Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 883 - pubb. 01/01/2007

Insider trading ed elemento psicologico

Tribunale Siracusa, 10 Aprile 1997. Est. Scarlatta.


Insider trading - Abuso di informazioni riservate - Competenza territoriale - Nesso motivazionale dell'agente nell'utilizzo dell'informazione.



Territorialmente competente a giudicare dei fatti previsti dal reato di cui all'art. 2 della l. 17 maggio 1991 n. 157 è il giudice del luogo in cui avviene la divulgazione della informazione riservata, comunicazione che costituisce necessario antecedente logico della sua eventuale utilizzazione.
Se l'interesse tutelato dalla norma in esame è quello di garantire parità di condizioni conoscitive per chi opera nel mercato borsistico, per porre in essere una condotta penalmente rilevante occorre che l'agente abbia usato delle indiscrezioni di cui conosceva l'illecita provenienza, che l'hanno posto in una situazione di favore.
L'agente deve, quindi, essere stato motivato, nella sua condotta, dalle notizia attinte per la funzione rivestita, al fine di una loro utilizzazione.


 


(Omissis). -
IN FATTO E IN DIRITTO. -
La Consob, con relazione ex art. 8 della l. 17 maggio 1991, n. 157, comunicava al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa e, per conoscenza, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, una ipotesi di violazione dell'art. 2 della legge citata a carico degli odierni imputati, per i fatti che seguono.

La Banca di Credito Popolare di Siracusa, in data 27 luglio 1991, ebbe a deliberare un aumento di capitale in parte gratuito in parte a pagamento.

In particolare, in data 11 settembre 1991, il consiglio d'amministrazione della Banca, nel formulare le modalità attuative, precisava che «i portatori di diritti d'opzione non iscritti al libro dei soci, per poter procedere alla sottoscrizione di nuove azioni, devono richiedere l'ammissione a socio ».

Per tali ragioni, rese pubbliche dall'Istituto, i possessori di azioni, non iscritti nel libro dei soci, si trovavano in evidenti difficoltà, essendo costretti a vendere i diritti d'opzione a qualsiasi prezzo.

Nel caso in esame, appunto, vi erano dei soggetti (Confida Fiduciaria ed altri) che erano in possesso di un rilevante numero di azioni e che non erano stati ammessi come soci.

Tale circostanza, che non era nota al mercato, ove fosse stata resa pubblica, poteva influenzare sensibilmente il mercato stesso.

Sulla base di tali circostanze, la Consob sottolinea nella sua relazione: « ... alla data del 17 ottobre 1991, data in cui ha avuto inizio la quotazione dei diritti d'opzione, un rilevante numero di azioni era detenuto da azionisti i quali non avevano ottenuto il gradimento da parte del consiglio d'amministrazione e dal comitato esecutivo della BCPS »; ed ancora aggiunge: « ... La necessità per gli azionisti non soci di vendere i diritti d'opzione ha causato un eccesso d'offerta sul mercato degli stessi titoli... ». Si conclude pertanto dicendo: « ... solo il consiglio d'amministrazione ovvero il comitato esecutivo della BCPS erano a conoscenza dell'esatta quantità di diritti d'opzione che sarebbe stata immessa sul mercato »; « Si ritiene dunque, come già riferito, che il numero di azioni appartenenti a soggetti non iscritti al libro soci ed in particolare a Confida e Zoppi, costituiva informazione idonea, se resa pubblica, ad influenzare sensibilmente il prezzo dei diritti d'opzione ».

Per tali considerazioni la Consob concludeva dicendo che, poiché tra i soggetti che avevano venduto i diritti d'opzione per il tramite della BCPS figuravano il vicepresidente Filippo Urzì ed il figlio Pier Paolo, Carmela Conigliaro, coniuge del consigliere della stessa banca Antonio Pavone Cocuzza, Altieri Anita e Spagna Noemi, figlia e moglie del consigliere della BCPS Luigi Spagna, appariva che gli stessi dirigenti della BCPS avevano posto in essere una violazione dell'art. 2 della l. n. 157 del 1991 in quanto avrebbero effettuato delle vendite di diritti d'opzione direttamente ovvero per il tramite dei propri familiari e/o congiunti, essendo in possesso di informazioni riservate.

Più precisamente si rileva come Filippo Urzì abbia venduto 400 diritti d'opzione ed il figlio Pier Paolo 800 diritti maturando utili rispettivamente per lire 3.455.000 e lire 6.910.000, mentre nella famiglia Spagna la moglie del consigliere Luigi e la figlia Noemi hanno venduto 238 e 650 diritti d'opzione realizzando lire 1.664.570 e lire 4.554.750.

Tali circostanze venivano poste alla base della imputazione per il delitto di cui al-l'art. 2, comma 2° della richiamata 1. 17 maggio 1991, n. 157 dalla Procura della Repubblica di Siracusa.

IN PUNTO DI DIRITTO. -
Va preliminarmente rilevato come la competenza territoriale a giudicare i fatti dell'odierno processo appartiene sicuramente a questo giudicante. Invero risulta commesso in Siracusa il primo reato, costituito dalla divulgazione di informazioni riservate.

Al riguardo è appena il caso di sottolineare come la comunicazione della notizia privilegiata costituisca necessario antecedente logico rispetto alla eventuale utilizzazione della stessa ai sensi dell'art. 16, comma 1°, c.p.p.

Pertanto, essendo incontestato che la divulgazione sarebbe avvenuta in Siracusa, la competenza si radica presso questo giudice.

Orbene, ciò premesso, l'articolo di legge in esame (art. 2, 1. n. 157 del 1991) prevede il divieto di acquistare o vendere valori mobiliari, ivi compresi i diritti d'opzione, qualora un soggetto qualificato, che esercita « una funzione anche pubblica, professione o ufficio » sia venuto in possesso, in ragione del suo stesso ufficio, di informazioni riservate.

Il comma 2° dell'articolo di legge in oggetto impone il divieto di comunicare a terzi le informazioni riservate, mentre il comma 4° estende ai terzi il divieto di cui al comma 1° qualora, appunto, abbiano ottenuto informazioni, di cui conoscono la riservatezza, da persone che le possedevano in ragione del proprio ufficio.

Da un esame delle posizioni processuali degli imputati emerge che, nell'ambito delle stesse famiglie Urzì e Spagna, vi sono stati diversi comportamenti tra i componenti la famiglia: mentre infatti l'ing. Urzì ed il figlio Pier Paolo hanno venduto i diritti d'opzione, la moglie e gli altri due figli hanno invece sottoscritto le azioni.

Così pure, nella famiglia Spagna, a fronte della vendita operata dalla moglie del consigliere Luigi e dalla figlia Noemi di diritti d'opzione, notiamo che lo stesso Luigi ed i figli Marcello e Fausto hanno, invece, sottoscritto le nuove azioni.

Si deve rilevare, comunque, una differenza nel comportamento delle due famiglie:

mentre nella famiglia Spagna il consigliere Luigi, che era ipoteticamente il soggetto attivo, in grado di conoscere le notizie riservate, ha sottoscritto, invece di vendere, nella famiglia Urzì il consigliere Filippo ha venduto i propri diritti così come il figlio Pier Paolo.

Appare quindi, immediatamente, del tutto inconsistente l'accusa nei confronti dei membri della famiglia Spagna, laddove il soggetto stesso che era in grado di conoscere le notizie riservate e di utilizzarle in suo favore ed in quello dei familiari si è determinato ad un comportamento diverso ed opposto, sottoscrivendo nuove azioni.

Ove si consideri l'esiguità del profitto ricavato dalla vendita, rilevare l'esistenza di divulgazione di notizie riservate ad uso dei familiari a fronte di una situazione che presenta diverse ed opposte determinazioni, come sopra descritto, è contrario ad ogni considerazione logica.

Né può invocarsi la rigidità del precetto della norma in esame, perché la norma stessa va comunque interpretata anche alla luce del titolo della 1. n. 157, che parla giustamente di « Norme relative all'uso di informazioni riservate »; poiché se l'interesse tutelato dalla norma è quello di garantire parità di condizioni conoscitive per chi opera nel mercato borsistico, per porre in essere una condotta penalmente rilevante occorre che l'agente abbia usato delle indiscrezioni di cui conosceva l'illecita provenienza, che l'hanno posto in una situazione di favore.

Tale circostanza non è stata provata né appare verosimile per le considerazioni fatte.

Certamente le considerazioni precedenti, rilevate per la famiglia Spagna, possono valere anche in relazione al comportamento della famiglia Urzì, considerando, anche in tal caso, come la diversità dei comportamenti in seno alla stessa famiglia sembra escludere una volontà di violare la norma citata.

Un approfondimento deve pertanto farsi per la posizione dell'Urzì Filippo, il quale, essendo presumibilmente a conoscenza delle informazioni riservate, in forza delle sue funzioni, ha alienato i propri diritti.

Sul punto va ribadito che non può soffermarsi l'interprete della norma alla semplice lettura dell'art. 2, comma 1° senza valutare la reale portata della norma e l'interesse tutelato che è, come detto, quello di garantire una parità di opportunità e di tutela a tutti gli operatori di mercato.

Per le ragioni esposte sembra necessario che l'agente sia stato motivato, nella sua condotta, dalle notizie attinte per la funzione rivestita, al fine di una loro utilizzazione, ma, ove si consideri che gli stessi familiari dell'Urzì, ad eccezione del figlio Pier Paolo, hanno deciso di comportarsi in senso opposto, sembra potersi affermare che l'eventuale conoscenza di fatti riservati non sia stata determinante nel guidare i comportamenti dell'Urzì e comunque le eventuali conoscenze che poteva avere avuto l'Urzì, per il suo ufficio, non sembrano tali da determinare certezze sulla condotta degli azionisti non soci e quindi sulla convenienza, certa, di eventuali operazioni borsistiche.

D'altra parte non può riconoscersi, in forza della normativa citata, un obbligo dell'Urzì a sottoscrivere nuove azioni comprimendo così la sua autonomia e libertà negoziale.

Nel caso in esame, infatti, si arriverebbe a pretendere un comportamento attivo e non di semplice astensione, ove si consideri che il soggetto sarebbe « costretto », per non incorrere nella sanzione penale, a sottoscrivere nuove azioni e, quindi, ad un comportamento attivo coatto con correlato onere economico.

Per quanto infine riguarda la posizione di Antonio Cocuzza Pavone e di Carmela Conigliaro, deve rilevarsi come dalla documentazione offerta dalla difesa si evinca che gli stessi non hanno operato alcuna vendita di diritti di opzione e che la loro imputazione discende da una pura omonimia con persona estranea ai fatti.

P.Q.M. -
Visto l'art. 425 c.p.p., dichiara non luogo a procedere nei confronti di Urzì Filippo, Pavone Cocuzza Antonio, Spagna Luigi, Urzì Pier Paolo, Conigliaro Carmela, Spagna Noemi e Altieri Anita in ordine ai reati loro ascritti perché i fatti non sussistono.
(Omissis).