Le imprese che “meritano credito” e la valutazione del merito creditizio, in Il Fallimentarista, 14 luglio 2020, ove si afferma “A questo proposito, va subito sgomberato il campo da un equivoco di fondo. Non è corretto quello che è stato detto da alcuni, e cioè che il rafforzamento e l'ampliamento del contenuto dell'autocertificazione abbia esonerato le banche dalla valutazione del merito di credito. Le Banche non possono esimersi da tale valutazione non solo perché essa costituisce un obbligo di legge, ma anche perché l'autocertificazione ha ad oggetto solamente una serie di dati riferibili alla situazione dell'impresa al 31 dicembre 2019. Il merito di credito è, invece, un giudizio di solvibilità che riguarda la capacità dell'impresa di restituire l'importo prestatole: tale giudizio è, per sua natura, prospettico e quindi, evidentemente, mai potrebbe essere sostituito da un'autodichiarazione, che non può che avere ad oggetto l'esistenza di situazioni di fatto, ma mai previsioni per il futuro”.

[21] Marcello Pollio - Filippo Arata, Autocertificazioni in banca, un boomerang, in Italia Oggi del 18.04.2020.

[22] Cfr. la recente ricostruzione, ricca di citazioni bibbliografiche e ricognitiva degli studi svolti, effettuata da Niccolò Abbriani- Lorenzo Benedetti, Finanziamenti all’impresa in crisi e abusiva concessione di credito: un ulteriore frammento della disciplina speciale dell’impresa in crisi, in Banca borsa e titoli di credito, 2020, fasc. 1, pag. 41 e ss.. Cfr. anche le recenti sintesi di Francesco Pacileo, Concessione abusiva di credito ed azione del curatore fallimentare: il cavillo del concorso della banca nella mala gestio degli amministratori, in Banca borsa e titoli di credito, fasc. 2, 2018 pag. 167 e ss.; Concessione “abusiva” di credito e “sana e prudente gestione”: linee – guida giurisprudenziali, in Banca borsa e titoli di credito, fasc. 2, 2019 pag. 203 e ss..

[23] Si segnala, per la completezza del percorso motivazionale, la sentenza del Tribunale di Prato, 15 febbraio 2017 in www.ilcaso.it; si segnala altresì, sullo stesso portale, il precedente rappresentato dal Tribunale di Milano, del 22 maggio 2017.

[24] Cfr. per esempio Amalita Viscusi, Profili di responsabilità della banca nella concessione del credito, Milano, 2004; Fabrizio Di Marzio, Abuso nella concessione del credito, Napoli, 2004; Danilo Galletti, La ripartizione del rischio di insolvenza Bologna, 2006; Danilo Galletti, Tecniche e rischi del finanziamento all’impresa in crisi, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di Fabrizio Di Marzio – Francesco Macario, Milano, 2010.

[25] Il Giudice della nomofilachia, con il suo fondamentale arresto del 2006, ha escluso l’azione risarcitoria per concessione abusiva del credito dal novero delle azioni di massa, escludendo quindi la legittimazione attiva del curatore fallimentare, attraverso un complesso ragionamento che fa perno sulla lesione dell’interesse dei singoli creditori della società fallita.

[26] Alla condotta del banchiere, qualificabile come concessione abusiva del credito, farebbe da pendant la condotta degli amministratori della sovvenuta, qualificabile come ricorso abusivo del credito.

[27] Cfr. per esempio Bruno Inzitari, L’abusiva concessione di credito: pregiudizio per i creditori e per il destinatario del credito, in Società, 2007, 42.

[28] I creditori anteriori all’erogazione abusiva del credito subiscono un pregiudizio in dipendenza del concorso coi creditori successivi alla verificazione della causa di scioglimento non rilevata, e/o del decremento del patrimonio responsabile del proprio debitore in conseguenza della protrazione dell’attività di impresa generatrice di perdite, ma resa possibile dal finanziamento bancario. I creditori successivi, invece, subiscono un pregiudizio in conseguenza dell’apparente solvibilità del proprio debitore ingenerata dalla nuova erogazione di credito, e che non avrebbero subito se non avessero avuto occasione di contrarre crediti con la società fallita ove la stessa fosse stata posta tempestivamente in liquidazione. Sulla responsabilità della banca verso terzi creditori si veda per esempio Cass. Civ, Sez. I, 14 maggio 2018, n. 11695.

[29] Il pregiudizio patrimoniale della società sovvenuta consiste nell’aggravamento del passivo causato dalla prosecuzione dell’attività d’impresa resa possibile, sotto il profilo dell’efficienza causale, dalla erogazione di finanza da parte dell’Istituto di credito.

[30] Non mancano ricostruzioni teoriche atte a configurare la responsabilità della banca concorrente come di natura contrattuale, fondandola sul “contatto sociale” ovvero sugli obblighi di correttezza e buona fede che integrano il rapporto di credito con la società finanziata.

[31] Questa ricostruzione postula l’alterità soggettiva tra l’ente danneggiato ed il gestore responsabile, dovendo il soggetto agente in concorso con il banchiere essere terzo rispetto all’impresa o al suo titolare. Donde, ne discende che l’azione contro il banchiere fondata su questo titolo di responsabilità sia concepibile sono con riferimento alle imprese organizzate in forma collettiva.

[32] Cfr. per esempio Cass. 1° giugno 2010 n. 13413; Cass. 12.05. 2017 n. 11798; Cass. 20.04.2017 n. 9983. Nella giurisprudenza di merito cfr. per esempio Trib. di Milano 26 febbraio 2016; Trib. di Prato 15 febbraio 2017; Tribunale di Milano 22 maggio 2017, n. 5762; Trib. di Bologna 13.07.2017 n. 1508.

[33] Viene in rilievo, ai fini dell’integrazione della fattispecie, la causa di scioglimento di cui all’art. 2484 comma 1 n. 4 cod. civ., che pone un tema di imputazione delle perdite accumulatesi dopo la verificazione della causa di scioglimento. Si ritiene, almeno nelle analisi più recenti, che venga in rilievo anche la perdita della c.d. continuità aziendale integrante, sempre secondo gli studi più aggiornati, l’ipotesi di scioglimento di cui all’art. 2484 comma 1 n. 2 cod. civ, ovvero l’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale.

[34] La figura dell’abusiva concessione del credito si regge sulla preliminare considerazione che le banche, in ragione della specifica attività svolta, potrebbero trovarsi in una posizione privilegiata rispetto alla valutazione della solvibilità dei soggetti richiedenti il credito, e la responsabilità della banca postula la conoscenza o la conoscibilità delle reali condizioni economiche, patrimoniali e finanziarie del soggetto sovvenuto.

[35] Cass. 20.04.2017 n. 9983 ha fondato il giudizio di responsabilità della banca sulla violazione dei principi di sana e prudente gestione ex art. 5 T.U.B.

[36] Il danno viene normalmente commisurato in base a criteri che correlano l'aggravamento del dissesto a parametri c.d. equitativi, stante l'oggettiva difficoltà in capo all’attore di individuare analiticamente le conseguenze pregiudizievoli di ciascun atto di gestione, specialmente in situazioni caratterizzate dalla prosecuzione dell'attività sociale per molti anni. Cfr. per esempio Cass. 20.04.2017 n. 9983 che ha fatto uso del criterio equitativo improntato alla differenza dei patrimoni netti di periodo, e cioè commisurando il danno risarcibile alla differenza tra il patrimonio netto negativo alla data del fallimento e quello (riclassificato) al momento in cui l’attività avrebbe dovuto essere cessata. Cfr. sul punto l’art. 378 comma 2 del nuovo CCII che reca la consacrazione normativa del criterio c.d. della differenza dei netti patrimoniali (“detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al momento della liquidazione”). Sul punto, per una panoramica, si veda per esempio il recentissimo contributo di Silvia Monti, Violazione del dovere di gestione conservativa e danno: AN, QUNATUM E…QUANDO?, nota a margine di sent. C. App. di Catania 16 gennaio 2020 n. 136, in Le Società, 2020, p. 825 e ss.

[37] E’ pacifico che laddove un unico evento dannoso sia imputabile a più persone, ai fini dell’accertamento dell’obbligazione risarcitoria in via solidale è sufficiente, in base ai principi che regolano il nesso di causalità e il concorso di più cause efficienti nella produzione dell’evento, che le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo.

[38] Cfr. Cass. 12.05. 2017 n. 11798 e Cass. 20.04.2017 n. 9983 che hanno sancito per la prima volta (cfr. anche Cass. 1° giugno 2010 n. 13413 a livello di obiter dictum) la legittimazione del curatore fallimentare ad agire contro la banca per abusiva concessione del credito, in quanto responsabile in solido ex art. 2055 cod. civ. con gli amministratori condannati per mala gestio nei confronti della società stessa. Secondo questa lettura, il curatore fallimentare è legittimato ad agire, ai sensi dell’art. 146 L. Fall. in correlazione con gli artt. 2393 e 2394 – bis cod. civ. nei confronti della banca, ove la posizione a questa ascritta sia di terzo responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita per effetto dell’abusivo ricorso al credito da parte degli amministratori della società stessa. Il Curatore fallimentare subentra ex art. 42 LF in un'azione già compresa nel patrimonio della società fallita, svolgendo un'azione giudiziale che la società, "in bonis", avrebbe potuto esercitare autonomamente contro i propri amministratori (e la Banca quale concorrente nella causazione del danno ex art. 2055 c.c.). E’ pacifico che la fattispecie non configuri un’ipotesi di litisconsorzio necessario, onde l’attore in responsabilità può convenire in giudizio solo la banca concorrente. Il curatore non ha, invece legittimazione con riferimento ad un’azione declinata come mezzo di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore, sul modello prefigurato per esempio dall’art. 2395 cod. civ. e 2476 comma 7 cod. civ., poiché tale azione non rientra nel novero delle azioni c.d. di massa.

[39] Cfr Vittorio Tusini Cottafavi – Diana Capone, Diritto societario e disciplina del settore bancario e finanziario in Le nuove s.p.a., Trattato diretto da Oreste Cagnasso – Luciano Panzani Vol. VIII, Le società bancarie, Zanichelli, p. 1 e ss. ove si mette in rilievo che la “fortunata formula sana e prudente gestione”, declinabile sia come canone di condotta dell’impresa bancaria sia come criterio guida della discrezionalità tecnica dell’attività di vigilanza, si collega a interessi costituzionalmente rilevanti costituenti il fondamento dei poteri regolamentari, di controllo e di intervento dell’autorità di vigilanza che compendiano la funzione prudenziale.

[40] Cfr Vittorio Tusini Cottafavi – Diana Capone, Diritto societario e disciplina del settore bancario e finanziario cit.

[41] Come si è detto: “Questa scelta è certamente consigliabile a patto che (oggi più che mai) essa sia accompagnata da una corretta processazione della capacità di rimborso della finanza proprio in ragione del sistema delle garanzie statali, la cui escussione potrebbe comportare, nel giro di un paio di anni, ricadute ingestibili sui bilanci pubblici e, dunque, sulla collettività.Proprio per questo è essenziale che siano ammesse al credito solo le imprese che “meritano credito”: Cfr. Angela Petrosillo, Le imprese che “meritano credito” e la valutazione del merito creditizio, in IlFallimentarista, 14 luglio 2020

[42] Cfr. art. 13, comma 1, lett. g - bis,), g- ter) e g – quater) D.L. 23/2020 ove reca l’inciso: “il soggetto finanziatore, sulla base dell'analisi della situazione finanziaria del debitore, possa ragionevolmente presumere il rimborso integrale dell'esposizione alla scadenza”.


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