Civile


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 05/11/2014 Scarica PDF

La lesione all'atleta come possibile fonte di responsabilità nei confronti dell'ente sportivo dilettantistico

Roberto Carmina, Avvocato del Foro di Palermo e Dottorando di ricerca presso l’Università degli studi di Palermo


La problematica dei limiti del danno risarcibile nella tutela aquiliana è stata oggetto di un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale nel corso degli anni che ha portato a un espansione smisurata del concetto di danno ingiusto.

Infatti nel danno ingiusto inizialmente venivano fatti rientrare solo i diritti assoluti, poi questo fu esteso a tutti i diritti compresi quelli relativi e in seguito anche agli interessi legittimi, per poi essere riconosciuto anche in relazione a situazioni di fatto meritevoli di tutela (si pensi a titolo esemplificativo alla risarcibilità del danno per morte del convivente[1]).

Tuttavia visto l’oggetto della nostra trattazione riteniamo opportuno focalizzare la nostra attenzione sulla lesione all’atleta come possibile fonte di responsabilità nei confronti dell’ente sportivo, per poi prendere in esame specificamente il settore sportivo dilettantistico[2].

Nello specifico la prima volta che la Suprema Corte fu chiamata a rispondere sulla richiesta di risarcimento di un ente sportivo per morte dei suoi atleti, fu nel famoso caso dell’incidente aereo che portò alla dipartita di 10/11 della squadra titolare del Torino.

La società del Torino calcio s.p.a. ipotizzo la lesione da parte del vettore di un diritto soggettivo assoluto consistente nella “composta entità consistente nella squadra e (…) costituente il nucleo essenziale del patrimonio aziendale”.

Tuttavia la Suprema Corte non accolse la pretesa del Torino calcio s.p.a. in quanto ritenne che “non possono essere considerati di diritto reale i rapporti che intercorrono tra un ente sportivo e gli atleti ingaggiati per costituire una squadra di calcio (…) il bene aziendale a servizio dell’impresa è rappresentato dal diritto alla prestazione, diritto che è esclusivamente di credito”[3] e negò che questo potesse essere oggetto di risarcimento.

A distanza di svariati anni il Torino calcio s.p.a. si rivolse nuovamente ai giudici per ottenere il risarcimento per la morte di un proprio atleta (Luigi Meroni) che fu investito da un minore. Questa volta il Torino calcio s.p.a. richiese il risarcimento del diritto assoluto all’avviamento della propria azienda di spettacoli sportivi.

La Corte di Cassazione, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla questione, cambiò il proprio orientamento, e pur sostenendo che l’avviamento non va confuso con i fattori che concorrono a determinarlo e che si doveva, invece, far riferimento al rapporto giuridico leso da individuarsi in un rapporto di lavoro subordinato, ammise in relazione a quest’ultimo la tutela aquiliana del diritto di credito del Torino calcio s.p.a. derivante dal fatto illecito di terzo che aveva determinato la morte del debitore. In particolare, a detta della Suprema Corte, il riferimento all’ingiustizia dell’art. 2043 c.c. va intesa quale danno non jure nel senso che il fatto che cagiona il pregiudizio non deve essere giustificato dall’ordinamento e contra jus da intendersi quale lesione di una posizione giuridica soggettiva tutelata dal nostro ordinamento nella forma del diritto soggettivo e ritenne arbitraria ogni discriminazione tra diritti soggettivi al fine di riconoscere la tutela aquiliana. Tuttavia, concluse affermando che il danno causato al creditore dalla morte del debitore è configurabile come conseguenza diretta e immediata dell’evento che ha causato la morte solo se, trattandosi di obbligazioni di fare, vi è insostituibilità della persona del debitore nel senso dell’impossibilità del creditore di procurarsi, se non a condizioni più onerose, prestazioni uguali o equipollenti[4].

Facendo riferimento a tale ultima precisazione la Corte d’Appello a cui fu rinviata la controversia escluse la risarcibilità del danno, ritenendo che la riserva del giocatore deceduto lo avesse degnamente sostituito e non ravvisando una riduzione degli spettatori ma anzi un aumento, escluse il nesso causale tra la morte del calciatore e un eventuale danno da lucro cessante[5]. 

In seguito la Corte di Cassazione, reinvestita nuovamente della questione, in relazione alla perdita subita dalla società per la mancata cessione del giocatore, escluse la risarcibilità di questa in quanto l’alta quotazione nel mercato calcistico, da cui deriverebbe un cospicuo guadagno in caso di cessione ad altra società sportiva del calciatore, non rientrerebbe “nel rapporto obbligatorio esistente fra società e giocatore, cioè nella specifica obbligazione di fare”. Inoltre si sostenne che “la perdita di un collaboratore dell’imprenditore è fonte di un danno quando determina la diminuzione dell’efficenza dell’impresa e una riduzione del reddito”[6]. In sintesi la Suprema Corte nella sentenza presa in esame limitava il risarcimento del danno dei diritti di credito alle sole prestazioni infungibili[7].

Tale pronunciamento, a nostro avviso, è criticabile in quanto non consente l’integrale riparazione del danno visto che non consente il risarcimento integrale di ciascuno di essi.

Inoltre non è legittimo ammettere la risarcibilità solo di quei crediti che sono caratterizzati dall’intuitus personae in quanto una volta che si riconosce che la lesione dei crediti realizza un danno ingiusto, non si può giustificare una differenza di trattamento fra rapporti di credito fondati su prestazioni infungibili e rapporti in cui le qualità del debitore siano meno rilevanti[8]. Oltretutto se anche il credito fosse fungibile il creditore subirebbe comunque un pregiudizio laddove la sostituzione del debitore richiedesse un certo lasso di tempo. In più non bisogna fare confusione tra il valore di scambio di un bene e quello d’uso. Infatti la dottrina sostiene che trasponendo la questione in materia di diritti reali, se ne dedurrebbe l’illogicità. Difatti la mancata alienazione di un immobile da parte del proprietario non significa che questo sia privo di valore cosicché nessuno sosterebbe che la distruzione di questo da parte di terzi non darebbe luogo a un obbligo di risarcimento per mancanza di danno patrimoniale[9].

Le opinioni contrarie a tale risarcibilità si fondano su preoccupazioni economiche, relative ai possibili effetti economici lesivi, nei confronti dei parenti superstiti, derivanti dall’estensione dell’area del danno risarcibile e sul riferimento all’art. 1372 c.c. che escluderebbe l’indebita incidenza di effetti negoziali sulla sfera giuridica dei terzi estranei al contratto[10].

Tuttavia tali considerazioni si scontrano con l’esigenza di riparazione integrale di ciascun danno, il quale può essere determinato non solo dalla lesione di diritti assoluti ma anche dal pregiudizio arrecato a interessi meritevoli di tutela[11]. Ulteriormente la ratio legis dell’art. 1372 c.c. osta ad ammettere una facoltà dei terzi di interferire nella vicenda contrattuale, determinando danni, senza “passare sotto le forche caudine” dell’art. 2043 c.c.

Tali critiche giustificano il mutamento di orientamento della giurisprudenza successiva che si esplica in varie materie e che ammette la tutela aquiliana del diritto di credito e di ogni altra situazione di fatto meritevole di tutela (si pensi a titolo esemplificativo alla tutela aquiliana del possesso[12]) senza più far riferimento al criterio dell’insostituibilità della prestazione lavorativa. Paradigmatica di tale mutato orientamento è la sentenza che afferma testualmente “il responsabile di lesioni personali in danno di un lavoratore dipendente, con conseguente invalidità temporanea assoluta, è tenuto a risarcire il datore di lavoro per la mancata utilizzazione delle prestazioni lavorative, poiché ciò integra un ingiusto pregiudizio, a prescindere dalla sostituibilità o meno del dipendente, causalmente ricollegabile al comportamento doloso o colposo di detto responsabile”[13].

Una parziale apertura a tale linea di pensiero è presente nella giurisprudenza di merito anche in ambito sportivo laddove si afferma testualmente che “[l’] associazione sportiva, la quale abbia perduto una partita di campionato e sia stata, quindi, retrocessa nelle serie inferiori, perché non ha potuto utilizzare del tutto impiegare al meglio le prestazioni di alcuni giocatori infortunati in un incidente stradale, ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale, conseguente alla retrocessione, dal terzo responsabile dell’incidente purché dimostri che la sconfitta  sia stata causata dall’assenza o dalle inadeguate prestazioni dei giocatori infortunati e non rientri, invece, nell’alea normale di ogni competizione sportiva”[14]. Pertanto attualmente in caso di richiesta di risarcimento di un ente sportivo per morte o lesione dei suoi atleti l’indagine si concentra sulla derivazione immediata e diretta dell’evento dalla condotta e sulla quantificazione del danno[15].

A nostro avviso si può ammettere la risarcibilità integrale dei danni anche nel settore dilettantistico dove gli introiti agli enti sportivi provengono da compensi derivanti dai risultati ottenuti dalla squadra, da proventi legati alla preparazione o al rendimento degli atleti, da corrispettivi per il trasferimento degli atleti, nonché da somme erogate a titolo di sponsorizzazione[16]. Vista la poliedricità della nozione di sport dilettantistico occorre prendere in esame una disciplina sportiva che possa essere paradigmatica di tutte le altre per renderci conto di quali proventi godano gli enti sportivi dilettantistici. In questo senso la nostra scelta è caduta sul gioco calcio in quanto disciplina sportiva maggiormente seguita in Italia. Nello specifico le NOIF prevedono: all’art. 96 un premio di preparazione per il ‘giovane dilettante’ (si tratta di un calciatore tesserato con un ente facente parte della LND che ha un età tra i quattordici e i diciotto anni) da corrispondersi all’ente sportivo dilettantistico di provenienza[17], all’art. 99 un premio di addestramento e formazione tecnica a favore della società presso la quale il calciatore ha svolto l’ultima attività dilettantistica[18], all’art. 99 bis un premio alla carriera a favore dell’ente dilettantistico presso cui si è formato(che comunque non si cumula rispetto alle altre somme percepite)[19] e all’art. 101, comma 7°, un eventuale premio di valorizzazione o di rendimento legato a un trasferimento temporaneo del giovane dilettante[20].

A tali premi si devono aggiungere gli eventuali proventi percepiti per il trasferimento dell’atleta, quale compenso per la cessione di un contratto di lavoro che ha ad oggetto le prestazioni sportive di questo. Difatti seppur l’art 100 delle NOIF (sui trasferimenti degli atleti)[21] non si riferisca esplicitamente a corrispettivi da trasferimento, questo è esplicitato dalla parte finale dell’art. 99 bis che recita testualmente “nel caso la società dilettantistica (…) abbia già percepito, in precedenza, da una società professionistica (…) l’importo derivante da un trasferimento (art. 100 N.O.I.F.), tale somma sarà detratta dall’eventuale compenso spettante”. Inoltre l’art. 101, comma 6° bis, delle NOIF stabilisce che in caso di trasferimento temporaneo del giovane dilettante si possa convenire un diritto di opzione a favore dell’ente cessionario purché sia precisato l’importo convenuto nell’accordo di trasferimento[22], legittimando esplicitamente la possibilità di percepire denaro o altra utilità dal trasferimento degli atleti.

Alla luce delle pregresse considerazioni risulta evidente che anche gli enti sportivi dilettantistici possono subire un danno che derivi dalle lesioni che subiscono i loro atleti in termini di mancata attribuzione di corrispettivi di trasferimenti, di premi e di sponsorizzazioni, che in realtà più piccole rispetto alle società professionistiche, incidono pesantemente sulla sopravvivenza di queste.

In particolare si configura, nei confronti dell’ente sportivo dilettantistico, un danno materiale visto che uno dei componenti della società non potrà continuare ad assicurare alla squadra il suo apporto sia in termini di risultati che di futuri proventi derivanti, come anticipato, dal corrispettivo per il trasferimento, dai premi e dalle sponsorizzazioni e un danno morale che deriva dai turbamenti, causati dalla morte o dalle lesioni subite dall’atleta, agli altri componenti della squadra e dalle conseguenti ripercussioni sulla vita della società sportiva.

In più la giurisprudenza anche quando ammetteva l’indennizzabilità esclusivamente dei diritti assoluti, non ha mai negato, ciononostante, la risarcibilità della perdita derivante da lesione o morte del congiunto al titolare di una legittima aspettativa al mantenimento indipendentemente dalla sussistenza di uno specifico obbligo di tal genere, essendo sufficiente l’usualità di una corresponsione[23]. Tale piena tutela della solidarietà del gruppo sociale e poi stata estesa dalla giurisprudenza anche all’impresa individuale e alle congregazioni religiose nell’ipotesi di morte o lesione a uno dei loro appartenenti[24]. Sulla base di tali considerazioni ci domandiamo la ragione per cui non estendere la stessa tutela per i danni derivanti dalla morte o dalle lesioni subite da un componente di un’impresa individuale o di una comunità religiosa, anche a un ente sportivo dilettantistico, visto che anche in questo caso si istaura una sorta di analogia fra questo gruppo sociale e la famiglia. Infatti si tratterebbe pur sempre di un diritto di credito fatto valere da soggetti che rientrano in una formazione sociale organizzata, che come l’impresa individuale o la comunità religiosa, si contraddistinguono per una particolare fusione e vicinanza tra i loro componenti, che consente ai giudici di esprimere un atteggiamento favorevole al risarcimento assimilandoli a una famiglia.

In ultimo rileviamo che nel dilettantismo sportivo, visto l’attuale sussistenza del pur discutibile vincolo sportivo, accanto a un vincolo di prestazione è presente una sorta di vincolo di appartenenza, stante che il soggetto, salvo ipotesi residuali, non può trasferirsi da una società a un’altra senza il placet della prima[25].

Conseguentemente anche se il vincolo sinallagmatico fosse marginale, rimane pur sempre quello di appartenenza, per cui in caso di lesione all’atleta il danno si configurerebbe in re ipsa, quale espressione del depauperamento di una componente dell’organizzazione sportiva, da individuarsi in una specifica persona fisica, che, in quanto tale, di per sé presenta il carattere dell’infungibilità. 



* Roberto Carmina, Avvocato del Foro di Palermo e Dottorando di ricerca presso l’Università degli studi di Palermo.

[1] In tal senso Corte Costituzionale, 27 Ottobre 1994, n. 372, in Rivista italiana di medicina legale, 1995, p. 1267.

[2] Sulla questione della responsabilità per lesione o morte di un’atleta nei confronti dell’ente sportivo professionistico si vedano A. LEPORE, Responsabilità civile e tutela della ‘persona-atleta’, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009, p. 287 e s.s; M. BONA – A. CASTELNUOVO – P. G. MONATERI, La responsabilità civile nello sport, Cesano Boscone (MI), IPSOA, 2002, p. 120 e s.s; R. FRAU, La responsabilità civile sportiva, in La responsabilità civile, (a cura di) P. CENDON, Torino, Utet, 1998, p. 303 e s.s.

[3] Corte di Cassazione civile, Sez. III, 4 Luglio 1953, n. 2085, in Giurisprudenza Italiana, 1953, p. 828.

[4] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 26 Gennaio 1971, n.174, in Foro italiano,1971, p. 199.

[5] Corte d'appello di Genova, 17 Giugno 1973, Giurisprudenza Italiana, 1973, p. 1184.

[6] Corte di Cassazione civile, Sez. III, 29 Marzo 1978, n. 1459, in Foro Italiano, 1978, p. 827.

[7] Per approfondire la questione si veda F.D. BUSNELLI, Un clamoroso revirement della Cassazione: dalla 'questone di Superga' al 'caso Meroni’, in Giustizia Civile, 1971, p. 201 e s.s.

[8] In questo senso F. SANTOSUOSSO, La ‘nuova frontiera’ delle tutela aquiliana del credito, in Giustizia Civile, 1971, p. 201.

[9] In questi termini R. PARDOLESI, Nota a Corte di Cassazione, 29 marzo 1978, n. 1459, in Foro Italiano, 1978, p. 827.

[10] Cfr. V.M. CAFERRA, I limiti del danno risarcibile nella tutela aquiliana del credito, in Foro Italiano, 1973, p. 100 e s.s; G. CIAN, Nuove oscillazioni giurisprudenziali sulla tutela aquiliana del credito, in Rivista di diritto civile, 1971, p. 632 e s.s; A. C. JEMOLO, Allargamento di responsabilità per colpa aquiliana, in Foro Italiano, 1971, p. 1284 e s.s.

[11] Sul tema, tra gli altri, si vedano S. RODOTA’, Il problema della responsabilità civile, Milano, Giuffrè, 1967, p.205 e s.s; R. SACCO, L’ingiustizia di cui all’art. 2043 c.c, in Foro Padano, 1960, p. 1420 e s.s; P. SCHESLINGER, L’ingiustizia del danno nell’illecito civile, in Jus, 1960, p. 338 e s.s.

[12] In tal senso, tra le altre, Corte di Cassazione civile, Sez. II, 14 Maggio 1993, n. 5485 che stabilisce: “anche colui, che per circostanze contingenti si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa, può dal danneggiamento di questa risentire un danno al suo patrimonio indipendentemente dal diritto che egli abbia all'esercizio di quel potere. Non vi è, cioè, necessaria identità fra il titolo al risarcimento ed il titolo giuridico di proprietà. Pertanto nel giudizio risarcitorio promosso dal danneggiato non è necessario, ai fini della legittimazione attiva, provare l'esistenza di quest'ultimo titolo, bastando la prova del danno, in quanto l'ingiustizia del danno non è necessariamente connessa alla proprietà del bene danneggiato né all'esistenza di un diritto comunque tutelato ‘erga omnes’, potendo i diritti sul medesimo bene derivare da un’ampia serie di rapporti con altri soggetti, salvi i concorrenti o contrapposti diritti di costoro”, consultabile in Rivista Giuridica dell’Edilizia, 1994, p. 20.

[13] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 12 Novembre 1988, n. 6132, in Foro italiano, 1989,742.

[14] Tribunale di Roma, 21 Novembre 1989, in Rivista di diritto sportivo, 1990, p. 190.

[15] Incidentalmente occorre rilevare che la quantificazione del danno materiale, a nostro avviso, è legata alle somme erogate all’atleta a qualunque titolo durante il periodo di inabilità, all’impossibilità di sostituzione di quest’ultimo (o alla maggiore onerosità che ne deriva), ai mancati risultati sportivi che potrebbero derivare dal mancato godimento delle sue prestazioni, alla privazione di somme derivanti da sponsorizzazioni e infine alla perdita del potere di autorizzare il suo trasferimento ad altra squadra.

[16] Ex art. 90, comma 8°, della legge 289/2002, le somme erogate dagli imprenditori agli enti sportivi dilettantistici possono essere detratte come spese di pubblicità entro un importo annuo di euro 200.000,00. In merito la giurisprudenza ha chiarito che la disposizione sovracitata prevede per detti corrispettivi “una presunzione di inerenza all'attività di impresa (quale spesa di pubblicità volta alla promozione dell'immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario), che può essere vinta solo mediante la dimostrazione dell'antieconomicità e la sproporzione di quanto erogato, in relazione al fatturato dell'impresa medesima”. Sulla questione si veda Commissione Tributaria Provinciale di Mantova, sez. I, 12 Agosto 2013, n. 170, consultabile on line in www. iusexplorer.it.

[17] Le NOIF all’art. 96 prevedono testualmente relativamente al premio di preparazione che “le società che richiedono per la prima volta il tesseramento come ‘giovane di serie’, ‘giovane dilettante’ o ‘non professionista’ di calciatori che nella precedente stagione sportiva siano stati tesserati come ‘giovani’, con vincolo annuale, sono tenute a versare alla o alle società per le quali il calciatore è stato precedentemente tesserato un “premio di preparazione” sulla base di un parametro – raddoppiato in caso di tesseramento per società delle Leghe Professionistiche - aggiornato al termine di ogni stagione sportiva in base agli indici ISTAT per il costo della vita, salvo diverse determinazioni del Consiglio Federale”.

[18] Ai sensi dell’art. 99 delle NOIF, relativo al premio di addestramento e formazione tecnica a favore della società presso la quale il calciatore ha svolto l’ultima attività dilettantistica, “a seguito della stipula da parte del calciatore ‘non professionista’ del primo contratto da ‘professionista’, la società che ne acquisisce il diritto alle prestazioni è tenuta a corrispondere alla società, per la quale era tesserato il calciatore, un premio di preparazione e formazione tecnica determinato secondo l’allegata Tabella ‘B’, che costituisce parte integrante del presente articolo. L’importo di tale premio è certificato dall’Ufficio del Lavoro della F.I.G.C. su richiesta della Società, associata alla L.N.D., titolare del precedente tesseramento. Il premio non spetta qualora il calciatore, al momento della sottoscrizione del primo contratto da professionista, non sia più tesserato per la società dilettantistica”.

[19] Ex art. 99 bis delle NOIF, concernente il premio alla carriera, “alle società della L.N.D. e/o di puro Settore Giovanile è riconosciuto un compenso forfettario pari a Euro 18.000,00= per ogni anno di formazione impartita a un calciatore da esse precedentemente tesserato come ‘giovane’ o ‘giovane dilettante’ nei seguenti casi: a) quando il calciatore disputa, partecipandovi effettivamente, la sua prima gara nel Campionato di serie A; ovvero b) quando un calciatore disputa, partecipandovi effettivamente con lo status di professionista, la sua prima gara ufficiale nella Nazionale A o nella Under 21. Il compenso è dovuto esclusivamente a condizione che il calciatore sia stato tesserato per società della L.N.D. e/o di puro Settore Giovanile almeno per la stagione sportiva iniziata nell’anno in cui ha compiuto 12 anni di età o successive, e deve essere corrisposto dalla società titolare del tesseramento al momento in cui si verifica l’evento o, in caso di calciatore trasferito a titolo temporaneo, dalla società titolare dell’originario rapporto col calciatore. Tale compenso deve essere corrisposto alle stesse entro la fine della stagione sportiva in cui si è verificato l’evento. Nel caso la società dilettantistica o di puro Settore Giovanile abbia già percepito, in precedenza, da una società professionistica, il ‘premio di preparazione’ (art. 96 N.O.I.F.) o il ‘premio di addestramento e formazione tecnica’ (art. 99 N.O.I.F.) ovvero l’importo derivante da un trasferimento (art. 100 N.O.I.F.), tale somma sarà detratta dall’eventuale compenso spettante”.

[20] L’art. 101 delle NOIF, comma 7°, sui trasferimenti temporanei dei giovani dilettanti evidenzia che “negli accordi di trasferimento possono essere inserite clausole che prevedano un premio di valorizzazione a favore della società cessionaria o un premio di rendimento a favore della società cedente determinati con criteri analiticamente definiti da erogare, salve diverse disposizioni annualmente emanate dal Consiglio federale, attraverso la Lega competente, nella stagione successiva a quella in cui si verificano le condizioni previste”.

[21] Le NOIF all’art. 100 stabiliscono relativamente al trasferimento dei calciatori ‘non professionisti’, ‘giovani dilettanti’ e ‘giovani di serie’ che “i calciatori che non abbiano compiuto il diciannovesimo anno di età nell’anno precedente a quello in cui ha inizio la stagione sportiva e che non siano ‘professionisti’, possono essere trasferiti tra società della stessa o di diversa Lega. I calciatori di età superiore ‘non professionisti’ possono essere trasferiti soltanto tra società della Lega Nazionale Dilettanti.  Il trasferimento a titolo definitivo o temporaneo dei calciatori ‘non professionisti’, ‘giovani dilettanti’ e ‘giovani di serie’ può avvenire soltanto nei periodi fissati annualmente dal Consiglio Federale ed una sola volta per ciascun periodo. Pur tuttavia un calciatore acquisito a titolo definitivo da una società può essere dalla stessa trasferito a titolo temporaneo ad altra società”.

[22] Il comma 6° bis, dell’art. 101, delle NOIF sui trasferimenti temporanei dei calciatori ‘non professionisti’, ‘giovani dilettanti’ e ‘giovani di serie’ chiarisce testualmente che “Negli accordi di trasferimento a titolo temporaneo dei calciatori ‘giovani dilettanti’ da Società dilettantistiche a Società professionistiche è consentito, a favore della Società cessionaria il diritto di opzione per l’acquisizione definitiva del calciatore, a condizione: a) che la pattuizione risulti nello stesso accordo di trasferimento; b) che sia precisato l’importo convenuto”.

[23] Cfr. Corte di Cassazione civile, Sez. III, 28 Marzo 1994, n. 2988, consultabile in Diritto di famiglia, 1996, p. 873.

[24] Cfr. F. D. BUSNELLI, La tutela aquiliana del credito: evoluzione giurisprudenziale e significato attuale del principio, in Rivista critica del diritto privato, 1987, p. 283 e s.s; G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, CEDAM, 2005, p. 405 e s.s.

[25] A titolo esemplificativo si veda la disciplina del gioco calcio che all’art. 40 del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti stabilisce la sussistenza del vincolo sportivo per i dilettanti fino al raggiungimento del venticinquesimo anno di età, data dalla quale potranno esercitare, ai sensi dell’art. 32 bis delle NOIF, lo svincolo per decadenza del tesseramento. Inoltre gli artt. 94 TER e 106 delle NOIF prevedono le ipotesi di svincolo dei giovani dilettanti. In particolare si fa riferimento: allo svincolo per morosità, alla rinuncia da parte della società, allo svincolo per accordo, all’inattività del calciatore, all’inattività per rinunzia od esclusione dal campionato della società, al cambiamento di residenza del calciatore, all’esercizio del diritto di stipulare un contratto con qualifica di ‘professionista’ e allo svincolo per decadenza del tesseramento. Tra le seguenti ipotesi è assolutamente più frequente lo svincolo per accordo con l’ente sportivo di provenienza che di regola si accompagna alla corresponsione di somme di denaro. Infatti gli altri casi di svincolo possono essere considerati straordinari o comunque necessitano del consenso della società di appartenenza in quanto: lo svincolo per morosità richiede uno squilibrio nel do ut des che comporta la risoluzione sanzionatoria eccezionale; lo svincolo per rinuncia richiede una manifestazione di volontà della società diretta a liberare dal vincolo l’atleta; lo svincolo per inattività del calciatore che non abbia preso parte, per motivi a lui non imputabili, ad almeno quattro gare ufficiali nella stagione sportiva è un caso eccezionale dato che, secondo la costante giurisprudenza federale, questa può essere facilmente impedita dalla società di appartenenza che dimostri di aver inviato al giocatore, con raccomandata, la convocazione per almeno una gara; lo svincolo per esclusione dal campionato postula che la società sportiva non prenda parte al campionato di competenza, o se ne ritiri o ne venga esclusa, o gli sia revocata l'affiliazione e, quindi, costituisce un’ipotesi ricollegabile a un evento patologico non ordinario che riguardi il sodalizio, lo svincolo per cambiamento di residenza è ipotesi infrequente che richiede un cambiamento di residenza in un comune che si trova in altra regione non limitrofa e il decorso di un termine di un anno da questo; lo svincolo per esercizio del diritto di stipulare un contratto con qualifica di ‘professionista’ rappresenta una vicenda ricollegata ad un avanzamento di carriera che concerne solo una piccola percentuale degli sportivi; lo svincolo per decadenza del tesseramento, in ultimo, postula, il raggiungimento del venticinquesimo anno di età che rappresenta, in un campionato dilettantistico, un’età avanzata per poter passare al professionismo o per poter tesserarsi in società sportive dilettantistiche.


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