Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26887 - pubb. 11/01/2021

Credito del professionista per rivalsa I.V.A.

Cassazione civile, sez. I, 06 Agosto 1993, n. 8556. Pres. Pannella. Est. Grieco.


Fallimento - Passività fallimentari (accertamento del passivo) - Ammissione al passivo - Credito del professionista per rivalsa I.V.A. - Diversa collocazione rispetto alle corrispondenti prestazioni professionali - Ammissibilità - Attivo - Ripartizione - Piano - Previsione del pagamento contestuale del credito per rivalsa I.V.A. e di quello professionale - Necessità - Esclusione - Fattispecie



Il credito del professionista per rivalsa dell'I.V.A. non rappresenta un accessorio di quello per le corrispondenti prestazioni professionali ed ha, rispetto a questo, una diversa collocazione, ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare, in forza delle norme sulla graduazione dei privilegi, con la conseguenza che, nel piano di riparto dell'attivo, non deve necessariamente esserne previsto il pagamento contestualmente a quello del credito professionale (in forza di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito nella parte in cui aveva negato la contestuale "prededucibilità", a norma dell'art. III, n. I, legge fall., del credito per rivalsa I.V.A. relativo a prestazioni espletate dal professionista prima della dichiarazione di fallimento e da saldare in sede di riparto fallimentare, non ritenendo rilevante che le stesse, in base alla disciplina tributaria di cui all'art. 6 del d.P.R. n. 633 del 1972, si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

 

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Pietro PANNELLA Presidente

" Angelo GRIECO Rel. Consigliere

" Giovanni OLLA "

" Giancarlo BIBOLINI "

" Antonio CATALANO "

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

MACRÌ GIULIO e DIFINO MATTEO, elettivamente domiciliato, in Roma, via Lungotevere Michelangelo 9 c-o l'Avv. Enrico Biamonti che li rappresenta e difende unitamente all'Avv. Mario Casella giusta delega in calce al ricorso;

Ricorrenti

contro

FALLIMENTO SPA CO.FI.PI., in persona del Curatore Franco Lo Passo.

Controricorrente

Avverso il provvedimento del Tribunale di Milano del 12.6.89. È presente per il ricorrente l'Avv. Biamonti.

Il Consigliere Dr. Angelo Grieco svolge la relazione. La difesa del ricorrente chiede l'accoglimento del ricorso. Il P.M., Dr. Lo Cascio conclude per il rigetto del ricorso. (N.D.R.: La discordanza fra i nomi delle Parti citate nell'intestazione e nel testo della sentenza è nell'originale della sentenza).

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 12.6.89, il Tribunale di Milano rigettò il reclamo proposto dall'Avv. G. Macrì e dal Proc. M. Difino ex art. 26 LF contro il provvedimento con cui il G.D. al fallimento CO.FI.PI. spa in data 15.11.88, aveva disposto la esecutività del progetto di riparto parziale depositato dal Curatore il 21.9.88. Il Tribunale rilevò che il credito di rivalsa IVA Imposta sul valore aggiunto versata dal professionista al momento della emissione della "fattura", ed in occasione della formazione del piano di riparto, non aveva il carattere di "prededucibilità" dedotto dai reclamanti sia perché l'erogazione richiesta non poteva essere considerata spesa "per l'amministrazione del fallimento" sia perché essa doveva considerarsi priva di base razionale oltre che giuridica. Secondo il Tribunale, infatti, il riconoscimento della "prededucibilità" del credito di rivalsa avrebbe comportato un'alterazione nella riferibilità soggettiva con aggravi per la "massa" senza che a questa potesse attribuirsi una posizione sostitutiva.

Sottolineo che l'obbligazione tributaria concernente l'IVA, mentre costituiva il rilevante momento di un autonomo rapporto, aveva una innegabile connessione genetica "con l'anteriore ed esaurito rapporto professionale" da cui era derivata la natura privilegiata del credito professionale.

Il riconoscimento della prededucibilità del credito per rivalsa avrebbe, poi, secondo il Tribunale alterato il connotato originario del credito. In realtà, non poteva considerarsi qualificante la circostanza che le prestazioni professionali erano considerate ex art. 6 DPR 633-72 effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo, atteso che la individuazione del momento dell'adempimento della obbligazione tributaria non modificava ne' la soggettività originaria del rapporto ne' la qualifica del credito avente causa e genesi anteriori alla apertura del "concorso". La innegabile inscindibilità tra rapporto professionale e tributario era confermata dal rilievo che il primo era causa e genesi dell'altro mentre, nei confronti dell'obbligato al pagamento, le due ragioni creditorie si collocavano su un identico piano di concorsualità che non escludeva, anche pur la rivalsa IVA, la collocazione nello stato passivo. Ricorrono per cassazione l'Avv. Giulio Macrì ed il Dr. Proc. Matteo Delfino sulla base di un'unica articolata censura.

Il Fallimento non si è costituito.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorrenti premesso di aver chiesto al GD, prima,. ed al Tribunale in sede di reclamo il pagamento in "prededuzione" del credito di rivalsa dell'IVA sull'ammontare dei compensi professionali ammessi al passivo; subordinatamente, il pagamento di tale credito, in via privilegiata, ex artt. 2758, 2 comma; e 2778 n. 7, quanto meno per la parte delle prestazioni stragiudiziali da loro svolte; in ogni caso, il pagamento del contributo previdenziale integrativo di cui all'art. 11 della legge 20.9.80 n. 576, sempre in via privilegiata ex art. 2751 bis n. 2 e con il grado previsto dall'art.2777 cc.; deducono, con la unica, articolata censura, la illegittimità del provvedimento con cui il Tribunale ha rigettato il reclamo denunziando violazione di legge, omissione e contraddittorietà di motivazione (art. 111, 2 comma, della Costituzione; art. 360 nn. 3 e 5 cpc) con riferimento agli artt. 6, 17, 18, 19, DPR 633-72; agli artt. 111, 1 comma, n. 1 RD 16.3.42 n.267 nonché agli artt. 1203, 1 comma, n. 1; 2758, 2 comma, 2778 n. 7 ed all'art. 112 cpc. Deducono, in primo luogo, che le ragioni poste dal Tribunale a fondamento del provvedimento (impossibilità di riconoscere nel credito fatto valere il carattere di spesa effettuata "per l'amministrazione del fallimento"; scarsa giustificabilità della traslazione della titolarità soggettiva di obbligato del cliente fallito "consumatore finale" alla "massa" dei creditori; innegabile connessione genetica dell'obbligazione tributaria al pagamento della IVA con l'anteriore ed assorbito rapporto professionale sicché sarebbe impedita la mutazione del connotato originario del credito) sono prive di legittimità atteso che secondo i ricorrenti i crediti che sorgono dopo la dichiarazione di fallimento e che traggono origine dalla amministrazione fallimentare rientrano, incontestabilmente, tra le spese per l'amministrazione del fallimento e per la continuazione dell'esercizio dell'impresa e devono essere pagate in prededuzione.

Affermano i ricorrenti che l'assolvimento degli obblighi fiscali relativi ad atti e rapporti che la legge riferisce al patrimonio del fallito rientra tra le spese predette come, per l'appunto, il pagamento dell'IVA per prestazioni di servizi, quando emissione della fattura e pagamento si verificano dopo la dichiarazione di fallimento;

che il Tribunale non avrebbe spiegato "perché" l'obbligazione di rivalsa sorta nel corso del fallimento debba essere retrodatata ad un momento anteriore all'apertura del fallimento; "perché" l'obbligazione del Curatore di farsi carico degli adempimenti imposti dalle norme che disciplinano l'applicazione dell'imposta nel corso della procedura vada riferita al fallito; "perché" l'obbligo di adempimento di un atto dovuto di amministrazione del patrimonio del fallito (pagamento di un debito di rivalsa IVA sorto nel corso della procedura) concerna non già il Curatore bensì il fallito e non sia prededucibile.

Assumono, inoltre, i ricorrenti che, comunque, nel provvedimento impugnato non si sarebbe data alcuna spiegazione delle asserzioni fatte mentre queste si fonderebbero sull'equivoco di considerare la rivalsa IVA come richiesta di un pagamento avente titolo in una obbligazione originata da un negozio giuridico tra privati, trascurando la realtà di un atto dovuto, per legge inserito nel procedimento di riscossione dell'IVA. In effetti, secondo i ricorrenti, alla prededucibilità del credito dell'Erario per l'IVA sorta durante la procedura corrisponderebbe la prededucibilità del credito di rivalsa IVA mentre la c.d. "cascata", caratteristica dell'imposta sul valore aggiunto, imporrebbe al Curatore di pagare anche il debito di rivalsa. Diversamente, si verificherebbe la conseguenza "aberrante" che il Curatore, ricevendo dai professionisti le fatture gravate d'IVA, acquisirebbe titolo per opporre all'erario l'IVA in esse indicata, opponendola in compensazione di suoi debiti IVA nelle operazioni di alienazioni patrimoniali o vantando un credito d'imposta; così realizzando un indebito arricchimento. Concludono, infine, i ricorrenti che nel provvedimento impugnato si sarebbe omesso di decidere, e di motivare, sul secondo "mezzo" di impugnazione del decreto di approvazione del piano di riparto del 22.9.88, "mezzo" con cui era stata dedotta l'illegittimità del mancato riconoscimento del privilegio di cui agli artt. 2758, 2 comma e 2778 n. 7 cc per quanto attiene all'IVA di rivalsa, così violando, anche per questo profilo, gli artt. 111, 2 comma, Cost. e 360 n. 5 cpc, in reiezione all'art. 112 cpc. La censura, nella parte relativa alla pretesa "prededucibilità" del credito di rivalsa IVA questione già esaminata dalla Suprema Corte (cfr Cass. 24.4.79 n. 2320; 27.10.82 n. 5623; 26.3.92 n. 3715) non ha fondamento.

Premesso che la prededucibilità attiene al "tempo" non alla natura del credito e che vi sono privilegi che possono essere prededucibili, è agevole rilevare che i ricorrenti collegano l'affermazione di prededucibilità di tale credito (relativo ai compensi professionali) con il "momento" in cui sorge la obbligazione tributaria, tanto che sottolineano il dettato dell'art. 6 della legge 633-72 e successive modificazioni, secondo cui:

a. le prestazioni di servizi si considerano effettua all'atto del pagamento del corrispettivo;

b. se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati nei precedenti commi, o indipendentemente da essi, sia emessa fattura, o sia pagato, in tutto o in parte, il corrispettivo, l'operazione si considera effettuata, limitatamente all'importo fatturato o pagato, alla data della fattura o a quella del pagamento.

Ma l'individuazione del momento in cui sorge l'obbligazione tributaria cui i ricorrenti si rifanno anche con il richiamo all'art. 74 bis del DPR 633-72, come modificato dal DPR 24-79 fatto in sede di discussione, costituisce nella specie elemento estraneo al problema della "prededucibilità" del credito per rivalsa IVA - relativa ai compensi professionali - che va risolto in dipendenza della "natura" e della "collocazione" attribuibile a quel credito. Sicché se esso è disciplinato negli stessi termini del credito professionale cui afferisce dovrà riconoscersene la prededucibilità ma se è diversamente regolato non può dalla prededucibilità del credito professionale dedursi quella del credito per rivalsa. Secondo questa Corte (Cass. 2320-79) i crediti per competenze professionali e quelli per la relativa rivalsa hanno privilegi "diversi". La c.d. "prededucibilità" prevista per i crediti professionali non si estende, perciò, ai crediti di rivalsa proprio per la diversità del privilegio.

Al riguardo, si è rilevato in dottrina che ammettere la prededucibilità dell'IVA di rivalsa non significa configurare un ulteriore genere di crediti e che se il credito di rivalsa non esiste al momento della sentenza dichiarativa di fallimento - allorché la dichiarazione cristallizza la situazione creditoria e debitoria - la c.d. prededucibilità deve essere accordata ai crediti che sono sorti nel corso del fallimento non prima.

E, sempre in dottrina, si è concluso che la spesa relativa al pagamento di un debito sorto in seguito alla distribuzione di somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo (rivalsa IVA) non può essere esclusa dalla "prededucibilità".

Ora, mentre nell'esame della natura e della collocazione dei privilegi in questione non possono essere considerate come risolutive ragioni di mero fatto, rivelatrici di qualche incongruenza di risultati - tale è la considerazione che all'esclusione della prededucibilità con l'attribuzione al credito di rivalsa di una collocazione deteriore rispetto a quella del credito per il corrispettivo su cui l'IVA è dovuta, conseguirebbe, di fatto, l'inversione dell'ordine del privilegio per un ammontare corrispondente a quello dell'IVA - v'è, invece, da tenere in conto, in primo luogo, che l'erogazione di cui all'art. 111 n. 1 LF concerne il pagamento, oltre che delle spese, comprese quelle anticipate dall'erario, dei debiti contratti per l'amministrazione del fallimento e per la continuazione dell'esercizio dell'impresa, se questo è stato autorizzato.

Sebbene sia controversa in dottrina la esatta individuazione del concetto di spese e debiti contratti per l'amministrazione del fallimento, deve ribadirsi che, nella specie, la reale questione è rappresentata dalla natura della relazione tra credito per competenze professionali e quello per rivalsa e verificare se al secondo può essere riconosciuta la prededucibilità non già in forza di considerazioni più o meno pratiche o ragionevoli ma per l'affermata identità dei due crediti.

In tal caso, e solo in tal caso, resterebbe risolto il problema che la diversità dei crediti indubbiamente pone in ragione della previsione legislativa che al n. 1 dell'art. 111 LF configura una deroga eccezionale al principio della "par condicio credito rum". Ma i crediti di cui si discute sono diversi.

Questa Corte (Cass. 5623-82) ha sottolineato la necessità di tenere ben distinto il momento in cui sorge l'obbligazione tributaria del soggetto IVA e quello di operatività del meccanismo di rivalsa e "che il pagamento per differenza dell'IVA, se ed in quanto la differenza si risolve in un debito di imposta, si effettua cumulativamente per tutte le operazioni effettuate mediante detrazione e rivalsa".

Di conseguenza, non v'è inscindibilità e contestualità di pagamento del tributo e della rivalsa ma "spostamenti patrimoniali effettuati in tempi diversi" (Cass. 5623-82).

In definitiva, il credito del professionista per rivalsa IVA non è un accessorio di quello professionale ed ha collocazione diversa da questo sulla base delle norme per la graduazione dei privilegi;

sicché nel piano di riparto non deve esserne previsto il contestuale pagamento (con il credito professionale).

Principi ribaditi da questa Corte (Cass. 3715-92) anche con riferimento al rimborso del contributo integrativo da versarsi alla Cassa di previdenza Avvocati e Procuratori sugli affari soggetti ad IVA, proprio in ragione della diversa disciplina dei privilegi che li assistono.

È fondata, invece, la censura laddove, denunzia l'omesso esame, da parte del Tribunale, della richiesta espressamente formulata concernente il riconoscimento del privilegio di cui agli artt. 2758, 2 comma e 2778 n. 7 cc., per quanto relativo all'IVA di rivalsa ed il pagamento del contributo previdenziale integrativo di cui all'art.11 L. 20.9.80 n. 576, in via privilegiata, à termini dell'art. 2751 bis n. 2 cc. e con il grado previsto dall'art. 2777 cc. Sul punto, il Tribunale, per non incorrere nelle denunziate violazioni, avrebbe dovuto portare il suo esame e decidere. Provvederà al riguardo, il giudice di rinvio.

Ricorrono evidenti, giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione.

Cassa in relazione alla questione accolta e rinvia al tribunale di Milano.

Compensa le spese.

Camera di Consiglio della prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione. Roma 22.1.1933