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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 17/06/2014 Scarica PDF

La mora e l'usura: criteri di verifica

Roberto Marcelli, Consulente Finanziario


Sommario: 1. Introduzione: gli interessi di mora e la soglia d’usura; 2. La somma del tasso corrispettivo e di mora: un’emerita sciocchezza; 3. La mora e l’applicazione dell’art. 1815 c.c.; 4. La mora: una modifica del piano di ammortamento; 5. La mora e il rendimento effettivo del credito; 6. Sintesi e conclusioni.


     

1. Introduzione: gli interessi di mora e la soglia d’usura

Si è a lungo dibattuto sull’applicazione dei limiti d’usura agli interessi moratori: la loro funzione sanzionatoria e risarcitoria, che li distingue dagli interessi corrispettivi aventi prettamente una funzione remunerativa, indurrebbe ad una esclusione degli stessi dal rispetto delle soglie. Tanto più che altri rimedi (artt. 1344 e 1384 c.c.) presidiano un equilibrato bilanciamento degli impegni assunti dal mutuatario.

Non si può tuttavia trascurare la funzione anche remunerativa che accosta gli interessi di mora agli interessi corrispettivi[1]. Inoltre, ancorché ai primi – tramite una maggiorazione sul tasso corrispettivo spesso distintamente esplicitata in contratto – venga dall’ordinamento assegnata una funzione sanzionatoria all’inadempimento del debitore, ciò non di meno, come stabilisce la Cassazione n. 5286/00, il ritardo colpevole non può giustificare un’obbligazione eccessivamente onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge.

La mora non rientra nell’ambito fisiologico dell’operazione di finanziamento, avendo un carattere eventuale e straordinario. Ma la legge 108/96 è volta ad assicurare una copertura completa dall’usura, estesa in ogni direzione, dai costi immediati a quelli procrastinati, da quelli ricorrenti a quelli occasionali.

E’ ormai da tempo assodato che anche gli interessi di mora, ancorché non concorrano a determinare il TEGM, sono soggetti al rispetto delle soglie d’usura[2].

Il principio è stato più recentemente ribadito dalla Cassazione Sez. I, n. 350/13 che – nel ritenere fondata, nella circostanza di un mutuo, la censura del calcolo del tasso pattuito in raffronto al tasso soglia senza tener conto della maggiorazione di tre punti a titolo di mora – ha precisato che, “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c. comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalle legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori.”.

 

2. La somma del tasso corrispettivo e di mora: un’emerita sciocchezza

Recentemente numerose azioni legali sono state fondate sull’accertamento del debordo delle soglie d’usura riveniente dalla somma del tasso corrispettivo e del tasso di mora.

Se si somma il tasso corrispettivo al tasso di mora si incorre in un banale errore, computando due volte il tasso corrispettivo:

 

Tasso corrispettivo

+

Maggiorazione

=

Tasso di mora

da cui discende:

 

Tasso corrispettivo

+

Tasso di mora

=

2 x

Tasso  corrispettivo

+

Maggiorazione

 

Dall’enunciato della menzionata sentenza non si può certo inferire che, nella verifica dell’usura per i mutui, si debba procedere a sommare l’interesse corrispettivo all’interesse di mora: l’operazione risulta del tutto priva di fondamento logico, matematico e giuridico. La circostanza che spesso il tasso di mora è espresso come maggiorazione del tasso corrispettivo pattuito, può avere ingenerato, in persone sprovviste di cultura finanziaria, la confusione[3]: nel caso esaminato dalla Cassazione n. 350/13 il tasso corrispettivo era pari al 10,50% ed il tasso di mora era collocato tre punti sopra (13,50%). Non è il tasso di mora che va sommato al tasso corrispettivo, bensì é la maggiorazione che va sommata al tasso corrispettivo per ottenere il tasso di mora. Non avrebbe alcun senso considerare, ai fini della verifica del tasso soglia, il tasso del 24% (10,50% + 13,50%); i due tassi si succedono, non si sommano: a seguito dell’inadempimento non si realizza alcun cumulo, sono dovuti solo gli interessi di mora.

In un’Ordinanza del Tribunale di Milano (L. Cosentini, 28/1/14, in Ex Parte Creditoris) si chiarisce: “la circostanza che poi, nella fattispecie all’esame della Corte, il tasso di mora fosse stato pattuito in termini di maggiorazione percentuale del tasso corrispettivo (pattuitamente individuato aumentando di 3 punti percentuali il tasso corrispettivo del 10,50%, da cui un tasso di mora del 13,50%, oltre la soglia del 12,43% rilevata all’epoca della pattuizione), non equivale di certo ad affermare che tasso corrispettivo e tasso di mora vadano comunque e sempre cumulati, al fine della verifica del rispetto del tasso soglia, essendo palese che la maggiorazione cui si riferisce la Corte riguardava unicamente la modalità di pattuizione di quel tasso di mora che, così calcolato, risultava usurario (tanto è vero che non era posto in discussione il tasso corrispettivo accertato dal giudice di merito, né la sua debenza, ma unicamente il tasso di mora, (…)

Nel mutuo il mancato pagamento di una rata fa decorrere gli interessi di mora i quali si sostituiscono (senza capitalizzazione alcuna) agli interessi corrispettivi all’atto della scadenza della rata stessa, mentre il residuo capitale mutuato, se non interviene una causa di risoluzione o di decadenza dal beneficio del termine[4], prosegue con la produzione degli interessi corrispettivi secondo il piano di ammortamento stabilito. Nei finanziamenti a scadenza come nel credito in conto la mora, se contrattualmente prevista, decorre alla scadenza sull’intero capitale.

La somma dei due tassi risulta, come detto, logicamente scorretta: il primo tasso, quello corrispettivo, è riferito all’intero capitale di credito e copre il periodo contrattualmente previsto per il finanziamento, il secondo, quello di mora, è riferito alla rata scaduta e/o al capitale scaduto ed è dovuto per il periodo successivo alla scadenza degli stessi[5]. Di tal che l’applicazione del tasso di mora non si cumula con il tasso corrispettivo, risultando il primo ‘sostitutivo’ del secondo, dal momento della scadenza della rata o del capitale rimasti impagati.

Plurime decisioni sono dovute intervenire ad acclarare l’inconsistenza giuridica della somma dei due tassi, l’ABF nel Collegio di Napoli (n. 5877/2013 e n. 21/2014) e nel Collegio di Coordinamento (19/3/14)[6], nonché i tribunali di Trani, Brescia, Napoli, Verona e Treviso[7], oltre al menzionato Tribunale di Milano.

Considerata l’assoluta inconsistenza tecnico-giuridica della tesi della somma dei due tassi, si possono ravvisare nelle seriali azioni legali, avviate da taluni studi di ‘millantata professionalità, le circostanze di ‘lite temeraria’[8].

 

3. La mora e l’applicazione dell’art. 1815 c.c.

La sentenza della Cassazione, nel ribadire l’assoggettabilità della mora alle soglie d’usura, non dirime le incertezze che insorgono sull’applicazione dell’art. 1815 c.c.. L’articolo in parola prevede: ‘Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi’.

Con la modifica dell’art. 1815 c.c. ad opera della legge 108/96 si è voluto porre un più stringente presidio all’usura, sanzionando in maniera incisiva la pattuizione di interessi usurari, senza distinzione alcuna fra interessi corrispettivi e interessi di mora. Il 2° comma dell’art. 1815 c.c. fa discendere dall’usurarietà degli interessi due riflessi: la nullità della clausola con cui sono previsti interessi usurari e, in deroga all’art. 1282 c.c., la non debenza di alcun interesse. Escludendo la nullità dell’intero contratto si è voluto tutelare il mutuatario dalla restituzione immediata del capitale.

L’art. 1815 c.c. va tuttavia coordinato con l’art. 1419 c.c. che al 2° comma prevede: “La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative.”. Si pone il problema se l’art. 1815 c.c. estenda la deroga all’art. 1282 c.c. a tutti gli interessi previsti dal contratto o se, invece, la non debenza degli interessi è circoscritta alla clausola nulla relativa agli interessi di mora. 

Dal riferimento indifferenziato dell’art. 1815 c.c. agli interessi, senza alcuna distinzione della relativa natura, la Corte d’Appello di Venezia fa discendere l’applicazione della sanzione prevista a tutti gli interessi, sia corrispettivi che moratori: “L’art. 1815, comma 2°, c.c. esprime un principio giuridico valido per tutte le obbligazioni pecuniarie e a seguito della revisione legislativa operata dall’art. 4 della legge 7/3/96 n. 108 e dalla legge 28/2/01, n. 24 – di conversione del D.L. 29/12/00 n. 394 – esso prevede la conversione forzosa del mutuo usurario in mutuo gratuito, in ossequio all’esigenza di maggiore tutela del debitore e ad una visione unitaria della fattispecie, connotata dall’abbandono del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del debitore, a favore del limite oggettivo della ‘soglia’ di cui all’art 2, IV comma, della stessa legge n. 108/96 (…). Diversamente da quanto dedotto nella motivazione della sentenza impugnata, la sanzione così stabilita dell’abbattimento del tasso di interesse applicabile si applica a qualunque somma fosse dovuta a titolo di interesse, legale o convenzionale, sia agli interessi corrispettivi che agli interessi moratori, con la sola esclusione del caso in cui i rapporti contrattuali presupposti dall’applicazione degli interessi fossero già esauriti alla data dell’entrata in vigore della legge n. 108/96 (cfr. Cass. Civ., n. 5324/2003).”[9].

Secondo un diverso orientamento, rilevando la pattuizione degli interessi di mora come clausola distinta dagli interessi corrispettivi, la nullità della prima non coinvolgerebbe la clausola degli interessi corrispettivi. In questo senso il Tribunale di Milano, in presenza di un tasso di mora debordante la soglia d’usura, ha circoscritto la sanzione prevista dall’art. 1815 c.c. esclusivamente agli interessi di mora: “nel condividersi il principio affermato dalla Corte secondo cui la verifica del rispetto del tasso soglia va estesa alla pattuizione del tasso di mora, ne consegue che, ove detto tasso risultasse pattuito in termini da superare il tasso soglia rilevato all’epoca della stipulazione del contratto, la pattuizione del tasso mora sarebbe nulla, ex art. 1815 comma 2 c.c. (e quindi non applicabile), con l’effetto che, in caso di ritardo o inadempimento, non potrebbero essere applicati interessi di mora, ma sarebbero unicamente dovuti i soli interessi corrispettivi (ove pattuiti nel rispetto del tasso soglia); (…) la circostanza che il tasso di mora nominale sia oggetto di autonoma verifica di rispetto del tasso soglia, trova ragione nella sua autonoma e distinta funzione quale penalità per il ritardato adempimento, fatto imputabile al mutuatario e solo eventuale, la cui incidenza va rapportata al protrarsi e all’entità dell’inadempienza. (Ordinanza del Tribunale di Milano, L. Cosentini, 28/1/14, in Ex Parte Creditoris)[10].

Le due pronunce riportate assumono posizioni poste agli estremi. Assai più debole appare la portata sanzionatoria dell’art. 1815, comma 2 c.c. nell’ordinanza del Tribunale di Milano. Secondo il giudice meneghino la nullità del tasso moratorio non travolge il tasso corrispettivo, che sarà sempre dovuto sulle rate a scadenza[11]. La non debenza degli interessi, prevista dall’art. 1815 c.c., per il Tribunale di Milano rimane circoscritta alla clausola nulla relativa alla mora.

Nell’ordinanza tuttavia si afferma da un lato l’autonomia della clausola moratoria che rimane nulla in presenza dell’usura, dall’altro non si rinuncia a riportare i conteggi dell’usura all’intero negozio, complessivamente considerato, individuando da un lato il capitale a credito e dall’altro quanto complessivamente richiesto a qualunque titolo per tale capitale[12]. In altri termini, la verifica dell’usura non viene effettuata rapportando gli interessi di mora alla rata scaduta, considerando la rata scaduta una distinta obbligazione a se stante, ma si considera unitariamente l’intero finanziamento con i costi rivenienti sia dagli interessi corrispettivi che dagli interessi di mora. In questo senso, nella verifica dell’usura, gli interessi corrispettivi si sommano agli interessi di mora, concetto distinto e diverso dalla semplice somma dei due tassi.

 

4. La mora: una modifica del piano di ammortamento

La previsione della mora, ad un tasso generalmente superiore al tasso corrispettivo, ha la funzione di presidiare il rispetto dei termini contrattuali: la presenza di una penale disincentiva comportamenti opportunistici di inadempimento o trascinamento nel tempo dei pagamenti della rata e/o del capitale a scadenza. Se non vi fosse questa penale, e ancor più se anziché una penale derivasse al mutuatario, dalla rata impagata, un minor costo del finanziamento, si determinerebbero elementi di incertezza e distorsione con ripercussioni di indubbio rilievo sulla funzionalità ed efficienza del mercato e, di riflesso, sul costo stesso del credito.

Se la mora assolve un significativo ruolo nella funzionalità del mercato, non può tuttavia divenire il pretesto per imputare, nel caso di insolvenza della rata e/o del capitale a scadenza, un’eccessiva onerosità al mutuatario, tanto più se quest’ultimo si trova in una imprevista situazione di difficoltà economico-finanziaria, eventualità non attentamente considerata e valutata sia dal richiedente sia dall’intermediario nella valutazione dell’iniziativa finanziata.

Per evitare comportamenti opportunistici sia da un lato che dall’altro, è opportuna la presenza di una congrua penale che tuttavia, quale che sia la possibile evoluzione che subisce il piano di rimborso del finanziamento a seguito delle vicende economiche del mutuatario, non pervenga mai a debordare la soglia d’usura.

Per impostare correttamente il problema della verifica dell’usura e individuare la correlata non debenza degli interessi prevista dall’art. 1815 c.c., coordinata con l’art. 1419 c.c., occorre considerare che l’art. 644 c.p. coglie il momento della pattuizione ed è riferito al credito erogato. Di riflesso la verifica dell’usura viene effettuata con riferimento alle condizioni contrattuali e all’entità del credito erogato disposte inizialmente; alla scadenza, nella rata rimasta impagata, non si configura alcuna nuova pattuizione né alcuna erogazione. Il D.L. 394/00 di interpretazione della legge 108/96 riporta chiaramente: “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, 2° comma, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualsiasi titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

Ne deriva che gli interessi di mora non possono essere enucleati e rapportati all’importo eventualmente insoluto, ma congiuntamente agli interessi corrispettivi vanno riferiti al capitale di credito previsto contrattualmente, secondo il piano di ammortamento che risulta modificato dall’eventuale inadempimento della rata o del capitale a scadenza.

Nella verifica dell’usura, con riferimento al capitale pattuito ed erogato occorre calcolare il tasso effettivo annuale, richiamato espressamente dalla legge 108/96, sia nella più ricorrente eventualità di un corretto rispetto delle scadenze contrattuali, sia nelle eventualità in cui si attivano le condizioni sospensive previste in contratto. La mora, pur essendo riferita alla rata scaduta, va comunque ricompresa nella complessiva verifica dell’usura del credito concesso: nell’evento di morosità la rata scaduta e impagata non configura una nuova erogazione, ma più semplicemente una modifica del piano di rimborso, a condizioni di tasso modificate.

Per qualsiasi finanziamento il parametro che più compiutamente esprime il costo per il mutuatario e il ricavo per il mutuante è il rendimento effettivo annuo. Con tale parametro viene usualmente misurato dall’intermediario il costo della provvista. Allo stesso parametro sono riferite sia la soglia d’usura nei termini e modalità fissati dalla legge 108/96, sia le corrispondenti ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia per la rilevazione del tasso medio di mercato.

La ricorrente previsione nei finanziamenti del rendimento effettivo annuo – che incorpora in sé il concetto di capitalizzazione composta – non solleva alcun problema di rispetto dell’art. 1283 c.c. (anatocismo). Una volta convenuto il tasso effettivo e determinato il piano di ammortamento in funzione dei parametri contrattuali (durata, periodicità delle rate, tipologia dell’ammortamento) risulta definito e trasparente quanto corrispondere a ciascuna scadenza a titolo di interesse e a titolo di capitale. Un rendimento effettivo del 10% su un finanziamento a due anni può essere corrisposto secondo diverse modalità di pagamento, ad esempio: a) 10% di interessi al 1° anno e 10% di interessi al 2° anno, oltre al rimborso del capitale; b) nessun interesse al 1° anno e 21% di interesse al 2° anno, oltre al rimborso del capitale. Non avrebbe alcun senso finanziario sostenere che il piano b) di rimborso è più oneroso; il punto in più riconosciuto negli interessi corrisponde alla maggiore disponibilità di capitale usufruita dal mutuatario, né la previsione dell’anatocismo implicita nel 21% contravviene all’art. 1283 c.c., né l’interesse corrispettivo al secondo anno contravviene all’art. 644 c.p..

La verifica dell’usura non può essere esperita sul rapporto fra interessi di mora e ammontare della rata scaduta ma va ricondotta al costo complessivo che il credito concesso subisce a seguito dell’eventuale morosità che possa intervenire in una o più rate e/o nel capitale a scadenza. Il tasso di mora non è un tasso effettivo, è un tasso semplice che integra il tasso corrispettivo, come riflesso del mutamento determinatosi nel piano di ammortamento.

Il debordo della soglia da parte del tasso di mora applicato alle rate e/o al capitale insoluto alla scadenza non comporta necessariamente un tasso effettivo annuo in usura. Si  determineranno circostanze di usurarietà pattizia se, per una delle possibili eventualità che comportano una modifica delle scadenze del piano di ammortamento convenuto, gli interessi di mora previsti in contratto, fondendosi agli interessi corrispettivi, condurranno ad un tasso annuo effettivo dell’intero prestito debordante la soglia vigente alla data di stipula del contratto.

La verifica va effettuata sulle condizioni convenute in contratto e riferita al tasso soglia del momento, sviluppando i calcoli sui possibili scenari nei quali si può evolvere il rapporto; tutto ciò che interviene successivamente, alle singole scadenze, a motivo dei mutamenti della soglia, attiene all’usura sopravvenuta per la quale assumono rilevanza criteri similari ma effetti diversi.

Ponendo il rispetto della soglia d’usura nei termini sopra illustrati, criterio sostanzialmente condiviso nella menzionata Ordinanza del Tribunale di Milano, ne risulta pregiudicata l’autonomia della clausola di mora: l’usurarietà viene a dipendere dall’intero costo del credito concesso, ivi compresi gli interessi corrispettivi.

 

5. La mora e il rendimento effettivo del credito

Teoricamente infiniti sono i piani di ammortamento che si possono prevedere per un medesimo tasso effettivo annuo. Con l’espresso riferimento a tale parametro la legge 108/96 riconosce allo stesso un valore sintetico ed esaustivo per la verifica dell’usura, indipendentemente dalle modalità e dai termini di pagamento, contemplati nel piano di ammortamento, che a tale valore conducono. Un diverso parametro di calcolo fornirebbe una valutazione parziale, non compiuta e completa come il tasso effettivo annuo.

L’Ordinanza del Tribunale di Milano adotta un processo di verifica dell’usura nei mutui che poggia sostanzialmente su due criteri[13]: a) il tasso applicato, nello scenario di mora previsto, è calcolato sull’aggregato di interessi corrispettivi e interessi di mora rapportati al credito in essere; b) la verifica dell’usura viene circoscritta alla  singola rata in pagamento[14].

Mentre il primo criterio è pienamente corretto in quanto riferisce l’aggregato di interessi corrispettivi e moratori all’intero credito in essere, che a seguito della rata impagata rimane invariato, il secondo criterio circoscrive il calcolo del tasso alla singola scadenza, incorrendo in tal modo in una celata incongruenza logico-finanziaria. Riferendo il tasso ad ogni pagamento alla singola scadenza si scompone in capitalizzazione semplice il rendimento effettivo del prestito che è invece pattuito e calcolato, in capitalizzazione composta, sull’intero arco temporale dall’inizio del rapporto. 

L’aspetto è particolarmente complesso: un esempio può essere di aiuto.

Si consideri il semplice finanziamento quinquennale della Tav. 1, supponendo che il mutuatario non paghi le rate alle scadenze convenute. Tasso nominale ed effettivo annuo previsto pari al 10%[15], tasso di mora 12%, soglia d’usura 12,30%. A partire dal secondo anno, accanto agli interessi corrispettivi ricompresi nella rata, rimangono insoluti anche gli interessi di mora sulle rate scadute[16].

Se, come nell’Ordinanza del Tribunale di Milano, si circoscrive la verifica dell’usura alla rata in scadenza, si vede nella Tavola (colonna 8) che, per una soglia d’usura del 12,30%, già al terzo anno il tasso deborda la soglia. Al terzo anno infatti, rapportando la somma degli interessi addebitati (€ 6.560) e della mora (€ 6.331) al credito in essere (€ 100.000), che nell’esempio è rimasto immutato, si ottiene un tasso del 12,89%[17].

L’incongruenza logico-finanziaria implicita nel criterio impiegato nell’Ordinanza del Tribunale di Milano sta nel ricondurre tutto l’importo richiesto all’ultimo periodo in scadenza in una sorte di rendimento semplice annuo. Appare invece corretto, per ciascuna scadenza, riferire la verifica dell’usura all’intero periodo, dall’origine alla scadenza, considerando, in termini finanziari corretti, quanto pagato sul capitale di credito utilizzato: questo si consegue con il rendimento effettivo annuo (TAEG), al quale fa espresso riferimento la legge 108/96, oltre che la Banca d’Italia nel calcolo del TEGM[18].

     

Se, coerentemente con la formula di calcolo impiegata per la soglia, si utilizza il rendimento effettivo applicato a tutto il periodo sino alla scadenza della rata, il tasso prima lievita gradualmente sopra il tasso nominale nelle prime scadenze per poi flettere, come si è visto nell’esempio sopra riportato, per l’effetto indotto dalla capitalizzazione semplice che caratterizza la mora.

Se il mutuatario salda tutto al termine del quinto anno, avrà riconosciuto al mutuante l’importo di € 163.554, corrispondente al capitale (€ 100.000), agli interessi convenzionali (€ 31.898,7) e agli interessi di mora (31.655,7). In questa circostanza il rendimento effettivo riconosciuto al mutuante si ragguaglia al 10,34%, maggiore di quello convenuto contrattualmente (10%) in quanto il mutuatario è incorso nel ritardo dei pagamenti che ha comportato una mora del 12% su ciascun anno di ritardo. Il finanziamento a rata costante, alla francese, al tasso effettivo annuo del 10% si è implicitamente trasformato in un finanziamento bullet, con rimborso di interessi e capitale alla scadenza, al tasso effettivo annuo del 10,34%.

Con il rendimento effettivo annuo (che si estende a ritroso sino all’origine), la mora maturata nel periodo si fonde con gli interessi corrispettivi e viene distribuita nell’effetto di capitalizzazione composta rientrante nel concetto stesso di rendimento effettivo. Per il finanziamento sopra considerato quest’ultimo si attesta su tassi apprezzabilmente inferiori alla soglia d’usura. Il rendimento effettivo sconta un tasso più basso, rispetto al tasso semplice alla singola scadenza, in quanto ‘spalma’ gli interessi maturati alla scadenza anche sugli interessi precedenti rimasti insoluti.

Il rendimento effettivo del prestito, nel semplice esempio sopra riportato, fissato inizialmente pari al 10%, può subire apprezzabili mutamenti se il piano dei pagamenti si discosta dalle condizioni contrattuali: tali mutamenti possono agire sia in ascesa che in flessione del rendimento effettivo annuo. Nei possibili scenari evolutivi del prestito nei quali il rendimento effettivo annuo scendesse sotto il 10% verrebbe meno la penale a presidio del pagamento, negli scenari nei quali, invece, dovesse salire oltre la soglia (12,30%) si configurerebbe un’usura contrattuale, se non fosse pattiziamente prevista, in tale eventualità, una modifica del piano di ammortamento che riconduca il tasso entro i limiti di legge.

Per il finanziamento dell’esempio sopra riportato, si possono teoricamente individuare due scenari estremi, uno nel quale il tasso effettivo assume un trend discendente verso valori risibili ed uno nel quale tende asintoticamente verso un tasso determinato. Costituiscono scenari estremi, di regola interrotti, dopo uno o più inadempimenti, dalla clausola risolutiva rimessa nella discrezionalità dell’intermediario.

Il primo scenario ricorre nel caso in cui nel finanziamento riportato nell’esempio l’inadempimento si protrae oltre il termine quinquennale del finanziamento. Il rendimento effettivo annuo, che nei primi anni del piano di ammortamento viene a subire una modesta lievitazione a motivo della mora più alta, negli anni successivi, per il maggiore rilievo che viene assumendo l’effetto di capitalizzazione semplice, percorre un trend discendente che in pochi anni perviene a tassi inferiori al tasso convenuto in contratto: nell’esempio considerato, il pagamento oltre il settimo anno porterebbe ad un tasso effettivo inferiore al 10%, tasso nominale/effettivo del prestito (Tav. 2).

Nella determinazione del tasso effettivo annuo, il maggior carico degli interessi di mora - accresciuto altresì dall’anatocismo consentito dall’art. 3 della Delibera CICR 9/2/00 - risulta, per ogni tipologia del piano di ammortamento, prima significativamente temperato e poi, nel procedere degli anni, marcatamente sopravanzato dall’effetto riduttivo indotto dalla capitalizzazione semplice che contraddistingue gli stessi interessi di mora[19].

Come detto, con la rata che rimane insoluta alla scadenza non si ha un nuovo finanziamento ma più semplicemente una modifica, seppur forzatamente imposta dal mutuatario, del piano di rimborso. Il credito rimane invariato: per la parte già scaduta decorre un interesse più alto, applicato altresì anche agli interessi corrispettivi inclusi nella rata, ma che si sviluppa in capitalizzazione semplice, moderando l’incidenza della penale sino a svilirla significativamente se l’insolvenza perdura nel tempo. Oltre un determinato numero di rate il tasso effettivo annuo risulta inferiore al tasso corrispettivo del finanziamento, annullando completamente la penalizzazione del ritardo.

L’intermediario, considerata l’articolata procedura di recupero forzoso del finanziamento, sarà indotto a risolvere il contratto per tempo, per evitare che il ritardo nel recupero, lo porti a subire un rendimento inferiore al tasso effettivo convenuto. La presenza di una mora (12%) superiore al tasso corrispettivo (10%), consente all’intermediario un congruo lasso di tempo per pervenire al recupero di quanto gli spetta senza subire alcun nocumento nel rendimento effettivo annuo.

Il secondo scenario – il peggiore per il mutuatario – interviene, invece, quando le rate del finanziamento rimangono insolute ma intervengono flussi di pagamento che saldano tempestivamente gli interessi di mora addebitati. Non operando l’effetto riduttivo della capitalizzazione semplice della mora, il beneficio per il mutuante è massimo e il tasso effettivo annuo tende, in tali circostanze, a lievitare asintoticamente verso un tasso determinato, posto al di sopra del tasso corrispettivo[20].

Nell’esempio del finanziamento riportato nella Tav. 3, nello scenario estremo nel quale il mutuatario continua regolarmente a pagare la mora maturata (12%), senza mai saldare le rate insolute e il capitale a rimborso, il rendimento effettivo annuo presenta un trend ascendente verso il valore asintotico dell’11,54%.

Si può agevolmente mostrare che, nell’esempio indicato, per valori della mora sino al 13%, in ogni possibile scenario di distribuzione degli inadempimenti, sulle rate e/o sul capitale a scadenza, il tasso effettivo annuo si mantiene sempre entro la soglia d’usura (12,30%)[21].

I principi e le considerazioni ricavati nell’esemplificazione sopra illustrata, sono estendibili anche al piano di ammortamento a quota capitale costante e generalizzabili ad ogni durata e periodicità della rata[22].

Da quanto esposto discende che la verifica dell’usura non può essere circoscritta al rapporto fra la mora e l’importo della rata scaduta, ma coinvolge tutto il piano di ammortamento del prestito e più in generale le condizioni contrattuali, che possono diversamente modulare gli scenari del rapporto di finanziamento nei casi di inadempimento.

 In presenza di un tasso di mora pari o inferiore alla soglia d’usura, si avrà certamente un tasso effettivo annuo del finanziamento parimenti inferiore alla soglia. Per un tasso di mora superiore alla soglia d’usura, occorrerà sviluppare gli scenari estremi, più onerosi per il mutuatario, per accertare l’eventuale presenza dell’usura.

 

6. Sintesi e conclusioni

Si è sviluppato un ampio dibattito sulla soglia da applicare al tasso di mora. Da oltre un decennio i decreti ministeriali, nella medesima opacità che ha contraddistinto l’evidenza a latere delle CMS, continuano pervicacemente a menzionare l’indagine campionaria, curata dalla Banca d’Italia nel 2002, che aveva accertato per la mora un tasso collocato 2,1 punti al di sopra del tasso medio corrispettivo rilevato per il complesso del campione esaminato[23].

L’ABI, dopo l’indagine sui tassi mora richiamata dal decreto ministeriale, in una lettera circolare indirizzata alle associate (n. 4681/2003), sulla base di ‘prime autorevoli interpretazioni della dottrina[24], aveva suggerito, per la verifica dell’usura, l’adozione del criterio successivamente mutuato dalla Banca d’Italia per la CMS con la Circolare del 2/12/05: soglia per la mora pari alla somma del tasso medio di mercato e della maggiorazione di 2,1 punti percentuali, il tutto aumentato del 50% (ora 25% + 4 punti)[25].

Questo criterio ha ora incontrato, dopo oltre un decennio, un incauto avallo nella recente comunicazione del 3 luglio 2013 della Banca d’Italia[26].  Non vi è chi non possa notare un’apprezzabile discrasia fra quanto riportato nella comunicazione e quanto stabilito dalla norma di legge e dalle pronunce in materia espresse dalla Cassazione[27].

Il criterio suggerito dalla Banca d’Italia, disatteso dallo stesso ABF[28], reitera le modalità della CMS soglia della Circolare del 2/12/05, senza alcun sostegno normativo, giurisprudenziale e dottrinale.

La posizione assunta dalla Banca d’Italia nella comunicazione del 3/7/13 in materia di tassi di mora, appare stridente per i debiti riflessi di emulazione indotti nei comportamenti bancari, che contrastano altresì con i principi di ‘sana e prudente gestione’[29].

La soglia d’usura viene distinta dalla legge in funzione della natura del credito, non del tasso praticato ed è riferita alla fisiologia non alla patologia del credito: la mora interviene successivamente alla pattuizione/erogazione del finanziamento ed emerge in una fase di criticità che esula dall’ordinaria fisiologia. Per questo motivo non viene ricompresa nella rilevazione del tasso medio di mercato, ma va tuttavia inclusa nella verifica del rispetto dei limiti d’usura.

A parte temporanei e modesti ritardi nei pagamenti, la mora è un significativo indicatore di deterioramento del credito. Porre la mora in una diversa categoria, con limite di soglia più alto, equivale ad addossare sul  prenditore di fondi le conseguenze di quel rischio che l’intermediario ha già spesato originariamente nel tasso corrispettivo richiesto.

Risulta incongruente prevedere una soglia più elevata al verificarsi della patologia, anziché ricomprendere quest’ultima nello spread connesso al valore medio relativo alla categoria di riferimento: si pretenderebbe misurare un tasso medio della patologia sul quale stabilire un limite d’usura più elevato. Si vanificherebbe in tal modo la norma alzando l’asticella dell’usura al crescere del rischio: in presenza di morosità alla scadenza, di riflesso al maggior rischio emerso con il mancato pagamento, i tassi verrebbero significativamente innalzati, entro una spread maggiorato, proprio quando il  prenditore, in difficoltà economico-finanziarie, non dispone di liquidità né di finanziamenti alternativi.

Lo spread dal tasso medio di mercato rilevato dalla Banca d’Italia, nello spirito della legge, è volto a coprire ogni componente di patologia del rapporto creditizio. L’intermediario bancario, con il tasso medio copre i costi di raccolta, struttura, organizzazione e il rischio ordinario del credito, oltre al margine di profitto; con il differenziale fra il valore medio del tasso fisiologico e il margine superiore della soglia d’usura può compiutamente ammortizzare i rischi eccedenti l’ordinario, le relative sofferenze, con i nocumenti che da queste statisticamente derivano.

Se il tasso praticato dall’intermediario si colloca nell’intorno del valore medio di mercato, vi sono i margini per una maggiorazione della mora. Se, invece, il tasso praticato si colloca a ridosso della soglia d’usura, già sconta il rischio di insoluto alla scadenza; l’intermediario non incontra ulteriori costi oltre quelli il cui rischio è già statisticamente coperto dal tasso corrispettivo più elevato.

Il legislatore, nel ricomprendere entro la soglia d’usura gli interessi, commissioni e spese inerenti al credito, a qualunque titolo percepiti, non ha necessariamente disconosciuto la diversa funzione degli interessi di mora e degli interessi corrispettivi, né ha inteso precludere una penale nel caso di mancato pagamento. Ha voluto invece porre un limite superiore perentorio, entro il quale ricomprendere tutti i costi del credito, relativi ad ogni criticità e/o patologia presente e eventuale. In questo si qualifica il presidio all’usura.

Lo stesso ABF ha disconosciuto la validità dei criteri prospettati dalla Banca d’Italia, pervenendo tuttavia ad una radicale quanto impraticabile soluzione di esclusione degli interessi di mora dal rispetto del tasso soglia: dalla mancata inclusione della mora nella rilevazione del TEGM si fa discendere l’inapplicabilità alla stessa dell’art. 644 c.p. [30]. Si riconosce nel contempo all’art. 1384 c.c. il presidio all’eventuale riduzione di penali eccessive, non escludendo l’applicazione dell’art. 1344 c.c.nel caso si configuri l’aggiramento delle disposizioni delle soglie d’usura[31].

Con lo stesso principio prospettato dall’ABF risulterebbero esclusi dall’applicazione del 644 c.p., senza che possa intervenire alcun altro presidio, i crediti revocati, i crediti in sofferenza e le altre forme creditizie previste al punto B2 delle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia, che non vengono ricompresi nella determinazione del TEGM. Verrebbe anche vanificato il portato della legge 108/96 e l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 1815 c.c. 2° comma, per il periodo dal 1997 al 2010, per tutti i rapporti di credito concessi in conto, in cui l’applicazione della Commissione di Massimo Scoperto, non ricompresa nel TEGM, abbia condotto a debordi delle soglie. Lo stesso potrebbe altresì sostenersi per le spese di assicurazione e/o per gli altri oneri, prima esclusi e solo da ultimo ricompresi nel calcolo del TEGM con le ‘Istruzioni’ ’09. Aspetto ancor più rilevante, una stretta applicazione del principio fissato dall’ABF lascerebbe inapplicabili le soglie d’usura alle diverse forme di finanziamento nelle quali non interviene l’intermediario bancario, ivi comprese quelle previste dalla legge 231/02: anche le forme criminali di usura, impiegando di norma modalità discoste dalle ordinarie categorie bancarie, risulterebbero prive della stretta simmetria con le soglie rivenienti dalla rilevazione della Banca d’Italia

Per ogni forma di credito occorre far riferimento alla categoria di credito di appartenenza e alla relativa soglia pubblicata dal MEF. Al tasso di mora non corrisponde una diversa categoria di credito: è una componente (eventuale) del costo del credito e come tale, congiuntamente alle altre componenti, deve rientrare nei limiti di soglia della categoria del credito a cui è riferita.

La verifica dell’usura non può essere circoscritta al tasso di mora; quest’ultimo non può essere enucleato e trattato separatamente. La soglia d’usura è riferita al credito concesso: appare un’illegittima forzatura prevedere per la rata insoluta e/o per il finanziamento scaduto, un’apposita soglia. L’obbligazione originatasi con il mutuo o con il finanziamento in conto è unica e alla stessa vanno congiuntamente riferiti i costi corrispettivi e moratori senza discriminazione alcuna fra la fase fisiologica e quella patologica.

Certamente si pone per la mora la necessità di una maggiorazione rispetto al tasso corrispettivo, onde presidiare compiutamente il rispetto del piano di rimborso del finanziamento e disincentivare comportamenti opportunistici. La norma di legge tuttavia, per ciascuna categoria di credito, pone un limite, assoluto ed inderogabile, all’aggregato dei costi previsti in contratto, quale che sia la natura corrispettiva, compensatoria o penale. A questo limite devono soggiacere le condizioni contrattuali.

Per il limite d’usura la norma fa esplicito riferimento al rendimento effettivo, riconoscendo implicitamente il calcolo di interessi sugli interessi nei finanziamenti al di sopra del breve termine, prassi ordinariamente impiegata sul mercato finanziario. E’ riconosciuto il computo, non il pagamento di interessi su interessi: nei mutui viene di regola indicato sia il tasso effettivo (ricomprendente anche oneri e spese), sia il corrispondente tasso semplice pagato alle singole scadenze (tasso nominale), congiuntamente agli oneri e spese, ma è il tasso effettivo che deve essere comparato alla soglia d’usura.

Non ha alcun senso il semplice confronto della mora con la soglia d’usura. Il tasso di mora costituisce un tasso semplice, riferito alla rata e/o al capitale scaduto, mentre quello che, al momento pattizio, occorre riferire alla soglia è il tasso effettivo annuo del credito erogato, sia nello scenario di un pieno rispetto del piano di ammortamento convenuto, sia in ogni possibile scenario nel quale, a seguito dell’inadempimento ad una o più scadenze, con l’applicazione del maggiore interesse di mora e il mutamento che interviene nel piano di rimborso, si modifica conseguentemente il tasso effettivo annuo del credito erogato. 

La mora, che si cumula nel tempo in capitalizzazione semplice, entro margini moderati, può ben estendersi oltre il tasso soglia senza pregiudicare il fermo presidio della soglia d’usura, posto al rendimento effettivo del credito concesso, comprensivo sia degli interessi corrispettivi sia degli eventuali interessi moratori nei quali può incorrere il mutuatario nel piano di rimborso del finanziamento ricevuto.

 La previsione di un tasso di mora debordante la soglia non implica necessariamente una pattuizione usuraria se il costo complessivo del credito non deborda la soglia. Il costo del credito, nel completo aggregato degli interessi, oneri e spese che lo compongono – nel piano di ammortamento previsto nel contratto e nelle eventuali modifiche che possono intervenire nel piano stesso in conseguenza delle condizioni sospensive previste - nella sua unitarietà va misurato nel tasso effettivo annuo, previsto nella usuale formula di calcolo, stabilito dalla legge 108/96 e recepito dalle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia.

Come mostrato nell’esempio riportato nei paragrafi precedenti, la mora può discostarsi moderatamente – in funzione del tasso corrispettivo, della durata del finanziamento e della modalità di ammortamento - al di sopra del tasso soglia senza che questo conduca ad un costo del credito usurario. Non occorre far riferimento ad alcuna rilevazione campionaria della Banca d’Italia per prevedere nella mora una moderata maggiorazione del tasso corrispettivo che disincentivi comportamenti opportunistici di inadempimento nei pagamenti alla scadenza delle rate e/o del capitale.

Considerato che nel tasso effettivo si vengono sostanzialmente a fondere sia il tasso corrispettivo che quello moratorio, non vi è dubbio alcuno che, più che l’Ordinanza del Tribunale di Milano,   appare corretta la pronuncia della Corte d’Appello di Venezia che fa discendere dall’usurarietà degli interessi la nullità e, tout court, la non debenza di alcun interesse, sia esso corrispettivo che moratorio.



[1] L’art. 1224 c.c., nel consentire gli interessi moratori anche nel caso in cui il creditore non ha subito alcun danno, sembra voler considerare il vantaggio derivante al debitore dalla disponibilità della somma finanziata. D’altra parte la distinzione fra interessi corrispettivi e moratori sembra talvolta attenuata nelle stesse pronunce della giurisprudenza. “gli interessi corrispettivi su di una somma di denaro decorrono dalla data in cui il relativo credito abbia acquistato carattere di liquidità ed esigibilità, a nulla rilevando ogni eventuale indagine sulla colpevolezza del ritardo nell’inadempimento da parte del debitore, e senza che il creditore sia tenuto ad alcun atto di costituzione in mora, trovando l’obbligazione da interessi corrispettivi il proprio giuridico fondamento nella sola esigibilità della somma, e rappresentando la relativa decorrenza una conseguenza automatica del ritardo subito dal creditore nel godimento di quanto dovutogli” (Cass. 18 luglio 2002, n. 10428; Cfr. anche Cass. 16 aprile 1991, n. 4035).

[2] “Non v’è ragione per escluderne l’applicabilità anche nell’ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori risultati di gran lunga eccedenti lo stesso tasso soglia: va rilevato, infatti, che la legge 108 del 1996 ha individuato un unico criterio ai fini dell’accertamento del carattere usurario degli interessi (la formulazione dell’art. 1, 3° comma, ha valore assoluto in tal senso) e che nel sistema era già presente un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione, come emerge anche dall’art. 1224, 1° comma, del codice civile, nella parte in cui prevede che se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale “gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura. Il ritardo colpevole, poi, non giustifica di per sé il permanere della validità di un’obbligazione così onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge” (Cassazione n. 5286/00).

L’art. 1, comma 1, D.L. 394/00, di interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., riconduce alla nozione di interessi usurari quelli convenuti ‘a qualsiasi titolo’ e la relazione governativa che accompagna il decreto fa esplicito riferimento a ogni tipologia di interesse, ‘sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio’.

La Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi nei giudizi di legittimità costituzionale sollevati dalla legge n. 24/01 (Interpretazione autentica della legge 108/96), ha precisato, in un obiter dictum, che: “ Va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sé decisivo – che il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi "a qualunque titolo convenuti" rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori.” (Corte Cost. n. 29/02).

Da ultimo, anche l’art. 2 bis del D.L. 29/11/08, n. 185 convertito in legge 28/1/09 n.2 non opera alcuna distinzione con riferimento alla natura degli interessi quando, al comma 2, prevede: “Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'articolo 1815 del codice civile, dell'articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108”.

[3] La confusione è stata ingenerata e diffusa da scorrette informazioni riportate da trasmissioni televisive e giornali. In particolare il Sole 24 Ore, Plus 24 dell’11/1/14, nell’articolo di L. Lucilla ‘Mutui, stop ai tassi usurai’, nel menzionare una pronuncia del Tribunale di Rovereto, si attribuisce direttamente alla sentenza della Cassazione 350/13 l’assunto relativo alla somma degli interessi convenzionali e di mora: “La Corte ricorda anche che il tasso del mutuo è comunque da considerarsi usurario se la somma tra gli interessi convenzionali, cioè quelli previsti dalla banca come corrispettivo per il prestito, e quelli moratori fissati nel contratto di mutuo (in sostanza quelli dovuti dal mutuatario in caso di ritardato pagamento) superano il tasso soglia di usura stabilito dalla legge”. In un successivo articolo del 15/2/14, a cura di F. Galimberti, si rettifica l’informazione, precisando che “Né la legge né la giurisprudenza affermano che i due tassi vadano sommati” “A conferma di ciò, la matematica finanziaria spiega che gli interessi corrispettivi e quelli moratori sono calcolati su importi diversi. I corrispettivi servono per calcolare la quota interessi di ogni rata e si calcolano sul capitale complessivo residuo mentre i moratori si calcolano normalmente solo sulle rate (quota capitale e quota interessi) pagate in ritardo. Una sommatoria tra i due tassi, dunque, non è matematicamente corretta.”.

[4] In questa circostanza si dovrà provvedere alla restituzione del capitale residuo ma non degli interessi inglobati nelle rate a scadere, dovendosi invece calcolare sul credito in essere gli interessi di mora.

[5] Il tasso di mora viene calcolato sull’intera rata scaduta e non pagata, comprensiva della quota interessi; ciò è espressamente consentito dall’art. 3 della Delibera CICR 9/2/00 (modificata più recentemente dal comma 629 della legge 147/13 – legge di stabilità). Dal momento che la norma consente, in questa circostanza, la produzione di interessi su interessi, appare scorretto, nella verifica dell’usura, aggregare il tasso di mora ai tassi corrispettivi, distintamente riferiti, per altro, a periodi e capitali diversi.

[6] Per la mora applicata ad un’apertura di credito l’ABF rileva: “ (…) in riferimento ad una apertura di credito ad utilizzo flessibile, gli interessi corrispettivi sono, in quanto obblighi di concreto pagamento da adempiere in costanza di rapporto di credito programmato, alternativi rispetto agli interessi moratori che identificano gli obblighi di pagamento riferiti alle somme dovute susseguenti alla messa in mora e non già cumulabili con questi ultimi. Pertanto la sommatoria proposta dal ricorrente è logicamente errata”.

[7] “ .. sostenere che il tasso soglia ex L. 108/1996 sarebbe superato per effetto della sommatoria fra il tasso debitore del mutuo e quello moratorio è un errore di carattere logico oltre che giuridico. L’art. 1815, c. 2, c.c., come ormai da tempo novellato ex L. 108/1996, determina la sanzione della non debenza degli interessi quando la stessa pattuizione degli interessi (e, detto per inciso, non la concreta applicazione che l’istituto ne faccia) sia non conforme alla soglia anti usura. Nel caso di specie è evidente che le parti hanno pattuito un tasso diverso e alternativo per due differenti tipologie d’interessi, applicabili in ipotesi distinte e alternative. In un caso è fissato, in misura sotto la soglia, il tasso di interessi corrispettivi del mutuo, cioè quelli che rappresentano il prezzo dell’operazione mutuo e il vantaggio che il mutuante riceve nel sinallagma, avendo le parti stabilito un mutuo di carattere oneroso. Nell’altro caso si fissa la misura dell’interesse dovuto ove il rapporto entri nella patologia, cioè ove la parte mutuataria non paghi quanto dovuto per la restituzione del denaro ricevuto in prestito. Da questa clausola del contratto non si evince che le parti avessero stabilito la misura dell’interesse (moratorio o corrispettivo) come la somma dei due tassi sopra indicati e quindi sopra la soglia legale (nel qual caso, peraltro, la chiara lettura dell’art. 1815, c 2, c.c. determinerebbe al più che non sono dovuti gli interessi moratori e non tout court che non siano dovuti anche gli interessi corrispettivi che, in ogni caso, sono pattuiti entro la soglia). Né una diversa lettura delle clausole di questo genere pare sia stata sostenuta da alcuna pronuncia della Suprema Corte: la sentenza invocata a base di tutto il ricorso (n. 350/13) altro non fa che ribadire un principio interpretativo da tempo affermato dalla Corte di Cassazione (v. Cass. n. 5286/2000, Cass. n. 5324/2003, Cass. n. 6992/2007), cioè che la regola ex art. 1815 c.c. si applica alla pattuizione di interessi a qualunque titolo dovuti, cioè a quelli corrispettivi come a quelli moratori.” (Tribunale Trani, Ord. Dott.ssa F. Pastore, 10/3/14; Cfr. anche Trib. Treviso, 11/4/14, E. Rossi, in ilcaso.it;Ordinanza del Tribunale di Brescia, De Lellis, 16/1/14; Trib. Napoli 8/4/14 n. 5949, M. Sacchi e 15/4/14 N. Mazzocca; Trib. Verona 30/4/14, A. Miranda). 

[8]nell’attuale sistema processuale ciò che si richiede alla parte è di spiegare gli argomenti di fatto, logici e giuridici della propria pretesa al fine di far valutare la propria domanda; e tanto non si realizza con la sola invocazione di una autorevole pronuncia (il riferimento è alla Cassazione 350/13)” (Trib. Trani, 10/3/14).  Nella circostanza il tribunale ha condannato il ricorrente a pagare la somma di € 10.000.

[9] Corte d’Appello di Venezia, Sez. III Civ., Presid. G. Silvestre, 18 febbraio ’13, n. 342.

[10] Un’analoga posizione ha assunto il Giudice E. Ardituro del Tribunale di Napoli, che, con provvedimento del 28/1/04 ha rigettato un’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, stabilendo: ‘ … - considerato che nel contratto di mutuo, stipulato il 17/7/08, mentre la previsione del tasso di interesse corrispettivo (6,625%) non superava il tasso soglia usurario, la previsione del tasso di interessi moratori (9,625%) superava tale soglia stabilita, secondo quanto dedotto dall’apponente, nel 9,985% per il tasso fisso e nel 8,94% per il tasso variabile; - ritenuto, però, che, diversamente da quanto sostenuto dall’opponente, ad essere sanzionata con la nullità totale della clausola che determina la misura degli interessi sia solo la previsione relativa al tasso da applicare per gli interessi moratori, ma non quella per gli interessi corrispettivi, che, comunque, sono dovuti, perché pattuiti in misura largamente inferiore al tasso usurario all’epoca stabilito dal Ministero del Tesoro ...”.

[11] Gli interessi corrispettivi vengono riferiti al capitale a scadenza, non alla rata scaduta: per quest’ultima nel proseguo nulla è dovuto a titolo di interessi (né per la componente remunerativa, né per la componente propriamente di penale).

[12] Infatti, per accertare l’eventuale usurarietà della mora, non si circoscrive il raffronto alla rata scaduta, ma si considera, nelle ipotesi di rate insolute, l’aggregato di interessi corrispettivi e interessi di mora richiesti, rapportati all’intero capitale concesso a credito (senza distinzione fra capitale scaduto rimasto insoluto e capitale a scadenza). In altri termini, la verifica non è circoscritta al semplice rapporto fra gli interessi di mora richiesti e l’importo della rata scaduta, coerentemente con la prospettata autonomia della clausola di mora, ma viene considerato l’intero negozio, rapportando la somma aggregata di interessi di mora e interessi corrispettivi richiesti al capitale di credito in essere (esclusi gli interessi corrispettivi scaduti e rimasti insoluti).

Il criterio adottato sottende il principio che, ancorché la Delibera CICR 9/2/00 consenta l’applicazione della mora all’intera rata scaduta, comprensiva degli interessi corrispettivi, l’aggregato di questi ultimi e degli interessi di mora, rispetto al credito effettivo in conto capitale ancora in essere, non debba comunque superare la soglia d’usura. Per i mutui posti in essere a partire dal ’00, la Delibera CICR 9/2/00 legittima l’applicazione della mora anche alla quota interessi inclusa nella rata, ma questo non comporta la capitalizzazione dell’intera rata scaduta: il credito della banca rimane diviso nel capitale concesso a credito e distintamente negli interessi corrispettivi scaduti, sui quali è consentito l’anatocismo attraverso il tasso di mora. E’ infatti opportuno non assimilare l’anatocismo alla capitalizzazione: come puntualizzato in una recente sentenza del Tribunale di Torino (B. Conca, n. 5292/12): “(…) Va al riguardo sottolineato che anatocismo e capitalizzazione non costituiscono concetti equivalenti: mentre il primo designa la speciale attitudine degli interessi a produrre, a loro volta, interessi, la seconda indica il fenomeno in forza del quale una certa misura d’interessi viene tramutata in sorte capitale, con conseguente trasformazione di un’obbligazione accessoria in principale. Da ciò consegue che solo quest’ultima – non l’anatocismo di per sé – conduce al mutamento del regime giuridico dell’obbligazione d’interessi, solamente alla quale sono applicabili, per esempio, speciali norme in materia d’imputazione del pagamento (art. 1194 c.c.), quietanza (art. 1199 c.c.), cessione del credito (art. 1263 c.c.), privilegio (art. 2749 c.c.), pegno (art. 2788 c.c.), ipoteca (art. 2855 c.c.), prescrizione (art. 2948 c.c.). L’assorbimento dell’interesse passivo nel capitale esclude la computabilità dello stesso fra le voci di costo periodico del finanziamento, appunto perché, una volta capitalizzato, l’interesse non è più tale.”.

[13] La dott.ssa Cosentini, oltre che nell’Ordinanza, fornisce una più completa illustrazione del sistema di verifica dell’usura in una ‘Relazione riunione sezione 6.2.14’, nella quale si rappresenta un caso di usura che interverrebbe alla 38° rata mensile in mora, nella quale la somma algebrica dell’interesse corrispettivo (€ 267,52) e dell’interesse di mora sulle precedenti rate insolute (587,19), rapportata al credito concesso determinerebbe una richiesta usuraria.

[14] (…) la circostanza che il tasso di mora nominale sia oggetto di autonoma verifica di rispetto tasso soglia, trova ragione nella sua autonoma e distinta funzione quale penalità per il ritardato adempimento, fatto imputabile al mutuatario e solo eventuale, la cui incidenza va rapportata al protrarsi e all'entità dell'inadempienza; un possibile cumulo di tasso corrispettivo e tasso di mora potrebbe invero rilevare, non già con riferimento a una teorica somma numerica di detti tassi, da raffrontarsi al tasso soglia, ma con riferimento alla concreta somma degli effettivi interessi (corrispettivi e di mora) conteggiati a carico del mutuatario; in altri termini potrebbe parlarsi di cumulo usurario di interesse corrispettivo e interesse di mora nel solo caso in cui, in presenza di ritardato pagamento, il conteggio dell’interesse di mora sull'intera rata, comprensiva d'interessi, sommato all'interesse corrispettivo, determinasse un conteggio complessivo d'interessi che, rapportato alla quota capitale, si esprimesse in una percentuale superiore al tasso soglia; ciò è tuttavia ipotesi estremamente improbabile quando tasso corrispettivo e tasso di mora siano singolarmente al di sotto del tasso soglia, dovendo considerarsi che il tasso di mora va ad incidere non già sull'intero capitale ma sulla frazione mensile portata in ammortamento e sulla relativa quota d'interessi compresa nella rata rimasta impagata (il cumulo degli interessi conteggiati ad entrambi i titoli potrebbe superare il tasso soglia, già all'epoca della pattuizione, solo nell'ipotesi limite di tassi corrispettivi e di mora poco differenziati e poco al di sotto del tasso soglia, come da esempio sub 8; il superamento nel prosieguo si avrebbe invece quando l'inadempimento si protraesse per un numero talmente elevato di rate, ipotesi teorica incompatibile con il permanere dello stesso rapporto contrattuale, da determinare mensilmente un conteggio cumulato di interessi corrispettivi e moratori talmente elevato da risultare percentualmente superiore al tasso soglia ove raffrontato al capitale mutuato);

(…) una verifica matematica esemplificativa, condotta sulla base degli effettivi tassi pattuiti, corrispettivi e di mora, consente peraltro di escludere che nella fattispecie in esame il tasso di mora fosse stato pattuito già dall’inizio in termini da condurre al superamento del tasso soglia, ove cumulato agli effetti del tasso corrispettivo, e ciò anche ipotizzando un inadempimento appena successivo alla stipulazione del mutuo, quando sicuramente la quota d'interessi sulla rata impagata era destinata ad essere più elevata rispetto al prosieguo (venendo conteggiata su capitale maggiore): ipotizzando invero l'inadempienza del mutuatario già a decorrere dalla prima rata, ed anche applicando, per la prima rata d'interessi sull'intero capitale mutuato di L. 170.000.000, non già il contenuto tasso di preammortamento ma il più elevato tasso di ammortamento, pari a 1/12 del 7,50% (TAEG conteggiato dalla banca, come infra sub 9), si avrebbe una rata d'interessi per L. 1.062.500 (7,50:12=0,625x170.000.000%), e di rimborso capitale per L.344.930 (170.000.000 x0,2029% - come da piano ammortamento, All.C mutuo); decorso il primo mese di ritardo, su detta rata, pari a un totale di L. 1.407.430, decorrerebbero interessi pari a 1/12 del pattuito tasso di mora del 9,50% (9,50:12=0,79166x1.407.430%), ossia pari a L. 11.142; il totale degli interessi pretesi, a titolo di corrispettivo e a titolo di mora sulla prima rata, risulterebbe L.1.073.642 (1.062.500 + 11.142), corrispondente a un tasso mensile dello 0,6315% sull'iniziale capitale di L.170.000.000, pari a un tasso anno del 7,57%, ampiamente al di sotto del tasso soglia dell'epoca (per arrivare a un superamento del tasso soglia si dovrebbe fare l'ipotesi teorica di tassi corrispettivi e di mora poco distanziati ed entrambi molto vicini al tasso soglia, quali ad esempio tasso corrispettivo del 10,15% (: 12=0,845833) e tasso di mora del  10,20%) (: 12 =0,85): ne deriverebbe una prima rata di L.1.437.916 di interessi e L.344.930 di capitale, per un totale di L.1.782.846, ed interessi di mora, per ritardo di 1 mese, di L. 15.154 che, sommati agli interessi corrispettivi, porterebbero a L.1.453.07 0, corrispondenti a un interesse mensile dello 0,8547 dell’iniziale capitale di L.170.000.000, pari a un tasso annuo del 10,25%, superiore al tasso soglia) (Trib. di Milano, L. Cosentini, 28/1/14, in Ex Parte Creditoris).

[15] Supponendo che non vi siano oneri e spese connesse al finanziamento, il tasso effettivo coincide con il tasso nominale.

[16] Nella Tavola, oltre agli importi degli interessi corrispettivi e di mora, maturati alle singole scadenze, è riportato, nella colonna 8 il tasso riveniente dal semplice rapporto della somma dei due interessi al capitale in essere (€ 100.000) e nella colonna 9 il rendimento effettivo maturato alla scadenza di ogni singola rata, calcolato con l’ordinaria formula del TAEG, considerando il rimborso anticipato del capitale alla data considerata.

[17] Nell’esempio riportato, l’imputazione della mora, commisurata alle rate scadute, si riproduce secondo una successione aritmetica di ragione pari a € 3.166 lievitando apprezzabilmente in termini assoluti: l’incidenza, in ciascun periodo, sul credito erogato, rimasto immutato (€ 100.000) segue un’analoga progressione aritmetica: 3,17%; 6,33%; 9,50%; 12,66%; se a questa incidenza si aggiunge l’incidenza degli interessi, 8,36%; 6,56%, 4,58%; 2,40%, si perviene rapidamente a tassi (semplici) dell’ultimo periodo maggiori di ogni soglia d’usura. L’incongruenza logico-finanziaria del criterio impiegato nell’Ordinanza del Tribunale di Milano sta nel ricondurre tutto l’importo richiesto all’ultimo periodo in scadenza in una sorte di rendimento semplice annuo; con l’impiego del rendimento effettivo annuo (che si estende a ritroso sino all’origine) la mora maturata nel periodo viene distribuita nell’effetto di capitalizzazione rientrante nel concetto stesso di rendimento effettivo.

[18] Il rendimento effettivo è il tasso che rende uguale, su base annua, la somma del valore attuale di tutti gli importi che compongono il finanziamento erogato dal creditore alla somma del valore attuale di tutte le rate di rimborso. Il TAEG è calcolato mediante la formula:

indicando come: "i"= TAEG, che può essere calcolato quando gli altri termini dell'equazione sono noti.

[19] Nei finanziamenti a rimborso graduale, posti in essere prima dell’entrata in vigore della legge 147/13 (legge di stabilità), la mora gode di una parziale deroga al principio generale di divieto dell’anatocismo: l’art. 3 della Delibera CICR 9/2/00 prevede che sull’intera rata scaduta, comprensiva di interessi corrispettivi e capitale, si applichi  la mora. Tuttavia la deroga al menzionato divieto, non esclude il rispetto dei limiti di usura sul capitale finanziato: in altri termini nella circostanza viene implicitamente consentito l’anatocismo comunque entro i limiti delle soglie d’usura. 

[20] Il tasso effettivo annuo è dato, nella circostanza esaminata  dal valore ‘r’ che rispetta l’eguaglianza:

[omissis]


dove:

Cs = Capitale finanziato (€ 100.000),

Is  =  interessi maturati nel quinquennio;

m  = mora in ciascun anno successivo al quinto;

mn=  mora all’anno ‘n’ del quinquennio;

Per ‘n’ che va all’infinito il primo termine si elide, il secondo termine è dato da una progressione geometrica convergente (di ragione 1/(1+r) e primo termine pari a ‘m’), mentre il terzo e quarto termine sono ordinarie somme.

[21] Nel caso estremo nel quale rimangono insolute le rate e il capitale in scadenza e viene regolarmente saldata la mora alle singole scadenze (13%), il rendimento effettivo annuo tende asintoticamente (all’infinito) al tasso del 12,28%.

[22] Nella Tavola qui sotto riportata sono indicati i valori asintotici, per le scadenze 5, 10 e 20 anni e per la mora collocata su 1, 2 e 3 punti sopra il tasso nominale del 5%, 10% e 15%.

[23] Art. 3, 4° comma: “I tassi effettivi globali medi di cui all’art. 1, comma 1, del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento. L’indagine statistica condotta nel 2002 ai fini conoscitivi dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio italiano dei cambi ha rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali.”.

[24] Il riferimento è al parere della prof.ssa Severino di Benedetto che non ha incontrato alcun seguito in dottrina. In tale parere viene affrontata anche l’eventualità che la maggiorazione della mora superi il valore di 2,1 punti maggiorato del 50%, cioè 3,15 punti, e si sostiene che la circostanza non è sufficiente a configurare l’usura se l’interesse corrispettivo, incrementato del maggior margine di mora, rimane comunque inferiore alla soglia d’usura maggiorata di 3,15 punti. Tale costrutto verrà integralmente ripreso e proposto dalla Banca d’Italia per le CMS nella Circolare 2/12/05.

[25] Numerose banche si sono discostate cautelativamente dalle menzionate indicazioni, per non incorrere in ‘quell’aggiramento della norma penale che impone alla legge – e non alla Banca d’Italia – di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari’, sancito dalla Cassazione n.46669/11 per le CMS.

[26] ‘In ogni caso, anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura. Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di un’indagine per cui ‘la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali’. In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo.’ (Comunicazione della Banca d’Italia 3/7/13).

[27]La sussistenza di una disparità di vedute tra la Cassazione e le Autorità di vigilanza non è certo una novità - né in sé, né tanto meno nel contesto normativo dell’usura - e sta, per così dire, nell’ordine delle cose che è connaturato al diritto vivente: in questa prospettiva, l’ultimo Comunicato della Banca d’Italia sembrerebbe potere anche suonare, forse, come una «sorta» di replica al più recente arresto del Supremo Collegio (350/13) (…) A me, per la verità, pare che a simile quesito possa darsi solo una risposta negativa. Nell’interpretare le leggi le Autorità amministrative – quand’anche di prestigio grande, com’è nel caso della Banca d’Italia – hanno per definizione un ruolo subalterno nei confronti dell’Autorità giudiziaria. Secondo i principi del sistema, inoltre, la funzione nomofilattica risulta affidata alla Corte di Cassazione. Senza riserve di materie: già per questo motivo, dunque, le rilevazioni trimestrali dell’usura devono mostrarsi specchio fedele degli orientamenti consolidati di quella. D’altro canto, nell’ambito della normativa sull’usura al Ministero dell’Economia e alla Banca d’Italia non risulta affidato nessun potere secondario di specificazione dei precetti primari di legge (secondo quanto capita talvolta nell’ambito della normativa di protezione del cliente; così, ad esempio, nel caso dell’art. 117, comma 2, TUB). Come puntualmente ha osservato proprio il Supremo Collegio, le rilevazioni trimestrali non hanno la funzione di produrre opinioni, bensì quella esclusiva di «fotografare» l’esistente. Di rilevare il fatto storico dei tassi applicati dall’operatività, così; come pure di dare fotocopia alle consolidate letture che del dato normativo esprima la Corte di Cassazione.” (A. A. Dolmetta, A commento della Comunicazione Banca d’Italia 3/7/13: usura ed interessi moratori, in ilcaso.it, 8 luglio 2013).

[28]La Banca d’Italia ha peraltro di recente riconosciuto che ‘gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura’, con la precisazione che, in relazione ad essi, l’usura andrebbe accertata sulla base di un tasso soglia diverso, risultante dalla maggiorazione di 2,1 punti percentuali dei tassi globali medi periodicamente rilevati e pubblicati con decreti del ministero del Tesoro (ora dell’Economia) ai sensi dell’art. 2, comma 1, n. 108 del 1996 (Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura 3 luglio 2013); maggiorazione che – come si ricava in una nota illustrativa contenuta nei citati decreti – corrisponde a quella rilevata come ‘mediamente stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento’, a seguito di un’indagine statistica eseguita nel 2002 ‘ai fini conoscitivi’ dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Italiano Cambi. La legittimità dell’introduzione di un tasso soglia diverso e più elevato per la rilevazione dell’usura, in presenza di interessi moratori, appare tuttavia dubbia, se si considera che le norme in tema di usura non contemplano alcuna deroga, né prevedono alcuna differenziazione del tasso soglia connessa alla funzione assolta dall’interesse. Sarebbe d’altro canto incongruo ritenere che l’usurarietà degli interessi moratori possa essere accertata sulla base di un tasso soglia stabilito senza tener conto dei maggiori costi indotti, per il creditore, dall’inadempimento del debitore.” (ABF, Collegio di Roma, decisione 260/2014).

Neppure il dato del 2,1 punti percentuali sembra poter assumere utile rilievo ai fini della detta comparazione, non rivestendo i necessari requisiti tecnici e temporali posti dalla normativa sopra richiamata per le rilevazioni statistiche integrative del dettato dell’art. 644 c.p.” (ABF, Collegio di Coordinamento, 19/3/2014).

[29] “Anche se è comunque evidente che il servizio di compliance , di cui oggi dispongono le imprese bancarie, non può non conoscere la sussistenza di un consolidato orientamento della Corte di Cassazione e che di tanto lo stesso deve fare conto necessario e adeguato. Salvo altrimenti accettare senza riserve il «rischio legale» e il «rischio reputazionale» che derivano dall’ignorarlo (consapevolmente o meno). Talvolta si legge – in funzione di legittimazione di comportamenti bancari sulla linea della Vigilanza, seppur contrari agli indirizzi della giurisprudenza, e proprio in materia di usura – che le banche ‘debbono strutturare la propria attività in osservazione delle disposizioni emanate dalle autorità di vigilanza’ (…) E’ sicuro, d’altronde, che la Banca d’Italia non ha vietato alle imprese bancarie la possibilità di tenere comportamenti più prudenti di quelli dalla stessa indicati; né, del resto, lo potrebbe mai fare vista se non altro la regola della ‘sana e prudente gestione’. (A. A. Dolmetta, Op. cit.)

[30]Così come sarebbe palesemente scorretto confrontare gli interessi pattiziamente convenuti per una data operazione di credito con i tassi soglia di una diversa tipologia di operazione creditizia, così come sarebbe palesemente scorretto calcolare nel costo del credito convenzionalmente pattuito gli addebiti a titolo di imposte, altrettanto scorretto risulta calcolare nel costo del credito pattuito i tassi moratori che non sono presi in considerazione ai fini della individuazione dei tassi soglia, perché in tutti i casi si tratta di fare applicazione del medesimo principio di simmetria” (ABF, Collegio di Coordinamento, 19/3/2014).

[31] “La riduzione equitativa ai sensi dell’art. 1384 c.c. risulta più confacente alle sole singole ipotesi di clausola penale inserita consensualmente dalle parti contrattuali che li legano, mentre mal si concilia con l’enorme mole di contratti negoziati nel mercato del credito, ma in realtà predisposti unilateralmente dalle banche e dagli intermediari autorizzati. Tali rapporti contrattuali, invero, necessitano di paletti certi, predeterminati e quindi facilmente conoscibili da tutti i contraenti, al fine di evitare effetti di distorsione al regolare andamento del mercato del credito”. (Interessi moratori e relativo tasso soglia, M.N. Mizzau, in ‘I contratti bancari’, a cura di Cesare Maria Bianca, Dike, 2013)


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