Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6494 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 25 Luglio 1996, n. 6725. Est. Morelli.


Società - Di persone fisiche - Società in accomandita semplice - Soci accomandatari - Responsabilità per le obbligazioni sociali - Socio occulto di una S.a.s. - Responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali - Presupposti - Compimento di atti di amministrazione di tipo gestorio e non meramente esecutivo - Necessità.



La situazione di socio occulto di una società in accomandita semplice - la quale è caratterizzata dall'esistenza di due categorie di soci, che si diversificano a seconda del livello di responsabilità (illimitata per gli accomandatari e limitata alla quota conferita per gli accomandanti, ai sensi dell'art. 2312 cod. civ.) - non è idonea a far presumere la qualità di accomandatario, essendo necessario, a tal fine, accertare di volta in volta la posizione in concreto assunta da detto socio, il quale, di conseguenza, assume responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, ai sensi dell'art. 2320 cod. civ., solo ove contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione (intesi questi ultimi quali atti di gestione, aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull'amministrazione della società, non già di atti di mero ordine o esecutivi) o di trattare o concludere affari in nome della società. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Mario CORDA Presidente
" Giovanni OLLA Consigliere
" Ugo VITRONE "
" Mario Rosario MORELLI Rel. "
" Giuseppe MARZIALE "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PANIZZA PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ORTI DELLA FARNESINA 126, presso l'Avvocato STELLA RICHTER GIORGIO, che lo rappresenta e difende unitamente all'Avvocato PIERLUIGI TIRALE, giusta delega in atti;
Ricorrente
contro
FALL. PANIZZA PAOLO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PRATI FISCALI 158, presso l'Avvocato SERGIO DEL VECCHIO, che lo rappresenta e difende unitamente all'Avvocato SANDRO CONTI, giusta delega in atti;
Controricorrente
avverso la sentenza n. 5-93 della Corte d'Appello di BRESCIA, depositata il 04-01-93;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23-02-96 dal Relatore Consigliere Dott. Mario Rosario MORELLI;
udito per il ricorrente, l'Avvocato Marimonti, con delega, che chiede l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l'avvocato Conti, che chiede il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. Fabrizio Amirante che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
1. Con sentenza dell'11 aprile 1987, il Tribunale di Brescia, su istanza del curatore della fallita S.a.s. Centro Gomme di Mascolo Vincenzo e C., accertava, in capo a Paolo Panizza, la qualità di socio-amministratore di fatto della società stessa e ne dichiarava il fallimento.
2. Nel giudizio d'opposizione seguitone, il Panizza negava la sussistenza di elementi atti a dimostrare la sua veste di socio occulto o il compimento, da parte sua, di atti di gestione sociale, precisando che i documenti indicati dal curatore avevano natura meramente contabile o potevano essere redatti anche nell'ambito di lavoro dipendente. Pertanto, conveniva in giudizio il curatore, chiedendo la revoca della pronuncia di fallimento a suo carico. Costituitasi, la curatela convenuta ribadiva la legittimità della pronuncia, ma il Tribunale, con sentenza del 31 dicembre 1991, accoglieva l'opposizione.
3. Su appello della curatela, la Corte di Brescia riformava però, a sua volta, la decisione del Tribunale, osservando che dal complesso delle risultanze istruttorie (documenti - deposizioni testimoniali - scritture contabili) era emersa una attività costante del Panizza di ingerenza negli affari sociali (e non già di lavoro dipendente, di cui difettavano tutti i caratteri e requisiti), per cui (trattandosi nella specie di accomandita regolare) tornava applicabile il disposto dell'art. 2320 C.C., ai sensi del quale, appunto, il socio accomodante (palese od occulto) che (come il Panizza) contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione o di trattazione di affari in nome della società "assume responsabilità solidale ed illimitata verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali". 4. Avverso quest'ultima sentenza, depositata il 4 gennaio 1993, il Panizza ha proposto ricorso per cassazione.
Resiste la curatela con controricorso.
Il ricorrente ha anche depositato memoria.
DIRITTO
1. Con l'unico complesso motivo della impugnazione - incentrato sulla denuncia di plurimi vizi di motivazione e violazioni di legge (art. 147 L.F.; 2702, 2317, 2320 cod. civ.) - il ricorrente sostanzialmente lamenta il malgoverno delle risultanze istruttorie - sotto il triplice profilo di una valutazione arbitrariamente selettiva della prova orale "fondata soltanto sulle disposizioni dei testi della curatela"; di una illegittima utilizzazione di dichiarazioni scritte di terzi, non giudizialmente confermate e contestate dalla controparte; di una altrettanto irrituale valorizzazione di dichiarazioni del fallito, "sostanziale parte in causa" - nonché, in rito, violazione e falsa applicazione dell'art. 2320 cit., per avere la Corte ritenuto che, ai fini della responsabilità del socio accomodante occulto, sia sufficiente il compimento di atti anche di mera amministrazione interna invece che veri e propri atti di gestione.
2. Il ricorso è per ogni aspetto infondato.
2.1. È pur vero che la situazione di socio occulto di una società in accomandita semplice - la quale è caratterizzata dall'esistenza di due categorie di soci, che si diversificano a seconda del livello di responsabilità (illimitata per gli accomandatari e limitata alla quota conferita per gli accomodanti, ai sensi dell'art. 2312 cod. civ.) - non è idonea a far presumere la qualità di accomandatario, essendo necessario accertare di volta in volta la posizione in concreto assunta dal detto socio, con la conseguenza che il socio occulto di una società in accomandita semplice assume responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, ai sensi dell'art. 2320 cod. civ., solo ove contravvenga al divieto (sub art. cit.) di "compiere atti di amministrazione o di trattare o concludere affari in nome della società" (cfr. Cass. 19 gennaio 1991 n. 508).
Ed è vero altresì che, agli effetti indicati non è sufficiente (sul piano dell'ingerenza vietata all'accomandante), il compimento, da parte sua, di un qualsiasi atto di amministrazione, occorrendo viceversa che si tratti di atti aventi influenza decisiva (o quantomeno rilevante) sulla amministrazione della società, nel senso che riguardino non il mero profilo esecutivo ma il momento genetico del rapporto in cui si manifesta la scelta di impresa e siano quindi, in altre parole atti di gestione e non di mero ordine (cfr. Cass. n. 172-1987, n. 2041-1988; Trib. Torino 26 novembre 1992, Canali c. Fall.to Canali).
2.2. Ma i riferiti principi - contrariamente a quanto denunciato dal Panizza - risultano puntualmente osservati dal Collegio a quo. Il quale infatti - dopo aver rilevato che nella specie risultava provata; (sia documentalmente che attraverso l'esperita prova orale) l'inesistenza (e non già "non provata l'esistenza", con la pretesa inversione dell'onere della prova contestata in ricorso) di un rapporto di lavoro subordinato tra la società e il Panizza (poiché quest'ultimo "frequentava liberamente il posto di lavoro" fuori da ogni vincolo di orario o di subordinazione, "non percepiva una retribuzione predeterminata"; "aveva libero accesso alla cassa sociale" ed era comunque dallo stesso Mascolo presentato a terzi come suo socio) - si è preoccupato, appunto, di verificare se gli atti compiuti dall'odierno ricorrente, in tale accertata sua veste di socio, avessero effettivamente il contenuto di atti propriamente gestori e non meramente esecutivi. Indagine, questa - correttamente quindi orientate - che ha condotto la Corte bresciana ha dare al quesito risposta affermativa sulla base ancora una volta delle emergenze istruttorie. Dalle quali era, tra l'altro, risultato che il Panizza "conclude (va) lui stesso le cessioni di merce, emettendo la documentazione necessaria, ricevendo i corrispettivi, rilasciandone quietanza ecc... agiva autonomamente e in prima persona girando per l'incasso assegno emesso a favore della società", ed addirittura, nei cinque mesi precedenti il fallimento, "era rimasto solo a mandare avanti la società".
2.3. Nè in ordine alla utilizzazione che, nel senso indicato, i giudici di appello hanno fatto del materiale istruttorio possono trovare ingresso le doglianze del ricorrente circa una pretesa preferenza accordata alle disposizioni dei testi della curatela, poiché ciò che in tal modo si vorrebbe censurare è proprio il momento valutativo riservato al giudice del merito, insindacabile per tal profilo in sede di legittimità.
2.4. Oltre che non decisiva e poi comunque infondata l'ulteriore più puntuale doglianza relativa ad utilizzazione di dichiarazioni del fallito.
Vero è infatti che nelle controversie inerenti a rapporti economici compresi nel fallimento deve escludersi che il fallito possa testimoniare, in ragione del fatto che lo stesso, nonostante l'attribuzione della legittimazione processuale al curatore, ha la qualità di parte in senso sostanziale, sicché opera nei suoi confronti il principio generale della relativa inconciliabilità con la veste di testimone e non la incapacità a testimoniare che alle condizioni di cui all'art. 246 cod. proc. civ., riguarda i soggetti diversi dai contendenti (cfr. Cass. 1989 n. 2404).
Ma nella specie ciò che - in un ampio e convergente contesto di materiali istruttori - la Corte ha tra l'altro tenuto presente e non già la pretesa "deposizione del fallito", ma comportamenti e dichiarazioni del Mascolo, in epoca antecedente al fallimento - circa il trattamento del Panizza come socio - sui quali altri ha riferito come teste.
2.5. Mentre - con riguardo infine alle scritture provenienti da terzi che la Corte bresciana avrebbe, sempre secondo il ricorrente, illegittimamente utilizzato nella formazione del suo convincimento - anche tali residue censure risultano prive di effettiva consistenza per la duplice ragione che a quelle scritture i giudici di merito hanno, nella loro discrezionalità di apprezzamento, attribuito un mero valore indiziario (cfr. Cass. 5736-86; 4295-87; 5974-88) e che comunque le stesse hanno un peso di mero contorno, nel quadro probatorio posto a base della decisione impugnata.
3. Il ricorso va pertanto integralmente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Lit. 184.000, oltre a Lit. 2.500.000 per onorari. In Roma, il 23 febbraio 1996.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 25 LUGLIO 1996