CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 25/09/2020 Scarica PDF

L'influenza del Chapter 11 sulle legislazioni della crisi d'impresa e le differenze con gli strumenti previsti dal CCI

Francesco Carelli, Avvocato in Milano


Sommario: 1. Introduzione - 2. Il ruolo dei creditori tra unvoluntary petition ed exclusivity period – 3. La natura del bankruptcy estate e la figura del debtor-in-possession - 4. I poteri del debtor-in-possession e la ristrutturazione del patrimonio - 5. Il cram-down dei creditori nel giudizio di confirmation - 6. L’effetto di discharge e il fresh-start reporting - 7. Il Chapter 11 e la sua influenza sul diritto comunitario - 8. Conclusioni

 

 

Abstract

La procedura prevista dal Chapter 11 del US Bankruptcy Coderappresenta la procedura di ristrutturazione di maggior successo nel panorama occidentale. Gli ordinamenti europei, in ultimo anche quello italiano, si sono ispirati a questo strumento per realizzare le riforme ai propri sistemi di risoluzione delle crisi d’impresa. Anche l’Unione Europea nell’emanare la direttiva 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva ha adottato numerosi istituti del diritto americano, seppur non facendone mai riferimento espressamente. L’obiettivo di questo paper è quello di dimostrare che il Codice della crisi non ha pienamente adottato il sistema del Chapter 11 non facendo propri alcuni istituti che sono essenziali di quella procedura e di osservare che effetti ciò comporterà. Per far ciò, in un primo momento si analizzeranno una serie di istituti caratteristici del Ch.11 che non sono stati introdotti nel CCI avendo cura di evidenziare gli effetti della loro assenza nell’ordinamento italiano. In seguito, si osserverà in che modo la Direttiva UE ha fatto propri gli strumenti previsti dal diritto statunitense. Infine, si avanzeranno delle osservazioni relative alla necessità in un sistema economico come quello italiano di far propri questi istituti del Ch. 11 evidenziando gli effetti positivi che si potrebbero trarre.

 

The procedure under Chapter 11 of the US Bankruptcy Code is the most successful restructuring procedure in the Western world. The European legal systems, including the Italian one, have been inspired by this instrument in order to carry out reforms to their corporate crisis’ resolution systems. The European Union, too, in issuing Directive 1023/2019 on Preventive Restructuring Frameworks, has adopted several features of US Chapter 11, although never making express reference to it. The purpose of this paper is to demonstrate that the new Italian crisis and insolvency code has not fully adopted the Chapter 11 system by failing to introduce certain rules that are essential to that procedure and to observe what effects this will cause on its application. To do this, at first it will be analysed a series of norms of Chapter 11 that have not been adopted into the CCI, taking care to highlight the effects of their absence in the Italian system. Then, it will be observed how the EU Directive has adopted the instruments provided for by US law. Finally, observations will be made on the need, in an economic system like the Italian one, to adopt these Ch.11 features, highlighting the positive effects that could be drawn.



1. Introduzione

Il sistema italiano delle procedure e degli strumenti di regolazione della crisi, volto ad offrire all’imprenditore un’alternativa alla liquidazione giudiziale, è stato oggetto di una forte attività riformatrice finalizzata a introdurre un maggiore carattere privatistico a queste procedure. “Nel predominio dell’impresa nella crisi rispetto alla giustizia vi è un’ideologia che va dal laissez-faire al neoliberismo, ma che comunque ha ritenuto più efficiente sostituire la norma giuridica imperativa, posta anche a vincolo e tutela dei terzi, con l’autonomia privata, cioè col contratto fra le parti”.[1] Con questo principio come base di queste riforme, l’obiettivo principale è divenuto adeguare un corpo normativo ormai vetusto ad un contesto socio-economico radicalmente cambiato rispetto al 1942. “Nell’approntare le riforme succedutesi nel corso degli anni, il legislatore ha tratto spunto anche da istituti ed esperienze di altri sistemi giuridici, non ultimo quello americano”.[2] In generale, tutti i legislatori dei principali stati membri dell’UE hanno ispirato le riforme delle loro procedure nazionali nel senso di un avvicinamento alla disciplina del salvataggio delle imprese in crisi prevista dal US Bankruptcy Code, ossia la procedura di reorganization del Chapter 11. Come si vedrà, anche il diritto comunitario ha realizzato importanti passi volti a favorire l’armonizzazione delle procedure concorsuali dei vari stati membri prendendo come modello di riferimento il diritto nordamericano.

Lo scopo fondamentale del Ch. 11 è “quello di fornire uno strumento alle imprese in difficoltà al fine di preservare il loro going concern value a favore dei loro creditori”.[3] La ragione per cui si intende adottarlo a modello è perché costituisce “la procedura più antica e collaudata di riorganizzazione dell’impresa esistente ed è vincente rispetto alla procedura liquidatoria prevista dal Ch.7, consentendo una conservazione di valori aziendali superiore di circa il 78% rispetto a quest’ultima”.[4]

L’obiettivo di questo paper è comprendere la natura ed i valori che sono sottesi a questa procedura osservandone i punti di contatto e le differenze rispetto al nostro ordinamento, ed in particolare rispetto al concordato preventivo, dando enfasi a quegli istituti che non sono stati recepiti dal nostro legislatore o che sono stati trattati in maniera differente. Si analizzerà anche l’impatto che la loro inclusione avrebbe sul processo di rinnovamento delle nostre procedure di regolazione della crisi e sul loro successo.

Il legislatore italiano, seppur ispirato dai medesimi obiettivi della procedura americana, ha assorbito all’interno delle procedure concorsuali della disciplina nazionale solo alcune delle peculiarità di questo sistema in qualche modo limitandone la loro efficacia.

Infine, si osserverà come i modelli comunitari disegnati dalla Raccomandazione 135/2014, prima, ed ora dalla Direttiva 1023/2019 siano dichiaratamente volti ad ottenere una maggiore armonizzazione nelle legislazioni dei vari stati membri creando un modello di procedura analogo e fortemente ispirato alla procedura del Chapter 11 del US Bankruptcy Code del 1978.

 

2. Il ruolo dei creditori tra unvoluntary petition ed exclusivity period

Il primo aspetto da evidenziare in maniera preliminare rispetto alla trattazione della procedura è di carattere sistematico. La riorganizzazione attraverso la procedura di Chapter 11 non rappresenta una procedura alternativa al fallimento come invece è il concordato preventivo.

Il sistema fallimentare americano conosce una sola procedura che è la “bankruptcy”. Essa si articola o con la liquidazione del patrimonio aziendale come nel caso del Chapter 7 o con il risanamento e la continuità aziendale nel caso del Chapter 11.

Il primo aspetto da evidenziare della disciplina americana è il significativo ruolo ricoperto dai creditori nello svolgimento della procedura non solo in caso di liquidazione ma altresì in caso di prosecuzione dell’attività aziendale. Essi non sono relegati ad un mero ruolo di approvazione o rigetto della proposta del debitore ma svolgono invece un ruolo propulsivo nelle varie fasi del procedimento nonché di controllo dell’attività del debitore.

I poteri riconosciuti all’interno della procedura, oltre al diritto di voto ove siano impaired nel loro credito, sono tre: la possibilità di presentare istanza per l’apertura del procedimento in luogo del debitore (unvoluntary petition); la facoltà di presentare un piano alternativo a quello presentato dal debitore una volta trascorso il periodo di esclusiva a questi riconosciuto; il potere di controllare e supervisionare le attività del debitore per mezzo del comitato dei creditori.“L’involuntary petition è uno strumento potente che i creditori possono usare come extrema ratio nel tentativo di recuperare un credito”.[5]

Con questo strumento il creditore, qualora ritenga sussistano le condizioni previste dalla legge, chiede al giudice di aprire una procedura secondo il Chapter 11. La domanda del creditore deve essere inviata al debitore che entro venti giorni può decidere di opporsi all’apertura o di chiederne la conversione ad una procedura liquidatoria.

Il decorso del termine senza alcuna opposizione “comporta ipso facto la creazione di un bankruptcy estate ex art. 541 Bankruptcy Code e fa attivare l’automatic stay. I creditori nella domanda possono chiedere che venga nominato un curatore (trustee) quando ritengono che il debitore stia dissipando o riducendo il patrimonio dell’impresa”.[6]

Ex art. 303 Bankruptcy Code, circa la legittimazione a presentare l’istanza: se il debitore ha più di dodici creditori allora la domanda deve essere presentata da almeno tre creditori che possiedono un credito chirografario che sia indiscusso o la disputa sia in buona fede (unsecured, non-disputed, noncontingent claims) il cui valore totale sia di almeno $14,425; se, invece, il debitore ha meno di dodici creditori l’involuntary petition può essere presentata anche da solo un creditore che abbia i suddetti requisiti.

Non possono presentare l’istanza né si computano nel calcolo per il numero dei creditori, i c.d. insiders, i lavoratori dipendenti e coloro che sono titolari di crediti che sono stati ottenuti in forza di un atto che potrebbe essere oggetto di revocatoria (avoidance).

“Il numero dei creditori va determinato al momento in cui viene presentata l’istanza: non si computano né quelli soddisfatti precedentemente né quelli sorti dopo l’apertura. Devono essere computati nel calcolo anche i crediti di modesta entità e quelli derivanti da risarcimento del danno”.[7]

L’art. 303 esclude altresì la possibilità di presentare l’istanza contro alcuni debitori ossia gli imprenditori agricoli e le imprese non commerciali.

I requisiti oggettivi affinché possa essere aperta la procedura sono invece tre: innanzitutto, l’istanza non deve essere stata contestata dal debitore; poi, si richiede alternativamente che il debitore non stia pagando generalmente i propri debiti alla scadenza (generally not paying debts) a meno che il credito non sia soggetto ad una disputa in buona fede (bona fide dispute) oppure che il suo patrimonio sia stato sottoposto in tutto o in parte a sequestro giudiziario nei 120 giorni precedenti e sottoposto al controllo di un custodian.

La giurisprudenza ha individuato uno standard oggettivo nel determinare quando un certo credito sia soggetto a bona fide dispute.

“Il giudice deve determinare se ci sia una base oggettiva per una disputa in fatto o in diritto sulla validità del credito. In ogni caso, non è rilevante che la decisione della corte sia positiva o negativa ma soltanto che sia presente. A tal fine è necessaria un’analisi soltanto limitata della domanda (claim)”.[8]

Per quanto riguarda la situazione del debitore che non paga generalmente le proprie obbligazioni, si intende lo stato di colui che “non adempie regolarmente ad un numero significativo di obbligazioni rispetto al numero di debiti, al valore delle operazioni e ai tempi dei ritardi”.[9]

Sebbene, quindi, il carattere vada individuato in concreto “è onere del creditore dimostrare che il debitore non adempie regolarmente alle proprie obbligazioni al momento in cui viene presentata l’istanza”.[10]

Nonostante tali allegazioni, ex art. 305 Bankruptcy Code, va considerato che la corte può in ogni caso astenersi dall’aprire la procedura e sospendere il procedimento ove ritenga che gli interessi dei creditori e del debitore possano essere meglio soddisfatti attraverso altre forme di tutela.

Ad esempio, “quando la corte ritiene che sia più efficiente e vantaggioso dal punto di vista economico trovare accordi stragiudiziali, quando si ritiene per lo stato economico del debitore che l’esercizio di azioni esecutive individuali non costituirebbe una lesione della tutela del credito degli altri creditori, quando il debitore sta già realizzando in buona fede dei comportamenti volti ad ottenere gli stessi risultati”.[11]

Nell’intervallo di tempo tra la presentazione dell’istanza da parte dei creditori e l’apertura della procedura (order for relief), il debitore continua a svolgere l’attività d’impresa liberamente ma non può compiere atti di disposizione del patrimonio volti a danneggiare i creditori.

Le corti valutano con molta attenzione le istanze di apertura di questi procedimenti in quanto esso provoca “severe conseguenze sul debitore come la perdita di credibilità con i creditori, l’incapacità di trasferire beni e portare avanti l’attività economica nonché l’effetto pubblico denigratorio a prescindere dal fatto che l’istanza venga accolta o rigettata”.[12]

Il legislatore consapevole di ciò ha previsto una serie di conseguenze per il creditore a cui viene rigettata l’istanza prevedendo il pagamento delle spese di giustizia a favore del debitore e nel caso in cui fosse in mala fede il pagamento del risarcimento del danno e dei danni punitivi. È onere del debitore dimostrare la mala fede e i criteri che le corti tendono ad utilizzare per valutarla ed escluderla sono: che “l’istanza soddisfi i requisiti soggettivi ed oggettivi per la sua presentazione ed era meritevole; vi era evidenza di un pagamento preferenziale ad alcuni creditori o atti di dissipazione del patrimonio; che non vi era un intento da parte del creditore di danneggiare il debitore o di favorire sé stesso a scapito degli altri; che l’istanza non sia stata presentata come un’arma da utilizzare in un altro procedimento pendente; qualsiasi fatto o atto che faccia ritenere sospetta e maliziosa la presentazione dell’istanza”.[13]

Si ritiene, poi, che il risarcimento del danno non sia dovuto solo nei confronti del debitore ma anche ai terzi che potrebbero essere danneggiati da una istanza in mala fede. L’art. 303, mentre prevede espressamente chi sia il beneficiario della condanna al pagamento delle spese di giustizia, non indica invece nei confronti di chi debba essere pagato il risarcimento del danno dovuto alla mala fede.

“L’obiettivo del riconoscere i danni punitivi è quello di evidenziare il potenziale danno che può essere arrecato al debitore e ai terzi che sono con lui in contatto e va visto come un deterrente per i creditori ad utilizzare questo strumento in maniera temeraria per il recupero dei crediti”.[14]

Tutte queste tutele riconosciute al debitore e ai terzi nonché i severi standard previsti affinché la corte riconosca la necessità di aprire il procedimento del Chapter 11 hanno fatto sì che nella prassi pochi procedimenti iniziassero in questo modo. Eppure questo rappresenta un importante potere riconosciuto ai creditori che, a determinate condizioni, hanno “uno strumento che consente la tempestiva emersione della crisi”.[15] L’ordinamento italiano, pur uniformando il procedimento per tutti gli strumenti del diritto della crisi d’impresa, non ha riconosciuto la legittimazione a presentare domanda di accesso a strumenti di composizione della crisi ai creditori e ha scelto di affidarsi per l’emersione tempestiva della crisi ai meccanismi di allerta costituiti dalle segnalazioni di sindaci e revisori al superamento dei c.d. indici della crisi e alle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati. In ogni caso, però, la possibilità di iniziare un procedimento volto al superamento della crisi in una fase in cui essa è ancora lieve è stata lasciata alla volontà del solo debitore che sarà libero di decidere, nonostante i meccanismi di allerta, se e quando presentare domanda di accesso a tali procedure.

Riconoscere tale legittimazione ai creditori significa anche responsabilizzare il debitore nelle sue scelte manageriali sapendo di poter subire l’apertura di un procedimento di ristrutturazione al sussistere di determinati requisiti.

A tale facoltà riconosciuta ai creditori si contrappone l’importante vantaggio riconosciuto al debitore rispetto a questi nella fase di predisposizione del piano in cui può godere di un diritto di esclusiva per un determinato periodo di tempo.

L’art. 1121 Bankruptcy Code attribuisce la possibilità al debitore di presentare in esclusiva entro 120 giorni dalla presentazione dell’istanza per l’apertura della procedura nonché di ottenerne l’accettazione entro 180.

In caso di necessità (cause), questo periodo può essere esteso dal giudice su richiesta del proponente ma non può essere esteso oltre 18 mesi dall’inizio della procedura e 20 mesi per l’accettazione della proposta.

“Durante questi giorni perdura l’impossibilità di presentazione di un piano da parte di altri soggetti”.[16]

Al creditore è riconosciuta, però, la possibilità di chiedere al giudice la riduzione del periodo di esclusività o la sua terminazione per giusta causa. Trascorsi i termini o ottenuto tale provvedimento dal giudice, qualsiasi parte interessata può presentare un piano.

“Il periodo di esclusività è necessario per realizzare l’obiettivo della riorganizzazione. L’attrattività del Chapter 11 per i debitori è principalmente dovuta a questo vantaggio: senza esclusività anche l’automatic stay ha minor valore in quanto consente loro di rimanere al controllo durante il processo di riorganizzazione senza il timore di essere mandati via”.[17]

La disciplina di questo istituto tiene conto di due differenti e rilevanti visioni: per il debitore “l’esclusività è essenziale in quanto essa offre del tempo per considerare quale soluzione individuare senza concorrenza o pressioni dai creditori”;[18] per i creditori, invece, il diritto di esclusività ha un accezione negativa. L’esclusività “può essere molto costosa per tutti i creditori chirografari e non, perché più tempo dura più si riduce il patrimonio destinato ai creditori concorsuali aumentando i crediti prededucibili”.[19]

Le ragioni che solitamente giustificano l’estensione del periodo di esclusività sono la grande probabilità di successo della riorganizzazione, la grandezza e la complessità della procedura, la natura dell’attività economica ed il comportamento del debitore durante la procedura, la dimostrazione della necessità di ottenere un estensione per poter presentare un piano efficace ai fini della ristrutturazione. Poiché, però, il decorso del tempo può essere di per sé un elemento lesivo per la tutela dei creditori vi sono numerose ragioni che consentono ai creditori di chiederne la terminazione: ad esempio, un grosso ritardo nella presentazione del piano o un serio pregiudizio causato dalla proroga, un comportamento ostile nei confronti dei creditori o una gestione negligente dell’impresa.

Tra le ragioni, si deve poi annoverare il caso in cui sia possibile prima facie individuare uno o più interessati a presentare un piano che appaia idoneo al risanamento dell’impresa.

Per questa ragione, risolvendo il conflitto tra questi soggetti e la legittima aspettativa del debitore a godere di questo vantaggio, alcune corti hanno introdotto il concetto di “co-esclusività”.

Secondo questo orientamento sarebbe possibile riconoscere ad altri soggetti specificamente individuati “di godere del periodo di esclusività assieme al debitore per presentare un piano a condizione che sia nell’interesse della procedura e sia volto a ottenere un concreto beneficio per tutti i creditori”.[20] Questa estensione soggettiva della co-exclusivity benché autorizzata dal giudice può essere consensuale, quando è frutto di un accordo tra il debitore ed il soggetto interessato, o giudiziale quando nasce esclusivamente dalla richiesta del terzo previa verifica del sua utilità.

Altre corti contestano questa possibilità in forza di tre argomenti: “il primo è che l’art. 1121 non contempla questa possibilità; il secondo è che questa estensione limita il diritto del debitore di ottenere del tempo con cui può liberamente presentare uno o più piani dovendo subire la concorrenza di un altro soggetto; il terzo argomento fa leva sulla disparità di trattamento che si genera tra il soggetto ammesso a godere di questo periodo e tutti gli altri creditori. “Non si vede il motivo per cui, ove sia ammesso un soggetto diverso dal debitore a presentare un piano, non debbano essere ammessi anche tutti gli altri interessati: tale scelta rappresenterebbe una negazione alla ratio di tale istituto, ossia alla facoltà del debitore, e solo di questo, di non perdere il controllo dell’impresa e di avere il tempo di elaborare un piano che possa essere approvato dai creditori”.[21]

Ai creditori, infine, si riconosce la possibilità di supervisionare le attività del debitore attraverso il comitato dei creditori. Esso è composto generalmente “da sette creditori chirografari scelti dallo US Trustee, solitamente i maggiori sette, e ha il potere di monitorare le attività del debitore di consigliarlo nelle principali operazioni di gestione e devono perseguire l’interesse di tutta la massa creditoria concorsuale”.[22]

Ciò che deve notarsi, in conclusione, è che nell’ordinamento americano il ruolo dei creditori è molto importante nella fase di emersione e risoluzione tempestiva della crisi. Essi godono di poteri sostanzialmente volti a sollecitare il debitore ad accedere alla procedura del Chapter 11, prima, e a presentare un piano senza dilungarsi eccessivamente, poi. Tutto questo raggiunge un maggior grado di efficienza se si considera che, nella fase di predisposizione e votazione, se il debitore rispetta alacremente le attività e i termini delle procedure previste in nessun caso rischierà di subire la concorrenza di proposte concorrenti e, addirittura, a determinate condizioni potrà persino imporre il suo piano di risanamento sui creditori; questi ultimi attraverso il comitato supervisionano lo svolgimento della procedura e il corretto esercizio del debitore delle proprie funzioni.

 

3. La natura del bankruptcy estate e la figura del debtor-in-possession

Una delle più importanti differenze tra gli strumenti di regolazione della crisi previsti dal diritto italiano e il Chapter 11 è “il trasferimento di tutti i diritti e i rapporti dell’impresa a favore di una vera e propria nuova entità giuridica rappresentata dalla c.d. bankruptcy estate”.[23] Dal momento in cui viene aperta la procedura, infatti, “si realizza un subingresso nella protezione del diritto fallimentare federale e tutte le pretese dei creditori diventano pretese verso la proprietà della procedura”.[24] Ex art. 541 Bankruptcy Code, l’estate comprende tutti i beni del debitore ovunque si trovino e chiunque li possieda, compreso tutti i diritti reali su cosa altrui (legal and equitable property interests), i beni del debitori revocabili da terzi nonché gli utili, i frutti e gli affitti derivanti da questi diritti.

“La norma è volutamente da intendere in un senso ampio tale da comprendere ogni interesse del debitore. Il patrimonio dell’estate, che sia utilizzato per la continuità aziendale o da alienare, costituisce la base per realizzare la soddisfazione dei creditori secondo il piano”.[25]

Questa norma assume un significato ancora più ampio se si considera che il piano di riorganizzazione può prevedere come mezzo per la soddisfazione dei creditori anche il mantenimento o l’esercizio di azioni per eventuali crediti del debitore ante procedura ex art. 1123 lett. b) potendo includersi tutti i tipi di crediti e rientrando all’interno dell’estate anche se adempiuti dopo l’omologazione del piano purché siano individuati almeno per categoria.[26] In questo modo, come accade nel caso della liquidazione giudiziale nell’ordinamento italiano, si procura un effetto per cui viene alterato il rapporto tra debitore e i suoi creditori, ossia viene costituito “una sorta di patrimonio destinato di diritto concorsuale, finalizzato alla preservazione dei beni e dei diritti dell’impresa in crisi e alla loro eventuale valorizzazione, attraverso la prosecuzione dell’attività d’impresa”.[27]

Il diritto americano con questa scelta realizza una importante “separazione tra il prima e il dopo, in quanto tutti i vantaggi e gli oneri della procedura si appunteranno in capo a questa nuova entità giuridica, anche se non sarà nominato un trustee e l’organo amministrativo conserverà la gestione dell’impresa, la quale avrà il compito di massimizzare il valore dei diritti nell’interesse della collettività dei creditori”.[28]

Il Chapter 11 in questo modo realizza una fictio iuris ossia che “l’impresa pre e post procedura di riorganizzazione siano entità giuridiche separate e distinte”.[29] Questa scelta del legislatore statunitense ha fatto sorgere un contrasto relativo alla natura giuridica del bankruptcy estate ossia se rappresenti un insieme di beni o sia una vera e propria persona giuridica a cui vengono attribuiti i beni della procedura.

Tale contrasto sussiste nella giurisprudenza americana in quanto la visione “personalistica” consente di risolvere alcuni aspetti della disciplina e in particolare quelli relativi al ruolo del debtor-in-possession (DIP).

“Se l’estate è una nuova persona giuridica non è né obbligato né leso dai diritti e dagli obblighi del debitore. Ciò consente di risolvere agilmente soprattutto i problemi relativi alla continuazione o terminazione dei contratti e alle questioni societarie e di corporate governance”.[30]

Per quanto riguarda i contratti che non sono conclusi al momento in cui si apre la procedura del Chapter 11, il DIP ha la facoltà, previa autorizzazione del giudice, a rigettare o assumere il contratto o a cederlo a terzi.

La ratio di tale norma per i sostenitori di questa tesi sta nel fatto che “parte del contratto è il debitore che diventa DIP con l’apertura della procedura e agisce come rappresentante; il bankruptcy estate assume il contratto solo se il suo rappresentante decide di farlo. Non a caso il bankruptcy estate fin quando non decide per la prosecuzione non può ricevere la controprestazione che gli sarebbe estranea”.[31]

La tesi “personalistica” in realtà ha una serie di incongruenze che fanno sì che l’orientamento maggioritario vada nel senso che il bankruptcy estate sia invece un insieme di beni volto alla soddisfazione dei creditori. Innanzitutto, va compreso che la finalità per cui questa entità sorge è quella di favorire i creditori nella loro soddisfazione ma il patrimonio rimane del debitore, semplicemente all’interno della procedura e solo per i beni ricompresi nell’estate si riconosce a colui che lo gestisce, sia il debitore o il trustee, il potere di disporre di alcune norme speciali. Un’altra fondamentale premessa è quella relativa alle ragioni circa la nomina del trustee: egli viene nominato solo quando si ritiene che consentire al debitore di continuare a gestire l’impresa appaia inefficiente rispetto al fine della procedura, in quanto emerge una o più delle fattispecie previste dalla legge.

Le norme del codice vanno a favore della tesi “oggettivistica”: “né l’art. 541 né alcuna norma del Bankruptcy Code prevede che con l’apertura della procedura il debitore si spogli dei suoi beni o che i suoi beni confluiscano in una nuova persona giuridica. Il DIP è semplicemente il debitore, ancora in possesso dei suoi beni, ma ora vestito dei diritti e degli obblighi previsti dal Codice per chi svolge l’incarico del trustee”.[32]

Sul tema dei contratti, si noti che secondo la Corte Suprema “se il DIP fosse una nuova entità, non sarebbe necessario che il Bankruptcy Code gli permetta di rigettare l’esecuzione dei contratti in quanto non sarebbe obbligato da quei contratti in ogni caso. È la stessa entità che esisteva prima dell’apertura della procedura, ma con la possibilità riconosciutagli dalla legge di ridiscutere i suoi contratti e di compiere operazioni che non avrebbe potuto compiere se non si fosse assoggettato alla procedura”.[33]

Anche dal punto di vista societario, la tesi personalistica non coglie un aspetto fondamentale: “i creditori e gli altri terzi interessati hanno diritti ed obblighi non solamente sui beni del debitore ma anche sul debitore stesso. L’impresa, non soltanto i suoi beni, sono soggetti alla procedura concorsuale specialmente in caso di riorganizzazione”.[34]

“Il codice autorizza il trustee a svolgere l’attività d’impresa del debitore, a usare o a vendere i beni all’interno dell’estate e a compiere tutte le azioni necessarie per riportare all’interno del patrimonio tutti i beni trasferiti in modo fraudolento. Egli svolge le funzioni del management del debitore, e quindi, può realizzare tutte le attività riconosciute agli amministratori anche dal punto di vista societario”.[35]

In breve, “gli amministratori, come DIP, sono soggetti a maggiori doveri rispetto al corso ordinario dell’impresa: in particolare, alcuni saranno previsti dal codice e deriveranno dal ruolo ricoperto mentre altri dalle leggi statali e sono imposte dal diritto societario”.[36]

“Sotto il profilo soggettivo, la conseguenza più onerosa della bankruptcy estate per la proprietà e per il management dell’impresa è data dai penetranti limiti imposti alla gestione dell’impresa. (…) Dal momento dell’ingresso nella procedura, il management dell’impresa in crisi assume le vesti del c.d. debtor-in-possession che opera quale e vero proprio trustee avendone tutti i diritti, gli obblighi e le responsabilità”.[37]

In particolare, “il management ha il dovere di agire nel miglior interesse dell’estate, non deve essere in conflitto di interessi e deve avere la capacità di perseguire le azioni revocatorie”.[38] Questa situazione spesso crea tensione nella procedura, in particolare, quando gli amministratori sono anche soci, specie se di maggioranza, o l’imprenditore.

“Nei casi di ristrutturazioni di imprese di grandi dimensioni, è comune che l’impresa nomini dei nuovi amministratori prima dell’inizio della procedura o di propria volontà o per insistenza dei maggiori creditori. Anche il consiglio di amministrazione può richiedere un cambio nel perseguimento dei suoi doveri fiduciari; un eventuale inadempimento potrebbe comportare una responsabilità da parte degli amministratori. È divenuto altrettanto comune per le grandi imprese assumere un Chief Restructuring Officer, un individuo estraneo all’impresa esperto nel management della crisi d’impresa e il turnaround delle imprese in difficoltà. Sebbene questo agisca come il responsabile per il DIP egli possiederà tutte le caratteristiche di un trustee indipendente”.[39]

Il giudice ha il potere di sostituire, in una fase ben anteriore alla predisposizione del piano, l’organo di gestione dell’impresa con un soggetto terzo ed indipendente, ossia il trustee. Sebbene avvenga raramente, l’art. 1104 Bankruptcy Code prevede che possa essere nominato in caso di condotta fraudolenta, disonesta, incompetente o negligente nella gestione dell’attività economica del debitore da parte del management in carica oppure quando sia richiesta da creditori disposti a finanziare l’impresa in crisi o quando la corte ritenga che la nomina di un trustee corrisponda al miglior interesse dei creditori e dei soci. Alternativamente, quando non sussistono i presupposti per la nomina del trustee ma si ritenga utile che la gestione dell’impresa sia sottoposta ad una valutazione per poter comprendere eventuali responsabilità da parte degli amministratori, può essere nominato un examiner.

Dall’analisi di questi istituti ne consegue che anche nel Chapter 11, come nel nostro concordato preventivo, il debitore in sostanza non subisce un vero e proprio spossessamento. Piuttosto, a causa dei benefici ottenuti dall’apertura della procedura, come l’automatic stay, ed al fine di una migliore riuscita dell’operazione di risanamento, il Bankruptcy Code introduce la costituzione di un patrimonio “concorsuale” comprendente tutti gli asset del debitore volto alla soddisfazione dei creditori.

Ciò non comporta la creazione di una nuova persona giuridica ma semplicemente la possibilità di esercitare una serie di poteri speciali, quali la cancellazione di contratti non ancora conclusi o l’esercizio delle c.d. avoidance actions, riconosciute in capo allo stesso debitore che altrimenti non avrebbe potuto utilizzare. Per la rilevanza di questi poteri si impone una sorveglianza del debitore nell’esercizio delle sue funzioni e ove questo si ritenga inaffidabile la sua sostituzione con un soggetto indipendente.


4. I poteri del debtor-in-possession e la ristrutturazione del patrimonio

Come accennato sopra, un particolare aspetto del Chapter 11 è rappresentato dal significativo potere riconosciuto al DIP di intervenire su una serie di obbligazioni esistenti per delineare i rapporti economici che rimarranno connessi al bankruptcy estate ed eliminare ogni violazione del principio del par condicio creditorum riportando creditori di pari grado ad un livello di tutela identico eliminando tutti gli atti realizzati quando l’impresa era già in una fase di crisi.

I suddetti poteri si avvicinano a quelli riconosciuti più che al debitore nel concordato preventivo italiano a quelli che possiede il curatore nella liquidazione giudiziale per ricostituire il patrimonio fallimentare.

Ciò conferma il fatto che il Chapter 11 non rappresenta una procedura volta ad evitare il rischio di accedere a una procedura fallimentare ma ne costituisce solo una modalità giacché gli stessi poteri sono riconosciuti anche al trustee per la procedura liquidatoria del Chapter 7.

“La misura di esercizio di tali poteri mettono subito alla prova la volontà e soprattutto la capacità dell’imprenditore in crisi di ristrutturarsi, ridisegnando i rapporti tra la nuova entità e i creditori”.[40]

Al debitore, innanzitutto, è riconosciuto ex art. 365 Bankruptcy Code il potere di scegliere se proseguire (assume) o sciogliere (reject) un contratto che sia ancora ineseguito.

Nel primo caso, il DIP si obbliga ad adempiere sia le proprie prestazioni passate che quelle future; nel caso in cui decida per lo scioglimento non è più tenuto ad adempiere la prestazione e la controparte avrà diritto ad inserirsi tra i crediti chirografari per la parte del contratto rimasta inadempiuta.

Al debitore è altresì riconosciuta la possibilità di assegnare il contratto ad un terzo; in particolare, ciò accade “quando il contratto possa risultare vantaggioso per altri soggetti, in tal caso l’acquirente pagherà all’estate un corrispettivo per ricevere i benefici di quel contratto”.[41] Il debitore ha tempo per decidere la sorte del contratto fino all’omologazione del piano, tuttavia, la controparte può chiedere al giudice di intervenire affinché il debitore prenda una decisione prima. Nel frattempo, egli è tenuto ad adempiere le sue prestazioni e gli eventuali crediti maturati saranno prededucibili (administrative expenses). La scelta del debitore di sciogliere o di assegnare un contratto “consente di liberarsi di contratti eccessivamente onerosi e impegnarsi seriamente ad adempiere a quelli favorevoli o necessari per la realizzazione del risanamento aziendale”.[42] Poiché la decisione rientra all’interno della c.d. business judgement rule ossia della discrezionalità proprio della gestione d’impresa è raro che possa essere contestata con successo da parte della controparte che subisce l’esercizio di tale diritto del debitore. Tuttavia, “se le prospettive di risanamento del debitore sono scarse, la corte non permetterà l’assunzione del contratto in quanto il debitore non potrà garantire (adequate assurance) la prestazione”.[43]

Tale potere del debitore incontra dei limiti in determinate materie in cui per ragioni di interesse pubblico si restringe i diritti dei debitori e viene incrementata la protezione accordata alle controparti: è il caso ad esempio dei contratti collettivi di lavoro.

In generale, va anche sottolineato che, come nell’ordinamento italiano, anche nel sistema statunitense “qualsiasi clausola che prevede che l’insolvenza o l’apertura di una procedura concorsuale comporti un event-of-default che dà diritto a sciogliere il rapporto o a modificarne le condizioni non ha alcun effetto così come quelle vietano l’assegnazione del contratto a terzi salvo i contratti c.d. personali”.[44] Un altro aspetto rilevante nella gestione del bankruptcy estate e del risanamento dell’impresa è la possibilità di esercitare una serie di azioni (avoidance actions) volte ad aumentare il patrimonio disponibile per la soddisfazione dei creditori concorsuali. “Il loro utilizzo rientra nelle facoltà del debitore che talvolta potrebbe addirittura ottenere effetti negativi dal loro esercizio, tuttavia, il comitato dei creditori ove ne ravvisi l’utilità può chiederne l’esercizio per conto dell’estate”.[45]

“Il debitore è investito del potere di non riconoscere l’efficacia delle cause di prelazione nonché di eventuali obbligazioni quando potrebbero essere considerate di grado inferiore rispetto ad un ipotetico creditore assistito da garanzia (hypotetical lien creditor)”.[46] Tale potere è tipicamente esercitato quando un creditore assistito da garanzia non ha realizzato gli atti necessari per la legge statale per perfezionare la propria garanzia o è decorso il termine per la decadenza. In queste circostanze, il debitore può esercitare il c.d. strong-arm power che gli consente di escludere dal concorso nel patrimonio del debitore la garanzia di un creditore.

“Questo potere ha il vantaggio di favorire il debitore nella costruzione del piano di risanamento in quanto può avvantaggiare il futuro creditore che ottiene una garanzia durante la procedura (gli hypotetical lien creditors per l’appunto) come, ad esempio, i finanziatori del debitore assoggettato al chapter 11”.[47]

L’altro potere rilevante ai fini del c.d. reshaping del patrimonio aziendale è quello di agire sui pagamenti preferenziali. Ex art. 547 Bankruptcy Code, si definiscono così quei pagamenti fatti dal debitore ad un creditore o a suo vantaggio nei novanta giorni antecedenti (un anno per gli insiders) alla presentazione dell’istanza di apertura della procedura che consentono al creditore di ottenere un valore maggiore di quanto otterrebbero nella procedura, i.e. sono preferiti agli altri. La ratio di tale strumento è quello “in primis, di scoraggiare i creditori a ricorrere ad azioni esecutive ed individuali nei confronti del debitore in un periodo prossimo all’ingresso nella procedura e quindi di favorire il risanamento aziendale per mezzo della cooperazione con i suoi creditori. Le norme in tema di pagamenti preferenziali, poi, consentono di realizzare effettivamente il principio di uguaglianza tra creditori garantendo una distribuzione più equa tra essi”.[48]

L’effetto dell’esercizio di tale potere è quello di revocare tutti i trasferimenti avutisi ed è assimilabile all’azione revocatoria fallimentare dell’art. 166 CCI in caso di liquidazione giudiziale. Tipici casi in cui si verificano atti preferenziali sono: il pagamento effettuato nei confronti di un creditore che si trova in condizioni identiche ad altri che però non sono stati pagati, in tal caso, dopo aver restituito quanto ottenuto si inserirà come creditore chirografario. Un’altra ipotesi è quella del creditore chirografario che ottiene una garanzia sul credito nel periodo sospetto dei novanta giorni, anche in questo caso il soggetto ottiene in forza di un comportamento preferenziale nei suoi confronti un vantaggio rispetto agli altri creditori chirografari. Lo strumento della revocatoria dei trasferimenti preferenziali è uno strumento molto significativo nell’economia della procedura e nei rapporti che si instaurano tra debitore e creditori.

“Un debitore che vuole guadagnare tempo nei confronti di un creditore che intende esercitare un’azione contro di lui, potrebbe accordare un pagamento per poi aprire una procedura del Ch.11. Ancora si consideri che un creditore che ha ricevuto una prestazione che potrebbe essere revocabile (avoidable) sarà meno intenzionato a spingere un debitore verso una procedura concorsuale e, talvolta, il debitore fa suddetti pagamenti proprio al fine di tranquillizzare creditori particolarmente aggressivi”.[49]

Ancora più rilevante, specie dal punto di vista della credibilità del debitore che decide di utilizzarlo, è il potere del debitore di esercitare una sorta di azione revocatoria contro atti fraudolenti. “Il codice prevede all’art. 548 la possibilità per il DIP di revocare ogni trasferimento compiuto nei due anni antecedenti alla presentazione dell’istanza di apertura del procedimento che sia fraudolento: da un punto di vista soggettivo, quando l’intento dell’atto è quello di danneggiare, ritardare o frodare i creditori; da un punto di vista oggettivo, quando il trasferimento è avvenuto ricevendo meno del valore ragionevolmente equivalente (reasonably equivalent value) e il debitore era già insolvente o lo è diventato a causa di quell’atto o il capitale rimanente era significativamente minore rispetto a quello necessario per lo svolgimento dell’attività economica”.[50] Nel primo caso è necessario provare l’intento fraudolento da parte del debitore mentre nel secondo caso basta solo la dimostrazione della situazione oggettiva.

“Il debitore può altresì invocare le norme statali che consentono la revoca di trasferimenti in cui viene causato un danno ai creditori chirografari.

Un grande vantaggio di portare un’azione secondo il diritto statale è che il periodo sospetto è generalmente più lungo, addirittura in alcuni stati fino a sei anni”.[51]

Un importante tema è quello relativo alla valutazione del valore equivalente ragionevole. Innanzitutto, il valore va determinato alla data del trasferimento senza considerare eventuali apprezzamenti e deprezzamenti. Esso va poi determinato tenendo conto delle condizioni di mercato e non le rispettive esigenze del debitore e del creditore.[52]

Un’ulteriore misura che può essere attuata nell’ottica di ottenere la par condicio creditorum è quella per cui certi crediti possono essere subordinati (equitable subordination) ad altri quando il titolare del credito in oggetto ha tenuto una condotta iniqua o impropria.

“Lo scopo dell’equitable subordination è quello di modificare l’ordine legittimo dei creditori piuttosto che effettuare un totale disconoscimento del credito, sebbene esso sia ammissibile in determinate circostanze”.[53]

La fattispecie classica in cui si verifica tale istituto è il caso dei creditori che hanno, intenzionalmente o meno, controllato il debitore o che sono soci dell’impresa soggetta a procedura. “Gli insiders tendono a ripagarsi velocemente mentre il debitore scivola verso la procedura concorsuale e pertanto si ritiene sia utile subordinare l’eventuale soddisfazione del credito di questo soggetto, che potrebbe essere anche responsabile della situazione del debitore, alla soddisfazione degli altri creditori chirografari”.[54]

Sebbene nel complesso questa possa rappresentare un’arma particolarmente potente in mano al DIP o al trustee nella prassi è utilizzato molto raramente e difficilmente concessa dalle corti.

In conclusione, gli strumenti concessi dall’ordinamento statunitense al debitore sono tali da poter sostenere che il giudizio circa la credibilità e la fattibilità del risanamento aziendale si possa effettivamente basare su alcuni comportamenti concreti già durante il procedimento per l’omologazione e non soltanto su una prognosi postuma ex ante sorretta dall’attestazione di un professionista seppur indipendente.

La procedura del Chapter 11, poi, in quanto connaturata di tutta una serie di istituti che nel nostro sistema sono propri soltanto della liquidazione giudiziale, è rafforzata nella sua efficacia poiché il debitore può realizzare una serie di operazioni ai fini del soddisfacimento dei creditori.

Per comprendere a pieno le ragioni dell’inclusione di questi strumenti si deve tener conto, poi, del fatto che nella procedura di riorganizzazione americana si crea una diversa entità costituita dal bankruptcy estate in cui il debitore svolge un incarico di gestione del patrimonio solo ai fini della soddisfazione dei creditori.

 

5. Il cram-down dei creditori nel giudizio di confirmation

Un ulteriore momento nel percorso tracciato dalla procedura di riorganizzazione del Chapter 11 che riveste un ruolo essenziale ai fini della riuscita del turnaround è la possibilità di ottenere l’omologazione del piano anche in presenza di una nutrita schiera di creditori dissenzienti.

Giova evidenziare preliminarmente che la ratio sottesa al cram-down non è quella di sostenere in maniera testarda la possibilità per il debitore di ritornare in bonis in quanto sottopostosi a procedura di risanamento. L’obiettivo è quello di consentire al debitore, che si è effettivamente impegnato per la formazione di un piano che sia idoneo a soddisfare i creditori e il recupero economico dell’impresa, di non essere ostacolato da creditori che rifiutano di accettare in sede di voto per ragioni non necessariamente legate alla convenienza ma anche solo a propri pensieri e sentimenti personali.

“Con il termine cram-down si descrive il potere giudiziale di omologare o modificare un piano contro la volontà di certe classi di creditori o portatori di interessi. È uno strumento potente che consente alla corte di forzare creditori dissenzienti, sia chirografari che privilegiati, ad accettare il piano”.[55]

L’omologazione si può ottenere, ed è questa l’aspirazione del legislatore, per un piano che sia stato accettato da ogni classe i cui diritti sono oggetto della riorganizzazione (impaired) a condizione che sussistano una serie di elementi, indicati all’art. 1129 Bankruptcy Code che sono in ogni caso imprescindibili: il piano non deve essere contra legem; il piano deve essere presentato in buona fede dal proponente; il debitore deve aver fatto chiarezza sull’imparzialità e i soggetti che comporranno il management dell’impresa; non vi devono essere manovre volte ad eludere alcune norme fiscali; il piano deve essere fattibile.

Tuttavia ove non tutte le classi abbiano accettato la proposta, è ancora possibile ottenere l’omologa del piano attraverso il meccanismo del cram-down come delineato dalla lett. b) del detto articolo. Si deve, innanzitutto, considerare il caso del singolo creditore dissenziente dove, ai fini della confirmation, il debitore dovrà superare il c.d. best interests of creditors test. Ciò accade ex art. 1129 lett. a) (7) nel caso in cui pur nonostante tutte le classi aventi diritto di voto abbiano votato a favore del piano, qualora qualcuno dei creditori sia dissenziente allora la Corte dovrà determinare se questi soggetti riceveranno almeno, al valore attuale, quanto avrebbero ricevuto se il debitore avesse optato per la soluzione liquidatoria del Chapter 7.

“Esso richiede alla corte di comparare la distribuzione tra i creditori o soci dissenzienti nel caso in cui il debitore venisse liquidato con il valore attuale (present value) dei pagamenti o dei beni che riceveranno secondo il piano”.[56]

Per questa ragione, spesso accade che il proponente presenti “una liquidation analysis all’interno del disclosure statement che dimostri come in una ipotetica liquidazione, attraverso appropriate assunzioni, la soddisfazione dei creditori sarebbe inferiore”.[57] “Ove la corte determini che la soddisfazione dei creditori è almeno pari, allora la ristrutturazione del debitore attraverso la continuità aziendale realizza il best interest dei creditori in quanto non potrebbero ricevere di più”.[58]

Diverso è il caso in cui vi siano intere classi in cui non si sono raggiunti i quorum richiesti dalla legge. In questa fattispecie vi sono una serie di test e di problemi conseguenti che sorgono e la cui risoluzione è essenziale ai fini della confirmation. Affinché possa applicarsi l’istituto disciplinato dall’art. 1129 lett. b) è necessario, innanzitutto, che almeno una delle classi che subisce un pregiudizio dal piano debba averlo accettato.

“Con questa previsione il legislatore intende affermare che ci deve comunque essere un qualche supporto positivo per un piano da parte dei creditori così da poter essere omologato nonostante l’opposizione di alcuni dei creditori”.[59] Questo comporta che solitamente il debitore nella formazione del piano faccia attenzione ad individuare in anticipo una classe che ragionevolmente accetterà il piano. Per questo, “il piano spesso prevede più classi di creditori chirografari argomentando circa la presenza di una business justification che permetta di avere più classi”.[60]

Si consideri che è vero che tutti i creditori in una classe devono essere trattati ugualmente e che creditori di pari condizioni devono essere nella stessa classe. Ma la legge non afferma che tutti i creditori di pari condizioni devono necessariamente essere nella stessa classe purché vi sia una ragione per trattarli differentemente. Un problema relativo alla suddivisione in classi dei creditori ai fini del cram-down riguarda il caso dell’unico grande creditore garantito il cui valore del credito sia maggiore di quello oggetto della garanzia. In tal caso, l’art. 506 prevede che il residuo insoddisfatto da quanto ricavato dal bene debba essere considerato tra i creditori chirografari. L’inserimento di questo credito nella classe dei creditori chirografari potrebbe comportare che il creditore assistito da diritto di prelazione possa controllare entrambe le classi rendendo impossibile il cram-down. “Durante un cram-down, le classi dissenzienti devono affidarsi a difficili e preventive valutazioni, determinazioni e decisioni giudiziarie”.[61]

Poiché questo sistema può prestarsi ad abusi da parte del debitore, il codice prevede una serie di accorgimenti che tutelano gli interessi dei creditori.

Elemento essenziale affinché la corte autorizzi il cram-down è che il piano di riorganizzazione sia giusto ed equo (fair and equitable) e non discrimini ingiustamente i creditori dissenzienti.

Per quanto riguarda l’ingiusta discriminazione va intesa nel senso che crediti simili devono essere trattati allo stesso modo. “Il legislatore non ha elaborato uno standard per valutare l’ingiusta discriminazione e le corti hanno avuto difficolta ad applicare questo test. Ciò che però è importante di questo è il fatto che implica che non tutte le discriminazioni tra creditori simili sono inaccettabili ma solo quelle ingiuste”.[62] Un esempio è il caso del piano che prevede una subordinazione di una classe rispetto alle altre in forza di una obbligazione contrattuale (contractual subordination provision).

Ben più articolato è il discorso relativo al fair and equitable test in quanto il codice prevede i requisiti minimi per i crediti garantiti, non garantiti e per i soci. Per una classe di creditori privilegiati vi sono almeno tre modalità affinché il test possa essere superato validamente: innanzitutto, il debitore può cedere la proprietà garantita vendendo la proprietà libera dal pegno e trasferendo il ricavato della vendita al titolare del pegno; un altro modo di soddisfare lo standard richiesto è quello per cui il debitore dà al creditore un indubitabile equivalente (indubitable equivalent) del valore del credito. Questo standard trae origine dalla giurisprudenza[63] e si realizza nella prassi attraverso la consegna al creditore del bene oggetto della garanzia oppure della creazione di una nuova garanzia su un bene del medesimo valore.

La terza opzione, infine, è quella per cui il piano può prevedere che i creditori mantengano i loro privilegi e ricevano pagamenti differiti nel tempo, e con gli interessi, almeno pari al totale dell’ammontare del valore del bene oggetto della garanzia. Al contrario delle altre due opzioni, questa è “l’unica che comporta una continuazione della partecipazione dei creditori nei rapporti con il debitore attraverso il piano di riorganizzazione. In breve, il proponente ha essenzialmente il potere di stipulare un nuovo prestito con i creditori privilegiati”.[64] Poiché i pagamenti devono avere un valore almeno pari a quelli del bene oggetto della garanzia assume un significato importante “determinare un tasso d’interesse appropriato che prenda in considerazione il decorso del termine e il grado di rischio che il creditore assume”.[65]

Mentre la sua necessità è stata sancita anche dalla giurisprudenza,[66] è discusso come debba determinarsi il tasso di interesse da considerare per il cram-down. Tra le varie possibilità, le due soluzioni maggiormente sostenute per determinare il tasso d’interesse sono la formula approach per cui il tasso va individuato partendo dal tasso legale e aumentandolo in relazione al rischio di default o di inadempimento del debitore e il presumptive contract approach per cui il tasso d’interesse da utilizzare è quello utilizzato nel contratto originario ante chapter 11.

Il fair and equitable test per i creditori chirografari ai fini del cram-down è più semplice e flessibile da un punto di vista legale rispetto a quelli garantiti.

Una classe dissenziente può subire l’omologazione del piano contro la propria volontà in due casi: il primo è quando il piano prevede che i creditori ricevano una prestazione il cui valore attuale è uguale a quello dei loro crediti.

L’art. 1129 fa riferimento per la soddisfazione dei creditori al termine “property” in maniera tale da consentire al debitore di decidere il più liberamente possibile come adempiere la propria obbligazione.

Per quanto riguarda la valutazione del giusto valore tra il credito e la property si richiede soltanto che vi sia “una ragionevole probabilità e non la certezza, questo perché non sempre è facile comprendere il valore delle prestazioni come invece accade per eventuali strumenti finanziari”.[67]

L’altro caso in cui il debitore può ottenere il suddetto cram-down è quello in cui seppur i creditori non ricevono una prestazione pari all’ammontare della richiesta, nessuna classe di grado inferiore riceve alcuna prestazione.

Questa regola è conosciuta come absolute priority rule ed è “una previsione di spiccata tutela per i creditori confermando il ruolo di residual claimants per gli azionisti della società debitrice”.[68] È discusso se esista un caso in cui si possa derogare alla regola dell’assoluta priorità nel caso in cui questo apporti nuovo valore nell’impresa (new value doctrine).

Sebbene la corte suprema americana non abbia voluto affrontare direttamente il tema quando ne ha avuto occasione[69] si deve considerare che la ratio di questa norma è tutelare l’ordine gerarchico dei crediti e la soddisfazione dei creditori sui soci e, pertanto, rappresenterebbe un forte punto di distacco dalla regola generale.

Si tenga conto, infine, che “in pratica, i piani spesso contemplano una sorta di combinazione della priorità assoluta e di quella relativa per cui un credito inferiore può ricevere un parziale pagamento anche se un credito non è stato rimborsato completamente. Questo è spesso un espediente che permette di arrivare ad un compromesso con quei creditori che avrebbero votato contro il piano se non gli fosse stato assicurato un rimborso soddisfacente”.[70]

Anche per il fair and equitable test per i soci e per i titolari di strumenti finanziari partecipativi (interests of common and preferred stockholders) valgono le regole previste per i creditori chirografari e, dunque, il piano sarà omologato quando la classe interessata riceverà un valore almeno pari a quello che sarebbe stato ottenuto in caso di procedura liquidatoria o di scioglimento (redemption) oppure quando il socio riceve una prestazione di valore inferiore ma nessun titolare di azioni di grado inferiore riceve alcun tipo di soddisfazione.

Il sistema di cram-down previsto dal diritto americano è ben diverso e molto più articolato di quello previsto dal diritto italiano.

Innanzitutto, nel chapter 11, la finalità è molto più collegata alla soddisfazione dei creditori giacché l’omologazione si realizza proprio perché nessuna altra soluzione potrebbe garantire una soddisfazione maggiore. È riconosciuto a chiunque opporsi all’omologazione a prescindere dal numero dei creditori dissenzienti. Ciò che rileva, invece, è che il loro dissenso sia fondato e ragionevole: in particolare, che il piano non sia redatto nel massimo interesse dei creditori.

Proprio per il timore di assoggettarsi ad un giudizio che può essere “rischioso, costoso e difficile da ribaltare in appello, e nel reciproco timore del debitore e dei creditori di scivolare nel bottom line della valutazione, ossia il cram-down, il codice incoraggia le parti a trovare un accordo”.[71]

Il cram-down del concordato preventivo, come delineato dal Codice della crisi d’impresa, ha un ruolo ben più residuale in quanto è relegato solo all’ipotesi di una opposizione che sia presentata da numerosi creditori o appartenenti a classi dissenzienti e la valutazione è circoscritta al confronto con l’alternativa satisfattoria prevista dalla liquidazione giudiziale.

Tuttalpiù, così come disegnato dall’art. 112 CCI, può invece favorire fenomeni distorsivi in cui il debitore può imporre la sua continuità aziendale realizzando un piano che soddisfa in maniera significativa un determinato gruppo di creditori e che invece neutralizzi i piccoli creditori i cui spazi per l’opposizione all’omologazione si ridurrebbero all’osso a maggior ragione nell’ipotesi in cui la somma proposta nel piano sia almeno pari a quella che si otterrebbe con la liquidazione giudiziale.

Ancora di diverso significato è il tipo di cram-down previsto dall’art. 48 CCII per gli accordi di ristrutturazione dei debiti volto a omologare il piano anche in assenza di un consenso dell’amministrazione fiscale che ha una finalità del tutto peculiare ed unica nel panorama delle procedure concorsuali ed è volto a favorire la partecipazione dell’ente pena il dover subire quanto deciso dagli altri creditori e a favorire lo sviluppo dell’utilizzo di tale procedura rendendo più semplice raggiungere le maggioranze richieste.

 

6. L’effetto di discharge e il fresh-start reporting

“Una procedura di Chapter 11 ha successo quando culmina nella confirmation del piano e ammette il debitore a godere degli effetti dell’art. 1141 Bankruptcy Code”.[72]

L’effetto esdebitatorio che si realizza con l’omologazione del piano è senza dubbio la caratteristica fondamentale di tutte le procedure volte ad evitare la liquidazione in quanto offre un vero e proprio strumento per sostenere lo sperato fresh start del debitore e rappresenta la ragione finale per cui un debitore decide di accedere alla procedura. La peculiarità del sistema americano è quella per cui il debitore non viene favorito nel risanamento aziendale solo da un punto di vista giuridico attraverso il riconoscimento di questo effetto, ma egli gode di un ulteriore vantaggio ossia di poter godere del c.d. fresh-start reporting che comporta una serie di effetti positivi sui bilanci dell’impresa risanata.

L’art. 1141 si occupa di definire analiticamente gli effetti dell’omologazione del piano: innanzitutto, il piano diventa vincolante per tutti i creditori, sia che abbiano accettato o meno il piano e il debitore è liberato da tutti i suoi precedenti debiti e responsabilità a meno che il piano non disponga diversamente. “In breve, i crediti pre-chapter 11 sono sostituiti con una nuova obbligazione verso i creditori contenuta nel piano”.[73]

“L’omologazione del piano dal punto di vista della res giudicata è analogo ad una decisione finale nel merito in una causa che riguarda tutti i beni facenti parte dell’estate e che ha lo scopo di riabilitare imprese in crisi e liberarle dai loro debiti”.[74] La norma specifica, infatti, non solo che il vincolo riguarda tutti i beni compresi nell’estate che tornano a fare parte del patrimonio del debitore ma anche che le garanzie sui beni vengono meno se non è stato diversamente disposto nel piano. Una volta ottenuta questa liberazione per il debitore, “i creditori chirografari non potranno più far valere alcun tipo di pretesa per i loro crediti antecedenti e se il debitore non adempie alle obbligazioni indicate nel piano questi potranno far valere solo i diritti indicati nel piano e nella decisione per l’omologa”.[75]

La norma prevede una serie di eccezioni al discharge: innanzitutto, il debitore non viene liberato per quei crediti che ex art. 523 non possono subire l’esdebitazione come, ad esempio, debiti derivanti da assegni familiari o di assistenza oppure in quanto erano derivanti da attività fraudolenti.

Un’importante eccezione è quella prevista dall’art. 1141 lett. d) (3) che “esclude, o addirittura ritira, l’effetto esdebitatorio dell’omologazione quando il piano ha finalità liquidatoria, il debitore non svolge la sua attività economica dopo la confirmation e il debitore non potrebbe essere liberato in una procedura di Chapter 7”.[76] La ratio di tale esclusione è quella di evitare comportamenti abusivi da parte di soggetti che non sono interessati a godere del discharge per realizzare effettivamente il risanamento aziendale ma semplicemente vogliono accedere ad un beneficio che altrimenti non sarebbe loro concesso. Nell’ordinamento italiano, invece, che il concordato sia in continuità o meno, una volta rispettate le condizioni previste dall’art. 84 CCII, l’effetto esdebitatorio è identico. A causa dell’ampiezza di significato dell’art. 1141 e del dirompente effetto riconosciuto al debitore, “la giurisprudenza ha introdotto significative limitazioni a questo effetto per tutelare i creditori ed altri interessi che entrano in gioco”.[77]

Un primo limite è quello per cui un creditore non può subire il discharge del debitore se non gli è stato garantito una effettiva partecipazione nel giudizio (due process of law).[78]

Un altro limite all’estensione dell’applicabilità del discharge è quello relativo alla natura del debito sorto prima dell’apertura della procedura. Un esempio di debito che non viene meno con l’omologazione sono quelli derivanti da danni ambientali o volti a sostenere la salute dei lavoratori.[79]

Per quanto riguarda, invece, l’estensione soggettiva dell’effetto esdebitatorio dell’omologazione, sebbene l’art. 524 preveda che solo il debitore goda di tale beneficio, lasciando impregiudicati i diritti verso altri soggetti quali garanti o coobbligati, in giurisprudenza è stato sostenuto che è possibile nel piano prevedere che il discharge riguardi anche il garante o un coobbligato.[80] La ratio sottesa a questa possibile estensione sta nel fatto che non si vede perché nel caso in cui il piano così accettato dai creditori ed omologato, eventualmente valutato come realizzato nel miglior interesse dei creditori non debba avere effetto se a contrario potrebbe invece attribuire un vantaggio o addirittura favorire il risanamento aziendale.

Va sottolineato, infine, che sono oggetto della liberazione (discharge) anche atti che potrebbero essere potenzialmente revocati durante la procedura, “in quanto non vi è ragione per cui un atto di questo genere debba essere escluso nel momento in cui durante la procedura il DIP o il trustee non hanno deciso di esercitare il detto potere e nessun soggetto ha contestato tale omissione”.[81]

L’incapacità del debitore di eseguire il contenuto del piano non comporta il venire meno dell’effetto esdebitatorio.

Ai creditori chirografari che subiscono questo evento resta come unico strumento di tutela la revoca dell’omologazione che però deve essere chiesta entro 180 giorni dall’order for confirmation e può essere concessa solo se il debitore era in mala fede. È per questo che si è sostenuta la possibilità di differire l’effetto esdebitatorio in un momento successivo all’omologazione. Potrebbe, in particolare, comportare numerosi vantaggi posticipare il momento in cui dovrebbe spiegarsi l’efficacia dell’effetto esdebitatorio al momento in cui viene realizzata la prestazione prevista dal piano nei confronti del creditore e viene meno il rischio di inadempimento.

La facoltà di modulare l’efficacia del discharge si rinviene nel fatto che “se l’art. 1141 consente al debitore di presentare un piano in cui decida di escludere determinati debiti dall’effetto esdebitatorio non si vede perché, a contrario, non dovrebbe essergli consentito di proporre un piano in cui posticipa l'applicazione di tale effetto”.[82]

Porre in un momento successivo il verificarsi dell’effetto esdebitatorio può rappresentare un beneficio per tutte le parti interessate dalla procedura. Per i creditori chirografari è un vantaggio in quanto “poiché il loro credito ritornerebbe al valore originario se il debitore non riuscisse ad eseguire il piano e non si fosse già realizzato il discharge; il debitore sarebbe anche fortemente incentivato ad eseguire il piano sul timore di subire gli effetti”.[83]

Anche il debitore potrebbe godere di questo postponimento in quanto “rimanendo i beni, ancora parte dell’estate, continuerebbe a beneficiare dell’automatic stay contro le azioni dei creditori concorsuali mentre esegue il piano”.[84] Tuttavia, il grande vantaggio del ritardare l’effetto esdebitatorio è soprattutto da un punto di vista negoziale: nei rapporti con i creditori prededucibili si riconosce a questi la possibilità di mantenere tale posizione anche mentre viene eseguito il piano ed eventualmente di mantenere questo grado nella successiva procedura di liquidazione del Chapter 7.

“Se il piano dovesse, poi, prevedere tale differimento, una classe di creditori chirografari potrebbe essere incoraggiata a votare in favore di un piano di cui potrebbero non essere sicuri in quanto eventualmente ritorneranno ai loro crediti originari in caso di adempimento del debitore”.[85] In generale, sarebbe facilitata l’approvazione di un piano di riorganizzazione in quanto tutti i creditori avrebbero meno da temere circa le sorti del loro credito. Tuttavia, vi sono degli aspetti negativi: “fintanto che non si ottiene il discharge, i debiti continuerebbero a rimanere iscritti nel bilancio del debitore al valore originario e questo potrebbe minare la possibilità per l’impresa di essere parte di progetti di fusione e acquisizione nonché potrebbe risultare ben più costoso ottenere i finanziamenti in quanto gli enti creditizi e finanziari richiederebbero un tasso di interesse maggiore”.[86] L’altro problema consiste nel fatto che le corti dovrebbero continuare a supervisionare la procedura e ciò comporta ulteriori costi a carico del debitore ed una inevitabile minore disponibilità volta a soddisfare i creditori.

Un’impresa che intende riorganizzarsi e si sottopone alla procedura del Chapter 11 incontra, poi, una serie di problemi che riguardano la tenuta dei propri documenti contabili. “Il loro stato può alterare le condizioni a cui si accede al credito come il valore stesso dell’impresa e il valore di mercato degli eventuali titoli azionari e obbligazionari”.[87]

Per esigenze di certezza nel mercato, chiarezza ed equità l’American Institute of Certified Public Accountants (AICPA) emana regole volte a identificare ed evidenziare gli andamenti dell’impresa, i costi delle operazioni e i profitti. Questo corpus di regole è contenuto nel “Financial Reporting by Entities in reorganization under the Bankruptcy Code” ed è volto ad eliminare due problemi: da un lato, ridurre le inconsistenze presenti nei bilanci antecedenti all’accesso alla procedura; dall’altro lato, riflettere l’evoluzione finanziaria del debitore durante il procedimento del Chapter 11.

Si tenga conto che già durante la procedura i documenti contabili subiscono una serie di effetti volti a rappresentare ciò che accade: nello stato patrimoniale le passività vanno tenute al valore che avevano prima della procedura fin quando interviene l’omologazione del piano e, quindi, il discharge. Nel conto economico, invece, deve essere indicato specificamente quali siano i costi ed i ricavi attribuibili al debitore e quali quelli attribuibili al bankruptcy estate. Tuttavia, un particolare istituto che favorisce il risanamento aziendale è il fresh-start reporting. Con questo termine “si intendono delle regole che permettono alle imprese di presentare i valori delle attività e delle passività come nuove entità al momento in cui l’impresa emerge dalla protezione riconosciutale dalla procedura del Chapter 11”.[88]

I principi del fresh-start reporting possono essere applicati soltanto quando si realizzano due condizioni: “il valore di riorganizzazione del debitore deve essere inferiore alle passività post-procedura e ai crediti ammessi (cioè il debitore è insolvente in bilancio); le azioni con diritto di voto esistenti immediatamente prima della conferma ricevono meno del 50% delle azioni con diritto di voto dell'entità emergente (c’è stato un cambio di controllo societario)”.[89] Ove l’impresa possieda entrambe le due condizioni potrà realizzare una serie di operazioni sul bilancio.

Innanzitutto, il valore delle attività e delle passività viene iscritto a bilancio a fair value invece che al costo storico. “Dopo aver determinato il valore dell’impresa risanata, il debitore alloca questo valore tra i beni tangibili e non al loro fair value e per il resto ad una posta di bilancio equivalente all’avviamento nominata ‘Valore di riorganizzazione in eccesso rispetto all’ammontare attribuibile ai beni identificabili’. Per le passività, il debitore deve iscriverle al valore a cui devono essere effettivamente pagati con il tasso d’interesse alla data dell’omologazione. Il guadagno realizzato sui debiti oggetto del discharge vanno inseriti tra le voci straordinarie di bilancio”.[90] Attraverso questo istituto è possibile registrare beni come il brand o eventuali brevetti che prima non erano registrati e questo comporta maggiore ricchezza per l’impresa.

Sebbene sia molto utile, il fresh-start reporting comporta una serie di conseguenze che devono essere considerate. “Gli aggiustamenti dei valori rendono difficile analizzare i trend pre e post chapter 11”.[91]

Per questo generalmente, le imprese includono informazioni nel disclosure statement sugli effetti di tali modifiche in cui “si include anche un documento ponte che rappresenta i documenti contabili al momento dell’accesso alla procedura e come dovrebbero essere una volta applicati i suddetti principi”.[92] Un altro aspetto da tenere in considerazione è che potrebbe risultare complicato comparare un’impresa che ha applicato il fresh-start reporting con una che non lo ha applicato. Esso “impatta su una serie significativa di coefficienti del conto economico: si ha un maggiore utile netto (higher net earnings), in quanto la struttura del capitale è ottimizzata con minori interessi passivi; minori utili d’esercizio (lower operating earnings), in quanto il fresh-start può comportare un aumento del valore delle attività, con conseguente aumento degli ammortamenti”.[93]

Il terzo tema è di carattere sistemico: “la frequenza e le dimensioni delle imprese che accedono alla procedura di Chapter 11 sono in continuo aumento e, quindi, anche le altre imprese devono considerare l’impatto su di loro della presenza di imprese che hanno bilanci secondo questo standard”.[94]

Ciò assume ancora più rilevanza in determinati temi quali, ad esempio, l’applicazione di covenants nei finanziamenti fatti durane la procedura e nello svolgimento delle valutazioni in ottica di acquisizioni e mercati finanziari.

Nel primo caso, poiché i contratti vengono stipulati prima che venga applicato il fresh-start reporting è ipotizzabile la situazione in cui a seguito del diverso criterio di valutazione si violino alcune delle covenant previste e, pertanto, se ne dovrà tenere conto.

Nel secondo caso, il diverso valore dell’impresa che fa uso di questi principi contabili può acquisire un vantaggio ingiustificato rispetto agli altri competitors derivante solo dal diverso criterio di valutazione e ciò può distorcere il mercato. Infine “oltre alle questioni contabili, il fresh-start accounting può influire su altre aree all'interno di un’organizzazione. I processi di budgeting e di previsione e le imposte sul reddito possono richiedere rettifiche a causa dei suoi effetti”.[95]

Attraverso questo strumento l’impresa dispone di un vero e proprio sostegno contabile al processo di risanamento affrontando la fase di esecuzione del piano ed il suo ritorno in bonis con maggiore forza potendo liberarsi dei valori di bilancio originari. Questa misura, poi, favorisce forme di continuità in qualche modo indirette giacché tale vantaggio è ammesso soltanto a condizione che il capitale sociale al termine della procedura sia di proprietà per la maggior parte di soggetti diversi da quelli originari.

Sebbene nel nostro ordinamento non esista questa possibilità collegata alla procedura di riorganizzazione, si deve notare che, in casi eccezionali, è possibile derogare al principio dell’art. 2423bis n.6 c.c. per cui i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all'altro. In tal caso, però, la nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico.

 

7. Il Chapter 11 e la sua influenza sul diritto comunitario

Il diritto statunitense ha avuto un ruolo rilevante nello sviluppo dell’ordinamento italiano in tema di procedure di risanamento delle imprese e, come si è detto nei precedenti paragrafi, tanti istituti propri di questo ordinamento sono stati assorbiti nel nostro sistema giuridico. Dopo aver valutato tutti gli elementi di differenziazione tra il Chapter 11 e gli strumenti di regolazione della crisi italiani, in particolare il concordato preventivo, e ora necessario osservare un ulteriore importante apporto realizzato dal diritto statunitense ai fini della comprensione del diritto della crisi d’impresa.

Questa procedura che “rappresenta una delle più efficienti e collaudate procedura di business reorganization nel panorama mondiale è stato oggetto di ispirazione prima per i principali paesi europei ed ora per l’Unione Europea per l’avvio di un processo di radicale riforma dei propri diritti”.[96]

Questa attrazione per la procedura americana del Chapter 11 si manifesta in maniera concreta all’interno della Direttiva europea 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva.

Essa è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’UE il 20 giugno 2019 e “costituisce una parte fondamentale del più ampio piano d'azione dell'Unione europea per i mercati dei capitali”.[97] Gli obiettivi principali indicati dalla direttiva sono quelli di garantire che le imprese redditizie e gli imprenditori che si trovano in difficoltà finanziarie abbiano accesso a quadri nazionali efficaci di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare ad operare; gli imprenditori sovra-indebitati possano beneficiare di una completa estinzione del debito dopo un periodo di tempo ragionevole, consentendo loro così una “seconda possibilità”; e l'efficacia delle procedure di ristrutturazione e di insolvenza e l'estinzione del debito siano migliorate.

Per creare un sistema efficiente da applicare all’interno dell’Unione, il legislatore europeo ha fatto propri numerosi istituti del Chapter 11, “sebbene non faccia mai esplicitamente menzione di questa procedura in nessun lavoro preliminare o nei considerando della direttiva”.[98]

In particolare, proprio i punti principali dei quadri di ristrutturazione preventiva della direttiva sono elementi fondamentali della procedura di riorganizzazione statunitense: la possibilità per i creditori di fare istanza per l’accesso ad una procedura; la gestione durante la procedura in capo al debitore (debtor-in-possession); l’automatic stay; il best interest test per valutare la convenienza del piano per i creditori dissenzienti; e la possibilità di far valere il cramdown sulle classi dissenzienti.

La prima grande novità introdotta dalla Direttiva 1023/2019 è la possibilità prevista dall’art. 4 c.8 che gli Stati membri possono altresì prevedere che il quadro di ristrutturazione preventiva sia disponibile su richiesta dei creditori e dei rappresentanti dei lavoratori, previo accordo del debitore e, addirittura, possono limitare tale requisito per ottenere l'accordo del debitore ai casi in cui il debitore è una PMI.

La possibilità per soggetti diversi dal debitore di fare domanda per accedere a procedure di ristrutturazione preventiva è un elemento tipico del Chapter 11 che è piuttosto lontana dal meccanismo di funzionamento delle procedure di crisi previste dagli stati membri, specie di civil law.

L’art. 5 della direttiva prevede che gli Stati membri provvedono affinché il debitore che accede alle procedure di ristrutturazione preventiva mantenga il controllo totale o almeno parziale dei suoi attivi e della gestione corrente dell'impresa. Questa disposizione stabilisce un significativo favor per procedure di ristrutturazione che non prevedano lo spossessamento del debitore.

“Questo principio è da sempre alla base del sistema fallimentare americano, pacificamente ritenuta la miglior soluzione nell’interesse di tutti gli stakeholder perché il management dell’impresa è in possesso di un patrimonio di know-how che rischierebbe di andare perduto con la nomina di un trustee e perché la prosecuzione nella gestione della società da parte del management pre-petition permette il traghettamento senza soluzione di continuità della stessa lungo tutte le fasi della procedura, evitando costi aggiuntivi di eventuali figure professionali esterne che dovessero essere chiamate a sostituire il debitore nella gestione”.[99]

Proprio per questa ragione viene limitato anche nella procedura disegnata dalla direttiva l’uso di professionisti o soggetti che affiancano o sostituiscono il debitore nello svolgimento delle attività durante il quadro di ristrutturazione preventiva a poche minime determinate condizioni.

L’art. 5 c. 3 stabilisce che gli Stati membri provvedono alla nomina di un professionista nel campo della ristrutturazione per assistere il debitore e i creditori nel negoziare e redigere il piano almeno nei seguenti casi: quando una sospensione generale delle azioni esecutive individuali (automatic stay) è concessa da un'autorità giudiziaria o amministrativa e detta autorità decide che tale professionista è necessario per tutelare gli interessi delle parti; quando il piano di ristrutturazione deve essere omologato dall'autorità giudiziaria o amministrativa mediante ristrutturazione trasversale dei debiti conformemente all'articolo 11 (cross-class cram-down); oppure quando è richiesto dal debitore o dalla maggioranza dei creditori, purché, in questo caso, i creditori si facciano carico del costo del professionista.

“L'articolo 5 mira a incoraggiare lo sviluppo di un debtor-in-possession(DIP)-style di procedura di ristrutturazione secondo quanto previsto dal Chapter 11 americano. In sostanza, la DIP dovrebbe limitare il controllo che un curatore fallimentare, ove nominato, o un altro organismo potrebbe esercitare sul processo decisionale e sulle attività quotidiane di una società, alla mera consulenza su aspetti del piano di ristrutturazione, piuttosto che alla sostituzione del management della società o all'assunzione del controllo della gestione dell'attività della società”.[100]

Si noti che è proprio quando si prevede l’applicazione degli istituti più dirompenti che il legislatore europeo avverte la necessità di prevedere la figura di un professionista che assista il debitore riavvicinando il sistema a quello proprio degli stati membri, quasi a garanzia della loro legittimità.

“I sistemi europei di ristrutturazione ed insolvenza oggi, nonostante varino molto tra uno stato ed un altro, forniscono molta meno libertà al debitore rispetto al sistema del Chapter 11 statunitense”.[101]

Un’altra importante novità prevista dal Codice che rappresenta un marcato carattere di avvicinamento tra il diritto europeo e quello americano è la previsione dell’automatic stay. L’art. 6 afferma che gli Stati membri provvedono affinché il debitore possa beneficiare della sospensione delle azioni esecutive individuali al fine di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione nel contesto di un quadro di ristrutturazione preventiva.

Tuttavia, mentre nelle norme europee la sospensione può essere concessa per 4 mesi prorogabili fino a un massimo di 12 mesi e a condizione che vi siano stati passi in avanti nella trattativa, nel diritto americano perdura fino all’omologazione del piano. Tale differenza è il manifesto di una certa diffidenza da parte degli ordinamenti europei a negare ai creditori il potere di esercitare azioni esecutive per un eccessivo periodo di tempo e ciò può potenzialmente accadere nell’ordinamento italiano data la disciplina dell’art. 54-55 CCI. Anche il sistema americano, però, tutela i creditori non introducendo un limite temporale allo stay ma consentendo a taluni di esercitare le azioni esecutive e riconoscendo al debitore la possibilità di garantire protezione adeguata ai creditori dal deprezzamento e dalla svalutazione dei beni offerti in garanzia. La direttiva prevede anche la possibilità di ottenere l’esclusione dalla sospensione a determinate condizioni creando quindi un raddoppiamento delle tutele creditorie.

In ogni caso, anche se con queste limitazioni, la direttiva rappresenta un certo avvicinamento alla procedura del Chapter 11 in cui “tale meccanismo di bilanciamento tra debitore e creditori merita particolare attenzione poiché, se correttamente utilizzato, permette di correggere gli eventuali effetti collaterali della continuità aziendale e di evitare possibili abusi a danno dei creditori anteriori all’apertura della procedura concorsuale e quindi favorirne un maggiore uso comune”.[102]

L’importante novità contenuta nella direttiva relativa ai quadri di ristrutturazione preventiva, tuttavia, riguarda il giudizio di omologazione e la possibilità di realizzare il cram-down delle classi dissenzienti a determinate condizioni. In particolare, assume significativa rilevanza il tema dell’omologazione quando si considera le condizioni previste dall’art. 10 c.2. ovvero che gli Stati membri provvedono affinché le condizioni per l'omologazione del piano di ristrutturazione da parte dell'autorità giudiziaria o amministrativa siano specificate chiaramente e prevedano almeno che: a) il piano di ristrutturazione sia stato adottato in conformità dell'articolo 9; b) i creditori con una sufficiente comunanza di interessi nella stessa classe ricevano pari trattamento, proporzionalmente al credito rispettivo; c) la notificazione del piano di ristrutturazione sia stata consegnata, conformemente al diritto nazionale, a tutte le parti interessate; d) nel caso vi siano creditori dissenzienti, il piano di ristrutturazione superi la verifica del migliore soddisfacimento dei creditori; e) se del caso, qualsiasi nuovo finanziamento sia necessario per attuare il piano di ristrutturazione e non pregiudichi ingiustamente gli interessi dei creditori.

Tra le varie condizioni spicca in particolare la lettera d).

La verifica del miglior soddisfacimento dei creditori rappresenta uno standard di misurazione fondamentale per comprendere l’avvicinamento della procedura disegnata dalla direttiva europea al chapter 11. In quest’ultima procedura, il creditore dissenziente non può far valere la propria opposizione sul carattere della convenienza qualora venga superato positivamente il best interest test.

“Nessun creditore dissenziente dovrebbe trovarsi in una situazione peggiore nell'ambito di un piano di ristrutturazione rispetto a quella che si avrebbe in caso di liquidazione o in caso di scenario alternativo se il piano di ristrutturazione non fosse confermato”.[103] Tale condizione rappresenta una novità nel panorama europeo in quanto le soluzioni di regolazione della crisi, ad esempio nell’ordinamento italiano, sono sempre state basate soltanto sul voto della maggioranza dei creditori e sui caratteri di fattibilità economica e giuridica. Si introduce così uno strumento con cui forzare l’omologazione del piano nei confronti di creditori dissenzienti sul principio per cui nessuna soluzione potrebbe comunque essere migliore.

L’altro potente strumento derivante dal diritto americano è la ristrutturazione trasversale dei debiti ex art. 11. Esso riconosce la possibilità di omologare un piano presentato dal debitore nonostante la presenza di classi di creditori dissenzienti, non solo quando è favorevole la maggioranza delle classi e almeno una di esse sia una classe di creditori garantiti o abbia rango superiore alla classe dei creditori non garantiti, ma anche nel caso ancora più peculiare in cui sia approvato da almeno una delle classi di voto di parti interessate o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio, diversa da una classe di detentori di strumenti di capitale o altra classe che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, non riceverebbe alcun pagamento né manterrebbe alcun interesse o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale.

“La presenza del cross-class cram-down dell’art. 11 rappresenta un enorme progresso nella legislazione europea in tema di crisi d’impresa, in quanto facilita potenzialmente la ristrutturazione di imprese in difficoltà, ma redditizie, che altrimenti potrebbero andare in liquidazione. Dal punto di vista economico, una volta che il piano imposto alle classi dissenzienti assicura la massimizzazione del valore del patrimonio del debitore e a condizione che nessun interesse dei creditori sia ingiustificatamente sacrificato, è ragionevole accettarne l’omologazione. In assenza di un meccanismo di cram-down incrociato tra classi, le classi di creditori sarebbero effettivamente in grado di fare leva per limitare le loro perdite a scapito di altre classi di creditori, per le quali l'adozione di un piano può essere più importante, come le classi con una minore tolleranza per le perdite”.[104] “Questo test allinea gli interessi di tutti gli stakeholder in quanto beneficiano di tutti i guadagni e subiscono tutte le perdite connesse alla decisione che è in gioco, anche se un tale test incoraggia anche una guerra sulla valutazione”.[105]

Sebbene la Direttiva incorpori molte delle caratteristiche chiave del Chapter 11 degli Stati Uniti, nessun meccanismo è stato introdotto per la tutela dei nuovi finanziamenti al debitore durante la sua ristrutturazione che, ad esempio, nell’ordinamento italiano godono del beneficio della pre-deducibilità. L’art. 17 prevede, da un lato, una tutela minima dei finanziatori giacché in caso di successiva insolvenza del debitore: a) i nuovi finanziamenti e i finanziamenti temporanei non possono essere dichiarati nulli, annullabili o inopponibili; e b) i concessori di detti finanziamenti non possono essere ritenuti civilmente, amministrativamente o penalmente responsabili, in base al rilievo che detti finanziamenti sono pregiudizievoli per la massa dei creditori, a meno che non sussistano altre ragioni stabilite dal diritto nazionale. “Queste misure contribuiranno certamente a facilitare la disponibilità di nuovo denaro per i debitori in difficoltà”.[106]

Dall’altro lato, al comma 4 viene riconosciuta la possibilità agli Stati membri di far sì che i concessori di nuovi finanziamenti o di finanziamenti temporanei abbiano il diritto di ottenere il pagamento in via prioritaria, nell'ambito di successive procedure di insolvenza, rispetto agli altri creditori che altrimenti avrebbero crediti di grado superiore o uguale.

Nel complesso la procedura costruita dalla direttiva 1023/2019 sebbene sia volta a “garantire che i debitori abbiano accesso a una procedura di ristrutturazione senza spossessamento del debitore, dall'altro vuole anche evitare i costi percepiti come incombenti delle procedure del Ch. 11.

A tal fine, l'UE ha proposto un procedimento più snello, con un controllo giurisdizionale minimo e nessuna rappresentazione del comitato dei creditori che sono, invece, parte integrante del procedimento del Ch. 11”.[107]

“L'applicazione di regole uniformi e coerenti in tutta l’UE aumenterà la prevedibilità e l'equità per le imprese che operano a livello transfrontaliero. Il miglioramento delle procedure in tribunale riduce la necessità di una contrattazione extragiudiziale che favorisce ingiustamente alcune ricorrenti come le grandi banche. L'introduzione della possibilità di ammassare una ristrutturazione contro l'obiezione di alcuni creditori aumenta le possibilità di successo”.[108]

Tuttavia, data la quantità di flessibilità offerta agli Stati membri nel recepimento della direttiva, il grado di somiglianza con il Chapter 11 sarà in conclusione diverso da uno Stato membro all'altro.

 

8. Conclusioni

In questa disamina, l’analisi è stata rivolta alla procedura di Chapter 11 e, in particolare, ad alcuni suoi elementi particolarmente rilevanti.

La ragione di tale articolo si rinviene nel fatto che, negli ultimi anni, sia il legislatore italiano che quello europeo hanno visto questa procedura come un ideale strumento a cui ispirarsi per rendere i sistemi di regolazione della crisi migliori. Questa idea trae origine dagli ottimi risultati che ha ottenuto negli anni e alle percentuali di soddisfazione dei creditori maggiori rispetto a quelle ottenute da procedure liquidatorie.

Relativamente al modo con cui il legislatore italiano ha introdotto nell’ordinamento questi istituti, è necessario sostenere che le riforme introdotte dal Codice della Crisi potrebbero non avere il risultato sperato di realizzare una prevalenza nell’applicazione del concordato preventivo e degli altri strumenti rispetto alla liquidazione giudiziale.

Il primo motivo è che, sebbene nella lettera del Codice si parli di procedimento unitario, in concreto esso continua ad essere profondamente separato dalla liquidazione giudiziale da un punto di vista dello svolgimento procedurale e dei poteri attribuiti alle parti. Il vantaggio del Chapter 11 si basa proprio sul fatto che il debitore, pur rimanendo al controllo dell’impresa, ha il potere di compiere tutte le azioni proprie del trustee volte a ricostruire il patrimonio dando già in questa fase prova della sua serietà nell’assoggettarsi alla procedura concorsuale. I poteri del DIP sono gli stessi che sono attribuiti al curatore nella procedura liquidatoria del Chapter 7 e sono similari a quelli attribuiti al curatore nella procedura di liquidazione giudiziale italiano.

Su tal punto va altresì ricordato che la formazione del bankruptcy estate e la sua funzione è più assimilabile alla costituzione del patrimonio fallimentare affidato al curatore che al risultato generato dall’apertura del concordato preventivo.

Il secondo motivo è che l’insieme di strumenti di regolazione della crisi del CCI è ben più orientato alla tutela del debitore di quanto lo sia il Chapter 11. È vero che in questo sistema è possibile forzare l’omologazione del piano a condizione che sia stato approvato da una sola delle classi. Ma ciò è ammesso soltanto ove effettivamente il reorganization plan elaborato dal debitore rappresenti la miglior soluzione possibile dovendo superare una serie di test ai fini dell’omologazione.

Nell’ordinamento italiano, dopo un vaglio iniziale di fattibilità del piano e della proposta presentata dal debitore, assume ben più valore l’accordo con i creditori più importanti che possono imporre a maggioranza il contenuto del piano, salvo il caso in cui venga fatta valere la sconvenienza da un creditore dissenziente di una classe dissenziente o da tanti creditori che rappresentino almeno il venti per cento dei crediti.

In ogni caso, oggetto del giudizio del giudice sarà soltanto un controllo di carattere comparativo tra il soddisfacimento previsto nel piano e l’alternativa della liquidazione giudiziale.

Il terzo motivo è che sono relativamente ridotti sia per il debitore che per le altre parti interessate gli incentivi per accedere a queste soluzioni. Nell’intenzione del legislatore, il debitore dovrebbe preferire accedere a questi strumenti per evitare la liquidazione giudiziale, per godere della sospensione delle azioni esecutive individuali nei suoi confronti e per ottenere le misure premiali degli artt. 24-25 CCI. Tuttavia, il sistema, così come elaborato, prevede potenzialmente solo una temporanea sospensione delle azioni sottesa all’espressa richiesta del debitore in tal senso, ma soprattutto il debitore può temere di perdere il controllo della sua impresa non godendo di un periodo di esclusività per la presentazione e approvazione del piano e dovendo anzi “subire” l’istituto delle proposte concorrenti che potrà contrastare soltanto proponendo un piano che rispetti determinate condizioni economiche. Anche i creditori non ricevono particolari incentivi giacché non possono, come invece accade per la liquidazione giudiziale, presentare istanza per l’accesso a una procedura di concordato o accordi di ristrutturazione. Ma anche il loro ruolo durante la procedura, salvo il caso di coloro che presentano una proposta concorrente, è sostanzialmente ridotto all’esercizio del voto in sede di approvazione.

Si pensi, infine, al forte disincentivo che può ricevere colui che, con l’obiettivo di acquistare l’azienda al termine del concordato, sia affittuario dell’azienda del debitore soggetto a concordato preventivo.

A causa dell’istituto delle offerte concorrenti, egli può temere di “vedersi sfilata” l’azienda pur avendo fatto significativi investimenti su di essa e avendo anche garantito il mantenimento dei livelli occupazionali, come previsto dall’ordinamento italiano per l’omologazione.

L’introduzione della Direttiva 1023/2019 comporterà necessariamente un percorso di riflessione per il legislatore nazionale in quanto tutti questi temi sono stati affrontati da questa legge europea e sono stati risolti adottando le soluzioni del Chapter 11. Tale evoluzione legislativa non potrà che essere favorita dal differimento dell’entrata in vigore del Codice al primo settembre 2021 a causa della crisi economica post-Covid-19 e dalle numerose richieste dal mondo giuridico che sono emerse nel periodo di vacatio legis che precede l’entrata in vigore di questo codice.

Va, infine, considerato che l’impatto di queste procedure non può essere slegato dalla realtà economica in cui si inseriscono.

In particolare, la capacità del debitore di porre in essere tutti gli atti necessari per realizzare a favore dei creditori un percorso di risanamento non può non essere influenzato dalla struttura societaria dell’impresa.

Il sistema economico italiano è ben diverso da quello statunitense. In quest’ultimo tendono a prevalere imprese con una capitale diffuso nel mercato e spesso posseduto anche da fondi professionali ed investitori istituzionali. È ragionevole credere che sarà tanto più agevole realizzare tutte le operazioni di risanamento necessarie in imprese a capitalizzazione diffusa,[109] come spesso accade nell’economia americana, dove gli interessi personali dei soci sono ridotti all’osso e sono tutti tendenti al risultato economico e allo sviluppo dell’impresa e dove anche tra i soci vi è una maggiore professionalità nella gestione.

Il sistema economico italiano, invece, si caratterizza per essere costituito da imprese di medio-piccole dimensioni spesso controllate in maniera assoluta, o quasi, da un soggetto o da membri di uno stesso nucleo familiare e ciò comporta un forte accentramento anche degli interessi economici dell’impresa. In un contesto come questo diventa più difficile immaginare come efficiente un sistema in cui il debitore sia completamente scevro dagli interessi personali dei singoli soci e in cui la riuscita del piano si basi su una prognosi postuma ex ante attestata da un professionista.

Proprio in un sistema come quello italiano, quindi, potrebbe rappresentare indice di maggiore garanzia e conseguimento degli obiettivi legislativi consentire ai creditori di far emergere tempestivamente la crisi attribuendogli il potere di presentare l’istanza di accesso alle procedure di regolazione della crisi, in quanto soggetti interessati direttamente dalle sorti del debitore ma anche offrire al debitore poteri simili a quelli del debtor-in-possession del Chapter 11 per dimostrare già durante la procedura la propria serietà circa le intenzioni relative al risanamento aziendale e ricostruire efficacemente il patrimonio aziendale al momento in cui i prodromi della crisi erano ancora lievi o del tutto assenti.



[1] G. Rossi, “I diritti dei cittadini fra le crisi dell’impresa e della giustizia” in Rivista delle Società, 2014, p. 146

[2] P. Manganelli, “Gestione delle crisi di impresa in Italia e negli USA: due sistemi fallimentari a confronto”, in Il Fallimento, n. 2, 2011, p. 129

[3] B. Quatraro, B. Burchi, “Gli istituti di composizione della crisi d’impresa in alcune legislazioni straniere” in Il Nuovo Diritto delle Società, n. 19, 2016

[4] E. Warren, J.L. Westbrook, “The success of Chapter 11: a challenge to the critics” in Michigan Law Review, n. 107, 2009, p. 603

[5] S. Webster, “Collateral damage: non-debtor recovery for bad faith involuntary bankruptcy petitions” in Emory Bankruptcy Developments Journal, n. 35, 2019 p. 111

[7] Ibid., p. 14

[10] D.S. Kennedy, J. Bailey, op. cit., p. 16

[11] Id.

[12] S. Webster, op. cit., p. 116

[14] U.S. Court of Appeals, 3rd Circuit, 29 agosto 2016, In re Rosenberg che aggiunge anche che non sussistono problemi di preemption tra diritto statale e federale nel riconoscere al terzo un risarcimento del danno causato da una istanza di apertura del procedimento del Ch. 11 in mala fede

[15] C. Amatucci, op. cit., p. 830

[16] F. Perrini, op. cit., p. 788

[17] N. Petrovski, “Section 1121: Exclusivity reloaded” in American Bankruptcy Institute Law Review, n. 11, 2003, p. 451

[18] Ibid., p. 460

[20] N. Petrovski, op. cit., p.482

[21] Ibid., p. 484

[22] C.G. Case II, op.cit., p. 45

[23] C. Amatucci, op. cit., p. 828

[24] Ibid., p. 829

[25] Bracewell, Giuliani, op. cit., p. 6

[26] Sul punto si veda B. Barton, “Broadening the estate by avoiding specificity of retained claims of 1123(b)(3)(b)” in Fordham Journal of Corporate & Financial Law, n. 19, 2013, p. 231

[27] C. Amatucci, op. cit., p. 829

[28] Id.

[29] R.E. Albanese, O.K. Rosaluk, op.cit.

[31] Ibid., p. 490

[32] Ibid, p. 475

[34] S. McJohn, op. cit., p. 497

[36] S. McJohn, op. cit., p. 506

[37] C. Amatucci, op. cit. , p. 832

[39] C. G. Case II, op. cit., p. 44

[40] C. Amatucci, op. cit., p. 834

[41] C.G. Case II, op. cit., p. 52

[42] R.E. Albanese, O.K. Rosaluk, op. cit.

[44] Bracewell, Giuliani, op. cit.

[45] C. G. Case II, op. cit., p. 53

[47] Id.

[49] M. J. Roe, F. Tung, op.cit., p. 222

[50] C.G. Case II, op. cit., p. 54

[51] Bracewell, Giuliani, op. cit.

[53] Bracewell, Giuliani, op. cit.

[54] M.J.Roe, F. Tung, op. cit., p. 240

[55] D. R. Wong, “Chapter 11 Bankruptcy and Cramdowns: adopting a contract rate approach” in Northwestern University Law Review, n. 106, 2012, p. 1932

[56] Bracewell, Giuliani, op. cit.

[57] C. G. Case II, op. cit., p. 61

[58] Bracewell, Giuliani, op. cit.

[60] Id.

[62] C. G. Case II, op. cit., p. 66

[64] D.R. Wong, op. cit., p. 1932

[65] C.G. Case II, op. cit., p. 64

[67] U.S. Bankruptcy Code, Historical and legislative notes, art. 1129, p. 198

[68] C. Amatucci, op. cit., p. 835

[70] F. Perrini, op. cit., p. 802

[71] Bracewell, Giuliani, op. cit.

[72] A. Lawton, “Chapter 11 triage: diagnosing a debtor’s prospects for success” in Arizona Law Review, n. 54, 2013, p. 985

[73] C. G. Case II, op. cit., p. 66

[75] A.M. Ahart, L.E. Meadows, “Deferring discharge in Chapter 11” in American Bankruptcy Law Journal, n. 70, 1996, p. 129

[76] F.R. Kennedy, G.R. Smith, op. cit., p. 653

[77] Ibid., p. 656

[83] Ibid., p. 145

[84] Ibid., p. 147

[86] A.M. Ahart, L.E. Meadows, op. cit., p. 154

[88] A. Caporrino, “Fresh-start reporting: what is it and what are the benefits and risks?” in American Bankruptcy Institute Journal, n. 23, issue 6, 2004, p. 12

[89] D. Gary, “Fresh-start accounting becomes part of the daily financial intake” in American Bankruptcy Institute Journal, n. 29, issue 1, 2010, p. 30

[90] J. Friedman, op. cit., p. 263

[91] D. Gary, op.cit., p. 30

[92] A. Caporrino, op. cit., p. 12

[93] D. Gary, op.cit., p. 31

[94] Id.

[95] D. Cash et al., “Fresh Start Accounting”, disponibile su www.alvarezandmarsal.com, 2016

[96] P. Manganelli, “Chapter 11 e Raccomandazione della Commissione del 12 marzo: un confronto” in Il Fallimento, n. 10, 2015, p. 1136

[97] M. Thorn, M. Zaman, “And, more keeping up with the Joneses: The new EU restructuring directive and reforms in the United Kingdom” in International Restructuring Newswire, 2019, p. 11

[98] I.L. Fannon et al., “Identifying substantive and procedural rules in preventive restructuring frameworks including the Preventive Restructuring Directive which may be incompatible with judicial co-operation obligations” in JCOERE Programme Report, 14 gennaio 2020, p.13

[99] P. Manganelli, op. cit., p. 1138

[100] I.L. Fannon et al., op. cit., p. 144

[102] P. Manganelli, op. cit., p. 1140

[103] K. Morley et al., “All Change In Europe: New Chapter 11-Style Restructuring Regime Is On Its Way” in Jones Day White Paper, 2019

[104] I.L. Fannon et al., op. cit., p. 54

[105] Ibid., p. 55

[106] K. Morley et al., op. cit., p. 3

[107] K. Morley et al., op. cit., p. 3

[108] B. Becker, op. cit., p. 2

[109] È anche ampiamente sostenuto dalla dottrina aziendalistica. Per tutti si veda J.E. Bethel, J. Liebeskind,

“The effects of ownership structure on corporate restructuring” in Strategic Management Journal, vol. 14, 1993, p. 15


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