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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 16/06/2014 Scarica PDF

Mediazione finalizzata alla conciliazione e patrocinio a spese dello Stato

Massimo Vaccari, Magistrato


1. L’orientamento tradizionale

Fino ad oggi tra commentatori ed operatori del diritto era pressoché unanime l’opinione che non fosse possibile ottenere il patrocinio a spese dello Stato per l’attività stragiudiziale, pur nella ricorrenza delle condizioni di reddito previste[1] per l’ammissione a tale beneficio.

L’unico precedente di merito edito[2] che aveva esaminato la questione aveva individuato, quali dati normativi, presenti nel d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che ostavano ad una simile eventualità i seguenti:

l’art. 74, comma 2, che fa riferimento esclusivo al “processo civile, amministrativo, contabile, tributario e affari di volontaria giurisdizione”, cosicché sembrerebbe escludere tutto ciò che esula dal giudizio civile (e dalla volontaria giurisdizione);

l’art. 75, comma 2, che indica “altre” ipotesi alle quali si applica la disciplina del patrocinio a spese dello Stato, tra le quali non è ricompresa l’attività stragiudiziale;

l’art. 122 che richiede che nell’istanza siano specificate, a pena di inammissibilità, le prove di cui si intende chiedere l’ammissione;

l’art. 124 che prevede che l’istanza sia presentata al Consiglio dell’ordine del luogo in cui ha sede il giudice competente a decidere nel merito o il magistrato ove pende il procedimento.

Proprio sulla base di queste premesse fino ad oggi i Consigli dell’Ordine rigettavano le istanze di ammissione al patrocinio pubblico relative alla mediazione proprio sulla base del rilievo che non si trattava di un procedimento giudiziario.

Anche la Corte di Cassazione più recentemente[3] si era espressa negativamente sulla possibilità di riconoscere il patrocinio a spese dello Stato per l’attività stragiudiziale ma in tale occasione, confermando con ciò un proprio precedente orientamento, aveva anche affermato una nozione lata di attività giudiziale poiché aveva precisato che «devono considerarsi giudiziali anche quelle attività stragiudiziali che, essendo strettamente dipendenti dal mandato alla difesa, vanno considerate strumentali o complementari alle prestazioni giudiziali, cioè di quelle attività che siano svolte in esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentanza e la difesa in giudizio (e sulla base di tale presupposto è stato riconosciuto dovuto il compenso per l’assistenza e l’attività svolta dal difensore per la transazione della controversia instaurata dal medesimo)».

 

2. La rivisitazione dell’orientamento tradizionale alla luce della disciplina di origine comunitaria

Parte della dottrina[4] aveva criticato la premessa, dalla quale muoveva la succitata ricostruzione, della qualificazione come giudiziale della prestazione stragiudiziale del difensore, con conseguente suo assoggettamento alla copertura economica pubblica assicurata ai non abbienti, sulla base dall’esistenza di un mandato ad agire, se non addirittura dell’instaurazione di un processo giurisdizionale sulla stessa controversia.

Un altro autore[5], già prima dell’entrata in vigore del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. decreto del “fare”) convertito con modificazioni nella L. 9 agosto 2013, n. 98[6], aveva osservato che le conclusioni alle quali era giunta la Suprema Corte andavano coordinate con le fattispecie di mediazione obbligatoria di cui all’art. 5 del D Lgs. 28 marzo 2010, n. 28. In tali casi, infatti, la fase stragiudiziale è strumentale, per utilizzare le parole di Cass. n. 24723/2011, alla prestazione giudiziale, e quindi rientra a pieno titolo nella previsione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 115/2002.

Tali considerazioni meritano piena condivisione ma ad esse va aggiunto che nei casi di mediazione obbligatoria, sempre volendo porsi nella prospettiva della pronuncia sopra citata, la mediazione si svolge, necessariamente, dopo che il difensore ha ottenuto il mandato alle liti e ha anche fornito al proprio cliente l’informativa scritta di cui all’art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 28/2010.

Le medesime caratteristiche (strumentalità rispetto al giudizio ed esistenza di una procura nei confronti del difensore) poi si riscontrano vieppiù nella mediazione demandata o delegata dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D. Lgs. 28/2010, che costituisce una fase incidentale del giudizio, attivata su iniziativa del giudice, cosicché anche per essa può ammettersi a pieno titolo il patrocinio a spese dello Stato.

L’interpretazione qui proposta trova ulteriore conforto nella disciplina speciale contenuta nel D.Lgs.27 maggio 2005, n. 116 che ha recepito in Italia la direttiva Ue 2003/8, intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere, invero solo civili, attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato.

L’art. 10 di tale testo normativo stabilisce infatti che «Il patrocinio è, altresì, esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni previste dal presente decreto, qualora l’uso di tali mezzi sia previsto come obbligatorio dalla legge ovvero qualora il giudice vi abbia rinviato le parti in causa».

Non vi è motivo, a parere dello scrivente, per limitare tale previsione, che si attaglia perfettamente alla mediazione obbligatoria e a quella demandata dal giudice, alle sole controversie transfrontaliere, atteso che tale soluzione determinerebbe una disparità di trattamento per situazioni sostanzialmente identiche.

Nel D.Lgs. n. 116/2005 è poi presente un’altra norma, l’art. 6, comma 2, che stabilisce che è possibile ottenere il patrocinio a spese dello Stato anche per la «consulenza legale nella fase conciliativa pre - contenziosa al fine di giungere a una soluzione prima di intentare un’azione legale» e questa ulteriore previsione ricomprende la mediazione volontaria, in quanto anch’essa è finalizzata ad evitare un possibile contenzioso.

Non è difficile cogliere in queste norme di matrice comunitaria l’influenza di ordinamenti come quello inglese e francese che prevedono forme diverse di consulenza gratuita stragiudiziale sul presupposto, difficilmente contestabile, che essa consiste nella prima forma di assistenza legale e che favorendola si previene il contenzioso.

Per tutte le ragioni fin qui dette non convince l’idea, espressa nella sentenza sopra citata, che la qualificazione della attività difensiva come giudiziale o stragiudiziale possa dipendere dal dato formale dall’avere il difensore ricevuto o meno il mandato alle liti, anziché da quello sostanziale della sua concreta funzione.

Sembra porsi proprio in questa diversa prospettiva una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite civili[7], resa a seguito del ricorso per cassazione di un avvocato avverso una pronuncia disciplinare adottata dal C.n.f. nei suoi confronti, nella quale la Suprema Corte ha condiviso il principio che il C.n.f. aveva posto a fondamento della decisione e secondo il quale «ove si tratti di attività professionale svolta in vista della successiva azione giudiziaria, essa deve essere ricompresa nell’azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato: sicché in relazione ad essa il professionista non può chiedere il compenso al cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato».


3. Natura dell’assistenza difensiva nella fase di mediazione

Sebbene qualche autore[8] abbia sostenuto il contrario non può dubitarsi che, a seguito delle modifiche introdotte alD.lgs. n. 28/2010 ad opera dell’art. 84 del d.l. 21 giugno 2013, n.69, l’assistenza difensiva sia divenuta obbligatoria[9], fin dal primo incontro, perlomeno nei casi in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale[10], ivi compresi quindi quelli di mediazione demandata dal giudice,

Il disposto normativo risulta quanto mai chiaro sul punto. Infatti l’art. 3, comma 1 bis, del decreto prevede che “Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di…  è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto…”

Il comma 2, nel disciplinare la mediazione demandata dal giudice, richiama espressamente il comma 1 bis, cosicchè, anche nel caso in cui si dia ingresso a tale incidente, rimane l’obbligo per le parti di farsi assistere da un difensore.

Il riferimento, presente nell’art. 8 comma 1 del decreto, all’avvocato, oltre che alla parte quale interlocutore del mediatore non fa poi che confermare la necessità della sua presenza. 

In questo mutato contesto normativo è facile prevedere che le domande di ammissione al patrocinio a spese dello Stato riguarderanno anche l’attività da svolgersi nel procedimento (rectius fase) di mediazione, cosicchè si riproporranno, in modo assai più urgente, le questioni fin qui esposte.

Se questa è la prospettiva in cui occorre porsi, va segnalato che le succitate modifiche, al pari di quella che, in palese controtendenza rispetto alla scelta originaria del legislatore[11], ha introdotto criteri determinativi della competenza per territorio dell’organismo della mediazione analoghi a quelli del giudizio[12], consente di fornire una interpretazione diversa della norma che, nella ricostruzione tradizionale, è stata indicata come uno degli ostacoli alla estensione dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato all’attività stragiudiziale.

Con esse è infatti indubbiamente aumentata la c.d. giurisdizionalizzazione del procedimento di mediazione cosicchè, allorquando esso abbia carattere obbligatorio e non sfoci in una conciliazione ma sia seguito dall’inizio o dalla prosecuzione del giudizio, è possibile considerarlo a pieno titolo una “fase del processo” o anche una delle “eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse” alle quali fa riferimento l’art. 75, comma 1, del d.P.R. n. 115/2002, nei casi in cui

A conforto di questa interpretazione va anche evidenziato come il considerando 13 della direttiva Ce 2008/52, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, affermi che la mediazione «dovrebbe essere un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento» cosicché, secondo tale definizione, potrebbe rientrare negli affari di volontaria giurisdizione di cui all’art. 74, comma 2, del d.P.R. n. 115/2002.

 

4. Modalità per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per la fase di mediazione

Se si condividono le conclusioni alle quali si è giunti nel precedente paragrafo risulta evidente che l’assistenza difensiva svolta in fase di mediazione è coperta dal provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottato dal competente consiglio dell’ordine degli avvocati anche qualora la mediazione dovesse aver luogo non già nella pendenza del giudizio, del quale costituisca condizione di procedibilità, ma prima di esso. E’ opportuno infatti chiarire che in questa ipotesi la parte non abbiente presenterà al consiglio dell’ordine degli avvocati competente l’istanza di ammissione solo dopo la conclusione negativa della mediazione ma gli effetti del provvedimento di ammissione retroagiranno alla fase pregiudiziale. La Corte di Cassazione[13] ha infatti statuito che il condizionare gli effetti della delibera di ammissione alla sua data di emissione porterebbe a pregiudicare illogicamente i diritti dell’istante per un fatto ad esso non addebitabile e tale principio ben può essere esteso anche al caso in esame. Ragionando in tal modo si evita al non abbiente il compimento di una attività che risulterebbe inutile qualora la mediazione dovesse sortire un esito conciliativo. Non osta allepredette conclusioni la constatazione che l’art. 17, comma 5 bis, secondo periodo, del D. Lgs. 28/2010, inserito dal d.l. 21 giugno 2013, n. 69 che prevede che,quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell'articolo 5, comma 2, la parte che si trova nella condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per sottrarsi all’obbligo di corrispondere l’indennità spettante al mediatore è tenuta a depositare presso l'organismo apposita dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo mediatore, nonché a produrre, a pena di inammissibilità, se l'organismo lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato”.

Questa previsione riguarda infatti il solo rapporto tra parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato e organismo di mediazione presso il quale si svolga la fase di mediazione mentre per quanto attiene alla attività difensiva vale la disciplina sopra citata.

Non si ravvisano poi nemmeno difficoltà ad applicare, nelle ipotesi di mediazione, le norme (artt. 79 e 122 del d.P.R. n. 115/2002) che fissano i requisiti di contenuto dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, tenuto conto che non può considerarsi ad essa equivalente l’istanza di mediazione (prevista dall’art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 28/2010), poiché quest’ultima non deve contenere gli elementi richiesti dalle disposizioni sopra citate, essendo sufficiente che vi si indichino le “ragioni della domanda”. Nel caso in cui il giudizio sia pendente sarà infatti anche agevole inserire nell’istanza le richieste di prova che si intendono avanzare in esso o che siano già state avanzate, qualora si versi in una ipotesi di mediazione delegata.

Una volta concluso il giudizio sarà il giudice procedente a liquidare il compenso spettante al difensore che abbia assistito la parte ammessa al patrocinio nella fase di mediazione, in conformità al disposto dell’art. 83, comma 2, del d.P.R. n. 115/2002.

 

5. Criteri di determinazione del compenso per l’attività difensiva svolta in mediazione

Il regolamento 10 marzo 2014 n. 55 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247) a differenza dello schema di regolamento del 3 dicembre 2012 non contiene una disposizione riguardante i parametri per l’attività difensiva svolta in mediazione.

In esso è presente invece l’art. 20 che dispone, testualmente, che: “L’attività stragiudiziale svolta prima o in concomitanza con l’attività giudiziale, che riveste una autonoma rilevanza rispetto a quest’ultima, è di regola liquidata in base ai parametri numerici di cui all’allegata tabella)”.

La norma implica quindi che vi sia anche una attività stragiudiziale che non ha autonoma rilevanza rispetto a quella giudiziale, sebbene non la definisca, e nemmeno nella relazione governativa al d.m. 55/2014 si rinvengono elementi utili ad individuarla.

A me pare in realtà che tale attività sia individuabile in quella che sia stata svolta in una fase di mediazione obbligatoria che non si sia conclusa con una conciliazione ma si sia tradotta in un giudizio, atteso che in questi casi, riprendendo le indicazioni della Suprema Corte, espresse nelle sentenze richiamate nel paragrafo 1, l’attività è stata strettamente funzionale a quella giudiziale.

In questi casi quindi l’attività difensiva va retribuita come attività giudiziale, con la precisazione che, nella maggior parte dei casi,essa dovrebbe ridursi alla partecipazione al primo incontro davanti al mediatore, cosicchè l’entità del compenso da riconoscere al difensore sarebbe alquanto contenuta.

Non pare di ostacolo a tale conclusione la constatazione che questo tipo di assistenza non è contemplata tra quelle elencate dall’art. 4, comma 5, del d,.m. 55/2014 atteso che nemmeno la partecipazione ad un tentativo di conciliazione giudiziale viene considerata dal regolamento ma è indubbio che essa dia diritto ad un compenso,da determinarsi assimilando la partecipazione del difensore alle sedute davanti al mediatore a quella alle udienze istruttorie (prevista dall’art. 4, comma 5,lett. c). del d.m.55/2014) in virtù del criterio  analogico fissato dall’art. 3 del regolamento. La stessa soluzione può ritenersi allora valida per l’assistenza difensiva prestata nella fase di mediazione obbligatoria.

A conforto di tale conclusione va evidenziato come il d,m. 8 aprile 2004 n. 127 (tariffa forense) all’art. 2.2. riconosceva espressamente la possibilità del ricorso all’analogia per determinare il corrispettivo per le prestazioni stragiudiziali che non trovassero adeguato compenso nella tariffa per prestazioni giudiziali poichè stabiliva che per le prestazioni analoghe a quelle previste in materia giudiziale si applicassero gli onorari di avvocato stabiliti dalle tariffe giudiziali civili.

Per concludere sul punto sia consentito evidenziare come l’interpretazione qui proposta consente di evitare un agevole rilievo di incostituzionalità dell’attuale disciplina per contrasto con l’art. 24 Cost., perché essa non consentirebbe alla parte che fosse in condizioni di essere ammessa al patrocinio a spese dello stato di godere di tale beneficio per l’attività difensiva di cui è tenuta ad avvalersi nel corso della mediazione.

 

6. La disciplina specifica delle spese per la fase di mediazione

È opportuno precisare che, per quanto riguarda la regolamentazione delle spese vive sostenute dalla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato nella fase di mediazione, il regime è parzialmente diverso da quello sopra descritto, dovendo trovare applicazione la disciplina specifica che si rinviene nel D.Lgs. n. 28/2010, come modificato dal d.l. 21 giugno 2013, n. 69.

Quest’ultimo testo normativo ha infatti inserito nell’art. 17, un comma 5 bis, che, al primo periodo, prevede che, non solo per il caso in cui la mediazione sia condizione di procedibilità della domanda (era già così nel testo anteriore) ma anche per la mediazione disposta dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 2, all’organismo di mediazione non è dovuta nessuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Devono poi ritenersi tuttora valide, per le suddette ipotesi di mediazione, le indicazioni che il Ministero della Giustizia aveva dato, con riguardo alla sola mediazione obbligatoria, con la circolare 20 dicembre 2011[14] ossia che:

- nel caso in cui sussistano i presupposti previsti, l’organismo di mediazione è tenuto a fornire il servizio di mediazione senza diritto ad alcun compenso;

- l’organismo di mediazione non potrà richiedere il pagamento del compenso nei confronti dell’erario o dell’amministrazione in generale.

La circolare succitata precisa anche che nel termine indennità è inclusa, oltre alla voce compenso, quella delle spese di avvio o di segreteria, cosicchè la parte non abbiente è esonerata anche dal pagamento di queste.   

Occorre peraltro chiarire che tali disposizioni trovano applicazione solo nel caso in cui la mediazione non prosegua oltre il primo incontro poiché qualora si arresti ad esso occorre fa riferimento al comma 5 ter sempre dell’art. 17 che prevede che nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.

La circolare del ministero della giustizia del 27 novembre 2013,al fine di giustificare tale disposizione,ha chiarito che “non essendosi svolta vera e propria “attività di mediazione” non si potrà richiedere un compenso che attenga, appunto, ad una attività eventuale e successiva che avrà modo di essere esercitata solo se le parti intendano procedere oltre”.

Infine è opportuno svolgere qualche considerazione a proposito della possibilità per il professionista di ottenere il rimborso forfetario delle spese sostenute nella fase di mediazione nel caso in cui questa non si concluda con una conciliazione.

In caso di condanna alle spese o di compensazione delle stesse potrà ottenerne l’anticipazione dallo Stato a condizione che, se la prestazione si è conclusa sotto la vigenza del d.m.140/2012, fornisca prova di esse. Non potrà invece richiederne l’esborso al proprio assistito, in virtù di un accordo con esso, stante il divieto posto dell’art. 85 d.P.R. 115/2002[15].

A diversa conclusione si giunge con riguardo ai casi in cui l’attività di mediazione si sia svolta in tutto o in parte nella vigenza del d.m. 55/2014. Rispetto ad essi occorre infatti tenere presente che  l’art. 13, comma 10, della legge 247/2012, e quindi norma primaria, ha previsto che: “Oltre al compenso per la prestazione professionale, all'avvocato è dovuta, sia dal cliente in caso di determinazione contrattuale, sia in sede di liquidazione giudiziale, oltre al rimborso delle spese effettivamente sostenute e di tutti gli oneri e contributi eventualmente anticipati nell'interesse del cliente, una somma per il rimborso delle spese forfetarie, la cui misura massima è determinata dal decreto di cui al comma 6, unitamente ai criteri di determinazione e documentazione delle spese vive” (sottolineatura dello scrivente). A sua volta l’art. 2, comma 2 del d.m. 55/2014 ha stabilito che all’avvocato “è dovuta — in ogni caso ed anche in caso di determinazione contrattuale — una somma per rimborso spese forfettarie di regola nella misura del 15 per cento del compenso”.

Nella relazione illustrativa al d.m. 55/2014 si legge che la individuazione nella misura del 15 % del rimborso forfetario è il frutto del recepimento del parere espresso dalla commissione giustizia della camera e che essa, testualmente, “dà attuazione all’art. 13 comma 10 della legge 247/2012 che rimette proprio al d.m. la determinazione della misura massima del rimborso forfetario”. Pertanto secondo il regolamento, ma anche secondo la legge, la misura del 15 % è la misura massima riconoscibile al difensore. Il che significa che l’entità del rimborso forfetario può variare dall’1 % al 15 %.

A fronte di tali dati normativi, la precisazione da parte dell’art. 2, comma 2, del d.m. 55/2014 che il riconoscimento della percentuale del 15 % deve avvenire “di regola” non vale ad individuare una importo massimo vincolante per il giudice, atteso che la legge, norma sovraordinata al regolamento ministeriale, non prevede un simile vincolo (si noti peraltro che tale espressione è utilizzata dal regolamento anche con riguardo agli aumenti o alle diminuizioni apportabili ai valori medi di liquidazione dei compensi).

 

7. Il dubbio sulla copertura finanziaria

L’art. 85 comma 4 del d.l. 69/2013 stabilisce che “Dalle disposizioni di cui ai Capi IV, V, VI, VII e VIII del titolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. 

La previsione può far sorgere il dubbio che le norme che hanno introdotto l’assistenza difensiva obbligatoria in fase di mediazione possano aver comportato la violazione del predetto limite. In realtà l’obiezione è facilmente superabile osservando che l’onere è solo eventuale, poiché può sorgere solo se la mediazione obbligatoria non abbia avuto un esito conciliativo, e piuttosto limitato perché, nella maggior parte dei casi, riguarda una attività che è ridotta alla partecipazione al primo incontro di mediazione.

Ulteriore elemento di imponderabilità è dato dall’entità degli importi che possano essere liquidati, dal numero delle ammissioni a patrocinio, dall’andamento delle cause e dal loro l’esito, atteso che, nel caso in cui la parte ammessa al patrocinio sia soccombente, lo Stato non è tenuto a farsi carico dell’onere del pagamento del compenso al difensore di essa. Infatti la Suprema Corte[16] ha affermato che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non comporta la responsabilità dello Stato per la rifusione delle spese di liquidate carico del soggetto ammesso al beneficio e a favore di altre parti del processo.



[1] L’attuale limite reddituale per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è di euro € 10.766,33, secondo l’ultimo aggiornamento operato con il D.M. Giustizia 2 luglio 2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 25 ottobre 2012, n. 250, che ha modificato, in esecuzione dell’art. 77 del d.P.R. l’art. 76, comma 1, adeguando l’importo alla variazione, accertata dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nel biennio precedente (il precedente limite era di 10.628,16 euro).

[2] Tribunale di Torino 17 febbraio 2006, leggibile su www.overlex.com, che aveva escluso, con riguardo ad una transazione stragiudiziale, la possibilità di ammissione al patrocinio.

[3] Cass., sez. II, 23 novembre 2011, n. 24723, in www.altalex.com. In precedenza lo stesso principio era stato affermato da Cass., sez. II, 4 dicembre 2009, n. 25675, in www.altalex.com.

[4] A. Bertoldini e L. Morello, La Cassazione nega l’ammissione al patrocinio a carico dello stato per le prestazioni stragiudiziali: dubbi di legittimità sul piano costituzionale, amministrativo e comunitario, nota a Cass. 23 novembre 2011, n. 24723, in Foro Amm.vo C.d.S., 2012, I, 35 ss.

[5] F.P. Luiso, Orientamenti giurisprudenziali sul patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, p. 3, in www.judicium.it.

[6] La legge citata nel testo ha reintrodotto, con alcune significative modifiche, le norme del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 dichiarate incostituzionali dalla sentenza 6 dicembre 2012, n. 272. Quanto alla data di entrata in vigore della nuova disciplina in tema di mediazione occorre precisare che, in base al comma 2 dell’art. 84 d.l. n. 69/2013 (conv. in legge dall’art. 1, comma 1, l. n. 98/2013), essa si applica «decorsi trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione» del decreto. Orbene, poiché la legge di conversione è entrata in vigore il 21 agosto 2013 (ex art. 1, comma 3, legge n. 98/2013: «la presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale»), le modifiche in materia di mediazione sono vigenti dal 21 settembre 2013.

[7] Sentenza 18 dicembre 2012 - 19 aprile 2013, n. 9529, inwww.altalex.com.

[8] M.G. Civinini, Questioni controverse in tema di mediazione, in Questione giustizia, n. del 15 maggio 2014.

[9] La scelta può giudicarsi più che opportuna doverosa, dal momento che la parte nel corso della mediazione è chiamata ad effettuare diverse scelte che hanno delle precise conseguenze sul processo. Basti pensare a quella di non comparire davanti al mediatore (art. 8 d. lgs. 28/2010) o a quella di non accettare la proposta conciliativa dello stesso (art. 13 D. Lgs. 28/2010).

[10] La questione è invece controversa con riguardo alla mediazione volontaria. Nella circolare del 6 dicembre 2013 (leggibile in www.cnf.it) il Cnf ha sostenuto che l’obbligo di difesa tecnica valga anche nella mediazione volontaria mentre nella circolare del 27 novembre 2013 il Ministero della Giustizia lo ha limitato ai casi di mediazione obbligatoria senza peraltro precisare se si tratti dei casi di mediazione obbligatoria ex lege o anche delle ipotesi di mediazione obbligatoria ex contractu.

[11] Nella relazione al D.Lgs. n. 28/2010 si leggeva, con riguardo all’art. 4 che «deliberatamente, non si stabilisce un criterio di competenza in senso proprio, così da evitare una impropria giurisdizionalizzazione della sequenza che avrebbe alimentato contrasti e imposto criteri per la risoluzione dei conflitti». Sulle questioni conseguenti alla introduzione di un criterio di competenza per territorio per gli organismi di mediazione sia consentito rinviare a- M. Vaccari, Il rebus della competenza per territorio degli organismi di mediazione: una proposta di soluzione,in www.judicium.it. 

[12] Si tratta della modifica dell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 che risulta ora del seguente tenore: «la domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell’istanza».

[13] Cass. 23 novembre 2011 n.24729

[14] Leggibile in www.altalex.com.

[15] La norma citata nel testo stabilisce che: “Il difensore, l’ausiliario del magistrato e il consulente tecnico di parte non possono chiedere e percepire dal proprio assistito compensi o rimborsi a qualunque titolo, diversi da quelli previsti dalla presente parte del testo unico”. 

[16] Cass. Civ. 19 giugno 2012 n.10053; per una commento alla pronuncia si veda M. Gozzi, Patrocinio a spese dello Stato e rifusione delle spese, in Riv. Dir. Proc. 2013 pp. 494-502. 


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