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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 25/12/2017 Scarica PDF

Fallimento di un contraente e sorte del preliminare ineseguito

Gianluca Cascella, Avvocato in Torre Annunziata


(Note a margine di Trib. Torre Annunziata 29 aprile 2017)

   

1. La decisione. – 2. Il quadro normativo di riferimento. – 3. La posizione della giurisprudenza. – 4. Gli orientamenti dottrinali. - 5. Riflessioni conclusive.


     

1. La decisione

La pronuncia qui esaminata risulta emessa all’esito di un giudizio proposto dalla curatela di un fallimento per conseguire una pronuncia risolutiva di un contratto ancora in essere, ed ineseguito, alla data dell’apertura della procedura fallimentare, nonché la restituzione della somma versata a titolo di caparra dalla società medesima, all’epoca in bonis, al convenuto.

La parte convenuta nel costituirsi in via principale oppone, specularmente, l'inadempimento della curatela (rectius, della società all'epoca in bonis) all'obbligo di stipulare il definitivo, chiedendo a sua volta declaratoria di risoluzione contrattuale, nonchè accertarsi il proprio diritto alla ritenzione della caparra e, in subordine, contesta la pretesa restitutoria avanzata dal fallimento assumendo che non vi era prova dell'incasso, da parte sua, della cifra indicata a titolo di caparra, chiedendone in conseguenza il rigetto.

Il tribunale respinge le contrapposte domande di risoluzione per inadempimento, ritenendo non esservi prova degli inadempimenti che le parti si contestano a vicenda, accogliendo invece la domanda di risoluzione proposta dalla curatela sotto un diverso profilo, riconducendo la stessa nell'alveo di applicazione dell'art. 72, L.F., avendo interpretato la domanda giudiziale in questione come atto di esercizio di quel diritto potestativo che detta norma riconosce al curatore relativamente ai contratti ancora pendenti al momento della declaratoria del fallimento; in conseguenza, parimenti respinge, la domanda della curatela finalizzata ad ottenere la restituzione della caparra, ritenendo la stessa non sufficientemente provata, per avere la curatela fornito, al riguardo, solo un indizio/principio di prova, costituito dalla avvenuta iscrizione del relativo credito nella contabilità/bilancio, non avvalorato da altre risultanze probatorie; di contro, il giudice ritiene priva di rilievo la circostanza che il convenuto, quale amministratore della fallita società di capitali, avesse firmato il relativo bilancio nella sua ritenuta qualità, sul rilievo che la domanda restitutoria era stata proposta nei confronti di detto soggetto come persona fisica, rispetto al quale, pertanto, gli atti dal medesimo posti in essere come amministratore non possedevano valenza confessoria.

 

2. Il quadro normativo di riferimento

Nella vicenda esaminata dalla richiamata decisione, vengono in rilievo due profili, sostanzialmente: il primo, costituito dall’azione di risoluzione contrattuale (di un contratto preliminare, in questo caso) per inadempimento, regolata dagli art. 1453 e 1455 c.c. ed il secondo, da un’azione ai sensi dell’art. 72, L.F., che, come noto, disciplina la sorte dei contratti pendenti al momento della declaratoria di fallimento.

Le coordinate normative per l’esercizio dell’azione di risoluzione per inadempimento di un contratto, sono dall’art. 1453 c.c. così individuate: i) deve trattarsi di un contratto a prestazioni corrispettive; ii) occorre l’inadempimento di uno dei contraenti alle sue obbligazioni; iii) il contraente non inadempiente, cui spetta in ogni caso il risarcimento del danno, ha la facoltà di agire o per l’adempimento, ovvero per la risoluzione, con la precisazione che, ove il contraente abbia scelto di agire per conseguire l’adempimento, legittimamente può cambiare idea, chiedendo la risoluzione, essendogli invece precluso il contrario; iv) infine, una volta che gli sia stata notificata la domanda di risoluzione, al contraente inadempiente è preclusa la possibilità di adempiere alla propria obbligazione.

Per quanto riguarda invece la sorte di quei contratti che, al momento in cui di uno dei contraenti sia dichiarato il fallimento, risultino ineseguiti o comunque in mancanza di piena esecuzione da parte di ciascuno dei contraenti, è l’art. 72 L.F. a dettare la relativa disciplina, con una previsione alquanto articolata, prevedendosi: i) innanzitutto, nella richiamata eventualità, possono verificarsi due ipotesi, dipendenti dalla scelta del curatore – previa autorizzazione del comitato dei creditori – che può riguardare o il subentro nel contratto pendente, con la conseguente assunzione di tutti i relativi obblighi, oppure lo scioglimento dal contratto de quo, tranne l’ipotesi in cui, trattandosi di un contratto ad effetti reali, il trasferimento del diritto si sia già verificato; in attesa che il curatore assuma una di dette decisioni, il contratto resta sospeso; ii) se il curatore ritarda nel compiere detta scelta, la norma riconosce alla controparte la facoltà di costituirlo in mora a tal fine, chiedendo al giudice delegato di assegnargli un termine per compiere tale scelta: il termine non può superare i sessanta giorni, e se comunque il curatore non sceglie, il relativo silenzio/inerzia determina lo scioglimento del contratto; iii) il curatore può compiere la scelta di cui innanzi anche nel caso in cui ad essere inadempiuto sia un preliminare, con salvezza di quanto stabilisce l’art. 72bis, L.F.[1]; iv) a fronte della decisione del curatore di sciogliersi, al contraente non inadempiente resta, come unico strumento per far valere il proprio credito, l’insinuazione al passivo, mentre nulla gli compete a titolo di risarcimento del danno; v) se l’azione di risoluzione del contratto è stata promossa, prima del fallimento, nei confronti del contraente inadempiente, la stessa produce – con salvezza, ove prevista, degli effetti della trascrizione della relativa domanda – i propri effetti nei confronti della curatela e, se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, dovrà anche in questo caso insinuarsi al passivo fallimentare; vi) si prevede, poi, l’inefficacia di eventuali pattuizioni contrattuali che ricollegano, come effetto automatico del fallimento, la risoluzione del contratto; vii) anche nell’ipotesi in cui lo scioglimento riguardi un contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ex art. 2645bis c.c., all'acquirente viene riconosciuto, per far valere il proprio credito, la sola possibilità di insinuazione al passivo, con esclusione, anche in questo caso, del risarcimento del danno, ma con il riconoscimento, invece, del privilegio previsto ex art. 2775bis c.c. (privilegio speciale sul bene oggetto del preliminare trascritto), purchè, però, alla data della dichiarazione di fallimento, perdurino gli effetti della trascrizione; viii) infine, in relazione a due specifiche ipotesi, riguardanti l’oggetto del preliminare di vendita trascritto ex art. 2645bis c.c., si esclude la già richiamata facoltà di scelta in favore del curatore: ciò avviene o nel caso in cui esso riguardi un immobile ad uso abitativo, destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado, oppure un immobile, ad uso non abitativo, destinato a costituire la sede principale dell'impresa dell'acquirente.

   

3. La posizione della giurisprudenza

Con riguardo alle disposizioni normative sopra richiamate, le posizioni della giurisprudenza, di merito e di legittimità, appaiono indubbiamente consolidate.

Infatti, in ordine alla risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, con recentissima decisione la S.C. ha affermato che, ove vi sia stato il versamento di caparra confirmatoria, a fronte dell’inadempimento dell’altro contraente, la parte adempiente che si sia avvalsa della facoltà di provocarne la risoluzione mediante diffida ad adempiere, ai sensi dell'art. 1454 c.c., è pienamente legittimata ad agire in giudizio esercitando il diritto di recesso ex art. 1385, comma 2, c.c., e in tal caso, se ha versato la caparra, ha diritto di ricevere in restituzione il doppio del relativo importo, ma non anche il risarcimento del danno cagionato dall'inadempimento che ha giustificato il recesso;[2] in ordine alla indispensabile valutazione della gravità dell’inadempimento, o comunque della sua non scarsa importanza per l’interesse della parte non inadempiente – ovvero, come nel caso deciso dalla pronuncia qui esaminata, dei contrapposti inadempimenti che le parti si imputano a vicenda – la S.C. ha, sempre con recente decisione, affermato che la valutazione, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1455 c.c., della non scarsa importanza dell'inadempimento, sia nel caso in cui l’inadempimento abbia riguardato delle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto, sia nell’ipotesi in cui, dalla complessiva motivazione della decisione risulti che il giudice lo abbia considerato tale da incidere in modo rilevante sull'equilibrio negoziale, deve ritenersi in re ipsa[3]; nell’ipotesi in cui – come del resto accaduto anche nel caso deciso dalla decisione qui annotata – le parti in lite si contestano a vicenda degli inadempimenti, è compito del giudice, come afferma la giurisprudenza di legittimità, procedere ad una “valutazione comparativa degli opposti inadempimenti, avuto riguardo anche allo loro proporzionalità rispetto alla funzione economico -sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, per cui qualora rilevi che l'inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l'eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all'interesse dell'altra parte a norma dell'art. 1455 c.c., deve ritenersi che il rifiuto di quest'ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell'art. 1460, secondo comma, c.c.”,[4] a tanto consegue che, allorquando, nel compimento di tale verifica comparativa il giudice di merito, esaminando le responsabilità di ciascun dei contraenti, perviene a ritenere che i reciproci inadempimenti risultino di gravità equivalente, per cui nessuno di essi consente di imputare alla controparte una responsabilità prevalente nella mancata stipula del definitivo, altro non potrà fare che dichiarare risolto il contratto in questione;[5] va infine tenuto presente che, in ordine ai rapporti tra risoluzione di diritto e risoluzione giudiziale, la S.C. ha precisato che, mentre nella proposizione di una domanda di risoluzione di diritto per l'inosservanza di una diffida ad adempiere, è implicitamente contenuta, essendo infatti un petitum minore, la domanda di risoluzione giudiziale ex art. 1453 cod. civ., ciò non vale per l'ipotesi inversa, in cui, cioè, sia stata proposta solo la domanda di risoluzione giudiziale, per cui in tale ultima ipotesi il giudice non potrà esaminare la risoluzione ipso jure, salvo che i fatti posti a fondamento di essa non siano stati allegati in funzione di un proprio effetto risolutivo;[6] pertanto, nel caso in cui sia stata proposta una domanda di risoluzione di diritto, il giudice di merito, anche ove la ritenga infondata, alla luce del richiamato orientamento di legittimità, deve ritenersi comunque tenuto ad esaminare anche la domanda di risoluzione giudiziale implicitamente contenuta nella prima; in ogni caso, la giurisprudenza di legittimità rileva come, in presenza di reciproche domande di risoluzione, allorquando non risulti possibile verificare la fondatezza degli addebiti che ciascuno dei contraenti addossa all’altro, con conseguente impossibilità di pronunciare la risoluzione per colpa di una delle parti, si rende inevitabile (quanto indispensabile) dare atto dell’impossibilità di esecuzione del contratto per effetto della scelta, operata ex art. 1453 comma 2 c.c., e 1458 c.c., da entrambi i contraenti, di domandare la risoluzione, ed occorre statuire conseguentemente una risoluzione del contratto per mutuo dissenso, a maggiore ragione nel caso in cui la mancata esecuzione del contratto medesimo perduri da tempo;[7]resta comunque fermo il fatto che anche in caso di rigetto della domanda di risoluzione contrattuale in presenza di un inadempimento di scarso rilievo, tanto non comporta necessariamente il rigetto della domanda di risarcimento, se contestualmente proposta, dato che anche un inadempimento ritenuto non sufficiente per pronunciare la risoluzione può comunque aver causato un danno risarcibile.[8]

Con riguardo all’art. 72 L.F., va rilevato – pur se appare invero pacifico – innanzitutto che l’esercizio della facoltà di scelta riconosciuta da detta norma al curatore, presuppone la persistente pendenza, al momento in cui è dichiarato il fallimento, del contratto in questione;[9] inoltre, la giurisprudenza ritiene non necessaria una forma specifica per manifestare la scelta del curatore, essendosi affermato che essa possa validamente venir manifestata anche tramite un comportamento concludente ed inequivoco; si è affermato, infatti “L'art. 72 l. fall. non prescrive alcuna forma per la manifestazione delle intenzioni del curatore in merito alla eventuale prosecuzione del contratto e, per tale motivo, è ammesso che detta manifestazione di volontà si produca per comportamenti concludenti; è un comportamento concludente, nel senso della manifestazione della volontà del Curatore di sciogliersi dall'accordo avente ad oggetto la modifica di un preliminare di vendita, la sua richiesta di autorizzazione al Giudice Delegato alla vendita a terzi dell'immobile”[10]; inoltre, detto atto, come riconosciuto dalla S.C., costituisce atto di esercizio di un diritto potestativo a carattere sostanziale, rientrante nella disponibilità del curatore, e che opera direttamente sul contratto,[11] per cui se ne ammette il valido e tempestivo esercizio anche nella fase di appello del giudizio proposto ex art. 2932 c.c., con dichiarazione che è possibile inserire in qualsiasi atto la cui presenza sia rilevabile d’ufficio ai fini della decisione;[12] va poi tenuto presente che, a seconda del momento temporale in cui interviene la risoluzione del contratto – rispetto al quale la dichiarazione di fallimento costituisce lo spartiacque – si producono conseguenze diverse in ordine alle procedure di insinuazione  esperibili; per la S.C., infatti “la risoluzione del contratto effettuata precedentemente alla dichiarazione di fallimento implica procedure di insinuazione differenti rispetto allo scioglimento del contratto operato successivamente alla dichiarazione di fallimento. Pertanto, ove in fase di insinuazione si opti per una soluzione ed in fase di opposizione si migri verso soluzione opposta, la domanda sarà nuova quindi inammissibile”;[13]ancora, in ordine alla individuazione del momento ultimo entro il quale il curatore può validamente esercitare la facoltà di scelta riconosciutagli dal primo comma dell’art. 72, L.F., la giurisprudenza di legittimità ha recentemente affermato “la facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto preliminare di vendita stipulato dal fallito e non ancora eseguito, ai sensi dell'art. 72, comma 4, l.fall., può essere esercitata fino all'avvenuto trasferimento del bene, ossia fino all'esecuzione del contratto preliminare attraverso la stipula di quello definitivo, ovvero fino al passaggio in giudicato della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., e dunque anche nel giudizio di appello: il limite alla proponibilità delle eccezioni in senso proprio, previsto dall'art. 345 c.p.c., non assume infatti rilevanza rispetto al compimento dell'atto in esame, il quale costituisce esercizio di un diritto potestativo di carattere sostanziale e manifestazione di una scelta discrezionale spettante al curatore, che opera direttamente sul contratto e può essere effettuata anche in sede stragiudiziale senza vincoli di forma”[14]; infine, va detto che, con ancor più recente decisione, la S.C. ha ribadito che nel caso in cui sia stato il contraente non inadempiente ad introdurre, prima che venisse dichiarato fallito il contraente inadempiente, l’azione di risoluzione del contratto, la relativa domanda, ove riguardi immobili, in tanto potrà essere opponibile al fallimento in quanto sia stata trascritta prima del fallimento;[15] con la precisazione, inoltre, che allorquando, anteriormente alla dichiarazione di fallimento, il promissario acquirente abbia proposto e trascritto domanda ex art. 2932 c.c. relativamente ad un contratto preliminare di compravendita, anche dopo fallimento del promittente venditore il curatore può esercitare la facoltà di scelta riconosciutagli dall'art. 72 l. fall., salvo che il promissario acquirente ottenga la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., dato che, retroagendo gli effetti di tale sentenza al momento della trascrizione della domanda, la scelta del curatore non sarà opponibile al promissario acquirente,[16] in quanto, ove la domanda di esecuzione in forma specifica sia stata trascritta prima della sentenza dichiarativa di fallimento, ai sensi dell’art. 2652 c.c. si produce, come previsto dall’art. 45 della L.F., l'effetto dell'opponibilità della trascrizione anteriore;[17] al riguardo, infatti, le Sezioni Unite della S.C. hanno inequivocamente affermato ”In base al combinato disposto dell'art. 45 l.fall. e art. 2652, 2653 e 2915 c.c., sono opponibili ai creditori fallimentari non solo gli atti posti in essere e trascritti dal fallito prima della dichiarazione di fallimento, ma anche le sentenze pronunciate dopo tale data, se le relative domande sono state in precedenza trascritte. A questa regola per la risoluzione dei conflitti non fa eccezione la trascrizione della domanda ex art. 2932: la trascrizione della sentenza che accoglie la domanda diretta a ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda, ivi compresa l'iscrizione nel registro delle imprese della sentenza di fallimento a norma degli art. 16 e 17 l.fall”,[18] per cui nel caso in cui il giudizio si sia svolto nei confronti del solo fallito dopo che è intervenuta la relativa dichiarazione, anche nel caso di accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. con trascrizione della sentenza nei registri immobiliari successivamente al fallimento, risulta legittimo l’esercizio, da parte della curatela, del potere di scioglimento ex art. 72 l.fall., in quanto in detta ipotesi sussiste la radicale inopponibilità alla curatela di tale decisione, che impedisce, altresì, il verificarsi dell’effettivo tipico della trascrizione (in questo caso della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c.), cioè quello prenotativo.[19]

La spiegazione di tale preclusione ben si evince da un’altra decisione della S.C., in cui si è chiarito che “Il fallimento del promittente venditore di un immobile consente al curatore di optare per lo scioglimento del contratto ex art. 72 legge fall. e di ottenere il rigetto della domanda ex art. 2932 cod. civ., anche se questa è stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento, in quanto l'effetto prenotativo della trascrizione vale per le sentenze dichiarative e non per quelle costitutive, in relazione alla facoltà di scelta del curatore, che trova il solo limite nel giudicato.[20]

   

4. Gli orientamenti dottrinali

Anche la dottrina, sostanzialmente, appare allineata agli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati.

Infatti, con riguardo all’azione di risoluzione per inadempimento di un contratto, in dottrina essa viene, in linea generale, autorevolmente ricostruita in termini di atto di esercizio di un diritto a carattere potestativo, mirante a provocare la caducazione di un contratto originariamente sorto in condizioni di piena validità, e che tuttavia, per effetto della scelta esercitata da una delle parti, viene posto nel nulla ex tunc,[21] aprendo la strada alla restituzione di tutto quanto dato, fatto e/o prestato, ed ovviamente ricevuto, dalle parti nell'adempimento delle obbligazioni gravanti su ciascuna di esse; per altra autorevole opinione, poi, detto rimedio vede il proprio ambito applicativo circoscritto ai soli contratti a prestazioni corrispettive, ed in relazione ai casi in cui il rapporto sinallagmatico entra in crisi, rendendo impossibile che la prestazione cui si è obbligata una parte possa trovare (o comunque, continuare a trovare) la propria giustificazione causale nella prestazione cui è tenuta la propria controparte contrattuale;[22] in ordine alla funzione che svolge la risoluzione, appare evidente la sua natura di strumento rimediale, finalizzato, come autorevolmente si sostiene, a ricondurre ad un punto di equilibrio il rapporto tra le contrapposte prestazioni che le parti si erano impegnate ad eseguire, e che, tanto per scelta dei contraenti, tanto per effetto di eventi indipendenti dalla loro volontà, in corso di rapporto è andato incontro ad una situazione di squilibrio,[23] per cui essa produce effetti sia liberatori sia recuperatori, che tuttavia divergono per il rispettivo dies a quo, essendo i primi ex nunc ed i secondi ex tunc. [24]

 Con specifico riguardo alla risoluzione del contratto preliminare, poi, in dottrina si è osservato come la stessa sia la conseguenza dell'inadempimento di obblighi che, rispetto all'adempimento delle prestazioni pattuite nel contratto medesimo assumono carattere preparatorio e/o strumentale, come nel caso di preliminare di vendita di cosa altrui, allorquando il promittente alienante, al momento fissato per la conclusione del definitivo, non sia stato in grado di far acquistare la proprietà del bene alla sua controparte,[25] oppure come conseguenza di fatti che, rispetto all'adempimento, spiegano efficacia impeditiva integrando, in sostanza, un anticipazione dell'inadempimento[26]; si verifica, per detta opinione, simile ipotesi nel caso in cui sia promessa in vendita una cosa di proprietà del promittente alienante che, tuttavia nelle more del definitivo, proceda ad alienarla ad un terzo, dato che tale condotta costituisce definitivo e totale inadempimento da parte di quest'ultimo, che legittima il promissario acquirente a domandare la risoluzione, a maggiore ragione in quanto detto soggetto, in simile eventualità, risulta altresì privato della possibilità di chiedere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto, e quindi di ottenere una sentenza con effetti immediatamente traslativi, ex art. 2932 c.c.[27]

Con riguardo alla regolamentazione dei rapporti pendenti nel fallimento, la dottrina ha innanzitutto rilevato come, a seguito delle riforme introdotte nel 2006 e nel 2007, si è accentuata l'importanza della disciplina dei rapporti in questione, a maggiore ragione nel caso in cui il patrimonio aziendale risulta costituito non da beni di proprietà, bensì da beni utilizzati a seguito di contratti stipulati con terzi, importanza accresciuta allorquando, nella procedura fallimentare, venga ad assumere rilievo preminente il complesso aziendale come valore in sè, piuttosto che quello dei singoli beni che la compongono, in prospettiva della loro eventuale liquidazione;[28] inoltre, la nozione che concordemente si accoglie in dottrina circa cosa debba intendersi per rapporto pendente fa riferimento a quei contratti, rigorosamente sinallagmatici, che al momento in cui una delle parti venga dichiarata fallita, risultino in tutto, o anche solo in parte, non eseguiti;[29] con riferimento a tale ultima ipotesi, quella cioè della incompleta esecuzione (o, il che è lo stesso, della mancata totale esecuzione), vanno prese in considerazione solo le obbligazioni principali che nascono da simili contratti, con esclusione, quindi, della rilevanza dell'inadempimento di quelle obbligazioni che, in relazione all'oggetto del singolo contratto, possiedano natura accessoria.[30]

Con specifico riferimento alla ratio dell'art.72 L.F., poi, la dottrina afferma che detta norma rinviene la sua ragione d’essere nella ricostruzione proposta da quello studioso (Bonelli) che attribuiva rilevanza fondamentale al principio del c.d. sinallagma funzionale, principio che, nei rapporti  avente carattere bilaterali impedisce la dissoluzione del legame di interdipendenza tra le contrapposte prestazioni nel momento della rispettiva attuazione;[31] ritenendosi pertanto che detta norma mira a proteggere il rispetto del rapporto sinallagmatico, si afferma che da tanto discende che la parte in bonis è da considerarsi esonerata da prestare e/o pagare quanto da essa dovuto nel caso in cui la corrispettiva prestazione che gli spetta potrà essergli corrisposta al massimo in moneta fallimentare.[32]

Funzione di tale disciplina viene allora individuata nell'introduzione di una regolamentazione in forza della quale, rispettivamente, o le obbligazioni originariamente assunte con il contratto rimasto ineseguito ricevano un'attenuazione, o comunque al fine di di permettere ai soggetti che dal fallimento della propria controparte contrattuale non hanno ancora subito conseguenze negative, di astenersi dall'adempiere alla propria prestazione, nonchè di svincolarsi dai contratti in questione.[33]

Circa la natura della decisione del curatore di sciogliersi dal contratto, la medesima autorevole dottrina innanzi citata la ricostruisce in termini di atto di esercizio di un diritto potestativo di recesso, che si fonda in una causa giustificatrice individuabile ictu oculi, rappresentata dal fallimento, il cui sopravvenire determina un radicale mutamento nell'interesse che il fallito può avere nei riguardi del contratto non ancora eseguito, dato che lo sostituisce con quello della massa dei creditori.[34]

Per l'ipotesi in cui il contratto pendente sia un contratto preliminare, la dottrina ha rilevato che la formulazione attuale dell'art. 72, L.F., al terzo comma, rappresenta in sostanza la positivizzazione di ormai consolidati orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, per cui anche quello che trova origine in un preliminare che risulta ineseguito, alla data della declaratoria di fallimento, va considerato un rapporto pendente, conclusione che non è modificata e/o inficiata dall'oggetto dell'eventuale contratto definitivo, trovando invece applicazione per ogni tipologia di preliminare;[35] invece, esulano dal perimetro applicativo dell'art. 72, L.F., non solo i contratti ad effetti reali in relazione ai quali sia già avvenuto il trasferimento del diritto – come ad esempio nel caso in cui sia già stata trasferita la proprietà, poichè, in tale ipotesi, come si afferma in dottrina, l'altro contraente ha tutto il diritto di conseguire la piena esecuzione del contratto[36] -  ma ogni tipologia contrattuale in cui, nel caso concreto, il relativo oggetto già prima del fallimento non era più nella disponibilità di colui che in seguito è stato dichiarato fallito e, conseguentemente, non poteva più ritenersi rientrante nell'alveo applicativo dell'art. 2740 c.c.,[37] salvo, ovviamente, l'esperimento delle sempre possibili azioni revocatorie; a tale ultimo proposito, infatti, la dottrina testualmente afferma “Ben diverso profilo è quello della assoggettabilità di tali atti traslativi e costitutivi di diritti, per effetto del sopravvenuto fallimento, alle azioni revocatorie che sono dirette a rendere inefficaci rispetto ai creditori fallimentari le attribuzioni patrimoniali effettuate dal fallito prima dell’apertura della procedura. Tali azioni nulla hanno a che fare con la disciplina del contratto, né tantomeno col sopravvenire del fallimento sul contratto in corso di esecuzione. La revocatoria è rivolta a reintegrare la garanzia patrimoniale e conseguentemente investe le attribuzioni patrimoniali compiute dal fallito nel periodo sospetto, indipendentemente dal fatto che questa sia frutto dell’effetto reale del contratto o dell’attuazione di un diritto obbligatorio quale l’adempimento di una obbligazione.”[38]

Infine, con riguardo all’ipotesi prevista dall’ultimo comma della norma – e cioè nel caso in cui il contratto pendente sia una preliminare trascritto di vendita di immobile destinato a costituire l’abitazione principale del promissario acquirente – la dottrina ritiene che la scelta del curatore di subentrare nel contratto in questione non costituisce atto di esercizio di un potere discrezionale, bensì un atto dovuto, essendo in tale ipotesi, sempre secondo la norma richiamata, preclusa alla curatela la possibilità di liberarsi dal contratto, al quale è invece tenuto a dare esecuzione al posto del fallito;[39] risulta evidente, inoltre, che questa disposizione attribuisce, al promissario acquirente di simile immobile, una tutela molto forte, che produce l’ulteriore effetto di spezzare ogni potenziale collegamento con le previsioni contenute nell’art. 72, settimo comma, L.F., nonché nell’art. 2775bis c.c.[40]; pertanto, realizzandosi l’effetto traslativo della proprietà in modo forzoso, in quanto imposto ex lege, ne deriva, quale logico corollario, l’applicazione (obbligata) anche di un’ulteriore norma della legge fallimentare, e precisamente dell’art. 108, in forza del quale su ordine del giudice vengono cancellate le iscrizioni ipotecarie, sempre dopo che – ovviamente – sia stato pagato il prezzo.[41]

 

5. Riflessioni conclusive

Dopo il tentativo di ricostruire la vicenda e gli istituti che in essa vengono in rilievo, almeno come desumibili dal testo della decisione qui in commento, come si è provato ad estrinsecare nelle pagine precedenti, appare opportuno, in conclusione, formulare alcune brevi considerazioni finali.

La decisione del tribunale oplontino, sulla scorta degli elementi che il lettore può ricavare dal testo della medesima, non appare invero criticabile, avendo il giudice fatto applicazione di consolidati orientamenti della S.C., per la decisione della controversia: questo, ovviamente, almeno per quanto è dato evincere dalla stessa.

Volendo tuttavia provare a formulare alcune ipotesi di lavoro – andando alla ricerca di quello che non c’è, rectius, di quello che dalla decisione non emerge, ma non è detto che non ci sia - viene da chiedersi se detta decisione possa ritenersi comunque corretta nel caso in cui – lo si ripete, dal testo nulla di esplicito si può ricavare, per cui quelle che seguono sono ipotesi – invece, dagli atti di causa emergessero circostanze diverse ed ulteriori, sia con riguardo alla qualità soggettiva delle parti, sia con riguardo alle scansioni processuali, circostanze fattuali che, in un procedimento del tipo di quello deciso dalla pronuncia qui in commento, non è affatto infrequente riscontrare.

Dal primo punto di vista, dalla sentenza emergono comunque elementi che rendono non inverosimile l’ipotesi che l’affermata estraneità, incompatibilità e non sovrapponibilità delle vicende relative al convenuto-persona fisica con quelle inerenti lo svolgimento, da parte del medesimo soggetto, dell’attività di organo della fallita società di capitali (amministratore, nel caso di specie) possa invece non sussistere; infatti, visto lo strettissimo rapporto di parentela (madre/figlio) tra le parti dell’originario contratto preliminare, nonché il ruolo di organo della società di capitali in cui vi è stato il conferimento della omonima ditta individuale, rivestito dal convenuto, non vi sarebbe affatto da sorprendersi se dagli atti di causa emergesse – anche se la decisione tace sul punto, non essendovi alcun accertamento, né positivo né negativo, al riguardo, per cui lo si può solo ipotizzare - la titolarità, in capo al convenuto ed all’interno della società poi fallita, di una posizione ulteriore, come ad esempio – per mera ipotesi, lo si ripete – la qualità di socio.

In tal caso, allora, si rivelerebbe non condivisibile la decisione del giudice, dal momento che la S.C., con una recente pronuncia, inserendosi peraltro nel solco di un orientamento invero consolidato, ha statuito “la delibera dell'assemblea ordinaria di ricognizione dei debiti sociali, in mancanza di relativa rituale impugnazione, ha carattere probatorio e vincolante, anche nei confronti dei soci dissenzienti: pertanto, il magistrato non deve ricostruire la contabilità della società e ciò sia pur in caso di doglianze "ad hoc", non suffragate da fatti e prove adeguatamente esposti in ricorso, da parte del socio”;[42] contestazione, peraltro, nel caso di specie da ritenersi totalmente inesistente, dato che il bilancio, a leggere la sentenza, sarebbe stato approvato proprio dal convenuto/amministratore.

In conseguenza, poiché per la S.C. tutte le decisioni societarie, non solo quella canonica di approvazione del bilancio, ma anche ogni altra diversa deliberazione assembleare, in mancanza di una rituale impugnazione, producono l'effetto proprio della vincolatività per tutti i soci e costituiscono, ove la società chieda di accertare di essere creditrice verso taluni soci, in modo chiaro ed espresso, piena prova di tale credito che la società, con formale e valida deliberazione assembleare, abbia affermato vantare nei confronti di un determinato socio,[43] allora, diversamente da quanto affermato nella decisione qui in commento, all’attività compiuta dal convenuto quale organo della società di capitali ben potrebbe riconoscersi valenza confessoria rispetto a vicende che lo riguardano come persona fisica, vista la coincidenza – in tale prospettata ipotesi - dei due profili; il che rileva a maggiore ragione considerando che, per la S.C., l’approvazione – e l’assenza di contestazioni – della delibera assembleare possiede efficacia probatoria piena del credito vantato dalla società nei confronti di un singolo socio, in ragione del fatto che il principio della libera valutabilità, da parte del giudice di merito, dei libri e delle scritture contabili - quindi anche del bilancio, senza dubbio - dell'impresa soggetta a registrazione, ai sensi dell'art. 2709 c.c., è inapplicabile ai rapporti fra società e socio, in quanto ai rapporti in questione trova applicazione, anche con riguardo alle rispettive posizioni debitorie e creditorie, il principio della generale vincolatività delle delibere assembleari,[44] desumibile dall’art. 2377, 1° comma c.c.

Dal secondo punto di vista, in un inciso della decisione emerge che il tribunale ha dichiarato la risoluzione del contratto preliminare ancora pendente ai sensi dell’art. 72 della Legge Fallimentare, e non per inadempimento del convenuto, ritenendo lo stesso non provato.

Deve presumersi, allora, che la domanda proposta dalla curatela sia stata una domanda di risoluzione per inadempimento, e non ex art. 72 L.F., e che, invece, il tribunale, nell’esercizio del suo potere – quale giudice di merito – di interpretazione della domanda, abbia inteso accoglierla sotto il differente profilo di cui alla richiamata disposizione della legge fallimentare, in applicazione del noto brocardo per il quale da mihi factu, dabo tibi ius; applicazione, questa, teoricamente non censurabile, da un lato ma, per altro verso, non immune ad una censura formulabile, altrettanto teoricamente, sulla scorta di quell’orientamento di legittimità secondo cui ”Il principio secondo cui l'interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo a un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato,”[45] anche perché, va detto, non appaiono sovrapponibili né fungibili la risoluzione per inadempimento, da un lato, e l’azione ex art. 72 L.F., dall’altro; consegue a tanto che, in tale ultima eventualità, non potrebbe escludersi la possibilità di una violazione dell’art. 112 c.p.c.; sul punto, del resto, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che “Spetta al giudice interpretare la domanda o le domande proposte, tenendo presente il contenuto sostanziale della domanda (petitum e causa petendi) quale desumibile dagli atti del giudizio e dalle allegazioni delle parti, ma senza sostituire alla domanda proposta una diversa domanda, cadendo altrimenti nella pronuncia ultra petita o extra petita.”[46]

In questa prospettiva, non potendosi evincere nulla in proposito dalla sentenza, non è possibile capire se la curatela, per la prova dell’inadempimento, abbia o meno articolato richieste istruttorie: in caso affermativo, non è infondato ipotizzare che i mezzi istruttori non siano stati ammessi, il che solleva un interrogativo: infatti, nel caso in cui la curatela avesse, eventualmente, articolato delle richieste di prova - testimoniale, ad esempio – non potrebbe escludersi la sussistenza di un vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova, in quanto quale conseguenza di tale omessa statuizione potrebbe ipotizzarsi l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia, nel caso in cui la prova non ammessa, ovvero non esaminata in concreto, dovesse rivelarsi idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento, come del resto ritiene la S.C.[47]

Infine, un altro aspetto su cui può provarsi a formulare un’ipotesi di lavoro attiene all’affermazione del Tribunale circa l’essere, la domanda della curatela volta ad ottenere la restituzione della caparra, sostenuta esclusivamente da un indizio di prova: affermazione, questa, che contiene altresì il riconoscimento che detta domanda, se da un lato non risultava pienamente provata, dall’altro, specularmente, era impossibile da ritenere del tutto infondata (avendo la curatela fornito prova che il relativo credito era stato regolarmente iscritto in bilancio, a quanto è dato leggere nella decisione).

In una tale situazione, salta all’occhio del lettore la circostanza per la quale non vi è traccia alcuna di una richiesta di CTU contabile; richiesta che, invero, in un simile contesto probatorio e fattuale, avrebbe dovuto essere, verosimilmente, formulata sicuramente, o quasi, da parte della curatela; orbene, poiché tra le due ipotesi che su tale assenza possono formularsi, ovvero, da un lato, che la curatela (rectius, la relativa difesa) abbia omesso di formulare una simile istanza e, dall’altro, che tale richiesta sia stata disattesa, esplicitamente oppure implicitamente, da parte del giudice, la seconda appare quella più verosimile (anche perché, come detto, nulla evincendosi al riguardo dalla sentenza, non può escludersi) allora, a carico della sentenza potrebbe ipotizzarsi un ulteriore profilo di vizio di motivazionale, per avere omesso di provvedere sull’istanza di CTU contabile, se ipoteticamente proposta (il dubitativo è d’obbligo) dalla curatela istante.

In proposito, infatti, va tenuto presente che, per la S.C., se è pacifico che il giudice di merito, nell'esercizio del proprio potere discrezionale di accoglimento (o di rigetto), anche implicito, di una istanza di consulenza tecnica avanzata da una delle parti del processo, è tenuto unicamente ad evidenziare, in sede di motivazione della propria decisione, la esaustività delle altre prove, acquisite o prodotte nel corso dell'istruttoria, ai fini della pronuncia definitiva sulla controversia,[48] è altrettanto indubbio, però, che al giudice medesimo, per converso, è preclusa la possibilità di negare ingresso a detta istanza, omettendo di confutare le ragioni addotte dalla parte a sostegno della medesima, e ritenere nel contempo indimostrati i fatti che, per effetto della consulenza stessa, si sarebbero potuti invece, provare;[49] principio, questo, che per i giudici di legittimità vale a maggiore ragione nel caso in cui l’oggetto dell'accertamento sia costituito da elementi, rispetto ai quali, la consulenza si presenti come lo strumento d’indagine più efficiente e la parte si trovi, per converso, se non nell'impossibilità, quanto meno nella pratica difficoltà di offrire adeguati parametri di valutazione.[50]



[1] Disposizione per il quale i contratti relativi agli immobili da costruire si sciolgono nel caso in cui, prima che vi sia l’esercizio della facoltà di scelta riconosciuta dall’art. 72 L.F. al curatore, vi sia stata, da parte dell'acquirente, l’escussione della fideiussione a garanzia della restituzione di quanto versato al costruttore, con relativa comunicazione al curatore, escussione tuttavia preclusa successivamente alla comunicazione del curatore del subentro nel contratto.

[2] Cass. civ., sez. II, 3 novembre 2017, n. 26206, in Giust. Civ., Mass., 2017.

[3] Cass. civ., sez. II, 8 settembre 2017, n. 20957, in Guida al Diritto, 2017, 43,55.

[4] Cass. civ., sez. II, 6 settembre 2017, n. 20846, in www.iusexplorer.it.

[5] App. Milano, sez. IV, 3 febbraio 2017, n. 448, in www.iusexplorer.it.

[6] Cass. civ., sez. I, 23 maggio 2014, n. 11493, in Giust. Civ., Mass., 2014.

[7] Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2013, n. 16637, in Guida al Diritto, 2013, 36, 98 (s.m.).

[8] Cass. civ., sez. II, 16 giugno 2016, n. 12466, in Giust. Civ., Mass., 2016.

[9] Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2015, n. 5523, in Diritto&Giustizia, 2015.

[10] Trib. Bergamo, 19 maggio 2016, in Rivista dei Dottori Commercialisti, 2016, 4, 672.

[11] Cass. civ., sez. II, 16 settembre 2015, n. 18149, in Giust. Civ., Mass., 2015. 

[12] Cass. civ., sez. II, 16 settembre 2015, n. 18149, cit.

[13] Cass. civ., sez. I, 9 febbraio 2016, n. 2358, in Diritto&Giustizia, 2016.

[14] Cass. civ., sez. I, 9 agosto 2017, n. 19754, in Giust. Civ., Mass., 2017. 

[15] Cass. civ., sez. I, 25 settembre 2017, n. 22280, in Diritto&Giustizia, 2017.

[16] Cass. civ., sez. I, 27 marzo 2017, n. 7778, in www.ilprocessocivile.it

[17] Cass. civ.. sez. VI (I), 5 settembre 2016, 17627, in www.ilfallimentarista.it

[18] Cass. civ., Sez. Un., 16 settembre 2015, n. 18131, in www.giustiziacivile.com

[19] Cass. civ., sez. I, 31 luglio 2017, n. 19010, in Giust. Civ., Mass., 2017. 

[20] Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2014, n. 9076, in Giust. Civ., Mass., 2014.

[21] SANTORO PASSARELLI F., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, 72 e ss.

[22] SACCO R.-DE NOVA G., Il contratto, in Trattato Diritto Civile, diretto da Rescigno, Torino, 1993, X, 584 e ss.

[23] GAZZONI F., Manuale di Diritto Privato, Napoli, XIV ed., 2009, 1017 e ss.

[24] GAZZONI F., op. loc. cit.

[25] GAZZONI F., Il contratto preliminare, Torino, 2010, 126.

[26] GAZZONI F., op. loc. ult. cit.

[27] GAZZONI F., op. loc. ult. cit.

[28] GUALANDI L., Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti, in BERTACCHINI E. - GUALANDI L. - PACCHI G. - PACCHI S.  SCARSELLI G., Manuale di Diritto Fallimentare, Milano, 2007, p. 237.

[29] NIGRO A., VATTERMOLI D., Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2009, 176 e ss.

[30] GUALANDI L., op. cit., p. 238.

[31] COLESANTI V., Durata del processo e tutela del promissario di vendita immobiliare, in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc.1, 2009, 93 e ss.

[32] COLESANTI V., op. loc. cit.

[33] INZITARI B., Sospensione del contratto per sopravvenuto fallimento ed incerti poteri autorizzativi del comitato dei creditori, in http://www.ilcaso.it/opinioni/inzitari-23-12-06, par. 5.

[34] INZITARI B., op. cit., par. 5.

[35] GUALANDI L., op. cit., p. 247.

[36] DI MARZIO F., Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, Torino, 2009, I, p. 725 e ss.

[37] INZITARI B., op. cit., par. 4.

[38] INZITARI B., op. loc. ult. cit.

[39] FARINA P., Subentro del curatore nel preliminare ed operatività dell’art. 108, l.fall., in www.ilfallimentarista.it.

[40] FARINA P., op. cit.

[41] FARINA P., op. cit.

[42] Cass. civ., sez. I, 25 maggio 2016, n. 10828, in CED, Cassazione, 2016.

[43] Cass. civ., sez. I, 25 maggio 2016, n. 10828, cit.

[44] Cass. civ., sez. I, 19 ottobre 2006, n. 22475, in Giust. Civ., Mass., 2006, 10.

[45] Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 2017, n. 1203, in Guida al Diritto, 2017, 18, 74.

[46] Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 2016, n. 1419, in Foro Amm. (Il), 2016, 9, 2118.

[47] Cass. civ., sez. VI, 7 marzo 2017, n.5654, in Giust. Civ., Mass., 2017.

[48] Cass. civ., sez. lav., 8 gennaio 2003, n. 87, in Diritto&Giustizia, 2003, 5, 95.

[49] Cass. civ., sez. lav., 8 gennaio 2003, n. 87, cit.

[50] Cass. civ., sez. lav., 8 gennaio 2003, n. 87, cit.


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