Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6433 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 12 Novembre 1998, n. 11436. Est. Fioretti.


Arbitrato - Procedimento arbitrale - Norme applicabili - Termine di trenta giorni per proporre opposizione avanti al tribunale avverso la delibera di esclusione del socio - Applicabilità nel giudizio arbitrale - Esclusione.



Il termine di trenta giorni, previsto dall'art. 2287, comma secondo, cod. civ., per proporre opposizione avanti al tribunale avverso la delibera di esclusione del socio, non è applicabile nel giudizio arbitrale, senza che in senso contrario possa invocarsi l'ultimo comma dell'art. 2652 cod. civ. - il quale dispone che alla domanda giudiziale è equiparato l'atto notificato con il quale la parte, in presenza di compromesso o di clausola compromissoria, dichiara all'altra la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri - trattandosi di disposizione dettata in materia di trascrizione delle domande di atti soggetti a trascrizione e, quindi, irrilevante al fine di stabilire la applicabilità o meno al giudizio arbitrale del termine di decadenza di cui al secondo comma dell'art. 2287 cod. civ.. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Michele CANTILLO - Presidente -
Dott. Vincenzo CARBONE - Consigliere -
Dott. Francesco Maria FIORETTI - Rel. Consigliere -
Dott. Massimo CARBONE - Consigliere -
Dott. Salvatore DI PALMA - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
GIEL Sas di CUCCO MARIO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEL BANCO DI SANTO SPIRITO 42, presso l'avvocato GIANDOMENICO MAGRONE, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
C.R.C. Sas di MARIO CUCCO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GREGORIO VII 407, presso l'avvocato G. SCIACCA, rappresentato e difeso dall'avvocato GIORGIO BONA, giusta delega a margine del controricorso, rapp.to e difeso anche dall'avvocato ALFREDO ANGELUCCI, giusta procura speciale per Notaio Roberto Martino di Torino rep. n. 12309 del 21/4/1998;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1341/95 della Corte d'Appello di TORINO, depositata il 6/10/95;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/6/98 dal Consigliere Dott. Francesco Maria FIORETTI;
udito per il ricorrente, l'Avvocato Magrone, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per la resistente, sas C.R.C., l'Avvocato Angelucci, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo NARDI che ha concluso, in via principale: per il rigetto del ricorso; in subordine: per l'accoglimento solo del quinto motivo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione 21/28.12.90 Cucco Mario e la CRC s.a.s. di ingegner Cucco Mario e C. convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Torino la GIEL, in persona dell'amministratore provvisorio Roffredo Elio, chiedendo che fosse dichiarata la nullità o comunque la inefficacia delle delibere assembleari 8.11.90 e 29.11.90 della GIEL s.a.s., con le quali, rispettivamente, erano state accettate le dimissioni dell'accomandatario di opera Mario Cucco ed era stata esclusa la CRC s.a.s. da socia accomandante, con conseguente declaratoria di nullità ed inefficacia di tutti gli atti posti in essere sulla base ed in conseguenza di dette delibere. Costituendosi in giudizio, la società GIEL eccepiva la competenza arbitrale secondo l'art. 12 dei patti sociali; in subordine chiedeva la reiezione delle domande attrici e, in via riconvenzionale, l'accertamento della legittimità delle decisioni assembleari impugnate.
Nelle more del giudizio la GIEL, con decisione dell'assemblea in data 14.3.91, veniva posta in liquidazione con passaggio del Roffredo dalla qualità di amministratore provvisorio a quella di liquidatore.
Il procedimento avanti al Tribunale si concludeva con ordinanza in data 16.12.91 del G.I., il quale, dato atto della rinuncia agli atti del giudizio fatta dagli attori, dichiarava estinto il procedimento. Con separati atti in data 14.1.92 il Cucco e la s.a.s. CRC, dichiarando di voler impugnare le delibere della GIEL dell'8.11.90 e del 29.11.90 (già contestate in sede giurisdizionale) ed anche la successiva delibera 14.3.91 di scioglimento, con passaggio in liquidazione della società GIEL, proponevano la nomina di un arbitro unico ai sensi dell'art. 12 della statuto della GIEL. A causa del disaccordo circa la nomina dell'arbitro si rendeva necessario il ricorso al Presidente del Tribunale ai sensi dell'art. 810 cod. proc. civ..
Prima che intervenisse la nomina dell'arbitro da parte dell'A.G., le parti nominavano arbitro unico l'avv. Paolo Fubini, il quale pronunciava il lodo in data 14.10.92.
Il lodo conteneva le seguenti statuizioni:
1) dichiara la propria competenza sull'insieme della controversia sottoposta dalle parti;
2) respinge l'eccezione di difetto di legittimazione passiva del convenuto GIEL;
3) respinge l'eccezione di tardività della domanda di arbitrato;
4) accertate la validità delle dimissioni presentate dall'ingegner Cucco, respinge la domanda di nullità, invalidità o inefficacia della delibera GIEL 8.11.90 di accettazione di tali dimissioni e dichiara che a far tempo da tale data l'ingegner Cucco è cessato dalla qualità di accomandatario d'opera e dalla carica di amministratore GIEL;
5) respinge conseguentemente la domanda di nullità, annullamento ed inefficacia della nomina del sig. Roffredo Elio quale amministratore provvisorio GIEL;
6) accertata la illegittimità della esclusione da socio della CRC s.a.s. di ingegner Mario Cucco deliberata dall'assemblea GIEL 29.11.90, annulla tale delibera, con reintegrazione di detta CRC nella qualità di socio accomandante GIEL;
7) annulla per illegittimità derivata la delibera GIEL 14.3.91 di scioglimento, messa in liquidazione e nomina del liquidatore, nonché dichiara la ulteriore illegittimità derivata di tutti i successivi atti societari della GIEL;
8) respinge, per quanto in motivazione, la domanda riconvenzionale GIEL di liquidazione del valore passivo della quota GIEL. Con atto di citazione, notificato a Cucco Mario ed alla CRC s.a.s. in data 23.9.93, la s.a.s. GIEL, in persona del legale rappresentante Roffredo Elio, impugnava il lodo suddetto avanti alla Corte d'appello di Torino, chiedendo che fosse dichiarato nullo e che fossero accolte le domande da essa formulate davanti all'arbitro unico.
Si costituiva in giudizio Cucco Mario in proprio e quale accomandatario della società CRC, chiedendo il rigetto dell'impugnazione del lodo nella parte riguardante la società CRC e la riforma del lodo stesso nella parte riguardante il Cucco ed in particolare che fosse dichiarata nulla, annullata o comunque priva di efficacia la delibera GIEL 8.11.90 di accettazione delle dimissioni.
Con sentenza, depositata in cancelleria il 6.10.95, la corte adita rigettava sia la impugnazione proposta in via principale dalla s.a.s. GIEL che quella proposta in via incidentale da Cucco Mario. Osservava la corte di merito:
- che il primo motivo, con il quale la appellante aveva dedotto la nullità del lodo per tardività dell'opposizione alla delibera della GIEL del 29.11.90 di esclusione da socio della CRC, in quanto proposta oltre i trenta giorni previsti dall'art. 2287 cod. civ., era inammissibile.Tale motivo, infatti, non rientrava tra quelli di cui all'art. 829 cod. proc. civ. ed in particolare non era riconducibile a quello previsto dal n. 4 (pronuncia fuori dai limiti del compromesso), atteso che il termine di cui si eccepiva la inosservanza non costituiva termine perentorio per il ricorso all'arbitrato ne' la materia di cui all'art. 2287 cod. civ. poteva ritenersi sottratta al giudizio arbitrale;
- che il secondo motivo, con il quale era stata dedotta la incompetenza conseguente a connessione del giudizio arbitrale con altro giudizio pendente di fronte all'autorità giudiziaria ordinaria avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità per mala gestio dell'amministratore Cucco, era infondato. Il lodo, infatti, aveva dichiarato la cessazione del Cucco dalla qualità di accomandatario d'opera e dalla carica di amministratore GIEL come effetto e conseguenza della ritenuta validità della delibera 8.11.90 di accettazione delle sue dimissioni senza procedere all'esame, ne' aveva necessità di farlo, delle eventuali responsabilità dell'amministratore.Non rilevava pertanto che non fossero compromettibili per arbitri le questioni relative alle responsabilità degli amministratori, ne' poteva sostenersi che la decisione arbitrale avesse riguardato materia connessa a quella della causa già pendente davanti all'autorità giudiziaria ordinaria ed avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità per mala gestio dell'amministratore Cucco;
- che i motivi, con i quali era stata dedotta la nullità del lodo per incongruità della motivazione ed erroneità della decisione in ordine alla ritenuta illegittimità della delibera di esclusione da socio della GIEL della s.a.s. CRC, erano inammissibili. La appellante aveva assunto la contraddittorietà del lodo laddove l'arbitro, dopo aver parlato di inadempienze della CRC, che non aveva dato esempio di devozione agli interessi sociali dopo la uscita del Cucco, aveva ritenuto che siffatte inadempienze non avessero impedito, ma semplicemente reso difficile l'attività sociale.In realtà l'arbitro, dopo le richiamate osservazioni, aveva compiuto un'articolata analisi critica del comportamento ascritto alla CRC, individuando all'esito di questa come unica contestazione rilevante la mancata partecipazione della CRC alle assemblee e ritenendo il fatto "anche alla luce di un equo contemperamento di interessi" e in assenza di altri elementi obbiettivi, che avrebbero potuto renderlo illegittimo, di per sè tale da non consentire di "buttar fuori un socio". Non sussisteva pertanto una contraddittorietà del lodo che non consentisse di comprendere la ratio decidendi, ne' poteva essere elevato a motivo di nullità del lodo un diverso apprezzamento del merito dei fatti, atteso che tale apprezzamento, essendo rimesso alla competenza istituzionale dell'arbitro, non poteva costituire oggetto di riesame da parte del giudice ordinario;
- che non aveva fondamento la pretesa nullità del lodo per non aver l'arbitro tenuto conto del principio di equità laddove aveva decretato la illegittimità degli atti derivati dalla ritenuta illegittimità dell'esclusione del socio CRC, atteso che, per un verso, l'art. 829, penultimo comma, c.p.c. prevede l'impugnazione per nullità del lodo se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto e non anche se gli arbitri non hanno osservato i principi di equità, per altro verso, la decisione secondo diritto nella specie era stata voluta dalle parti che avevano indicato il ricorso all'equità come criterio meramente sussidiario.
Infine osservava la corte che l'impugnazione incidentale di Cucco Mario era inammissibile, perché costui non aveva dedotto un qualche motivo di nullità del lodo, ma si era limitato ad insistere sulle tesi di merito sottoposte al giudizio arbitrale per sostenere che nello scritto invocato dalla controparte non potevano ravvisarsi le ritenute dimissioni del Cucco stesso da amministratore della GIEL. Avverso detta sentenza la GIEL s.a.s. di Cucco Mario ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
La CRC s.a.s. di Cucco Mario ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente denuncia tardività e decadenza della proposizione dell'arbitrato. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nullità della sentenza e del procedimento in relazione all'art. 817 cod. proc. civ.; all'art. 829 cod. proc. civ. ed all'art.2287 cod. civ. Secondo la ricorrente il termine decadenziale previsto dall'art. 2287 cod. civ. si applicherebbe anche nella ipotesi di giudizi arbitrali. Pertanto la sentenza impugnata, che ha ritenuto inammissibile l'eccezione di tardività dell'opposizione, sarebbe viziata e andrebbe cassata per violazione delle regole sulla tempestività della proposizione dell'opposizione all'esclusione del socio in società personali.
Tale motivo di ricorso è infondato.
Questa corte con la sentenza n. 2084/84 ha affermato il principio secondo il quale la clausola compromissoria, con cui nel contratto sociale i soci rimettano ad arbitri le controversie in ordine all'esclusione di soci dalla società, è giuridicamente valida, alla luce dell'art. 806 cod. proc. civ., e, comporta, con il sostituire al giudizio di opposizione, previsto dall'art. 2287 cod. civ., un giudizio arbitrale, il venir meno, senza possibilità di revivescenza, del termine di decadenza (trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento di esclusione) fissato da quest'ultima norma per l'inizio dell'azione davanti al tribunale, trattandosi di termine disponibile ed incompatibile con la struttura del procedimento arbitrale.
Tale orientamento giurisprudenziale merita di essere confermato. Gli arbitri, se la loro nomina non è contenuta nel compromesso o nella clausola compromissoria, devono essere nominati dalle parti ed in alcuni casi la loro nomina richiede l'intervento del Presidente del Tribunale (cfr. artt. 809 ed 810 cod. proc. civ.), il che può comportare tempi tecnici superiori a trenta giorni. Pertanto, il termine di trenta giorni, previsto dall'art. 2287, secondo comma, cod. civ. per proporre opposizione avanti al tribunale avverso la delibera di esclusione del socio, non appare compatibile con il giudizio arbitrale.
Nè in senso contrario può essere invocato, come fatto nella memoria ex art. 378 c.p.c. dalla società ricorrente, l'ultimo comma dell'art. 2652 cod. civ., il quale dispone che alla domanda giudiziale è equiparato l'atto notificato con il quale la parte, in presenza di compromesso o di clausola compromissoria, dichiara all'altra la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri, trattandosi di disposizione dettata in materia di trascrizione delle domande di atti soggetti a trascrizione e, quindi, irrilevante al fine di stabilire la applicabilità o meno al giudizio arbitrale del termine di decadenza di cui al secondo comma dell'art. 2287 cod. civ..
Giova rilevare, altresì, che detto comma è stato aggiunto ad opera dell'art. 26 della L. 5 gennaio 1994, n. 25, e, quindi, in epoca successiva alla nomina dell'arbitro unico e addirittura alla pronuncia del lodo, intervenuta in data 14.10.1992. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia nullità del lodo per incompetenza conseguente a connessione. Violazione o falsa applicazione dell'art. 829, primo comma, nn. 4 e 7, c.p.c., ove del caso in relazione all'art. 817 c.p.c., in relazione all'art.360 n. 4 c.p.c..
La corte di appello erroneamente avrebbe ritenuto che la causa promossa di fronte all'arbitro non fosse connessa con altra causa (di responsabilità del Cucco) proposta dalla GIEL avanti al giudice ordinario.
Innanzitutto detta corte avrebbe escluso che la decisione arbitrale riguardasse materia connessa con quella della causa già pendente di fronte al giudice ordinario con un giudizio a posteriori, del tutto inammissibile in sede di valutazione sulla competenza, dovendo questa determinarsi sulla base della domanda.
La corte infatti aveva escluso la connessione tra le due cause per il fatto che, avendo l'arbitro ritenuto la validità delle dimissioni del Cucco, non era entrato nell'esame di eventuali responsabilità dell'amministratore.
Per quanto riguarda poi l'oggetto delle due cause, la corte di merito non avrebbe considerato che Cucco era socio accomandatario d'opera e la domanda di esclusione dello stesso, per tale sua qualità, doveva necessariamente fondarsi sugli stessi fatti della causa di responsabilità.
Infine non andrebbe dimenticato che le questioni relative alla responsabilità degli amministratori non sono compromettibili per arbitri e che, pertanto, ogni questione societaria con dette cause collegata dovrebbe essere conosciuta dall'autorità giudiziaria ordinaria.
Anche tale censura è infondata.
L'art. 819 bis cod. proc. civ., introdotto dall'art. 11 della legge 5 gennaio 1994 n. 25, dispone che la competenza degli arbitri non è esclusa dalla connessione tra la controversia ad essi deferita ed una causa pendente dinanzi al giudice e l'art. 27, primo comma, della citata legge dispone, a sua volta, che l'art. 819 bis cod. proc. civ. si applica ai procedimenti arbitrali in corso, salvo che non sia intervenuta pronunzia di incompetenza per motivi di connessione tra la controversia deferita agli arbitri ed una causa pendente davanti al giudice.
Pertanto, ammesso che nel caso di specie sussista la prospettata connessione di cause, il che è escluso dalla sentenza impugnata, da tale circostanza questa corte non potrebbe trarre la conseguenza della incompentenza dell'arbitro unico per l'assorbimento della competenza arbitrale in quella del giudice ordinario, ostandovi il disposto dell'art. 819 bis summenzionato, applicabile per espressa previsione di legge anche ai procedimenti arbitrali in corso. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2286 e segg. cod. civ. in relazione all'art. 829, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 - violazione degli artt. 2286 e segg. cod. civ. in relazione all'art. 829, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. - violazione dell'art. 829, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. in relazione all'art. 360 n. 4 cod. proc. civ. - contraddittorietà della motivazione.
Secondo la ricorrente l'arbitro sarebbe incorso in un errore di diritto, ai sensi dell'art. 2287 cod. civ., in relazione agli artt. 2286-2247-1453-1455 cod. civ., per aver ritenuto che i comportamenti della CRC - per quanto criticabili - non fossero tali da giustificarne l'esclusione.
Inoltre sarebbe incorso in un errore pregiudiziale allorché ha ritenuto che la mancata comparizione della CRC alle riunioni convocate non fosse tale da ledere il rapporto fiduciario e da impedire l'attività sociale.
In realtà il comportamento della CRC sarebbe stato tale da impedire e non da rendere più difficile, come ritenuto dall'arbitro, l'attività sociale, atteso che il suo comportamento ostruzionistico impediva la ricostituzione dei soci accomandatari - la cui nomina, nel caso di specie, richiedeva l'unanimità, comportando una modifica dell'atto costitutivo - in una situazione in cui la prosecuzione della società era doverosa proprio per proseguire l'azione contro il socio accomandatario (Cucco), che era anche accomandatario della "ostruzionistica" CRC.
Pertanto la corte di appello, ritenuto che viola l'obbligo di collaborazione il socio che, mantenendo un comportamento anche solo ostruzionistico, rende più difficile lo svolgimento dell'attività sociale e che integra fatto sufficiente per l'esclusione la violazione del dovere di cooperazione che incombe su ogni socio quale parte di un contratto con comunione di scopo:
a) avrebbe dovuto rilevare l'errore di diritto, e per ciò solo, avrebbe dovuto dichiarare la nullità del lodo;
b) avrebbe dovuto rilevare la contraddittorietà insanabile della motivazione;
c) anche nel caso in cui fosse stato necessario valutare le risultanze alla luce dell'equità, avrebbe comunque dovuto, per espressa richiesta delle parti, controllare l'esattezza delle conclusioni secondo diritto, poiché l'arbitrato non era secondo equità, ma secondo diritto, salva l'eventuale contemperazione con l'equità.
Anche tale motivo di ricorso è infondato.
Nella sentenza impugnata si da atto che l'arbitro ha compiuto un'articolata analisi critica del comportamento ascritto alla CRC individuando all'esito di questa come unica contestazione rilevante la mancata partecipazione della CRC alle assemblee e ritenendo il fatto "anche alla luce di un equo contemperamento di interessi" e "in assenza di altri elementi obiettivi che possano avere reso illegittimo tale fatto" di per sè tale da non consentire di buttar fuori un socio.
Dopo aver dato atto della motivazione adottata dall'arbitro, la sentenza impugnata prosegue osservando:"Si è pertanto lungi dalla impossibilità di desumere dal lodo la ratio decidendi. Nè può essere elevato a motivo di nullità del lodo un diverso apprezzamento del merito dei fatti, tale apprezzamento, rimesso alla competenza istituzionale dell'arbitro, non potendo essere oggetto di riesame da parte del G.O.".
Tale motivazione non merita le censure di cui al motivo in esame, avendo fatto applicazione del costante insegnamento di questa corte, secondo cui l'art. 829 nn. 4 e 5 c.p.c. consente l'impugnabilità del lodo non per ogni caso di mera contraddittorietà tra i vari punti della motivazione o di insufficienza della stessa, ma soltanto quando sussista contraddizione tra le varie statuizioni del dispositivo oppure contraddizione tra motivazione e dispositivo che si traduca nell'impossibilità di comprendere la ratio decidendi della decisione, equivalente ad una carenza assoluta di motivazione. Nè la società ricorrente può pretendere in questa sede, non rientrando tra i poteri di questa corte trattandosi di valutazioni di merito, ne' poteva pretendere dalla corte di appello, in sede di iudicium rescindens, attesi i limiti del giudizio introdotto ai sensi dell'art. 829 c.p.c., una ricostruzione dei fatti diversa da quella effettuata dall'arbitro, per individuare inadempienze rilevanti al fine di legittimare l'esclusione della CRC da socio della GIEL.
Tanto pretende, infatti, la ricorrente, quando afferma che il comportamento della CRC sarebbe stato tale da impedire e non da rendere più difficile l'attività sociale, fondando su tale diversa ricostruzione del comportamento della CRC e, quindi, dei fatti, le denunciate violazioni di legge.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 829, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 4 (ovvero n. 2). Eccesso di mandato.
L'arbitro avrebbe omesso qualsiasi riferimento all'equità, quando, alla luce della clausola contenuta nel verbale 4.6.1992, si sarebbe dovuto porre il problema se la conclusione secondo diritto dovesse essere contemperata da elementi di equità, avrebbe dovuto, cioè, identificare (correttamente) i parametri ed i criteri d'equità cui attenersi; valutare l'opportunità di discostarsi oppure no dal diritto; applicare, se del caso, in concreto, l'equità. Avendo l'arbitro ritenuto che secondo lo stretto diritto l'esclusione andava annullata, avrebbe dovuto porsi il problema se tale conclusione fosse conforme anche all'equità, avrebbe cioè dovuto confrontarla con i principi generali dell'ordinamento e con i principi regolatori della materia attinente alla società di persone. Si sarebbe allora dovuto chiedere come giustificare la formalistica distinzione tra CRC e Cucco; come giustificare, alla luce del generale principio del neminem ledere, il comportamento della CRC, e ciò anche in relazione al palese ostruzionismo che essa aveva attuato per impedire l'azione di responsabilità contro Cucco. Tali domande e le conseguenti risposte erano dovute e la corte d'appello avrebbe dovuto darne atto, posto che l'arbitro aveva ammesso che la CRC era stata inadempiente e che l'essere Cucco amministratore accomandatario sia di GIEL che di CRC presentava "elementi di scomodità".
Quindi la corte di appello sarebbe incorsa in errore perché:
a) se il lodo fosse stato di diritto, andava verificata - sulla base di un giudizio di diritto corretto - la rispondenza della decisione all'equità;
b) se il lodo fosse stato d'equità, avrebbe dovuto riconoscere l'eccesso di mandato perché reso senza riguardo all'equità, neppure formalisticamente indicata nel lodo stesso.
Anche tale motivo è infondato.
Circa le regole che l'arbitro avrebbe dovuto osservare per il giudizio,la sentenza impugnata osserva testualmente:
"non ha fondamento la pretesa nullità del lodo per non aver l'arbitro tenuto conto del principio di equità laddove ha decretato la illegittimità degli atti derivati dalla ritenuta illegittimità dell'esclusione del socio CRC;infatti, per un verso, l'art. 829 penultimo comma prevede l'impugnazione per nullità del lodo se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto e non anche se gli arbitri non hanno osservato il principio di equità, per altro verso nella specie la decisione secondo diritto era stata voluta dalle parti che avevano indicato il ricorso all'equità come criterio meramente sussidiario (l'art. 12 dello statuto recita:"Qualsiasi controversia dipendente dagli affari sociali che potesse insorgere fra la società ed i soci, gli amministratori e i liquidatori e anche con gli eredi di un socio defunto, nonché per l'applicazione dei presenti patti dovrà obbligatoriamente essere rimessa, salvo i casi espressamente vietati dalla legge, ad un arbitro amichevole compositore il quale giudicherà pro bono et aequo e senza formalità di procedura.......").
Nel lodo impugnato si da atto che le parti si accordarono nel senso che l'arbitrato doveva essere espletato secondo la clausola arbitrale statutaria, ma con la precisazione che l'arbitrato doveva essere rituale con applicazione del diritto sostanziale salvo il richiamo all'equità)".
La sentenza impugnata ha accertato che l'arbitro, per concorde volontà delle parti, avrebbe dovuto applicare le norme di diritto, potendo far ricorso all'equità soltanto come criterio meramente sussidiario. Stando così le cose, la corte d'appello, accertato che l'arbitro aveva deciso secondo diritto, non aveva alcun obbligo di verificare se la decisione corrispondesse o meno all'equità. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente denuncia omessa pronuncia su una domanda; errore di diritto.
La GIEL avrebbe espressamente impugnato il lodo sul punto relativo alle conseguenze tratte in tema di riconosciuta illegittimità dell'esclusione, laddove l'arbitro (punto 7 del dispositivo) "annulla, per nullità derivata, la delibera GIEL 14.3.1991 di scioglimento, messa in liquidazione e nomina del liquidatore, nonché dichiara la ulteriore nullità derivata di tutti i successivi atti societari della GIEL".
Pur apparendo del tutto esorbitante dai poteri dell'arbitro e non conforme ai principi del diritto societario, la corte di appello avrebbe del tutto omesso l'esame delle doglianze della GIEL. Circa la decisione dell'arbitro, sottolinea la ricorrente, che la delibera di messa in liquidazione del 14 marzo 1991 era successiva all'ordinanza del G.I. dott. Griffey con la quale era stata rigettata l'istanza di sospensione dell'esclusione. Pertanto la validità della delibera non avrebbe potuto essere messa in discussione, essendo stata adottata in buona fede. Poiché la richiesta di sospensione era stata respinta, ne derivava che gli atti deliberati sul presupposto della legittimità dell'esclusione dovevano essere ritenuti legittimi, quanto meno per il rispetto delle posizioni dei terzi, della società e dei soci stessi. La censura è infondata.
La corte di appello, dopo avere premesso che l'art. 829 c.p.c. prevede casi tassativi di nullità del lodo, ha affermato che "nel giudizio rescindente possono ....... essere presi in esame solo i motivi di impugnazione riconducibili ai casi di nullità previsti dall'articolo in questione, altri e diversi motivi essendo invece inammissibili".
Dopo questa premessa ha preso in esame le doglianze in qualche modo riconducibili all'art. 829 c.p.c. con esclusione, quindi, di tutti gli altri e diversi motivi da considerare inammissibili, tra i quali indubbiamente devesi ritenere compresa anche la questione prospettata con la censura in questione, sulla quale, pertanto, la corte di appello si è pronunciata emettendo pronuncia di inammissibilità.
Per quanto precede il ricorso deve essere rigettato. Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese giudiziali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma il 12 giugno 1998.
Depositata in Cancelleria il 12/11/1998.