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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 13/05/2014 Scarica PDF

Amministratori e rappresentanti nei "partiti e movimenti" politici dopo le sentenze della cassazione sull'art. 38 c.c.

Gioacchino La Rocca, Professore ordinario di diritto civile nell'Università di Milano Bicocca


I. – Con la sentenza n. 7521 del 1 aprile 2014 la Corte di Cassazione ha confermato le conclusioni cui era già pervenuta nel 2010 (sent. 21 gennaio 2010, n. 982, in Giur. It., 2011, 564) e nel 2009 (sent. 23 giugno 2009, n. 14612, Foro it., 2010, I, 944, con note di Paone-Simonetti e Simonetti). Con queste sentenze laCorte ha stabilito che “l’art. 6 bis l. 3 giugno 1999 n. 157, nell’esonerare gli amministratori dei partiti e dei movimenti politici dalla responsabilità per le obbligazioni dei medesimi partiti e movimenti … introduce una deroga eccezionale, e, in quanto tale, di stretta interpretazione, rispetto al generale regime di responsabilità solidale di cui all’art. 38 c.c. per le associazioni non riconosciute (nella specie, la cassazione ha precisato che la limitazione della responsabilità in esame può operare solo con riferimento alle obbligazioni assunte, in nome e per conto del partito, da chi operi in una veste tale da poter esser considerato amministratore alla stregua dello statuto dell’ente, al contrario, per chiunque altro che non rivesta una tale carica e che assuma obbligazioni in nome e per conto del partito continuerà ad operare il regime generale di cui all’art. 38 c.c.)”.

Sono affermazioni condivisibili ([1]), nel senso che, mentre per la generalità delle associazioni non riconosciute quanti hanno agito in nome e per conto dell’associazione sono responsabili sempre e comunque (art. 38 c.c.), questa conclusione non vale – alla stregua dell’art. 6 bis, cit. ([2]) - per quelle particolari associazioni non riconosciute costituite dai partiti ([3]), se in rappresentanza di questi ultimi hanno agito gli “amministratori”: chi riveste tale carica è esentato dall’applicazione dell’art. 38 c.c.

In questa prospettiva non sfugge il “carattere eccezionale” dell’art. 6 bis cit., che – prosegue la cassazione - “ne esclude ogni possibile applicazione analogica e suggerisce di adottare al riguardo un criterio di stretta interpretazione”. Tale eccezionalità – precisa la cassazione – è giustificata dal fatto che i partiti “hanno innegabilmente caratteristiche e finalità affatto peculiari” rispetto alle altre associazioni non riconosciute. “Basta a dimostrarlo” – è ancora la cassazione che parla – “l'espresso richiamo contenuto nell'art. 49 Cost., che istituisce un chiaro collegamento tra l'attività dei partiti, in cui tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, ed il metodo democratico con il quale si determina la politica nazionale” ([4]).

A proposito della rilevanza costituzionale evocata dalla sentenza in esame è opportuno rammentare che le associazioni, oltre ad  essere “formazioni sociali ove si svolge la personalità” del singolo individuo (art. 2 Cost.) ([5]), costituiscono espressione della libertà costituzionale di associarsi (art. 18). Tale rilevanza costituzionale del fenomeno associativo ha indotto dottrina autorevole a circoscrivere agli “accordi degli associati” la tutela costituzionale diretta – ossia non mediata per il filtro di altre norme costituzionali - dell’autonomia privata ([6]). La rilevanza costituzionale del partito però è più stringente rispetto a quella delle altre associazioni, dal momento che esso interviene attivamente nell’ordinamento della Repubblica.

La specificità del partito politico ha ricadute di diritto privato che investono, per quanto qui interessa, la sua struttura organizzativa e di conseguenza si riflettono sulla sua operatività.

 

II. – E’ utile prendere le mosse dal confronto tra l’art. 38 c.c. e l’art. 6 bis. L’art. 38 c.c. affianca alla responsabilità del “fondo comune” dell’associazione la responsabilità personale e solidale delle “persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”; l’art. 6 bis (il cui testo è riportato a nota 2) esclude che l’adempimento delle obbligazioni assunte dal “partito o movimento politico” possa essere richiesto agli “amministratori” dello stesso (l’avverbio “direttamente” probabilmente intende segnalare che la responsabilità dell’amministratore è solo sussidiaria).

Le differenze lessicali tra le due disposizioni sono evidenti: l’una fa riferimento alle “persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”, l’altra agli “amministratori”. Di ciò la cassazione ha preso atto fin dal 2009, quando ha osservato a proposito dell’art. 6 bis che “nulla consente di ritenere che la parola «amministratori», nel menzionato testo di legge, sia volta ad indicare chiunque abbia assunto obbligazioni verso i terzi in nome e per conto del partito”.

A ben vedere, la distinzione lessicale tra i soggetti di cui all’art. 38 c.c. e gli “amministratori” non è estranea al codice civile: l’art. 36 contrappone agli “associati” due distinte categorie di persone: le persone cui è demandata “l’amministrazione delle associazioni non riconosciute”, e “coloro ai quali è conferita la presidenza o la direzione” dell’ente. Entrambe queste espressioni sono diverse da quella utilizzata dall’art. 38 c.c., il quale – a differenza dell’art. 36 - assegna una particolare rilevanza giuridica alle persone ivi indicate senza tener conto dello specifico ruolo ad essi assegnato dagli accordi degli associati all’interno dell’ente, ma esclusivamente in forza della particolare attività oggettivamente svolta verso i terzi: la conclusione di contratti, l’aver posto in essere atti giuridici (art. 2 c.c.) “in nome e per conto dell’associazione”.

A rimarcare la non necessaria coincidenza tra persone di cui all’art. 36 c.c. e persone di cui all’art. 38 c.c., può osservarsi che l’art. 36 assegna la rappresentanza processuale al “presidente” o al “direttore”, ma nulla dice circa la rappresentanza negoziale. Nulla, in particolare, autorizza a collegare coloro ai quali è affidata “l’amministrazione delle associazioni non riconosciute” (art. 36 c.c.) con le “persone che rappresentano l’associazione” nella conclusione di contratti da cui derivino “obbligazioni [per le quali] i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune” (art. 38).

Di qui la conferma di un rilievo autorevole e risalente ([7]): le disposizioni sulle associazioni non riconosciute usano espressioni diverse per designare le figure soggettive che svolgono le varie attività funzionali alla vita dell’ente: da un lato quanti espletano attività di “amministrazione”, di “presidenza”, di “direzione” (art. 36 c.c.), dall’altro quanti compiono atti giuridici in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta (art. 38 c.c.).

 

III. – La diversità semantica tra gli artt. 36 e 38 non è casuale. Essa riflette la diversità di rapporti giuridici e di discipline riconducibili alle diverse figure soggettive di volta in volta evocate. Quanti svolgono funzioni di “amministrazione”, “presidenza”, “direzione” sono persone la cui posizione giuridica rinviene il suo fondamento, il suo “titolo” nel rapporto con gli associati. Anche questo dato trova espressa conferma nella legge: l’art. 36 avverte espressamente che tali soggetti sono individuati dagli “accordi degli associati”, che di volta in volta ne esplicitano i compiti.

Sul piano funzionale è significativo l’art. 1332 c.c., che con l’art. 1420 c.c. detta lo schema fondamentale dei contratti plurilaterali, vale a dire dei contratti che sono alla base delle organizzazioni previste nel primo e nel quinto libro del codice civile, come pure – non è inutile aggiungere – di quelle estravaganti ([8]). L’art. 1332 c.c., in particolare, accenna ad un “organo … costituito per l’attuazione del contratto”. Tale “organo”, individuato dai contraenti nel loro accordo (v. ancora art. 36 c.c., ma v. anche artt. 2257, 2295 n. 3, 2328 n. 9 ecc. c.c.), è espressamente collegato dall’art. 1332 c.c. alla “attuazione del contratto”, ossia alla realizzazione dei fini e degli interessi perseguiti dai contraenti con il contratto istitutivo dell’ente.

 

IV. - Non sempre è avvertita l’importanza sistematica dell’art. 1332 c.c. e della sua formulazione.

In proposito è utile ricordare l’elementare osservazione secondo la quale l’autonomia privata è sempre esercitata in vista della realizzazione di un interesse (art. 1322 c.c.): nella prospettiva tramandataci da una tradizione ultramillenaria ([9]) - della quale siamo ancora imbevuti anche perché ispira largamente la vigente disciplina codicistica del contratto - l’interesse dedotto in contratto è realizzato attraverso uno scambio in cui l’intervento del contraente (manifestazione del consenso, traditio del bene ecc.) assume un ruolo di primo piano in quanto è necessario per il trasferimento della proprietà storicamente connesso al contratto.

Questa centralità di ciascun contraente nella realizzazione dei fini del contratto è meno evidente in un’altra tipologia di contratti la cui differente struttura è stata approfondita quando gli interessi, che inducevano i contraenti al contratto, sono divenuti di natura tale da poter essere realizzati non più attraverso un singolo atto, ma solo attraverso il compimento di un’attività complessa, alla quale i contraenti rimanevano – o potevano rimanere - sostanzialmente estranei. Si configura così il tipo di contratti che “communionem adferunt”, volti “ad utilitatem communem” attraverso il compimento di “facta” (attività) ([10]). In questi casi il compimento delle attività necessarie per eseguire i programmi formulati in contratto è assegnato ad un minister, un amministratore, il quale viene così ad assumere un ruolo fondamentale nella esecuzione del contratto e del suo fondamento ultimo: la volontà delle parti.

 

V. – Come si vede, la differenza è netta sul piano sostanziale: quanti concludono contratti a nome dell’ente al più curano l’interesse del medesimo dedotto nello specifico contratto concluso. Di contro, gli “amministratori” hanno il compito di perseguire i fini e gli interessi del gruppo; hanno cioè un ruolo centrale e nevralgico nella realizzazione di quelle particolari manifestazioni dell’autonomia privata sulle quali si fonda il gruppo.

La diversa matrice funzionale sulla quale si muove la figura dell’amministratore di un ente rispetto a quanti hanno la rappresentanza dell’ente stesso presso i terzi, non ci è solo consegnata dalla storia. È infatti confermata da uno sguardo anche sommario agli enti disciplinati dal libro V del codice.

Nella società semplice, ad esempio, non v’è coincidenza necessaria tra gli amministratori (artt. 2257 s. c.c.) e i soci muniti del potere di rappresentare la società (art. 2266 c.c.): tra le due figure – che non a caso sono designate con parole che ostentano la volontà del legislatore di non confonderle - il secondo comma dell’art. 2266 c.c. istituisce solo un raccordo di default, nel senso che lascia spazio all’autonomia dei membri del gruppo di provvedere con “diversa disposizione del contratto” ([11]). Nella società in nome collettivo la distinzione (non solo concettuale) tra “soci che hanno l’amministrazione” e soci “che hanno la rappresentanza” della società è scandita dall’art. 2295 n. 3, il quale per il solo fatto di menzionare distintamente le due figure esclude per l’appunto la loro coincidenza e con ciò ne ribadisce l’eterogeneità funzionale. Sulla stessa linea l’art. 2298 c.c. specifica che vi è un “amministratore che ha la rappresentanza della società” e così avverte (ancora una volta!) che amministrazione della società e rappresentanza della stessa sono “cose” diverse. Indicazioni a ben vedere non dissimili si traggono finanche dalla disciplina della società per azioni: l’art. 2380 bis c.c. individua negli amministratori innanzi tutto i gestori esclusivi dell’impresa, vale a dire di quell’attività economica il cui svolgimento in comune costituisce la ragione del contratto di società (l’assonanza con l’art. 1332 c.c. è voluta); l’art. 23282 n. 9 c.c. avverte che, al pari che nelle società di persone, anche nella società per azioni funzione gestoria e rappresentanza del gruppo ben possono essere assegnati a soggetti diversi a conferma della diversa funzione, prospettiva ed interessi sottintesi nelle due attività. Certamente, nelle società per azioni l’estensione della legittimazione  rappresentativa della società verso i terzi (art. 2384 c.c.) viene di conseguenza in quanto complemento accessorio per un efficiente inserimento dell’impresa sociale nel mercato [12].

 

VI. – Le disposizioni sopra passate in rapida rassegna confermano che nel diritto dei gruppi “amministratore” e quanti rappresentano il gruppo nella conclusione di contratti con i terzi rispondono ad esigenze funzionali assolutamente distinte in quanto collegate interessi diversi ([13]). Questa distinzione è più o meno marcata a seconda del tipo di ente ed è particolarmente evidente nelle associazioni non riconosciute. In esse l’art. 36 rende esplicita la diretta relazione tra le figure dell’amministratore, del presidente, del direttore e gli associati: i primi rinvengono la loro giuridica ragion d’essere nella realizzazione degli interessi dei secondi, verso i quali sono responsabili secondo le regole proprie del contratto tipico della gestione degli interessi altrui, il mandato (art. 18 c.c.).

Di contro, la disciplina dell’art. 38 c.c. è estranea alla tutela degli associati; non ha riguardo ai loro fini ed interessi, ma mira alla tutela dei terzi. Giurisprudenza e dottrina hanno sottolineato che l’art. 38 c.c. tutela l’affidamento riposto dai terzi sulle persone che hanno contrattato con loro, senza riguardo – non è inutile sottolinearlo ancora - al ruolo effettivamente rivestito da queste ultime nell’organizzazione societaria.

Per chiarire questo aspetto può richiamarsi il rapporto, assai opaco, tra “autonomia patrimoniale” e “personalità giuridica” ([14]): entrambi i concetti esprimono l’incentivo indotto sui terzi ad intrattenere relazioni economiche con gli enti che offrano, per organizzazione interna e/o per trasparenza resa palese attraverso l’adempimento degli oneri pubblicitari richiesti dalla legge e/o per patrimonializzazione e/o per le caratteristiche della gestione e la tenuta della contabilità rese palesi dalla pubblicazione dei relativi documenti contabili, il maggiore affidamento e le maggiori tutele ([15]). Tali tutele, peraltro, sono ulteriormente ampliate nella società per azioni dall’estensione della legittimazione rappresentativa di quanti siano muniti del relativo potere e dall’inopponibilità ai terzi dei vizi della delibera di conferimento della rappresentanza.

Quando i caratteri sopra elencati si riducano, o siano ignoti, o non risultino rispettate le forme pubblicitarie previste dalla legge, scattano vari meccanismi che sono preordinati, ad un tempo, alla tutela dei terzi e a consentire al gruppo di agire sul mercato ([16]). Tra i meccanismi predetti vi è anche quello previsto non solo dagli artt. 38 c.c. e 2331 c.c., ma anche, ad esempio, dalla disciplina dettata dalla l. 7 dicembre 2000 n. 383, per le “associazioni di promozione sociale”: per le obbligazioni assunte da tali associazioni rispondono, oltre al patrimonio dell’ente, anche, in via sussidiaria, “le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione” (art. 6, comma 2, legge cit.). E ciò – a conferma anche della scarsa significatività della personalità giuridica ([17]) – vale tanto per le “associazioni di promozione sociale” riconosciute persone giuridiche, quanto per quelle prive di tale riconoscimento (arg. Ex art. 2, legge cit.).

Disciplina parimenti significativa è quella delle “imprese sociali” di cui al d. lgs. 24 marzo 2006, n. 155. L’art. 6 di tale decreto prevede un peculiare regime della “responsabilità patrimoniale” di queste imprese, che sono costituite per atto pubblico e iscritte nel registro delle imprese: quando il loro patrimonio, a seguito di perdite, diminuisca di oltre un terzo rispetto all’importo di ventimila euro, rispondono delle obbligazioni assunte, oltre al patrimonio sociale, non già gli amministratori, ma “personalmente e solidalmente … coloro che hanno agito in nome e per conto dell’impresa”. Quel che, ai presenti fini, desta interesse è che questa particolare disciplina non si applica alle “imprese sociali” che siano esercitate nelle “diverse forme giuridiche previste dal libro V del codice civile”: in questi casi si applica, infatti, “quanto disposto in tema di responsabilità limitata” per tali “forme giuridiche” (art. 6 cit.), le quali “forme giuridiche” – a conferma dei rilievi formulati poco sopra - evidentemente sono ritenute dal legislatore sufficienti a tutelare i terzi.

Si delinea così uno scenario di sicuro interesse. La personale e solidale responsabilità di quanti hanno concluso un contratto in nome dell’ente è uno strumento – tra gli altri ([18]) – di diritto privato posto al servizio del “diritto del mercato”. Più precisamente, la personale e solidale responsabilità di quanti hanno concluso il contratto per l’ente può essere inserita tra gli strumenti volti a rimediare al deficit informativo e al conseguente opportunismo contrattuale ([19]) che possono accompagnare l’accesso  nel mercato di enti non in grado di offrire sufficienti informazioni sulla loro organizzazione, sulla loro struttura, sul loro patrimonio. È un dato percepito dalla giurisprudenza allorché ha indicato il fine delle discipline rammentate: incentivare i terzi a concludere contratti con gli enti confidando anche sul patrimonio e sulla fiducia riposta nelle persone fisiche che hanno concretamente concluso il contratto. Sono estranei a questo fine gli amministratori perché il rapporto fiduciario che li vede coinvolti in prima persona non è con i terzi, ma con gli associati.


VII. – A questo punto possono trarsi alcune conclusioni.

La prima riguarda il significato dell’art. 6 bis cit., che la giurisprudenza ha rinvenuto nell’intento del legislatore di liberare gli “amministratori” dei partiti da preoccupazioni quando negoziano nell’interesse dei partiti medesimi. Orbene, i rilievi sopra svolti aprono la via anche ad altre ipotesi.

Si è rammentato come l’attività sul mercato di alcuni gruppi sia facilitata attraverso quelle disposizioni che istituiscono la corresponsabilità di quanti hanno concluso i contratti in rappresentanza dell’ente. Di queste disposizioni l’art. 38 c.c. costituisce il paradigma. In questo quadro l’esclusione dei partiti politici da tale meccanismo realizzata dall’art. 6 bis segna la presa d’atto del legislatore che il partito politico non è un attore del mercato e che esso agisce e deve agire al fuori dei meccanismi di mercato. È coerente con questo disegno sia l’erogazione di risorse pubbliche al partito, sia l’istituzione dello speciale fondo di garanzia previsto sempre dall’art. 6 bis.

La seconda conclusione riguarda lo “amministratore” cui si riferisce l’art. 6 bis. I rilievi svolti nelle pagine precedenti hanno univocamente confermato che nel diritto dei gruppi la figura dello “amministratore” si caratterizza per la funzione di perseguimento dei fini di ciascun gruppo fissati dai suoi componenti nel contratto costitutivo. In questo senso depone l’art. 1332 c.c. che trova conferma in tutte le tipologie di gruppi.

Queste caratteristiche sono presenti anche nei partiti politici. Anche nei partiti politici esiste quell’organo che nel diritto dei gruppi è designato come “amministratore” e – come si è visto – ha il compito di perseguire gli interessi ed i fini che hanno indotto gli associati a istituire l’ente. I partiti politici, però,  esibiscono anche gravi complicazioni. Invero, in essi si assiste ad una singolare attribuzione di funzioni, che può avere ripercussioni sull’applicazione dell’art. 6 bis.

Più precisamente, è costante in tutti i partiti italiani - con l’eccezione della “non associazione” costituita dal “MoVimento 5 Stelle” (in questi termini il “non-statuto” del movimento disponibile all’indirizzo https://s3-eu-west-1.amazonaws.com/materiali-bg/Regolamento-Movimento-5-Stelle.pdf) – la distinzione tra l’organo al quale è affidato – al di là delle cangianti formule contenute nei diversi statuti – il compito di perseguire gli interessi degli iscritti, ossia concorrere alla politica nazionale, ed un organo diverso – anche in questo caso variamene denominato – che “cura l’organizzazione amministrativa patrimoniale e contabile del partito”, del quale “ha la rappresentanza legale per tutti gli atti inerenti alle proprie funzioni” ([20]), “svolge l’attività negoziale necessaria per il raggiungimento dei fini associativi” e “può compiere tutte le operazioni bancarie”. La situazione è ancora più complessa in alcuni statuti che affiancano al “presidente”, “garante dell’unità del partito”, un “coordinatore politico” che “ha la responsabilità di coordinare l’esecuzione dell’indirizzo politico” e un “responsabile finanziario”, munito della “rappresentanza legale a tutti gli effetti di fronte ai terzi”.

Si delinea così un quadro assai frastagliato, che pone a dura prova le acquisizioni della giurisprudenza. In primo luogo ne risulta incrinata la giustificazione addotta a salvare l’eccezionalità dell’art. 6 bis.

La disapplicazione dell’art. 38 è posta dalla cassazione in stretta relazione con il concorso dei partiti alla determinazione della politica nazionale e – si legge nelle sentenze – “la previsione di regole peculiari, destinate ad agevolare l'attività dei partiti in vista del perseguimento delle su accennate loro finalità, non può essere di per sè sola considerata una violazione del canone di uguaglianza, fintantoché quelle regole appaiano funzionali alla realizzazione del suindicato intento agevolativo”.

Il problema che a questo punto si pone, è evidente. Gli statuti dei partiti generalmente assegnano il perseguimento delle finalità indicate dall’art. 49 Cost a persone diverse da quelle cui gli statuti medesimi attribuiscono la rappresentanza sostanziale dell’ente: le prime sono designate con le locuzioni “segretario nazionale”, “presidente”, “coordinatore politico”; le seconde hanno l’appellativo di “tesoriere”, “amministratore nazionale”, “responsabile finanziario”.

Ne segue che l’affermazione giustamente consolidatasi in giurisprudenza, secondo la quale l’art. 6 bis è di stretta interpretazione, deve essere assunta con il consueto grano salis. Letteralmente la sua applicazione è riservata agli “amministratori”, ossia a quanti perseguono l’attuazione degli interessi politici alla base del partito. Senonché,  in quelle particolari associazioni non riconosciute costituite dai partiti, l’organo funzionale a tali interessi è quasi sempre privo del potere di rappresentare l’ente nei rapporti contrattuali con i terzi. Quindi, se applicata letteralmente la disposizione sarebbe inutile ([21]).

Di qui la necessità di un’interpretazione poco preoccupata del dato letterale e assolutamente concentrata sul versante funzionale: se si vuole salvare l’operatività della disposizione, quale espressione della peculiarità dei partiti politici, il giudice deve in primo luogo individuare, alla stregua dell’ordinamento interno del singolo partito, l’organo cui è assegnata la rappresentanza negoziale dell’ente, e individuare in questa figura lo “amministratore” che, ai sensi dell’art. 6 bis, è esonerato dall’applicazione dell’art. 38 c.c.

Il passaggio interpretativo appena esaminato si rende necessario perché il legislatore ha utilizzato la parola “amministratore” in luogo dell’espressione “persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.

In base a quanto s’è detto v’è da chiedersi se l’utilizzazione della parola “amministratore” debba essere considerata un’imprecisione del legislatore. La risposta può essere negativa, nel senso che il legislatore ha inteso circoscrivere l’esenzione dai meccanismi di mercato solo per alcuni soggetti e con ciò ha di fatto imposto ai partiti di concludere contratti esclusivamente per il tramite dell’organo legittimato a tal fine dagli “accordi degli associati”, ovvero per il tramite di soggetti muniti di una procura speciale rilasciata dall’organo statutariamente legittimato: solo in queste due ipotesi potrà disapplicarsi l’art. 38 c.c.



[1]) V. infatti Basile, La responsabilità personale per i debiti dei partiti politici (dopo “tangentopoli”), in Nuova giur. Civ., 2010, I, 9; Martinelli, Scrivano, Associazioni non riconosciute: la responsabilità personale e solidale degli amministratori, in Enti non profit, 2010, fasc. 6, 25.

[2]) L’art. 6 l. n. 157/1999 dispone al primo comma che “le risorse erogate ai partiti ai sensi  della  presente  legge costituiscono,  ai  sensi  dell'articolo  2740  del  codice   civile, garanzia ai fini dell'esatto adempimento delle  obbligazioni  assunte da parte dei partiti e movimenti politici beneficiari delle stesse. I creditori dei partiti e movimenti politici di cui alla presente legge non possono pretendere direttamente dagli amministratori dei medesimi l'adempimento delle obbligazioni del partito o movimento politico  se non qualora questi ultimi abbiano agito con dolo o colpa grave”. Il secondo comma aggiunge che “per il  soddisfacimento  dei  debiti  dei  partiti  e  movimenti politici maturati in epoca antecedente all'entrata  in  vigore  della presente legge è istituito un fondo di  garanzia  alimentato  dall'1 per cento delle risorse stanziate per i fondi  indicati  all'articolo 1. Le modalità di gestione e funzionamento del fondo sono  stabilite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze)”.

[3]) La qualificazione del partito politico come associazione non riconosciuta può ormai dirsi fissata nelle leggi apicali della UE: l’art. 12 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea si riferisce ai partiti politici come a espressione della libertà di riunione e associazione; il reg. UE 4 novembre 2003, n. 2004 definisce il “partito europeo” “un’associazione di cittadini”.Sui presupposti storico-politici di tale inquadramento v. Ridola, Partiti politici, voce dell’Enciclopedia del diritto, XXXII, Milano, 1982, 66 ss. Tale qualificazione è pacifica in giurisprudenza (Cass. 23 agosto 2007, n. 17921, in Foro it., Rep. 2007, voce Procedimento civile, n. 81; Cass. 7 gennaio 2003, n. 26 Foro it., Rep. 2003, voce Lavoro (rapporto), n. 1550) ed in dottrina: v., fondamentale, P. Rescigno, Sindacati e partiti nel diritto privato, in Persona e comunità. Saggi di diritto privato, Padova, rist. 1987, I, 139 ss.

[4]) Sui riflessi giuridici dell’art. 49 Cost. v. Borrello, Partiti politici, voce de Il diritto. Enciclopedia giuridica, 10, Milano, 2007, 705 ss., spec. 706 ss.

[5]) Il rilievo che la persona umana si realizza nella comunità, nelle formazioni sociali alle quali partecipa può farsi risalire alle pagine iniziali della Politica di Aristotele.

[6]) P. Rescigno ha recentemente ribadito la sua opinione nella Premessa al volume I contratti in generale2, a cura di E. Gabrielli, in Trattato dei contratti, a cura di Gabrielli e Rescigno, Padova, 2006, XLI. Qui è sufficiente rilevare la singolarità di questa tutela costituzionale, la quale sarebbe riconosciuta - non già in sé, in virtù di interessi e valori fatti valere dal singolo attraverso il compimento di atti giuridici con i quali acquisire beni e servizi in grado di garantire “il pieno sviluppo della persona umana”(art. 32 Cost): in questo senso v. i rilievi da me formulati in Autonomia privata e mercato dei capitali. La nozione civilistica di “strumento finanziario”2, Torino, 2009, 77-92, ivi citt., cui adde Benedetti, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale2, Napoli, 1997, 19; sul tema v. recentemente Alpa, Le stagioni del contratto, Bologna, 2012, 127 ss.  – ma per il solo fatto che l’autonomia privata nella fattispecie costituisce esercizio della libertà di associarsi. Al riguardo è stato osservato come la dottrina del Rescigno sia – al pari, può rammentarsi incidentalmente, di ogni altra tesi giuridica – storicamente determinata, nel senso che quando fu formulata mirava ad affrancare le associazioni dall’intervento dello Stato. Si affermava, più chiaramente, che gli “accordi degli associati”, in quanto afferenti ad una “formazione sociale” e pertanto tutelata dall’art. 2 Cost., non potevano essere sindacati dal giudice se non nel conflitto con altri interessi e valori di pari rango costituzionale (cfr. Galgano, Trattato di diritto civile2, Padova, 2010, I, 213 ss.).

[7]) V. infatti P. Rescigno, L’attività di diritto privato dei gruppi parlamentari, in Persona e comunità, cit., 218: “l’agire per conto ed in nome dell’associazione non riconosciuta non è legato alla condizione … di organo”.

[8]) Sui contratti plurilaterali il riferimento imprescindibile è ad Ascarelli, Il contratto plurilaterale, ora in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, 97 ss.

[9]) La prima teorizzazione dei momenti fondamentali dello scambio può farsi risalire all’Etica Nichomachea di Aristotele, in particolare i Libri I, III, V e VII. Rimane su un secondo piano la questione, assai dibattuta tra gli storici, se in Aristotele sia riscontrabile una “più o meno cosciente utilizzazione [degli] schemi tecnico giuridici  (sono parole di Talamanca, [...] nel corpus oratorum atticorum, in Bove (cur.), Prassi e diritto. Valore e ruolo della consuetudine, Napoli, 2008, 14, nota 23). V. per i differenti orientamenti Maffi, Synallagmata e obbligazioni in Aristotele, in Atti del II seminario romanistico gardesano, Milano, 1980, 13 ss. Sul tema v. anche per indicazioni ulteriori Pelloso, [...] di Aristone, in www.academia.edu/1300706/.

[10]) Sono parole tratte da Grozio, De jure belli ac pacis, lib. II, cap. XII, §§ 3 e 4, il quale aveva modo di osservare l’organizzazione che ai primi del XVII secolo venivano assumendo  la Compagnia Olandese e la Compagnia inglese delle Indie Orientali (sulle quali resta tuttora di estremo interesse Mignoli, Idee e problemi nell’evoluzione della “company” inglese, in Riv. Soc., 1960, 633 ss.).

[11]) Sui problemi accennati nel testo v. Dellacasa, La rappresentanza delle associazioni non riconosciute: regime delle contrattazioni e regole di formazione dottrinale, in Contratto e impresa, 2002, 378 ss.

[12]) Recentemente Pavone La Rosa, La nuova disciplina della rappresentanza nella società per azioni, in Trimarchi (cur.), Rappresentanza e responsabilità negli enti collettivi, Milano, 2007, 77 ss.

[13]) In dottrina non mancano affermazioni assai decise sul punto: “la differenza … tra rapporto organico e rapporto rappresentativo si delinea netta ed inconfondibile e come tale non ammette commistioni di piano. A muovere l’intero fenomeno rappresentativo [l’A. si riferisce alla rappresentanza contrattuale] è la gestione di un interesse altrui … il rapporto organico rinviene invece la sua principale base sostanziale di riferimento nella modalità deontica del  potere … perché l’interesse alla cui realizzazione tende l’agire funzionale dell’organo non è un interesse alieno ma è lo stesso interesse che giustifica l’attribuzione ad esso della relativa competenza” (Scalisi, Rappresentanzacome dovere e rapporto organico come imputazione, in Trimarchi (cur.), Rappresentanza e responsabilità negli enti collettivi, cit., 43 s.).

[14]) V. per un’ampia ricognizione critica recentemente Galgano, op. cit., spec. 191 ss., 228 ss.

[15]) V. amplius La Rocca, L’evaporazione della persona giuridica innanzi alla Corte Costituzionale, Foro it., 1998, I, 2617, dove riferimenti ulteriori. Considerazioni non coincidenti sembrano formulate da M. Trimarchi, La responsabilità contrattuale e extracontrattuale degli enti collettivi e dei loro organi, in Trimarchi (cur.), Rappresentanza e responsabilità negli enti collettivi, cit., 3 ss.

[16]) V. ancora La Rocca, cit.

[17]) Sul punto rinvio ancora alleosservazioni a suo tempo formulate da chi scrive nel saggio cit.

[18]) Puntualmente individuati da E. Bocchini, Sostituzione giuridica nell’attività di impresa e asimmetria informativa, in in Trimarchi (cur.), Rappresentanza e responsabilità negli enti collettivi, cit.,  89 ss.

[19]) Sul collegamento tra asimmetria informativa e opportunismo contrattuale v. Williamson, Le istituzioni economiche del capitalismo. Imprese, mercati, rapporti contrattuali, trad. it., Milano, 1992, 124 ss.

[20]) Non può non rilevarsi l’evidente sapore tautologico della clausola statutaria riportata nel testo.

[21]) Il punto sembra in qualche modo intuito da Lanzani, Partiti politici: l’amministratore risponde personalmente solo in caso di colpa grave, in Corriere giur., 2009, 1494.


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