Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6452 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 23 Maggio 2008, n. 13424. Est. Ragonesi.


Concorrenza (diritto civile) - Sleale - Atti di concorrenza - Correttezza professionale (uso di mezzi non conformi alla) - Storno di dipendenti - Elementi - Consapevolezza dell'idoneità dell'atto a danneggiare l'altrui impresa - "Animus nocendi" - Accertamento - Fattispecie.



Affinché lo storno dei dipendenti di un'impresa concorrente possa costituire atto di concorrenza sleale, sono necessari la consapevolezza nel soggetto agente dell'idoneità dell'atto a danneggiare l'altrui impresa ed altresì l'"animus nocendi", cioè l'intenzione di conseguire tale risultato, da ritenersi sussistente ogni volta che lo storno sia stato posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell'autore l'intento di recare pregiudizio all'organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente.(Fattispecie in materia di costituzione, da parte del socio di una società in nome collettivo, di una società a responsabilità limitata avente oggetto identico a quello della prima società, con l'assunzione nella nuova società di cinque dipendenti su undici già in forze alla vecchia impresa, essendo provato per taluno di essi l'invito a dimettersi e, per gli altri, il rafforzamento della volontà di interrompere il rapporto di lavoro, quali comportamenti dell'autore dello storno). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - Consigliere -
Dott. RAGONESI Vittorio - rel. Consigliere -
Dott. SCHIRÒ Stefano - Consigliere -
Dott. TAVASSI Marina - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BARDAZZI TIBERIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CANINA 6, presso l'avvocato PICCAROZZI BRUNO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
FACEM S.R.L., già FACEM DI A. PAOLETTI & C. S.N.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DELLE FORNACI 38, presso l'avvocato RAFFAELE ALBERICI, rappresentato e difeso dagli avvocati SEBASTIANI ENRICO, SEBASTIANO SEBASTIANI, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1312/03 della Corte d'Appello di FIRENZE, depositata il 21/07/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/04/2008 dal Consigliere Dott. Vittorio RAGONESI;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato BRUNO PICCAROZZI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per la resistente, l'Avvocato FABIO ALBERICI, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 3 gennaio 1996, la s.n.c. Facem di A. Paoletti & C. esponeva quanto segue.
Il socio Tiberio Bardazzi il 30 giugno 1995 aveva ceduto le sue quote ed era uscito dalla compagine sociale.
La società aveva successivamente verificato che, alcuni giorni prima, il 7 giugno 1995, il medesimo aveva costituito, insieme ad altri, la s.r.l. Art-tra, con un oggetto identico a quello della s.n.c. Facem: cioè, attività di officina elettromeccanica per la costruzione, riparazione e manutenzione di trasformatori elettrici. Al fine di favorire l'attività intrapresa dalla s.r.l. Art-tra, il Bardazzi aveva convinto cinque degli undici dipendenti della s.n.c. Facem a dare le dimissioni da quest'ultima società, per essere contestualmente assunti dall'altra appena costituita. Inoltre, approfittando delle informazioni acquisite nel periodo in cui era socio della s.n.c. Facem, aveva posto in essere un decisivo atto di sviamento della clientela perché aveva indotto la s.r.l. Tesar, che era la più importante cliente della s.n.c. Facem, a diventare cliente della s.r.l. Art-tra.
Tanto premesso, la s.n.c. Facem conveniva il Bardazzi dinanzi al Tribunale di Prato per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni provocati con la sua condotta, che integrava sia la concorrenza illecita del socio, disciplinata dall'art. 2301 c.c., sia la concorrenza sleale, prevista dall'art. 2598 c.c., n. 3. Instauratosi il contraddittorio, il convenuto resisteva alla domanda, sostenendo l'inapplicabilità dell'art. 2301 c.c., che inibiva l'esercizio da parte del socio di un'attività concorrente di impresa individuale e non anche la partecipazione ad un'impresa concorrente esercitata in forma collettiva.
Contestava anche di aver posto in essere atti di concorrenza sleale perché i cinque dipendenti della s.n.c. Facem,che si erano dimessi ed erano stati assunti dalla s.r.l. Art-tra, avevano liberamente deciso di interrompere il primo rapporto di rapporto di lavoro, senza avere subito pressioni o ricevuto incentivi.
Il Tribunale, con sentenza n. 1423 del 26 ottobre 2001, accoglieva solo in parte la domanda, sotto il profilo della violazione del disposto dell'art. 2301 c.c., ed condannava il Bardazzi al pagamento della somma di L. 39.800.000.
Con atto di citazione notificato il 15 aprile 2002, la s.n.c. Facem proponeva appello avverso questa decisione, affermando che la concorrenza sleale attuata per storno di cinque degli undici dipendenti era risultata evidente dalla deposizione del teste Desideri, il quale aveva riferito che il Bardazzi gli aveva chiesto di dimettersi e di passare alla s.r.l Art-tra perché la s.n.c. Facem avrebbe perso il miglior cliente, cioè la s.r.l. Tesar, e di lì a poco avrebbe dovuto cessare l'attività o ridurre il personale. Da questa deposizione doveva necessariamente presumersi che la stessa attività di persuasione era stata posta in essere dal Bardazzi anche nei confronti degli altri cinque dipendenti che avevano accolto la sua richiesta.
La concorrenza sleale per sviamento della clientela era stata, invece, accertata documentalmente dal consulente tecnico d'ufficio, il quale aveva verificato che, dal momento in cui era stata costituita, il fatturato della s.r.l. Art-tra per attività svolte per conto della s.r.l. Tesar era sostanzialmente corrispondente alla diminuzione di fatturato della s.n.c. Facem verso lo stesso cliente, con un andamento crescente in via esponenziale.
Il Bardazzi si costituiva contestando il fondamento del motivi di impugnazione e proponeva a sua volta appello incidentale perché fosse esclusa ogni sua responsabilità, anche sotto il profilo della concorrenza illecita prevista dall'art. 2301 c.c., e in via subordinata perché l'importo dovuto fosse ridotto da L. 29.000.000 a L. 9.293.207.
La Corte d'appello, in accoglimento dell'appello principale, riconosceva la sussistenza della concorrenza sleale ex art. 2598 c.c., n. 3, e condannava il Bardazzi al pagamento della somma di Euro 155.245,94 oltre rivalutazione ed interessi. Rigettava l'appello incidentale.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione il Bardazzi sulla base di tre motivi,illustrati con memoria, cui resiste con controricorso la Facem srl.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il Bardazzi censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto sussistere l'ipotesi di concorrenza sleale per storno dei dipendenti.
Con il secondo motivo contesta i criteri seguiti nella liquidazione del danno conseguente a detti atti di concorrenza sleale e, in particolare, che detta liquidazione sia avvenuta sulla base dello sviamento della clientela di cui contesta altresì l'avvenuto accertamento.
Con il terzo motivo si duole dell'avvenuto riconoscimento della propria responsabilità per atti di concorrenza sleale posti in essere quale socio della Facem srl ai sensi dell'art. 2301 c.c.. Quanto al primo motivo, la Corte d'appello ha ritenuto la sussistenza di atti di concorrenza sleale per storno dei dipendenti da parte del Baldazzi sulla base di una serie di elementi acquisiti al processo e di una motivazione che appare del tutto coerente sotto il profilo logico-giuridico.
In primo luogo, ha rilevato che la concorrenza sleale posta in essere per violazione dell'art. 2598 c.c., trovasse la sua origine nell'altra attività di concorrenza sleale posta in essere dal Baldazzi in violazione dell'art. 2301 c.c., per avere costituito assieme ad altri, quando era ancora socio della Facem, la Art-tra srl di cui era socio di maggioranza ed amministratore di fatto che svolgeva la medesima attività della Facem.
In stretta connessione con la costituzione della predetta società il Baldazzi aveva programmato di privare la Facem di una serie di dipendenti esperti per acquisirli alla propria società, la quale aveva come obiettivo l'acquisizione delle commesse della Tesar srl che era una delle principali clienti della Facem.
Tale ricostruzione viene basata dalla Corte d'appello sulla circostanziata valutazione delle prove testimoniali e delle altre risultanze processuali.
In particolare, il giudice di secondo grado ha evidenziato la deposizione del teste Desideri che ha dichiarato che il Bardazzi, pochi giorni prima di lasciare la Facem, gli offrì di seguirlo perché stava per iniziare una nuova attività lavorativa e che di lì a poco la Facem avrebbe perso il lavoro commissionato dalla Tesar aggiungendo che se non avesse accettato subito non lo avrebbe più preso in un secondo momento se avesse perso il suo lavoro. La Corte d'appello ha poi rilevato come tale deposizione non risultasse smentita dalle deposizioni dagli altri testi, alcuni dei quali avevano seguito il Bardazzi alla Art-tra, ma anzi,nonostante i detti testi avessero smentito di avere ricevuto pressioni dal Baldazzi per seguirli, risultasse implicitamente confermata. Il giudice di secondo grado ha infatti evidenziato che il teste Parigi ha dichiarato che quando il Bardazzi ventilò la possibilità di lasciare la Facem manifestò anch'egli la volontà di andare via; parimenti la teste Gelsomini ha dichiarato che, temendo che l'uscita del Bardazzi dalla Facem si ripercuotesse negativamente sul lavoro, gli chiese se era in grado di trovargli una nuova occupazione; anche il teste Rovai ha riferito che, saputo della fuoriuscita del Bardazzi, gli chiese di poterlo seguire. In conclusione, la Corte d'appello ha osservato che la decisione dei dipendenti di lasciare la Facem è strettamente correlata alla costituzione dell'Art-tra ed alla promessa di assunzione contestuale da parte di quest'ultima e che la consecutività cronologica degli eventi: costituzione della nuova società; cessione delle quote della Facem da parte del Bardazzi, dimissioni di cinque dipendenti su undici,di cui uno molto importante e l'accertato travaso delle commesse della Tesar srl dalla Facem alla Art-tra, costituiva prova della preordinazione di tali avvenimenti da parte del Bardazzi che intendeva sostituire sul marcato la sua società alla Facem privandola dei tecnici e del suo principale cliente. Le censure che il ricorrente muove a tale motivazione sono per alcuni versi infondate e per altri versi inammissibili in quanto tendono a proporre una diversa interpretazione delle risultanze processuali ovvero si rivelano prive di autosufficienza.
Per quanto concerne, infatti, le risultanze della prova testimoniale, il ricorrente tende a fornire una diversa interpretazione delle stesse, omettendo, tra l'altro, di valutare, la decisiva deposizione del teste Desideri, in tal modo investendo inammissibilmente il merito della decisione che, come dianzi evidenziato, risulta adeguatamente motivato sotto il profilo logico giuridico. Quanto poi all'esame delle risultanze della Ctu - da cui risulterebbe che i dipendenti che avevano lasciato la società erano stati rapidamente rimpiazzati con ridotti costi di formazione e che il fatturato derivante dagli ordini della Tesar non era cessato immediatamente ed era stato successivamente rimpiazzato da ordinativi di altre ditte - la censura fa riferimento a circostanze ignote a questa Corte e delle quali non può prendere conoscenza in quanto, come è noto, le è inibito l'accesso alla visione degli atti della fase di merito. Inoltre la censura è del tutto priva di autosufficienza perché il ricorrente avrebbe dovuto non solo riportare il testo delle parti richiamate della CTU ma avrebbe anche dovuto riferire in quale degli scritti difensivi aveva presentato le deduzioni ora proposte, per consentire a questa Corte di valutare una eventuale omissione di motivazione sul punto da parte del giudice di merito.
Infondate sono le ulteriori censure con cui si contesta che nella fattispecie ricorrano gli estremi della violazione dell'art. 2589 c.c., per storno dei dipendenti nonché la sussistenza dell'animus nocendi.
Lo storno dei dipendenti di un'impresa da parte di un imprenditore concorrente deve ritenersi vietato come atto di concorrenza sleale, ai sensi dell'art. 2598 n. 3 cod. civ., allorché sia attuato non solo con la consapevolezza nell'agente dell'idoneità dell'atto a danneggiare l'altrui impresa, ma altresì con la precisa intenzione di conseguire tale risultato (cosiddetto animus nocendi), la quale va ritenuta sussistente ogni volta che, in base agli accertamenti compiuti dal giudice del merito ed insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati, lo storno dei dipendenti sia posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare alla luce dei principi di correttezza professionale, se non supponendo nell'autore l'intento di danneggiare l'organizzazione e la struttura produttiva dell'imprenditore concorrente (Cass. 6079/96; Cass 5718/96; Cass 2996/80, Cass 125/74; Cass 3763/68, Cass 1561/67, Cass 6928/83).
A tal fine, la configurabilità dello storno non è preclusa dal fatto che contatti per passare alle dipendenze dell'impresa concorrente o per iniziare con questa un rapporto collaborativo siano avviati per iniziativa degli stessi dipendenti o agenti successivamente "stornati", allorché su tale iniziativa venga poi ad inserirsi l'attività dell'impresa concorrente in modo tale da incidere causalmente (tramite, ad esempio, l'offerta di un migliore trattamento economico o di altri vantaggi) sulla decisione dei primi di interrompere il rapporto di lavoro con l'impresa in cui si trovano inseriti. (Cass 13658/04).
A questi principi si è correttamente ispirata la sentenza impugnata che ha desunto l'intento di danneggiare la Facem da parte del Bardazzi proprio dal comportamento complessivamente tenuto da quest'ultimo che lasciava presagire un ben preciso piano di sottrarre una buona parte dei dipendenti alla società resistente,dichiarando loro la disponibilità della Art-tra ad assumerli per consentire a quest'ultima, appena formata, di entrare nel mercato disponendo già del personale qualificato che la mettesse in grado di sottrarre clienti alla Facem, che non poteva non trovarsi in difficoltà per l'esserle venuta meno una buona parte del suo personale qualificato. Inoltre, la Corte d'appello ha sottolineato le conseguenze particolarmente gravi che erano derivate alla Facem dall'abbandono del dipendente Parigi che era molto importante per le sue conoscenze tecniche, essendo l'unico tecnico in grado di progettare schede tecniche,ed il cui rimpiazzo si rivelò particolarmente difficile e richiese diverso tempo.
Su tale ultimo punto, la decisione impugnata appare del tutto conforme all'orientamento costantemente espresso da questa Corte secondo cui affinché lo "storno" di dipendenti altrui possa configurare atto di concorrenza sleale, si richiede che i dipendenti medesimi siano particolarmente qualificati ed utili per la gestione dell'impresa concorrente. (Cass 2996/80, Cass 3365/83) in ragione dell'utilizzazione delle conoscenze tecniche usate presso l'altra azienda, e non in possesso del concorrente, configurandosi tale comportamento scorretto di quest'ultimo idoneo a danneggiare l'altrui azienda con il consentirgli l'ingresso sul mercato e la contesa della clientela prima di quanto gli sarebbe stato possibile in base a propri studi e ricerche. (Cass. 6682/87, Cass. 6928/83, Cass. 1263/89).
Con il secondo motivo il ricorrente si duole, in primo luogo, che la sentenza impugnata abbia liquidato il danno sulla base dello sviamento della clientela, che non sarebbe stato in alcun modo accertato, anziché in relazione al solo danno derivante dallo storno dei dipendenti.
In particolare, sotto il primo profilo il ricorrente sostiene che lo sviamento della clientela sarebbe stato individuato soltanto sulla base delle risultanze della CTU, che avrebbe rilevato, in base al fatturato delle due imprese, che quello della Facem era diminuito in corrispondenza all'aumento di quello dell'Art-tra per effetto del trasferimento delle commesse della Tesar srl dall'una all'altra, senza però che vi fosse stato alcun accertamento dell'utilizzo di mezzi scorretti e sleali nell'acquisizione del cliente da parte dell'Art-tra.
Il motivo è infondato.
La Corte d'appello ha infatti ritenuto che sussistessero nella fattispecie atti di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598 c.c., n. 3 non solo per lo storno dei dipendenti, ma anche per lo sviamento della clientela in ragione del fatto che il Bardazzi aveva convinto la Tesar srl a travasare le commesse della Facem in favore della Art- tre (v. pg 11 e 13 della sentenza).
Invero, la motivazione della Corte d'appello riveste un carattere complessivo dell'insieme del comportamento tenuto dal Bardazzi. In base a tale valutazione risulta con chiarezza che l'attività di concorrenza sleale posta in essere dal Bardazzi si incentrava sulla acquisizione del principale cliente della Facem in conseguenza dello storno dei dipendenti di quest'ultima che avrebbero consentito alla Art-tra di essere immediatamente competitiva sul mercato nel momento stesso in cui le capacità tecniche della Facem venivano a diminuire per effetto dello storno di dipendenti particolarmente qualificati. Tale motivazione appare del tutto corretta alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha già avuto modo di chiarire che, in tema di concorrenza sleale per sviamento di clientela, l'illiceità della condotta va desunta dalla qualificazione tendenziale dell'insieme della manovra posta in essere per danneggiare il concorrente, o per approfittare sistematicamente del suo avviamento sul mercato. In tal senso è stata ritenuta contraria alle norme di correttezza imprenditoriale l'acquisizione sistematica, da parte di un ex dipendente che abbia intrapreso un'autonoma attività imprenditoriale, di clienti del precedente datore di lavoro il cui avviamento costituiva, soprattutto nella fase iniziale, il terreno dell'attività elettiva della nuova impresa, più facilmente praticabile proprio in virtù delle conoscenze riservate precedentemente acquisite (Cass. 12681/07).
Non è dubbio a tale proposito che, come correttamente valutato dal giudice di secondo grado, la sottrazione anche di un solo cliente che però sia, come nel caso di specie, quello principale dell'impresa danneggiata attuata avvalendosi anche dello storno dei dipendenti costituisca un atto contrario ai principi di correttezza professionale idoneo ad integrare gli estremi della concorrenza sleale per sviamento della clientela.
Le ulteriori censure contenute nel motivo in esame sono infondate e, per certi versi, inammissibili. Con tali censure si contesta che la Corte d'appello abbia liquidato il danno per un periodo di quattro anni dal 1995 al 1998 senza tenere conto del fatto che, a seguito dello storno dei dipendenti, la difficoltà produttiva della Facem doveva limitarsi al periodo di tempo necessario per riassorbire i dipendenti fuoriusciti.
Tale censura non coglie in alcun modo la ratio decidendi della Corte d'appello che, come dianzi rilevato, è basata esclusivamente sul danno derivante dallo sviamento della clientela e non già dallo storno dei dipendenti, che è stato anzi escluso, avendo il giudice di seconde cure affermato che nessun pregiudizio patrimoniale aggiuntivo era stato provato dalla Facem per lo storno dei dipendenti al di là della diminuzione del fatturato derivante dalla perdita delle commesse della Tesar srl. (v. pag. 19 della sentenza). Anche a volere, poi, considerare in modo astratto la censura svolta dal ricorrente secondo cui la liquidazione del danno doveva essere limitata all'arco di tempo in cui si erano effettivamente prodotte le conseguenze pregiudizievoli, è sufficiente osservare che di tale questione al sentenza impugnata si è fatta adeguatamente carico liquidando per l'intero la perdita derivante dalla diminuzione del fatturato della Tesar per l'anno 1995 ma riducendo poi la determinazione del danno nella misura del 25% per la perdita per il 1996, del 50% per il 1997 e del 75% perii 1998.
Il terzo motivo è infine infondato e per alcuni aspetti inammissibile.
La Corte d'appello sulla base della non contestata circostanza che il Bardazzi, quando era ancora socio della Facem e precisamente 27 giorni prima della cessione delle proprie quote di detta società, aveva costituito con altri soggetti la Art-tra srl di cui era socio di maggioranza con il 51% delle quote, ha ritenuto che lo stesso fosse anche amministratore di fatto di quest'ultima società. Tale ultimo accertamento risulta fondato sulla circostanza che Gelsomini Carla, moglie del Bardazzi e titolare del 4% delle quote della Atr-tra era stata formalmente nominata amministratrice (non remunerata) di tale società, ma che la stessa era casalinga del tutto priva di esperienza nel settore ove operava la società mentre di contro il Bardazzi era il socio di maggioranza e il suo ruolo decisivo risultava dimostrato, oltre che dalla sua esperienza nel settore e dalle conoscenze tecniche, dal fatto che alcuni dipendenti della Facem erano stati indotti a seguirlo nonché dal fatto che la nuova società nei primi sette mesi di vita aveva realizzato un notevole fatturato e che detto risultato non poteva che essere attribuito alla capacità del Bardazzi e non della sua consorte. Da ultimo, la Corte d'appello ha osservato che l'attuale ricorrente non aveva fornito alcuna dimostrazione circa l'attività di amministratrice della Gelsomini.
In base a questo accertamento ha ritenuto sussistere la responsabilità del Bardazzi ex art. 2301 c.c., sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte che ha precisato che l'attività concorrenziale del socio di una società in nome collettivo può costituire violazione del divieto di concorrenza di cui all'art. 2301 cod. civ. anche quando si concreta nella costituzione, da parte del socio stesso, di una società a responsabilità limitata con identico oggetto, della quale egli assuma la qualità di amministratore. (Cass 1977/73).
Tale ultimo aspetto motivazionale non viene censurato dal Bardazzi che si limita a dedurre che la Corte avrebbe dovuto accertare in modo positivo il compimento di atti di gestione societaria da parte di esso ricorrente, circostanza invece in alcun modo provata in atti. Ai fini dell'individuazione della figura dell'amministratore di fatto, questa Corte ha già precisato che le norme che disciplinano la responsabilità degli amministratori (e dei direttori generali) delle società di capitali sono applicabili anche a coloro i quali si siano ingeriti nella gestione sociale in assenza di una qualsivoglia investitura da parte della società. Peraltro, la individuazione, a tali fini, della figura del cosiddetto "amministratore di fatto" presuppone che le funzioni gestorie svolte in via di fatto abbiano carattere sistematico e non si esauriscano, quindi, nel compimento di alcuni atti di natura eterogenea e ed occasionale. (Cass. 9795/99). Nel caso di specie deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia correttamente ritenuto, con motivazione adeguata sotto il profilo logico-giuridico e, come tale, non censurabile in questa sede di legittimità, che gli atti di storno dei dipendenti e di sviamento della clientela siano stati svolti dal Bardazzi, proprio nella sua qualità di amministratore di fatto della Art-tra, in ragione della particolare posizione che lo stesso aveva assunto in tale società. Sotto tale profilo non può mettersi in dubbio che l'attività di ricerca ed assunzione di dipendenti e di procacciamento di clienti costituiscano attività di gestione che, specie in una società di dimensioni ridotte, sono svolte dall'amministratore. Il ricorso va in conclusione respinto. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 6 mila per onorari oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre spese generali ed accessori di legge. Così deciso in Roma, il 3 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2008