Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1604 - pubb. 22/02/2009

Morte del socio e liquidazione della quota al valore nominale

Tribunale Biella, 27 Novembre 2008. Est. Eleonora Reggiani.


Società di persone – Morte del socio – Trasmissione mortis causa della qualità di erede – Esclusione – Diritto degli eredi alla liquidazione della quota – Sussistenza.

Società di persone – Morte del socio – Diritti dei successori – Patto che prevede la liquidazione della quota al valore nominale – Nullità – Sussistenza.



Poiché la qualità di socio di società di persone e il connesso potere di gestione sono intrasmissibili mortis causa, operando la successione esclusivamente sul diritto di credito ad un valore corrispondente al valore della partecipazione al patrimonio sociale, gli eredi del socio defunto di società a responsabilità limitata non acquistano, per il solo fatto di essere eredi, la posizione che aveva il socio deceduto nell’ambito della società, e non assumono perciò la qualità di soci, ma diventano soltanto titolari del diritto di liquidazione della quota del loro dante causa. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

La clausola dello stato di società di persone, la quale dispone che in caso di decesso di un socio gli eredi hanno diritto alla liquidazione della quota al valore nominale, si risolve di fatto in un atto dispositivo del reale valore della quota attribuendo ai soci superstiti la parte di valore eccedente il valore nominale e privando gli eredi del socio deceduto di tale eccedenza. Una tale clausola, che limita reciprocamente la libertà testamentaria dei soci, i quali dispongono del valore della loro quota per il tempo della loro morte, attribuendo agli eredi una quota fissa e lasciando alla società quanto resta, è nulla ai sensi dell’art. 458 cod. civ.. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, le attrici, in qualità di eredi XXX, deceduto a Biella il 15.03.02, citavano in giudizio la convenuta, società di cui il de cuius deteneva il 35,56 % del capitale, per ottenere la liquidazione della quota di quest’ultimo al valore reale, previo accertamento della validità e/o dell’inefficacia della clausola statutaria che prevedeva, per il caso di morte del socio, il diritto degli eredi ad ottenere unicamente la liquidazione della quota al valore nominale.

In particolare deducevano quanto segue:

a)  nel momento in cui aveva sottoscritto il rogito T. 27.06.81 (regolarizzazione della società di fatto con costituzione della K. s.n.c.), approvando esplicitamente la clausola impugnata, XXX aveva stipulato con gli altri soci un accordo con il quale aveva deciso la sorte della propria quota in caso di suo decesso. In altri termini il XXX aveva stipulato con gli altri soci una "convenzione" con cui aveva disposto della propria successione. Doveva pertanto trovare applicazione l'art. 458 comma 1 c.c., che sanziona con la nullità tale tipo di convenzione;

b)  nel momento in cui era divenuta socia anche YYY (rogito T. 27.12.99), anch’essa aveva esplicitamente approvato tale clausola, con ciò rinunciando, in caso di premorienza del marito, all'eredità sulla somma costituita dalla differenza tra il minor valore nominale e il maggior valore reale della quota del marito. Tale approvazione doveva tuttavia ritenersi invalida, posto che in applicazione dell’art. 458 c.c. è nulla la rinuncia all'eredità fatta prima dell'apertura della successione;

c)  in applicazione dell’art. 542 comma 2 c.c. al coniuge e ai figli sono riservati complessivamente i 3/4 del patrimonio ereditario (il residuo 1/4 è la disponibile), sicché, se fosse stata valida la clausola impugnata, essa avrebbe dovuto considerarsi come disposizione testamentaria, avendo XXX con la stessa deciso la sorte del valore reale della sua quota, così ledendo la quota di legittima riservata alle attrici, tenuto conto che, come si evince dalla denuncia di successione, il patrimonio del XXX era costituito da fabbricati valutati euro 44.746,00 e dalla quota K., il cui valore nominale era di euro 16.526,62, ma quello reale non era inferiore ad euro 53.340,00;

d)  la clausola statutaria impugnata era contraria al divieto di pattuizioni "tontinarie" vietate dall'art.3 d.P.R 03.02.59 n. 449 (Testo Unico della legge sull’esercizio delle assicurazioni private);

e)  la pattuizione tra i soci della clausola di consolidazione nei termini sopra indicati era comunque causa di ingiusto e grave danno economico per le eredi;

f)   la clausola di consolidazione avrebbe lo scopo dell'abbandono della causa societatis, prevedendo il progressivo consolidamento delle quote societarie dei soci premorti in capo ai soci superstiti sino alla completa eliminazione della pluralità di soci con conseguente e sicura violazione dell'art. 2247 c.c. (senza che la declaratoria di nullità di tale clausola vada ad intaccare la validità del contratto sociale);

g)  l’art. 16 d.lvo 346/90, per il caso di trasferimento o di liquidazione delle quote sociali, prevede che la relativa imposta sia proporzionata non al valore nominale ma al valore reale della quota stessa.

        Con comparsa depositata alla prima udienza, si costituiva in giudizio la convenuta, eccependo in via pregiudiziale la carenza di giurisdizione del giudice adito, essendo contenuta nei patti sociali una clausola compromissoria, oltre al difetto di legittimazione passiva della società in ordine all’azione di riduzione. Nel merito chiedeva comunque il rigetto delle domande attoree.

Nella memoria ex artt. 170-180 c.p.c. datata 12.02.04, le attrici rinunciavano all’azione di riduzione (v. supra sub. c) e, contestando le allegazioni avversarie, chiedeva l’adozione di ordinanza ex art. 186 ter c.p.c. quanto meno per la somma corrispondente al valore nominale della quota del de cuius.

Nella memoria ex art. 180 c.p.c. datata 04.05.04, parte convenuta eccepiva l’irritualità della rinuncia alla domanda avversaria e l’indeterminatezza della domanda con riguardo ai titoli costitutivi supra indicati sub. e), f), e g). Chiedeva quindi il rigetto della richiesta di adozione di ordinanza ex art. 186 ter c.p.c., essendo le attrici, in qualità di eredi di XXX, tenute a restituire le somme prelevate in eccedenza da quest’ultimo, il cui ammontare veniva opposto in compensazione.

In data 17.09.04 veniva adottata ordinanza ex art. 186 ter c.p.c. e, concessi, su richiesta, prima i termini ex art. 183 c.p.c. e poi i termini ex art. 184 c.p.c., rigettate le istanze istruttorie, veniva fissata udienza di precisazione delle conclusioni, ove la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni indicate in epigrafe, previa concessione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’eccezione di nullità di alcune delle domande attoree per assoluta indeterminatezza della causa petendi

Tale eccezione, sollevata da parte convenuta, non è fondata, considerato che risultano sufficientemente indicati i motivi posti a fondamento delle domande formulate.

Si deve in primo luogo precisare che dalla semplice lettura dell’atto di citazione si evince con chiarezza che le allegazioni ivi contenute sub e) e sub g) (v. supra lo svolgimento del processo) non sono dalle attrici poste a fondamento della domanda di accertamento dell’invalidità e/o inefficacia della clausola di consolidazione come autonomi titoli costitutivi della domanda stessa, costituendo invece mere argomentazioni, finalizzate ad evidenziare la fondatezza di tale domanda e in particolare la necessità di considerare comunque il valore reale e non il valore nominale della quota.

Con riguardo invece alle allegazioni sub. f) (v. supra lo svolgimento del processo), si deve rilevare che le attrici risultano avere prospettato con sufficiente chiarezza le ragioni della dedotta nullità, ritenendo che la clausola di consolidazione ha come scopo finale quello di abbandonare la causa societatis così violando apertamente l’art. 2247 c.c.

la dedotta operatività della clausola compromissoria

Si deve subito precisare che la statuizione in ordine al se la controversia debba essere decisa dal giudice o da arbitri non riguarda una questione di giurisdizione o di competenza in senso tecnico ma una questione di merito, perché attiene alla validità e all’operatività del compromesso o della clausola compromissoria (da intendersi come patto di rinuncia all’azione giudiziaria e alla giurisdizione dello Stato), con la conseguenza che, anche nell’ipotesi in cui l’eccezione sia stata impropriamente formulata, la sentenza che statuisce sul punto costituisce pur sempre una pronuncia di merito relativa alla proponibilità della domanda (v. da ultimo Cass. Sez. Un. 05.01.07 n. 35 e 03.08.00 n. 527; Cass. 30.05.07 n. 12684; 21.11.06 n. 24681; 19.05.06 n. 11857; 01.03.06 n. 4542; 21.10.05 n. 20351; 30.12.03 n. 19865; 03.09.03 n. 12855; 04.06.03 n. 8910; 26.03.03 n. 4478).

Nel caso di specie oggetto di esame è l’art. 10 dei patti sociali (doc. 1 fasc. att.), il quale recita come segue: “qualsiasi controversia sorgesse per la interpretazione ed esecuzione del presente contratto fra i soci, sarà deferita inappellabilmente ad un arbitro amichevole compositore nominato d’accordo tra i soci, sarà deferita inappellabilmente ad un arbitro amichevole compositore nominato d’accordo fra le parti o in mancanza di accordo dal Presidente dello Ordine dei Commercialisti di Biella su istanza della parte più diligente. Detto arbitro deciderà inappellabilmente, secondo equità e diritto e con dispensa dall’osservare le formalità di rito”.

Le attrici hanno agito in giudizio in qualità di eredi di uno dei soci, per ottenere la liquidazione della quota loro spettante a seguito della morte del loro dante causa.

Com’è noto, l’art. 2284 c.c., applicabile alle società in nome collettivo in virtù del rinvio contenuto all’art. 2293 c.c., prevede che “salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società, ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano”.

Nel caso di specie, all’art. 8 dei patti sociali si legge che “in caso di decesso di un socio, i successori avranno diritto solamente alla liquidazione della quota al valore nominale, quota che si consoliderà nei soci superstiti in proporzione alle quote già possedute. Il pagamento della quota avverrà entro 6 mesi senza interessi”

In virtù della clausola di consolidazione appena riportata i soci risultano pertanto avere rinunciato in via preventiva ad avvalersi delle altre due facoltà previste dalla legge (continuazione con gli eredi o scioglimento della società), vincolandosi a liquidare agli eredi del socio deceduto il valore della quota di quest’ultimo (sulla cui determinazione v. infra).

Si deve tuttavia rilevare che in caso di liquidazione della quota di s.n.c. sia per la disciplina legale e sia per la disciplina pattizia supra richiamate, gli eredi del socio defunto non acquistano, per il solo fatto di essere eredi, la posizione che aveva il socio deceduto nell'ambito della società, e non assumono perciò la qualità di soci, perché diventano titolari soltanto del diritto alla liquidazione della quota del loro dante causa.

La qualità di socio di società di persone e il connesso potere di gestione sono infatti intrasmissibili mortis causa, operando la successione esclusivamente sul diritto di credito a un valore corrispondente al valore della partecipazione al patrimonio sociale (con riferimento all’ipotesi legale, cfr. tra le tante Cass. 11.10.06 n. 21803; 22.08.02 n. 12361; 14.03.01 n. 3671; 16.12.88 n. 6849; 08.10.70 n. 1850).

Deve pertanto escludersi nella specie l’operatività della clausola compromissoria, contenuta nei patti sociali, nei confronti delle attrici, che non sono divenute socie della società convenuta per il solo fatto di essere divenute eredi del socio deceduto, con la conseguenza che tale clausola è espressione di accordi resi inter alios e come tali a loro non opponibili.

La rinuncia all’azione di riduzione

Le attrici hanno espressamente rinunciato a tale domanda nella memoria ex art. 170-180 c.p.c. datata 12.02.04 e pertanto il giudice non deve pronunciarsi in merito ad essa.

Non è fondato il rilievo di parte convenuta, secondo la quale tale rinuncia deve ritenersi irrituale, tenuto conto che la prospettata lesione della quota di legittima costituisce uno dei tanti motivi posti a fondamento delle richieste formulate, sicché la rinuncia a tale titolo costitutivo delle domande formulate costituisce espressione del potere proprio del difensore di precisazione e modificazione delle domande stesse.

Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità infatti la rinuncia alla domanda o ai suoi singoli capi, qualora si atteggi come espressione della facoltà della parte di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate, rientra fra i poteri del difensore (che in tal guisa esercita la discrezionalità tecnica che gli compete nell'impostazione della lite e che lo abilita a scegliere, in relazione anche agli sviluppi della causa, la condotta processuale da lui ritenuta più rispondente agli interessi del proprio rappresentato) e si distingue dalla rinunzia agli atti del giudizio (che può essere fatta solo dalla parte personalmente o da un suo procuratore speciale, nelle forme rigorose previste dall'art. 306 c.p.c. e non produce effetto senza l'accettazione della controparte) (Così da ultimo Cass. 04.02.02 n. 1439; 08.01.02 n. 140).

La nullità ex art. 458 c.c. della clausola che prevede la liquidazione agli eredi della quota del socio deceduto al valore nominale.

        Una volta precisato che in caso di morte di soci di s.n.c. cade in successione soltanto il diritto di credito al valore della quota, e non la qualità di socio (v. supra), consegue con evidenza che la mera previsione della consolidazione in capo ai soci superstiti della quota di cui era titolare il socio defunto, senza che vi sia alcuna pattuizione in ordine al valore da attribuire alla quota da liquidare, non può ritenersi violativa del divieto dei patti successori, non avendo ad oggetto un diritto suscettibile di cadere in successione.

Come supra evidenziato, in virtù della clausola di consolidazione i soci rinunciano in via preventiva ad avvalersi delle altre due facoltà previste dalla legge a loro favore, in quanto soci (continuazione con gli eredi o scioglimento della società), vincolandosi da subito a liquidare agli eredi del socio deceduto la quota di quest’ultimo.

        La consolidazione in favore dei soci superstiti non avviene né a titolo successorio né a titolo di liberalità, bensì in virtù di una convenzione sociale, che dispone di poteri e facoltà propri dei soci, le cui statuizioni rimangono sospese fino alla premorienza del socio: i soci superstiti conseguono il bene partecipazione sociale tempore mortis ma non causa mortis (v. con riferimento a fattispecie disciplinate dal codice previgente Cass. 03.07.67 n. 1622).

Diverse sono le valutazioni da compiere nel caso in cui i patti sociali, oltre a prevedere la consolidazione della quota, regolino anche l’an e il quantum della liquidazione, ad esempio escludendo ogni diritto degli eredi alla liquidazione (cd. clausola di consolidazione pura), oppure stabilendone a priori il valore, come nella specie, ove è attribuito un valore corrispondente al valore nominale della quota.

La giurisprudenza di legittimità e la migliore dottrina hanno correttamente ritenuto che l’esclusione degli eredi da ogni diritto alla liquidazione della quota in caso di consolidazione della stessa tra i soci superstiti è una pattuizione nulla per contrarietà a norme imperative, perché realizza una vera e propria attribuzione mortis causa ai soci superstiti, regolando per contratto la sorte di quanto cadrà in successione ed escludendo del tutto la libertà testamentaria così come tutelata dall’art. 458 c.c. (cfr. Cass. 16.04.75 n. 1434).

        Non sono diversi gli effetti delle clausole che, come quella in esame, predeterminano il valore da attribuire agli eredi a titolo di liquidazione della quota (nella specie fissato nel suo valore nominale).

Tale previsione si sostanzia in un accordo reciproco tra soci sull’ammontare del valore da attribuire in sede di liquidazione della quota agli eredi in caso di morte di ciascuno dei soci. Esiste tuttavia una differenza tra il valore reale e quello nominale della quota e tale differenza va ad arricchire (o a impoverire, a seconda delle condizioni della società) il patrimonio del soggetto che deve procedere alla liquidazione, che nella specie deve senza dubbio ritenersi essere la società convenuta, tenuto conto che quest’ultima non ha in questa sede contestato la titolarità passiva del rapporto dedotto in giudizio.

In altre parole, la disposizione contiene una doppia attribuzione, da una parte l’attribuzione del valore nominale agli eredi e da un’altra parte l’attribuzione della differenza tra il valore reale e il valore nominale alla società.

        È pertanto evidente che in questo modo i soci limitano reciprocamente la loro libertà testamentaria, perché dispongono del valore della loro quota – bene che cade in successione - per il tempo della loro morte, attribuendo agli eredi una quota fissa e lasciando alla società quanto resta.

        Tale accordo ha tutti i requisiti di un patto successorio istitutivo.

La giurisprudenza di legittimità ha infatti reiteratamente ritenuto che ricorre tale fattispecie nella convenzione avente ad oggetto la disposizione di beni afferenti ad una successione non ancora aperta, che costituisce l'attuazione dell'intento delle parti, rispettivamente, di provvedere in tutto o in parte alla propria successione e di acquistare un diritto sui beni della futura proprietà a titolo di erede o legatario, facendo sorgere un vero e proprio "vinculum iuris" (v. da ultimo Cass. 09.05.00 n. 9870).

Nel caso di specie la costituzione di tale vincolo è inequivoca, tenuto conto che la pattuizione, contenuta nei patti sociali, vincola reciprocamente tutti i soci e fissa la regola cui deve attenersi la società quando deve liquidare la quota spettante agli eredi del socio deceduto.

Deve pertanto dichiararsi la nullità della convenzione contenuta all’art. 8 dei patti sociali nella parte in cui è previsto che “in caso di decesso di un socio, i successori avranno diritto solamente alla liquidazione della quota al valore nominale quota”

A nulla vale richiamare il principio della disponibilità del diritto alla liquidazione della quota. È infatti evidente che il titolare del diritto alla liquidazione può concordare la liquidazione della stessa al valore nominale e anche la rinuncia ad ogni liquidazione. Ma, appunto, tale potere spetta al titolare del diritto, e cioè all’erede, e solo una volta che sia divenuto tale.

statuizioni conseguenti

La nullità della clausola nella parte sopra indicata, non incide sul resto delle convenzioni sociali, non essendo allegato né provato che le parti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte di contenuto che è stata colpita da nullità.

L’accoglimento del sopra illustrato motivo di nullità assorbe la trattazione di ogni ulteriore motivo prospettato.

A seguito della declaratoria di nullità, la liquidazione della quota del socio deceduto deve pertanto essere compiuta nelle forme previste dall’art. 2289 c.c.

conclusioni

In conclusione, con sentenza non definitiva deve rigettarsi l’eccezione di arbitrato, l’eccezione di nullità delle domande attoree sub. e) – f) – g) di atto di citazione, l’eccezione di irritualità della rinuncia alla domanda di riduzione e deve essere dichiarata la nullità della convenzione contenuta all’art. 8 dei patti sociali nella parte in cui è previsto che “in caso di decesso di un socio, i successori avranno diritto solamente alla liquidazione della quota al valore nominale”.

Si deve conseguentemente disporre con separata ordinanza il prosieguo dell’istruzione, al fine di accertare il valore della quota del socio  XXX al momento del suo decesso.

Posto che la causa deve ancora proseguire, le statuizioni sulle spese vanno rinviate alla sentenza definitiva.

P.Q.M.

Il Tribunale di Biella, nella persona del Giudice Istruttore in funzione di Giudice Unico, dott.ssa Eleonora Reggiani, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, non definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti:

1)             rigetta l’eccezione di improponibilità dell’azione in ragione dell’esistenza di clausola compromissoria;

2)             rigetta l’eccezione di nullità delle domande attoree sub. e) – f) – g) di atto di citazione;

3)             rigetta l’eccezione di irritualità della rinuncia alla domanda di riduzione;

4)             dichiara la nullità della convenzione contenuta all’art. 8 dei patti sociali nella parte in cui è previsto che “in caso di decesso di un socio, i successori avranno diritto solamente alla liquidazione della quota al valore nominale”;

5)             provvede con separata ordinanza in ordine all'ulteriore istruzione della causa;

4)     rimette al definitivo ogni pronunzia sulle spese processuali.

Così deciso in Biella il 27.11.07

 

Il giudice

dott.ssa Eleonora Reggiani


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